incesto
Jenny: Un gioco di potere e desiderio Part. 1


29.04.2025 |
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"Il sapore di Elvira era una droga, il suo squirt che le bagnava il viso un premio..."
Il bagno era un piccolo regno di vapore e umidità, il profumo acre di sapone e piscio che si mescolava al calore della doccia. Elvira, 22 anni, alta 1,60, 62 kg, con una quarta di seno abbondante che premeva contro la canottiera aderente, i fianchi larghi fasciati da una gonna corta, i capelli tinti biondi che cadevano in onde disordinate, entrava senza bussare, come sempre. Generoso suo fratello, 18 anni, gracile, 1,70 per 60 kg, il corpo aggraziato avvolto solo da un asciugamano, si irrigidì sotto il getto d’acqua, il suo viso che arrossiva mentre l’acqua gli scorreva sul petto glabro. I jeans attillati e la maglietta stretta che indossava di solito erano ammucchiati sul pavimento, accanto al perizoma nero sporco di Elvira, che lei aveva lasciato lì con intenzione. «Non ti vergognare, tanto ce l’hai piccolo, non c’è niente da nascondere», diceva spesso, ridendo, lasciando la porta aperta, il suo profumo muschiato che saturava l’aria. Generoso, schivo, riservato, sempre sulle sue, abbassava lo sguardo, il cuore che batteva forte, un misto di vergogna e un’eccitazione che non riusciva a confessare.Le umiliazioni erano quotidiane, un gioco crudele che Elvira orchestrava con maestria da quando Generoso aveva 14 anni. Lo chiamava “frocio” sussurrandogli all’orecchio quando usciva di casa, lo prendeva in giro per il suo corpo esile, per la sua incapacità di ribellarsi. Entrava in bagno mentre lui si lavava, ignorando la sua nudità, o spalancava la porta della sua stanza per coglierlo di sorpresa, era una sorella terribile. Elvira era maggiorenne e si sentiva la padrona anche nei riguardi del fratello piccolo. Quel giorno Elvira aveva fatto irruzione nella stanza di Generoso, trovandolo con il suo perizoma nero indosso, il tessuto teso sul suo cazzo duro, il suo viso che sbiancava per la paura. La furia di Elvira era esplosa: lo aveva spinto sul letto, gli era saltata sopra, le cosce robuste che lo immobilizzavano. Lo aveva strattonato, tentando di colpirlo, il suo seno che ondeggiava sotto la maglietta, il profumo di sudore e lavanda che lo avvolgeva. Generoso, disperato, le aveva bloccato le mani, ma lei, con un ghigno, gli aveva assestato una ginocchiata sulle palle, lasciandolo senza fiato, il dolore che gli annebbiava la vista. «Non ti devi permettere, frocio», aveva sibilato, minacciando di raccontare tutto ai genitori.
Il mattino dopo, in bagno, Elvira lo aveva aspettato. Mentre Generoso, ancora dolorante, si avvicinava al water, lei aveva chiuso la porta, il clic della serratura che echeggiava come un verdetto. Si era tolta il perizoma della notte, intriso di piscio e umori, e lo aveva infilato in bocca al fratello. Generoso era rimasto immobile, il sapore acre che gli inondava la lingua, il profumo muschiato della sorella che lo travolgeva, il suo cazzo che si induriva nonostante la vergogna. Elvira, nuda, i fianchi larghi che ondeggiavano, gli aveva strizzato le palle, il dolore che si mescolava a un’eccitazione proibita. «Da oggi, ogni mattina indosserai i miei perizomi sporchi», aveva ordinato, la voce che non ammetteva repliche. «Li terrò anche più giorni, così saranno belli impregnati.» Generoso, il cuore che martellava, aveva annuito, la bocca piena del sapore di lei, il suo corpo che tremava di un desiderio che non capiva.
Da quel momento, Generoso si era sottomesso. Ogni mattina, infilava i perizomi sporchi di Elvira, il tessuto che odorava di piscio, sudore e umori, gli ormoni di femmina che gli si appiccicavano alla pelle. Uscendo di casa, con i jeans attillati che mettevano in risalto il suo culo, notava gli sguardi dei ragazzi per strada, mani che gli sfioravano il sedere, risatine che lo chiamavano “frocio”. La vergogna lo consumava, ma il suo cazzo si induriva, l’eccitazione di essere desiderato che lo confondeva. Elvira, divertita, alzava il livello: lo truccava da donna, mascara che gli scuriva le ciglia, rossetto che gli dipingeva le labbra, smalto rosso sulle unghie dei piedi che lo costringeva a nascondere per settimane, evitando le docce in pubblico. Ogni gesto era un’umiliazione, ma anche un rituale che lo legava a lei, il profumo di lavanda del suo corpo che era una droga.
Due anni dopo quando Generoso aveva appena compiuto 17 anni, la scoperta di un perizoma sporco di sperma in lavanderia aveva fatto esplodere Elvira. «Hai osato venire nelle mie mutande, schifoso?» aveva urlato, minacciando di mostrare la prova ai genitori. Generoso, in lacrime, l’aveva implorata: avrebbe fatto qualsiasi cosa. Elvira, con un sorriso crudele, aveva colto l’occasione. Era febbraio, tempo di Carnevale, e aveva deciso che Generoso l’avrebbe accompagnata a una festa in maschera. Prima, lo aveva portato in un centro estetico, dove mani esperte di estetiste lo avevano depilato completamente, dalla gambe al pube, il rasoio che scivolava sulla sua pelle mentre Elvira osservava, il suo sguardo che lo inchiodava, era stato nudo tutto il tempo sotto gli sguardi di 3 donne. Tornati a casa, lo aveva trasformato: una gonna giapponese con uno spacco anteriore, autoreggenti nere, tacchi alti, un perizoma suo rosso sporco di piscio e umori, un reggiseno imbottito rosso, smalto rosso su mani e piedi, trucco vistoso con eyeliner e rossetto rosso fuoco, una parrucca nera a caschetto tipo bobo che lo rendeva simile a Valentina, la femme fatale dei fumetti. Generoso era sparito; al suo posto c’era Jenny, una creatura androgina, attraente, il corpo gracile che sembrava nato per quel ruolo. Elvira, vestita da strega con una minigonna strappata e calze a rete rotte, lo aveva guardato con approvazione. «Da stasera sei Jenny», aveva detto, il tono che era un ordine. «Non farmi fare brutta figura, sii accondiscendente.»
Uscire come Jenny era un vortice di emozioni. Il profumo da donna – rosa e muschio – che Elvira gli aveva spruzzato addosso lo avvolgeva, un manto che lo rendeva estraneo a se stesso. I tacchi clicchettavano sul marciapiede, il suono che si mescolava al brusio della città, le risate lontane, il clacson di un’auto. Dentro, però, c’era silenzio, un vuoto fatto di vergogna e adrenalina, il cuore che batteva forte, il perizoma sporco che gli sfregava il cazzo, l’odore della sorella che lo accompagnava. Ogni passo era un rischio, ogni sguardo un giudizio, ma anche un’eccitazione che gli faceva girare la testa. Si sentiva esposto, vulnerabile, ma anche potente, come se il travestimento gli desse una nuova pelle.
Alla festa, un locale affollato di luci stroboscopiche e musica techno, gli amici di Elvira, tutti più grandi, non poterono ignorare Jenny. Il suo costume era un trionfo: il trucco che accentuava i suoi lineamenti delicati, la gonna che lasciava intravedere le cosce, il culo che ondeggiava sotto le mani curiose che lo sfioravano “per scherzo”. Elvira, nel suo ruolo di strega, rideva, ordinandogli di sculettare, di camminare come una donna. Jenny obbediva, il rossetto che le brillava sulle labbra, il profumo di rosa che si mescolava al sudore, il silenzio interiore che si incrinava sotto il peso degli sguardi. Un ragazzo si avvicinò a Elvira, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Lei sorrise, un lampo di malizia negli occhi, e fece cenno a Jenny di seguirla. Attraversarono la folla, il suono dei bassi che vibrava nelle ossa, fino a un ripostiglio sul retro, un angolo buio che odorava di birra e polvere.
Dentro, il ragazzo era lì, i pantaloni abbassati, il cazzo duro che si accarezzava lentamente. Elvira, con un ghigno, guardò Jenny la sua puttana. La sua gonna da strega si alzò appena, mostrando le calze rotte, mentre indicava il ragazzo. Jenny, il cuore che martellava, si avvicinò, le ginocchia che tremavano sui tacchi. Era il primo cazzo che vedeva così da vicino, grosso, venoso, l’odore muschiato che le inondava i sensi, un misto di sudore e testosterone che la eccitava. Aprì la bocca, esitante, la lingua che sfiorava la punta, il sapore salato che le esplodeva in gola. Le sue labbra si chiusero attorno all’asta, succhiando con fatica, il rossetto che lasciava tracce rosse, il suono bagnato dei suoi risucchi che riempiva il ripostiglio. Elvira la osservava, le mani sui fianchi, ordinandole di fare meglio. Jenny si impegnò, la lingua che scivolava sotto, leccando le palle, il sapore acre che la travolgeva, il cazzo che le riempiva la bocca, spingendo fino in gola. Il ragazzo gemeva, le mani che le afferravano la parrucca, il ritmo che accelerava. Con un grugnito, venne, fiotti caldi che le inondavano la bocca, la sborra densa che le colava sulle labbra, il sapore salato che la faceva tremare. Jenny da vera puttana, per la prima volta, ingoiò tutto, il suo cazzo duro nel perizoma sporco, l’eccitazione che la consumava.
Elvira, soddisfatta, la tirò a sé, spalancando le cosce, il perizoma scostato che rivelava la sua fica bagnata. L’odore era familiare, quello dei suoi perizomi sporchi, ma ora era vivo, muschiato, con un accenno di piscio e sudore. Jenny si inginocchiò, la lingua che si immergeva tra le sue pieghe, il sapore dolce e salato che la inebriava, il clitoride che pulsava sotto ogni colpo. Succhiava, leccava, il suono bagnato che si mescolava ai gemiti di Elvira, le sue cosce robuste che si stringevano attorno al suo viso. Elvira venne con un urlo, uno squirt violento che le lavava la faccia, schizzi caldi che le colavano sul mento, il sapore che era un rituale. Jenny, il viso inzuppato, il trucco che colava, sentiva il suo cazzo pulsare, il perizoma sporco che si bagnava di pre-sperma.
Da quella sera, tutto cambiò. Generoso si stava dissolvendo, lasciando spazio a Jenny. Ogni mattina, Jenny indossava i perizomi sporchi di Elvira, il rituale che si arricchiva di un nuovo compito: aspettare la sorella in bagno, inginocchiarsi, leccarle la fica fino all’orgasmo. Il sapore di Elvira era una droga, il suo squirt che le bagnava il viso un premio. Se Jenny veniva, doveva restare sporco nel perizoma per tutto il giorno, il tessuto intriso di sperma e umori che lo accompagnava ovunque. Per un anno, il gioco continuò, un equilibrio di dominio e sottomissione, fino all’inizio di quest’anno, quando il loro rapporto prese una piega diversa. Jenny era maggiorenne da un po’. Elvira aveva notato un cambiamento in Jenny: non era più solo sottomissione, ma desiderio, un fuoco che bruciava nei suoi occhi quando le leccava la fica, quando indossava i suoi perizomi. Una sera, in bagno, dopo l’ennesimo orgasmo, Elvira si inginocchiò davanti a Jenny, slacciandogli i jeans. «Vediamo quanto sei frocio», disse, tirando fuori il suo cazzo, piccolo ma duro, il perizoma rosso sporco che pendeva dalle sue cosce. La sua bocca lo avvolse, la lingua che danzava sull’asta, il sapore di sperma e piscio che la eccitava. Jenny gemette, le mani che si aggrappavano al lavandino, il piacere che era un’onda. Elvira succhiava, il suono bagnato che riempiva il bagno, fino a farlo venire, fiotti caldi che le inondavano la gola, il suo squirt che bagnava il pavimento mentre si toccava. Elvira era veramente contenta di aver bevuto lo sperma caldo del suo fratello frocio.
Da quel momento, il loro gioco si trasformò. Elvira non lo umiliava più; lo guidava, lo plasmava. Generoso era sparito; Jenny era reale, il perizoma sporco un simbolo del loro legame, il sapore di Elvira un patto eterno.
Ma un nuovo evento avrebbe trasformato ancora il gioco tra Jenny a la sorella
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