Prime Esperienze
Passione Part. 1


03.03.2025 |
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"Socchiuse gli occhi, lasciando che la brezza ne accarezzasse le ciglia e disegnasse invisibili sentieri lungo la sua schiena..."
Il sole calava lento all’orizzonte, incendiando il cielo con sfumature d’ambra e porpora. Il mare, quieto e immenso, si muoveva in un respiro profondo, riflettendo la luce calda del tramonto. Camminavamo lungo la rotonda sul mare, il vento accarezzava la pelle con un tocco leggero, mentre i gabbiani disegnavano traiettorie imprevedibili sopra di noi.Alesia era una visione. Il suo corpo minuto e perfetto sembrava scolpito con delicatezza, ogni curva armoniosa, ogni movimento leggero ed elegante. Indossava un abito lungo di seta color notte, aderente quanto basta per sottolineare la sua figura slanciata. La scollatura nella schiena lasciava scoperta la sua pelle vellutata, illuminata dalla luce soffusa della sera. Ai piedi portava tacchi alti, sottili, che le conferivano un portamento regale. Il trucco era leggero, studiato per esaltare i suoi occhi stupendi, di un colore indefinito tra il verde e il marrone, cangianti come il riflesso del mare.
Si voltò a guardarmi, gli occhi brillanti come il riflesso delle onde. Non servivano parole: le nostre labbra si cercarono e si incontrarono in un bacio che sapeva di sale e desiderio.
Le sue mani si posarono sulle mie, intrecciandosi in un gesto delicato ma deciso. Il tempo sembrava sospeso, il suono del mare cullava il nostro silenzio. Poi, senza dire nulla, la presi per mano e la condussi lungo il sentiero che portava alla nostra stanza, quella che affacciava sugli scogli, dove il fragore delle onde ci avrebbe fatto compagnia per tutta la notte.
Appena entrati, il profumo di salsedine e il tepore della sera avvolgevano la stanza. Una grande vetrata si spalancava sul mare, lasciando entrare il chiarore pallido della luna. Alesia si avvicinò alla finestra, chiudendo gli occhi per assaporare il vento che le accarezzava il viso. Mi avvicinai alle sue spalle e, senza fretta, le sfiorai il collo con le labbra, sentendo il brivido che le correva lungo la pelle di velluto.
Si voltò verso di me, e con un sorriso lieve mi sussurrò il mio nome. La sua voce era una melodia bassa e avvolgente, come il rumore del mare di notte. Le mie dita seguirono il profilo del suo viso, scendendo lungo le spalle fino ai fianchi, mentre il suo profumo—un intreccio di fiori e sale—riempiva l’aria, accendendo i sensi.
Ci rechiamo sul balcone per goderci gli ultimi attimi del tramonto. Il mare si stendeva davanti a noi come una tela infinita, il vento accarezzava dolcemente i suoi capelli. Lentamente, faccio scivolare le bretelle del vestito nero di Alesia, lasciandolo scivolare leggero lungo il suo corpo. Le mie mani seguono la linea delle sue spalle, scendendo lungo le braccia, accarezzando la sua pelle di velluto. Lei si volta verso di me, il suo sguardo carico di dolcezza e desiderio.
Le nostre labbra si incontrano in un bacio profondo, mentre il vestito scivola definitivamente a terra, lasciandola avvolta solo da un completo intimo di pizzo nero che esalta ogni curva perfetta. La figura di Alesia, illuminata dagli ultimi riflessi del sole, si staglia contro il panorama infinito del mare, trasformando quel momento in un’opera d’arte vivente.
Le nostre mani si muovono lente, consapevoli dell’attimo, desiderose di sentire l’uno la pelle dell’altro. Il mio sguardo si perde su di lei, su quella perfezione sussurrata dalla luce della sera. Le mie dita scivolano lungo la linea sottile delle spalline del reggiseno e con un gesto attento lo lasciano cadere. I suoi seni si svelano al tramonto, candide curve che respirano con il ritmo della sua emozione. Lei mi osserva, il desiderio negli occhi, mentre le sue mani scendono lungo i miei fianchi, scivolando sui bottoni della mia camicia per slacciarli uno ad uno, con calma, con voglia di gustarsi ogni piccolo gesto.
Le sue dita si insinuano sotto l’elastico delle mie mutandine e con un movimento delicato me le sfilano, lasciandole scivolare fino a terra, così come io abbasso lentamente i suoi slip di pizzo, rivelando ogni parte della sua meraviglia. I nostri sguardi si incrociano, il respiro si fa più profondo. Siamo nudi, vulnerabili e bellissimi sotto la luce calda del cielo che si spegne.
Rimaniamo lì, sul balcone, lasciando che la brezza ci accarezzi, che il rumore del mare accompagni l’attesa, che il desiderio cresca nella lentezza di ogni sguardo e ogni tocco. Poi, lentamente, ci avviciniamo di nuovo, le nostre mani si cercano ancora, mentre le labbra si uniscono in un nuovo bacio, colmo di una passione silenziosa che brucia dentro di noi.
Alesia si protese in avanti, le braccia appoggiate al davanzale di pietra levigata dal vento. Il suo corpo, scolpito nella penombra crepuscolare, sembrava fondersi con l’orizzonte, dove il cielo e il mare si confondevano in un abbraccio senza fine. Socchiuse gli occhi, lasciando che la brezza ne accarezzasse le ciglia e disegnasse invisibili sentieri lungo la sua schiena. Il respiro del mare si insinuò tra di noi, carico di salsedine e promesse.
Mi avvicinai alle sue spalle, il mio petto aderente alla sua pelle vellutata, mentre le mani le cingevano i fianchi in un cerchio di calore. Le dita risalirono lentamente, seguendo l’arco delle sue costole, fino a sfiorare le curve dei seni che danzavano al ritmo del suo respiro affannoso. Un sussurro le sfuggì dalle labbra, perduto nel fragore delle onde che si infrangevano sugli scogli sottostanti.
Le gambe di Alesia si dischiusero appena, un movimento naturale come quello delle alghe che ondeggiano nelle correnti. La mia mano sinistra rimase a custodire il suo cuore pulsante, mentre la destra scivolò lungo il ventre, seguendo il fremito dei muscoli tesi. Lei si inarcò all’indietro, la nuca appoggiata alla mia spalla, i capelli intrisi di aria marina che mi sfioravano il collo.
«Il mare…» mormorò, senza aprire gli occhi, mentre le nostre ombre si fondevano in una sola sagoma sulla parete illuminata dalla luna.
Non ci fu bisogno di altro. Ci muovemmo all’unisono, come guidati dalla marea che saliva. Ogni contatto era un dialogo, ogni respiro una strofa della stessa poesia. Quando i nostri corpi si unirono, fu un’onda che ci travolse senza strapparci alla riva: dolce e potente, inevitabile come il richiamo degli abissi. Alesia affondò le dita nel davanzale, un gemito soffocato dal vento, mentre il suo corpo accoglieva il mio in un ritmo antico.
Il mondo si ridusse al calore delle sue spalle sotto le mie labbra, al profumo di gelsomino e salsedine che emanava la sua pelle, al modo in cui le sue mani cercavano le mie per intrecciarle, come radici che si annodano nella terra. Non era possedere, né essere posseduti: era diventare un tutt’uno con il crepitio delle stelle, con il respiro del mare, con l’eterno ondeggiare delle cose che nascono e muoiono per rinascere.
E mentre la notte ci avvolgeva nel suo manto stellato, continuammo a danzare.
Il nostro respiro divenne marea, un flusso e riflusso di corpi che cercavano il ritmo primordiale del mondo. Sentii Alesia fremere come un’alga nel gorgo, ogni fibra tesa verso quell’attimo in cui cielo e abisso si confondono. Le mie mani strinsero i suoi fianchi, seguendo l’arcata del suo dorso inarcato, mentre il vento portava via i nostri gemiti per confonderli con il canto delle cicale marine.
Fu allora che il tempo si spezzò. Un’onda ci sollevò insieme, trascinandoci oltre il confine dove carne e anima non hanno più nome. Alesia gridò, un suono roco e dolcissimo che si perse tra gli scogli, mentre il suo ventre accoglieva il mio sperma in un ultimo, tremendo fremito. Ci abbandonammo alla caduta come foglie nel vortice, due corpi che si sfaldavano in mille scintille sotto la luna.
La sua schiena si incurvò contro il mio petto, un arco perfetto di pelle madida, mentre il piacere esplodeva in noi come un cristallo che si frange in diamanti. Fu un fulmine lento, un fuoco che ci consumava senza bruciare, finché non rimase che un tremore sottile, simile al brivido del mare dopo la tempesta.
“Sei… sei la mia alta marea”, sussurrò Alesia con voce velata, voltandosi a sfiorarmi le labbra. Il suo sorriso era un varco di luce nell’ombra, più dolce del primo albore che iniziava a tingere l’orizzonte. La strinsi a me, sentendo i nostri sudori mischiarsi come linfe antiche, mentre le sue dita tracciavano cerchi lenti sulla mia schiena.
Nella quiete che seguì, il suo corpo parve rifiorire. Si abbandonò con un sospiro lungo, la testa reclinata sulla mia spalla, gli occhi semichiusi a custodire il segreto di quell’estasi. Le labbra le si dischiusero in un “grazie” non pronunciato, mentre la mano mi guidava al cuore, posandola dove il battito raccontava di un dono ricevuto e ricambiato.
La sollevai come si raccoglie un’offerta preziosa, il suo corpo adagiato contro il mio mentre attraversavamo la stanza illuminata da lame di luna. La deposi sul letto con la lentezza di chi teme di spezzare un incantesimo, i lenzuoli che accoglievano la sua forma come sabbia accoglie l’impronta del mare.
«Non fermarti» mormorò Alesia, voce rotta da un respiro caldo, mentre le sue dita intrecciavano i miei capelli. Le labbra le percorsero il collo, la fossetta delle clavicole, la curva dei seni ancora frementi, seguendo un sentiero che conoscevo a memoria eppure sempre nuovo. Quando la bocca le sfiorò l’interno coscia, un brivido la fece arcuare, i piedi che si aggrappavano alle lenzuola come radici alla terra.
Il suo profumo era un richiamo, acre e dolce come il nettare che stilla dai fiori di macchia. Mi immersi in quel calore umido con la devozione di chi beve a una sorgente sacra. Mi dissetavo di tutti i suoi umori vaginali. Alesia gemette, un suono basso che vibrava nel suo ventre, mentre le mani mi spingevano più a fondo, le dita che si perdevano tra i miei capelli in una preghiera muta.
Fu allora che sentii le sue labbra sul mio sesso, un fuoco lento che risaliva dalla radice, mentre le mie dita si intrecciavano alle sue. Eravamo specchi, eco, due fiumi che si fondevano nello stesso delta. La sua bocca accoglieva tutto di me ed i suoi denti affondavano nelle mie intimità. Il suo sapore era sale e miele, la lingua che danzava con una perizia ancestrale, ogni movimento un verso di quel poema che da sempre scriviamo sulla pelle.
Ci muovevamo in controcanto, come le maree governate dalla stessa luna. Quando il mio nome le sfuggì di bocca, vibrò tra le mie gambe come una scossa elettrica. La testa le si piegò all’indietro, i capelli una cascata nera sui cuscini, mentre il suo corpo si tendeva e si scioglieva in un unico, infinito moto.
«Così… proprio così…» sibilò, afferrando le mie spalle con unghie che lasciarono solchi delicati, segni effimeri di un piacere troppo grande per essere trattenuto.
Non c’era più confine tra chi donava e chi riceveva. Eravamo vento che alimenta il fuoco, pioggia che nutre la terra. Quando l’apice ci travolse, fu un duetto di gemiti strozzati, di corpi che si annodavano come edere, di dita che cercavano punti d’appiglio nell’aria carica di elettricità.
Alesia crollò sul materasso con un riso soffocato, il petto che ondeggiava come mare in bonaccia. «Mi hai rubato il respiro» sussurrò, tracciando con un dito il sudore che mi solcava il collo. La strinsi a me, le labbra ancora intrise del suo sapore. Restammo così, avvolti nel nostro sciroppo di corpi e silenzi.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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