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La seconda prova di Chloe: la frusta


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
05.04.2025    |    290    |    1 8.7
"La poggiai al tronco dell’albero a 90 gradi, il suo culo esposto, il plug anale ancora dentro, e mi posizionai dietro di lei..."
Era una sera fresca, il cielo stellato sopra la villa dove Chloe aveva vissuto le ultime settimane di sottomissione. La convocai in salotto, il suo collare di pelle nera che brillava al collo, il plug anale che le riempiva il culo, un promemoria costante della sua condizione di slave. Indossava un semplice vestito nero, corto e aderente, senza mutandine, come le avevo ordinato, e i suoi tacchi vertiginosi che le tenevano i piedi in una posizione innaturale. La guardai negli occhi, il suo sguardo basso e sottomesso, e le dissi con voce ferma, “Chloe, è giunto il tempo della tua seconda prova. Hai dimostrato di essere forte nella prima, ma questa sarà ancora più dura. Sei pronta a subire il dolore e l’umiliazione per me?” Lei annuì, un misto di paura e determinazione nei suoi occhi verdi, e sussurrò, “Sì, padrone.”
La presi per il collare e la condussi fuori, verso una pineta isolata a pochi chilometri dalla villa. Era un luogo selvaggio, con alti pini che creavano un tetto di aghi sopra di noi, il terreno morbido coperto di muschio e foglie secche. La luna filtrava tra i rami, illuminando appena lo spazio, e l’aria era fresca, con un odore di resina e terra. Trovai un albero robusto al centro di una radura, un punto perfetto per la sua prova, lontano da occhi indiscreti ma abbastanza aperto da farle sentire l’esposizione. La feci fermare davanti all’albero, e con un gesto lento le tolsi il vestito, lasciandola nuda sotto la luce della luna. Il suo corpo era splendido, segnato dalle settimane di trattamento: i seni pieni, ancora arrossati dalle legature, la figa depilata e sporca di pipì, il plug anale che le dilatava il culo, un gioiello di metallo che brillava tra le sue chiappe. Non glielo tolsi: sarebbe rimasto dentro di lei per tutta la prova.
Le legai le mani con una corda di canapa, sollevandole sopra la testa e fissandole a un ramo dell’albero, costringendola a una posizione tesa, con le spalle scoperte e il culo esposto. Le sue gambe erano leggermente divaricate, i tacchi che affondavano nel terreno, e il suo corpo tremava per il freddo e l’anticipazione. Presi una frusta di cuoio nero, lunga e flessibile, e mi posizionai dietro di lei. “Chloe,” dissi, “riceverai 50 frustate sul culo e sulle gambe. Dovrai contare ogni colpo ad alta voce, e se sbagli, ricominciamo da capo. Dopo, ti girerò, e ne riceverai altre 50 sulle tette e sulla figa. Sei pronta?” Lei annuì, la voce tremante, “Sì, padrone.”
Il primo colpo arrivò con un sibilo, la frusta che colpiva il suo culo destro, lasciando una striscia rossa sulla pelle pallida. Chloe urlò, un grido acuto che echeggiò nella pineta, e contò, “Uno!” Il secondo colpo atterrò sull’altra chiappa, un dolore bruciante che la fece sobbalzare, e lei contò, “Due!” Continuai, alternando i colpi tra le chiappe, ogni frustata che lasciava un segno rosso, il suo culo che si arrossava sempre di più, le strisce che si incrociavano come un’opera d’arte crudele. Al decimo colpo, il dolore era insopportabile: ogni colpo sul culo era un’agonia, un fuoco che le bruciava la pelle, e lei urlava, le lacrime che le colavano sul viso, ma contava, “Dieci!” Le sue cosce non furono risparmiate: colpii la parte posteriore delle gambe, lasciando strisce rosse che scendevano fino ai polpacci, e lei contava, il suo corpo che tremava, le ginocchia che cedevano a ogni colpo. Al cinquantesimo colpo, il suo culo era un reticolo di segni rossi, la pelle infiammata, e lei, con la voce rotta, contò, “Cinquanta!”
La slegai e la girai, legandola di nuovo all’albero, questa volta con la schiena contro il tronco, le braccia sopra la testa, le gambe divaricate. I suoi seni erano esposti, la sua figa nuda e vulnerabile, e io ripresi la frusta. “Altre 50, Chloe,” dissi, e lei annuì, il viso rigato di lacrime. Il primo colpo atterrò sul suo seno destro, un dolore acuto che la fece urlare, “Uno!” Colpii il seno sinistro, poi di nuovo il destro, alternando, i suoi seni che si arrossavano, i capezzoli che si indurivano per il dolore, ogni frustata un’agonia che la faceva contorcere. Al ventesimo colpo, iniziai a colpire la sua figa: la frusta atterrava sulla sua carne nuda, un dolore lancinante che la faceva urlare più forte, “Ventuno!” Quando la frusta colpì direttamente il suo clitoride, Chloe gridò come mai prima, un urlo che squarciò la notte, il suo corpo che si contorceva, il clitoride che pulsava, rosso e gonfio, e lei contò, “Trenta!” Ogni colpo sulla figa era un inferno, le strisce rosse che si formavano sulla sua carne, il dolore che si mescolava a un piacere perverso, e al cinquantesimo colpo, la sua figa era un disastro di segni rossi, il clitoride infiammato, e lei, con la voce spezzata, contò, “Cinquanta!”
La slegai, e Chloe crollò in ginocchio, il suo corpo segnato, il culo e le cosce coperti di strisce rosse, i seni arrossati, la figa dolorante e pulsante. Mi slacciai i pantaloni, il mio cazzo duro che saltava fuori, e iniziai a pisciarle addosso, un getto caldo che le colava sul viso, sui seni, sul ventre, bagnandola tutta. “Apri la bocca,” ordinai, e lei, sottomessa, obbedì, spalancando le labbra mentre io le pisciavo dentro, il mio piscio che le riempiva la bocca, e le ordinai, “Bevi tutto.” Chloe ingoiò, il sapore acre che la faceva rabbrividire, ma bevve ogni goccia, il suo corpo che tremava mentre il piscio le colava sul mento.
La poggiai al tronco dell’albero a 90 gradi, il suo culo esposto, il plug anale ancora dentro, e mi posizionai dietro di lei. La sua figa, dolorante per le frustate, era rossa e gonfia, ma io non mi fermai: le entrai dentro con un colpo secco, il mio cazzo che la riempiva, un dolore acuto che la fece urlare, “Padrone, fa male!” Ma continuai a sfondarla, ogni spinta un’agonia che si mescolava al piacere, la sua figa che si contraeva intorno al mio cazzo, e dopo qualche minuto, Chloe iniziò a godere, un orgasmo che la fece urlare come una porca, “Sì, padrone, sto venendo!” Il suo corpo tremava, il piacere che esplodeva nonostante il dolore, e io le sborrai dentro, un fiotto caldo che le riempiva la figa, colando lungo le sue cosce, mescolandosi ai segni rossi delle frustate.
La guardai, il suo corpo sporco di piscio e sperma, e la rivestii con il suo abito elegante, che si macchiò subito, il tessuto nero che si inzuppava, aderendo alla sua pelle. Ma non ero soddisfatto: la feci inginocchiare di nuovo, e le pisciiai ancora, questa volta sui vestiti, il mio piscio che le bagnava i capelli, il viso, l’abito, un odore acre che la avvolgeva. I suoi capelli, sporchi di piscio, le cadevano sul viso, l’abito era fradicio, e lo sperma le colava lungo le gambe, un rivolo bianco che segnava il suo passaggio. La presi per il guinzaglio e la portai a passeggiare nella pineta, il collare che la tirava, i tacchi che affondavano nel terreno, il suo corpo che barcollava. Alcuni passanti, coppie e uomini solitari, la osservarono, alcuni con disgusto, altri con desiderio, ma Chloe, con lo sguardo basso, accettò l’umiliazione, il suo corpo che emanava un odore di piscio e sperma, un simbolo della sua sottomissione.
Rientrati a casa, la guardai, il suo abito sporco, i capelli appiccicosi, il viso segnato dalle lacrime e dal piscio, lo sperma che ancora le colava lungo le cosce. “Sei stata magnifica, Chloe,” le dissi, accarezzandole il viso. “Presto dovrai affrontare la terza prova.” Lei mi guardò, un sorriso stanco ma determinato sulle labbra, e sussurrò, “Sono pronta, padrone.”

Segue terza prova
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