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Il pieno controllo Part. 1


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
07.04.2025    |    296    |    0 6.0
"“Voglio scoparmi e masturbarmi per tutta la casa stasera… e tu starai lì, con quel cazzo chiuso in gabbia, a pregarmi di liberarti, ” disse, le parole che..."
La mattina si era dissolta in un ricordo di passione e punizione, il sapore della sua piscia ancora un’eco nella mia bocca mentre Alesia si preparava per uscire. Si era infilata un paio di jeans aderenti che le modellavano il sedere come una seconda pelle, una camicetta leggera che lasciava intravedere i capezzoli duri, e i tacchi alti che ticchettavano sul parquet con ogni passo. Prima di varcare la soglia, si fermò, tirando fuori dalla borsetta una lista scribacchiata su un foglio. “Tieni,” disse, porgendomela con un sorriso che nascondeva una dolce minaccia, “oggi hai da fare: lavanderia, spesa, e paga il condominio. Non farmi arrabbiare, amore.”
Mi avvicinò, le sue labbra che sfioravano le mie in un bacio caldo e profondo, e mentre la mia lingua cercava la sua, mi colpì con una ginocchiata inaspettata ai testicoli, un colpo rapido e deciso che mi fece piegare in avanti, il fiato mozzato in gola. “Amore, non fare il monello che ti punisco,” sussurrò, la voce un misto di dolcezza e autorità, e mi accarezzò il viso con una tenerezza crudele prima di uscire, lasciandomi lì, dolorante ma eccitato, con la lista che mi tremava tra le mani.
La giornata scivolò via veloce: dopo il lavoro, corsi al supermercato, le buste della spesa che mi pesavano sulle braccia mentre il sole calava su Roma, tingendo il Tevere di rosso. Poi passai dall’amministratore per pagare il condominio, il pensiero di Alesia che mi puniva se avessi fallito a spingermi con un misto di ansia e desiderio. Rientrato a casa, posai le buste in cucina e decisi di avviare qualcosa da mangiare—un risotto semplice, per non farla stancare troppo dopo la giornata. Il profumo del brodo riempiva l’aria mentre il sole spariva oltre le finestre senza tende, lasciando spazio alle stelle che brillavano sopra il fiume.
Quando Alesia rientrò, il cielo era ormai nero, e la luce della luna filtrava nella stanza, accendendo il suo profilo mentre posava la borsetta sul tavolo. Era stanca, lo vedevo dal modo in cui si lasciò cadere sul divano, sospirando mentre si toglieva le scarpe con un gesto lento, i tacchi che cadevano sul parquet con un tonfo leggero. “Amore, i piedi mi fanno male,” disse, la voce morbida ma carica di un’aspettativa che mi fece accelerare il battito. Si sdraiò sulla chaise longue, le gambe distese davanti a sé, e mi guardò con occhi che brillavano di desiderio. “Massaggiameli… dai.”
Mi inginocchiai ai suoi piedi, le sue autoreggenti ancora infilate sotto i jeans, e presi il suo piede destro tra le mani, le dita che premevano sulla pianta con una dolcezza che la fece sospirare. “Mmm… sì, così,” mormorò, ma poi il suo sorriso si fece malizioso. “Usa la lingua… leccameli, sai quanto mi piace.” La sua voce era un comando velato di sesso, e io mi chinai, posando le labbra sul suo piede, la lingua che scivolava sulla pelle liscia sopra le autoreggenti, un sapore salato e caldo che mi accendeva mentre lei gemeva piano. “Cazzo, mi fai bagnare solo a leccarmi i piedi… succhiali bene, amore, voglio sentirti,” disse, le parole sconce che mi mandavano il sangue in ebollizione, il mio pene che premeva duro contro i pantaloni mentre leccavo ogni dito, succhiandoli con una dedizione che la faceva contorcere di piacere.
Alesia mi guardava, il piede ancora nella mia bocca, e notò l’eccitazione che spingeva nei miei pantaloni, un rigonfiamento evidente che non potevo nascondere. “Sei già duro, eh?” disse, ridendo con una voce roca che grondava sesso. “Hai fatto tutte le commissioni come ti ho chiesto?” Io annuii, la lingua ancora impegnata sul suo alluce, ma poi mi fermai, un’ombra di dubbio che mi attraversava la mente. “Sì… spesa e condominio,” risposi, ma la mia voce tremò leggermente, e lei si irrigidì, gli occhi che si stringevano in una furia improvvisa.
“Cavolo, ti sei dimenticato della lavanderia?!” urlò, il tono che passava da dolce a feroce in un istante, e prima che potessi giustificarmi si alzò di scatto dal divano, spingendomi a terra con una forza che mi colse di sorpresa. Caddi sul parquet, inerme sotto di lei, e Alesia torreggiò sopra di me, il piede ancora scalzo che si posava sul mio petto. “Sei proprio un monello schifoso,” disse, la voce carica di rabbia e desiderio, e senza preavviso mi assestò un calcio tra le palle, un colpo secco che mi fece piegare in due, il dolore che esplodeva caldo e acuto mentre un gemito mi sfuggiva dalla gola. “Ecco, così ti passa pure l’eccitazione,” ringhiò, e poi posò il piede con il tacco sul mio sesso, schiacciandolo sotto la scarpa con una pressione lenta e deliberata che mi fece tremare, un mix di dolore e piacere che mi mandava in tilt.
“Ti sei comportato male… di nuovo,” disse, la voce che si abbassava in un sussurro minaccioso mentre tirava fuori dalla borsetta una gabbietta per il pene, un oggetto di plastica nera e acciaio, lucido e freddo, con un anello alla base e una serie di sbarre che formavano una prigione per il mio sesso. Era lunga circa 7 centimetri, con un foro sulla punta per lasciare uscire l’urina, e un lucchetto minuscolo che pendeva da un lato, pronto a sigillare il mio destino. “Tirati giù i pantaloni,” ordinò, il tacco ancora premuto sul mio pene, e io obbedii, le mani che tremavano mentre slacciavo la cintura e abbassavo i jeans, esponendo il mio sesso duro e pulsante alla sua mercé.
Alesia si inginocchiò accanto a me, il suo respiro caldo che mi sfiorava mentre prendeva la gabbietta tra le mani. “Adesso ti metto questa… così non ti potrai più eccitare per stasera,” disse, la voce un ringhio di piacere mentre mi guardava negli occhi. Con una mano afferrò il mio pene, ancora teso dall’eccitazione, e lo strinse forte, facendomi gemere mentre lo forzava a rilassarsi quel tanto che bastava per infilare l’anello di base intorno ai testicoli. L’anello era freddo e stretto, una morsa che mi avvolgeva le palle, e lei lo fece scivolare con una lentezza crudele, tirandolo fino a che non fu ben fermo alla radice. “Cazzo, non potrai più fartelo duro… e se ci provi, sentirai che dolore,” disse, ridendo mentre infilava il mio pene nella gabbia, le sbarre che lo imprigionavano, comprimendolo in uno spazio angusto che mi faceva pulsare di un piacere frustrato.
Con un gesto rapido, chiuse il lucchetto, un clic secco che echeggiò nella stanza, sigillando il mio sesso in una prigione che mi lasciava vulnerabile e desideroso. “Niente fica per te stasera… solo il mio piacere,” sussurrò, le sue parole forti e crude che mi colpivano come schiaffi, “non potrai godere, e se osi pensarci ti farò male fino a farti urlare.” Si rialzò, il tacco che sfiorava ancora il mio inguine, e io sentii il dolore della gabbietta stringersi mentre il mio desiderio cresceva, un tormento che mi faceva impazzire.
“Non ho finito,” disse, tornando alla borsetta e tirando fuori un guinzaglio di pelle nera, lungo e sottile, con un moschettone metallico che brillava sotto la luce. Mi guardò con un sorriso trionfante, poi si chinò di nuovo su di me, le sue mani che afferravano i miei testicoli, ancora sensibili dal calcio di prima. “Queste palle sono mie,” disse, e con una mossa rapida legò il guinzaglio intorno alla base dei testicoli, stringendo il nodo con una pressione che mi fece gemere, il moschettone che si agganciava saldamente, un peso freddo che tirava la mia carne. “Alzati,” ordinò, e io mi sollevai, il guinzaglio che pendeva tra le mie gambe, un simbolo del suo controllo.
Alesia prese l’estremità del guinzaglio, tirandolo con un gesto secco che mi fece sussultare, il dolore che si irradiava dai testicoli mentre lei rideva, un suono caldo e crudele. “Vieni con me,” disse, e iniziò a camminare per la casa, trascinandomi dietro di sé come un trofeo, il guinzaglio che mi guidava con ogni passo. Mi portò in salotto, tirando forte mentre si sedeva sul divano, il mio corpo che si piegava al suo volere. “Siediti lì,” ordinò, indicando il pavimento ai suoi piedi, e io obbedii, il guinzaglio teso tra noi mentre lei si rilassava, le gambe accavallate che mostravano la curva perfetta delle cosce sotto i jeans.
“Guardami,” disse, slacciandosi lentamente i jeans e abbassandoli quel tanto che bastava per rivelare la sua vagina, lucida di umori che colavano già sulle cosce. “Non puoi toccarmi… non puoi scoparmi… ma io sì,” sussurrò, le sue dita che scivolavano tra le grandi labbra, sfregandosi il clitoride con una sensualità che mi faceva impazzire. La gabbietta stringeva il mio pene, un dolore acuto che cresceva con ogni pulsazione di eccitazione mentre la guardavo, il guinzaglio che tirava i miei testicoli ogni volta che cercavo di muovermi. “Cazzo, mi piace vederti così… prigioniero del tuo stesso desiderio,” disse, ridendo mentre si masturbava, i gemiti che le sfuggivano dalle labbra come una melodia crudele.
Si alzò di nuovo, tirando il guinzaglio per portarmi in cucina, il mio corpo che seguiva ogni suo comando mentre i tacchi battevano sul pavimento. “Controlliamo la cena,” disse, ma mentre si chinava sul piano di lavoro, si sfregò la vagina con una mano, lasciandomi a guardare, impotente e desideroso. “Voglio scoparmi e masturbarmi per tutta la casa stasera… e tu starai lì, con quel cazzo chiuso in gabbia, a pregarmi di liberarti,” disse, le parole che mi colpivano come frustate, il piacere di Alesia che cresceva mentre il mio veniva negato.

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