tradimenti
La confessione di Annalisa Cap. 1


29.04.2025 |
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"Le ragazze, Annalisa inclusa, stavano al gioco, ridendo, rispondendo con battute, ma senza mai cedere..."
Ti racconto la prima avventura, il momento che ha cambiato tutto, quello che ha spalancato una porta su un mondo di desideri che non immaginavo. È una storia che mi porto dentro da anni, un groviglio di emozioni che mi consumano: gelosia, sospetto, un’eccitazione che mi brucia il petto, e infine un piacere perverso nel sapere che Annalisa, la mia giovane moglie, si è concessa, ha goduto, si è persa in un piacere che non mi apparteneva. All’epoca vivevamo in una città del Nord, prima di trasferirci in Friuli. Annalisa, 25 anni, era una guida turistica, una donna che catturava ogni sguardo: snella ma formosa, alta 1,65, capelli castani che le cadevano in onde sulle spalle, occhi verdi che scintillavano di malizia, un culo sodo che faceva girare la testa, e un seno pieno che tendeva le camicette della sua uniforme – camicetta bianca aderente, gonna al ginocchio, tacchi bassi. Io, Ferdinando, suo marito, avevo 30 anni, un impiegato tranquillo, ma con una curiosità insaziabile per le storie che Annalisa mi raccontava, storie che accendevano in me un fuoco che non osavo confessare.L’agenzia di Annalisa era un calderone di tensioni. Le guide, tutte ragazze tra i 25 e i 30 anni, lavoravano con autisti tra i 45 e i 55 anni, uomini sposati, rudi, che non si risparmiavano in provocazioni: battute a doppio senso, proposte indecenti mascherate da scherzi, palpate al culo, schiaffetti “affettuosi”. Le ragazze, Annalisa inclusa, stavano al gioco, ridendo, rispondendo con battute, ma senza mai cedere. Era un modo per far passare le ore, un gioco pericoloso che Annalisa mi descriveva con un sorriso, e io, invece di arrabbiarmi, sentivo un calore crescere dentro, un misto di gelosia e desiderio. Immaginavo le mani di quegli uomini sul suo culo, i loro sguardi sul suo seno, e il mio cazzo si induriva, un segreto che tenevo per me.
Uno degli autisti, Marco, era diverso. Cinquantenne, sposato, padre di due figli, robusto, con capelli brizzolati e mani callose, Marco era ossessionato da Annalisa. Ogni giorno le dedicava attenzioni: complimenti sul suo corpo, battute su come l’avrebbe fatta “urlare di piacere”, schiaffi sul culo quando passava accanto al pullman, tocchi che lasciavano un segno. Annalisa me lo raccontava ridendo, imitandone la voce roca, descrivendo il modo in cui le strizzava l’occhio o le sfiorava la schiena. Io scherzavo, ma dentro di me si agitava un nodo: gelosia per le sue mani su di lei, eccitazione al pensiero di lei desiderata, il sospetto che ci fosse qualcosa di più. Anni dopo, Annalisa mi confessò che quelle attenzioni la eccitavano, specialmente perché venivano da un uomo sposato. Ogni schiaffetto, ogni complimento, era una scarica di autostima, un gioco di potere che la faceva sentire viva, potente, una donna capace di far crollare un uomo con una vita stabile.
Quel giovedì sera, tutto cambiò. Annalisa aveva il turno di chiusura in ufficio, un compito che le toccava ogni tanto. Di solito mi mandava un messaggio per dirmi che stava prendendo il treno. Quella sera, però, il suo telefono rimase muto. Passò mezz’ora, poi un’ora, e i miei messaggi restavano senza risposta. Il sospetto mi stringeva lo stomaco, un misto di preoccupazione e un’eccitazione che non volevo ammettere. Immaginavo Marco, le sue mani su di lei, il suo sorriso da predatore, e il mio cuore batteva più forte, il cazzo che si induriva nei pantaloni. Finalmente, dopo un tempo che mi sembrò infinito, mi chiamò. La sua voce era calma, ma tremava, come se nascondesse un segreto. «Ho chiuso, sto andando al treno», disse. Quando le chiesi perché ci avesse messo tanto, rispose: «Ti spiego a casa.» Il sospetto si trasformò in certezza: era successo qualcosa, e io volevo saperlo, ne avevo bisogno.
Quando tornò, si sedette sul divano, i capelli sciolti, la camicetta stropicciata, il profumo di lavanda mescolato a un odore più muschiato, di sudore e sesso. Mi guardò, gli occhi verdi che brillavano, e iniziò a raccontare, la voce carica di una passione che tradiva il suo tentativo di sembrare distaccata. Dopo il tour, era tornata in ufficio per archiviare i documenti. L’ufficio era deserto, le luci al neon che ronzavano, l’odore di carta e caffè che aleggiava. Marco l’aveva seguita, offrendosi di aiutarla, ma il suo tono era diverso, più audace. Aveva iniziato a provocarla: «Guarda che culo, Annalisa, mi fai impazzire», aveva detto, dandole uno schiaffetto che le aveva fatto arrossire le guance. Lei aveva riso, ma l’aria era densa, elettrica. Marco, con la scusa di dover fare pipì, era andato nel ripostiglio, dove c’era un piccolo bagno. Aveva lasciato la porta aperta, e quando Annalisa era passata, lo aveva visto: il cazzo duro, grosso, la punta bagnata che brillava sotto la luce. Lei si era fermata, il respiro corto, la fica che si bagnava nonostante tutto.
Marco l’aveva afferrata per la mano, guidandola sul suo cazzo, il calore che le scottava la pelle. «Toccami, solo una volta», aveva sussurrato, il suo fiato caldo sul suo collo. Annalisa aveva provato a ritrarsi, ma il desiderio l’aveva tradita. La sua mano aveva iniziato a muoversi, lenta, poi più veloce, il suono della carne che sfregava, il cazzo che pulsava, l’odore salato che le riempiva i sensi. Marco, con una mano, le aveva sbottonato la camicetta, le dita che cercavano il seno, pizzicando i capezzoli attraverso il reggiseno, il suo punto debole. Con l’altra, le palpava il culo, infilandosi sotto la gonna, le dita che sfioravano il perizoma bagnato. «Cazzo, sei fradicia», aveva ringhiato, e Annalisa, ansimando, aveva accelerato, il ritmo che lo portava al limite. Marco aveva provato a spingerle la testa verso il basso, implorandola di succhiarlo, ma lei aveva rifiutato, stringendo più forte, la mano che volava. Con un grugnito, lui era venuto, schizzi caldi che le bagnavano la mano, il pavimento, l’odore di sborra che saturava il ripostiglio. Annalisa si era lavata in fretta, il cuore che batteva, la fica che pulsava, ordinandogli di pulire e chiudere. Se n’era andata, le gambe che tremavano, negando a se stessa l’eccitazione che le bruciava dentro.
Mentre me lo raccontava, la guardavo, il suo viso arrossato, le labbra che si mordevano, la voce che tradiva un piacere che cercava di nascondere. Ero travolto: geloso, sì, ma eccitato, il cazzo duro nei pantaloni pronto per essere succhiato da Annalisa, il sospetto che ci fosse di più, che lei avesse voluto di più. Le chiesi se fosse successo altro, ma lei negò, ridendo, cambiando discorso. Eppure, i suoi occhi, il modo in cui si toccava i capelli, mi dicevano che c’era un segreto. Negli anni, durante le nostre notti di confidenze, quando ci lasciavamo andare a fantasie e racconti, continuavo a insistere, a scavare. Le chiedevo se Marco avesse provato altro, se lei si fosse lasciata andare, e lei sorrideva, evasiva, lasciando cadere dettagli che alimentavano il mio sospetto. Ogni volta che immaginavo le sue mani su di lei, il suo cazzo vicino alla sua bocca, venivo travolto da un’erezione che non potevo ignorare. Era un’ossessione, un desiderio di sapere, di vedere Annalisa persa nel piacere, una donna che si prendeva ciò che voleva.
Una notte, dopo un bicchiere di vino di troppo, la verità esplose. Eravamo a letto, i nostri corpi nudi, il suo seno contro il mio petto, la sua voce un sussurro roco. Mi confessò tutto, e ogni parola era un colpo, un’onda di eccitazione che mi scuoteva. Quella sera, nel ripostiglio, non si era fermata a una sega. Marco, dopo averle guidato la mano sul suo cazzo, aveva alzato la posta. Le aveva abbassato il perizoma con un gesto rapido, le dita che frugavano la sua fica, trovandola bagnata, il clitoride che pulsava sotto la pressione. Il sapore del suo cazzo, quando l’aveva preso in bocca, era salato, muschiato, la punta che le premeva contro la lingua, il rossetto che si mescolava alla saliva mentre succhiava, la gola che si riempiva. Marco, con una fame animalesca, le aveva succhiato le tette, la bocca che si chiudeva sui capezzoli, la lingua che li leccava, i denti che li pizzicavano, il reggiseno abbassato che lasciava i seni esposti, il suo gemito che echeggiava nel ripostiglio. Le sue dita, dentro la sua fica, scivolavano con ritmo, il suono bagnato che si mescolava ai suoi ansiti, il piacere che la faceva tremare. Poi l’aveva fatta girare, spingendola contro il muro, la gonna sollevata, il perizoma alle caviglie. L’aveva scopata da dietro nella fica, il cazzo che la penetrava con forza, ogni affondo che la faceva urlare, il suo culo che sbatteva contro le palle di lui. Annalisa si era toccata la fica, le dita che sfregavano il clitoride, il piacere che esplodeva in un orgasmo violento, il suo squirt che bagnava il pavimento, schizzi caldi che colavano sulle piastrelle. Marco, sentendola venire, si era ritirato, poi l'aveva fatta ingionocchiare e le aveva spinto il cazzo in bocca, e lei lo aveva succhiato, la voglia che la consumava, la sborra che le inondava la gola, fiotti caldi che ingoiava, il sapore che la marchiava.
E non era finita lì. Annalisa confessò che, dopo quella sera, Marco aveva approfittato di lei altre volte. Quando restavano soli in ufficio, lui la spingeva nel ripostiglio, le sue dita che frugavano la sua fica, il suo cazzo che la scopava contro il muro, il suo squirt che bagnava tutto. Ogni volta, lei si lasciava andare, eccitata dal rischio, dal potere di essere desiderata, dal sapore proibito di un uomo sposato. Ascoltandola, non provai rabbia. Provai piacere, un piacere profondo, quasi doloroso, nel sapere che la mia giovane moglie aveva goduto, si era persa in quel piacere, aveva urlato per un altro uomo. La immaginavo, la sua fica bagnata, la sua bocca piena, il suo corpo che tremava, e il mio cazzo pulsava, il cuore che batteva forte. Quella confessione non fu un tradimento; fu una liberazione, l’inizio di un gioco che ci ha trasformati, un mondo di fantasie che ancora ci consuma
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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