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Quanta fatica al "Slave Farm".


di maktero
01.12.2023    |    258    |    2 6.0
"Stava parlando con i padroni e sembrava esprimersi in una brillante intimità con loro..."
Siamo una decina di schiave tra maschi e femmine; siamo in piedi nel campo e solleviamo ritmicamente e faticosamente la zappa per lavorare un terreno che potrebbe essere arato in pochissimo tempo da un semplice trattore.
Siamo tutte magre per la scarsa alimentazione e la fatica che brucia le poche calorie che ci concedono con lo scarso e disgustoso cibo che ci forniscono.
I nostri corpi nudi sono tutti pitturati di grigio scuro rendendo le nostre figure quasi irreali, come dei fantastici automi, o meglio dei burattini grigi, che come in un lento balletto agitano in aria i loro magri arti svolgendo il loro triste e futile lavoro.
Questi pensieri mi eccitano e non sono la sola, vedo altri che come me faticano bestialmente con il cazzo eretto.
E le donne hanno le loro cosce imbrattate dai fluidi che colano dal loro sesso.
Per quelle in mestruo, le cosce sono anche incrostate dal sangue più o meno secco, a cui non possono mettere freno; non sono concessi tamponi e soprattutto non ci viene concessa nessuna igiene.
Due o tre bruti armati di frustino invogliano le più lente con colpi, che oltre che ottenere un affrettamento del lavoro da parte del maltrattato spesso provocano una ulteriore eccitazione che i bruti deridono sguaiatamente, con risa e commenti offensivi sulla nostra natura masochista.
I sorveglianti non si vergognano di prendersi altre libertà con noi schiave.
Quando sono eccitati si inculano qualcuna o si fanno spompinare, senza riguardo per noi e pensando solo al loro godimento.
Per noi è comunque una pausa dal duro lavoro; una interruzione più o meno piacevole.
Quando abbiamo sete dobbiamo chiedere ai bruti il permesso di bere, se ce lo concedono abbiamo a disposizione un secchio di acqua riscaldata dal sole in cui spesso i sorveglianti hanno pisciato dentro.
Se abbiamo un bisogno fisiologico dobbiamo chiedere il permesso, e se viene concesso, possiamo pisciare o defecare nel posto in cui siamo come delle bestie.
Quando arriva il tramonto veniamo riportate nella stalla a riposare e mangiare.
Qui troviamo un troguolo dove le schiave di casa versano un pappone indefinibile; affamate ci gettiamo come animali su quell'osceno cibo cercando di ingurgitarne il più possibile essendo anche così scarso da non soddisfare la nostra fame.
Poi dopo il pasto bestiale il riposo non è garantito.
I bruti selezionano a caso alcune di noi; non molte tre o quattro.
Qualcuna viene costretta a lavorare al giardino dei padroni, potando siepi o piantando fiori o pulendolo dalle foglie.
Altre vengono condotte nella casa padronale dove sono costrette a tirare a lucido i pavimenti.
Questi lavori possono durare fino a tarda notte, finchè non vengono eseguiti a dovere come deciso dai bruti, quelli del turno serale che hanno lasciato il posto a quelli del turno diurno.
Questi ultimi banchettano nella stalla davanti alle schiave affamate, e poi ebbri dalle ampie libagioni alcoliche si approfittano sessualmente delle schiave indifese, che qualche volta ricevono in compenso qualche avanzo del loro pasto.

Fu durante un turno di pulizia all'interno della casa che incontrai una vecchia conoscenza.
Mi avevano infilato uno straccio umido in bocca con cui in ginocchio e senza usare le mani dovevo pulire il pavimento della casa padronale, quando udii una voce familiare.
Riconobbi quella voce era quella di Mandy che avevo conosciuto al "Slave Hotel".
Stava parlando con i padroni e sembrava esprimersi in una brillante intimità con loro.
Poi ad un certo punto Mandy mi riconobbe, entusiasta si espresse in una serie di gridolini di compiacimento per avermi ritrovata si avvicinnò a me e mi chiese se mi ricordavo di lei, io con il straccio in bocca annui.
Ricordavo Mandy era una cliente del "Sado Hotel", una masochista, ma adesso aveva l'atteggiamento di una padrona.
Poi sentii che disse ai padroni che mi conosceva e che avrebbe voluto divertirsi con me.
I padroni furono compiancenti e dissero che poteva prendermi per farmi quello che le piaceva, e che per il compito di lavaggio dei pavimenti avrebbero trovato un'altra.
Mandy sorridente ed entusiasta, si chinò verso di me, mi disse di sputare il cencio lurido che avevo in bocca e di seguirla in giardino.
Lì si spogliò e poi mi ordinò di mettermi a quattro zampe e si accavvallò sulla mia schiena.
Sentivo il suo cazzo caldo sulla mia schiena, ed il suo peso che affaticava le mie già stanchissime membra.
Poi Mandy mi ordinò di cominciare a "camminare", cominciai ad avanzare a quattro zampe portandomi sulla schiena quel peso.
Lei mi incitava a muovermi ed io, sia pur sfinita, ero stimolata da quel cazzo caldo che sentivo diventare sempre più duro sulla mia schiena.
Mi fece fare il giro del giardino, portando il suo peso; poi un altro giro, ed un altro ancora, e così via.
Passò non sò quanto tempo, portando sulla mia povera schiena, Mandy,
Ad ogni giro ero sempre più sfinita; arrivai ad un certo punto che cominciai a perdere i sensi e le forze; Mandy crudelmente mi incitava a continuare a forza di botte.
Ad un certo punto arrivai a non comprendere più niente, non capivo più se ero a quattro zampe, se ero sdraiata, non capivo più nulla ero oramai semincosciente.
Sentii solo qualcosa che mi si infilava in bocca; doveva essere il cazzo di Mandy, almeno così percepii.
Meccanicamente, nella semincoscienza in cui mi trovavo, cominciai a spompinarlo.
Mi accorsi solo di qualcosa di caldo che invadeva la mia bocca poi persi definitivamente i sensi.

Il mattino dopo mi svegliai in mezzo al giardino; fù un risveglio difficile, la luce arrivò ai miei occhi gradualmente, un poco a poco; e come mi miei occhi si illuminavano altrettanto cominciavo a sentire i dolori al mio povero corpo.
Tutti i muscoli mi facevano male, se provavo a muovere un braccio, una gamba, una mano od un pieede sentivo dei dolori terribili.
Ed anche se non mi muovevo il mio corpo mi faceva male.
Rimasi lì immobile in mezzo al giardino per non sò quanto tempo, mi resi solo conto che il sole si era alzato parecchio.
Poi udì una voce, era una voce di donna, che mi chiese che cosa ci facessi lì.
Con un filo di voce risposi che ero stata maltrattata così tanto la sera prima da non riuscire più a muovermi per la sofferenza.
Quella, udite le mie parole si allontanò, dicendo non voglio vedere una simile schifezza nel mio giardino.
Compresi che era una padrona.
Poi arrivarono due bruti che mi sollevarono di peso, provocandomi dolori che mi fecero urlare bestialmente.
Mi trascinarono senza nessun riguardo delle mie urla di sofferenza nella stalla dove mi gettarono in un angolo.
I due si soffermarono a guardarmi mentre io gemevo per i dolori.
Poi uno dei due cominciò ad incularmi.
Io soffrivo terribilmente per i movimenti bruschi che subivo mentre mi inculava.
Gemevo !
Non so se più per il dolore o per il piacere di avere un cazzo nel culo che mi andava avanti e indietro.
Mi eccitai blandamente.
Ma il tizio arrivò prima che io potessi arrivare completamente.
Poi sentii arrivare sul mio corpo un fiotto caldo e bagnato; mi stavano pisciando addosso quei due porconi.
Io con mille dolori cominciai a masturbarmi ed arrivai.
Fu come un esplosione di godimento e poi non capii più niente; gli occhi mi si chiusero e sprofondai in un nero sonno.

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