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Il risveglio dopo lo strazio


di maktero
07.12.2023    |    4.130    |    11 9.6
"Infine quella porta che guardavo con speranza si aprì; apparve una donna vestita che entrò dentro con decisione; dietro a lei c'era la schiava di prima che..."
Quando mi risveglio lentamente, molto lentamente, mi accorgo di trovarmi in una stanza che dev'essere all'interno della casa dei padroni.
Mi accorgo di essere adagiata su un lercio materasso, per il resto la stanza è vuota.
Ma soprattutto avverto un forte dolore ai capezzoli, vedo che sono bendati e sento che mi fanno malissimo.
Mi sovviene il ricordo di Mandy che mi ha seviziata bruciandomi i capezzoli.
Ricordo tutto ciò che mi è stato fatto, mi metto a sedere su quel lercio materasso e dopo qualche minuto mi accorgo di essere eccitata sia per il dolore che provavo in quel momento sia per il ricordo del trattamento a cui ero stata sottoposta.
Mentre ero lì menando il mio cazzo in mano, si aprì la porta ed apparve una ragazza nuda con una borsai in mano.
Io interruppi per un momento la mia attività masturbatoria, non tanto per l'imbarazzo, ma per il pensiero che forse quella attività mi era proibita.
Ma accorgendomi che il corpo della ragazza era dipinto di grigio come il mio compresi che era una schiava e ripresi oscenamente la mia masturbazione capendo che lei no avrebbe avuto l'autorità per fermarmi.
La ragazza, lasciando la porta aperta, entrò e mi squadrò sorridendo notando la mia attività.
Senza dire niente, con nonchalace, si inginocchiò accanto a me e cominciò ad estrarre alcune cose dalla borsa, si fermò un momento guardandomi mentre menavo il mio cazzo.
Io arrivai fragorosamente, e lei osservando il mio spruzzo, disse "Vedo che stai meglio".
Io le spiegai mi ero eccitata per il dolore che sentivo e per la tortura che avevo subito.
Lei commentò " Sei una vera porca masochista".
Io risposi di sì e lei mi diede un bacio, mi fece bene sentire quelle labbra sula mie che sembravano premiare la mia condizione.
Poi in silenzio cominciò a togliermi le bende dai capezzoli, vidi che erano ridotti male.
La carne rossa era esposta e mi facevano veramente male.
La ragazza prese un tubetto che aveva estratto dalla borsa ne estrasse un filo di crema e cominciò con quella a massaggiarmi i miei capezzoli straziati.
Provai un senso di fresco sollievo al tocco di quella crema che la ragazza spalmava dolcemente su quelle mie ferite.
Poi prese delle bende pulite e ricoprì i miei capezzoli con quelle nuove garze.
Mi accorsi di avere sete e fame, e chiesi alla ragazza se potevo avere da mangiare e bere.
Lei rispose che le era stato ordinato solamente di medicarmi, avrebbe dovuto chiedere per queste mie esigenze.
Poi uscendo si voltò verso di me e disse maliziosamente con un mezzo sorriso "Ti stai facendo una fama come masochista qui al Farm".
Poi uscì e io mi sdraiai su quel materasso che mi accorsi sempre di più di quanto fosse lercio, coperto di macchie di ogni tipo e sbrecciato ovunque.
Tuttavia considerando che nelle ultime settimane avevo dormito su duri, freddi e luridi pavimenti, adesso mi sembrava di stare in un Hotel a cinque stelle.
Ma la sete e la fame si facevano sempre più imperiose, ed ogni minuto che passava era una tortura.
Certo non ero legata e la porta non era chiusa a chiave, sarei potuta uscire ed andare in cerca di acqua e cibo, ma ero bloccata dal sentire che non ero stata autorizzata a farlo.
Non mi facevano paura eventuali punizioni che avrei potuto subire, anzi queste le avrei accolte con piacere; mi bloccava il mio sentimento di sottomissione che mi impediva di fare qualcosa per cui non ero stata autorizzata.
Infine quella porta che guardavo con speranza si aprì; apparve una donna vestita che entrò dentro con decisione; dietro a lei c'era la schiava di prima che reggeva in mano un vassoio.
La donna vestita, ovviamente una padrona, ordinò bruscamente alla schiava di posare il vassoio a terra accanto a me; io guardai quell'utensile su cui si trovavano delle bottiglie di acqua e dei piatti pieni di pietanze odorose.
La padrona vide il mio sguardo avido rivolto verso quel bendidio e mi blocco immediatamente dicendomi con voce dura "non ti azzardare a toccare qualcosa di quel vassoio".
Io ubbidii allontanando lo sguardo da quelle delizie e guardando profondamente lo sguardo altrettanto profondo della padrona.
Lei rimanendo in piedi mi disse, con sufficienza ed utilizzando il plurale "Abbiamo raccolto la tua esigenza di dissetarti e sfamarti, potrai farlo quando sarò uscita da quì, non voglio assistere a scene penose e disgustose".
Continuò "Ti è stato portato di che soddisfare il tuo corpo perchè abbiamo sviluppato degli interessi economici con te".
E Poi "Rimettiti merda, la schiava quì presente è a tua disposizione per nutrirti e curarti e per accontentare i tuoi desideri animaleschi".
Poi con un aria di disprezzo la signora si voltò e veloce uscii dalla stanza sbattendo la porta.
Io guardai per un attimo la porta chiusa, cercando di riflettere sulle parole udite, ma le mie esigenze fisiche prevaricarono qualsiasi altra considerazione.
Volsi per un istante lo sguardo verso la schiava che si era inginocchiata davanti a me, e poi selvaggiamente mi avventai sulle bottiglie d'acqua bevendo avidamente a più non posso; quando la mia sete fù esaudita mi precipitai sulle vivande contenute nei piatti come una bestia.
Cominciai a mangiare di qua e di là senza un ordine, stimolata solo dalla fame.
La schiava accanto a me mi guardava con sofferenza e desiderio; dopo un poco che ero riuscita ad accontentare il mio stomaco, e cominciavo a razionalizzare compresi il significato di quello sguardo era affamata anche lei.
Guardandola le dissi se voleva mangiare anche lei, a quelle parole non esitò un momento e si gettò a mangiare insieme a me quanto rimaneva nei piatti.
Mangiammo assieme gustando quelle pietanze che rispetto a quanto mi era stato dato da mangiare negli ultimi tempi erano delle vere prelibatezze.
Penso che lo stesso valesse per lei.
Sazi e contenti ci adagiammo assieme, fianco a fianco su quel lurido materasso.
Le chiesi come si chiamava e da quanto tempo era alla Farm.
Lei mi rispose che si chiamava Emilia e che era lì da tre settimane.
Poi io cominciai a sentire un torpore che mi fece scivolare nel sonno con Emilia al mio fianco.






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