tradimenti
L’azzardo - Luciana
di geniodirazza
30.05.2024 |
1.197 |
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"“Chi sei tu?”
La domanda era quasi solo un lieve respiro..."
Odio il mio lavoro, quando sono costretta ad assistere a certi spettacoli; li avevano appena estratti dalle lamiere; per lei non ci sarebbe stato molto da fare; era letteralmente schiacciata in tutto il corpo sbattuto tra il volante, il piantone di sterzo, il sedile e lo chassis; particolare allucinante, la bocca era serrata e piena; dovettero aprirla a forza e tirare fuori con le pinze il grosso moncone di sesso che aveva staccato negli spasmi dell’impatto.Lui era stato frenato dalla cintura, ma sanguinava come un maiale al macello; il fallo era troncato alla radice; ci voleva poco a capire che avevano giocato con una fellatio ad alta velocità sull’autostrada; al momento dell’orgasmo, lui aveva perso il controllo ed era finito contro l’autotreno che marciava davanti a loro e che il guidatore non aveva neppure visto, nel brivido dell’orgasmo.
“Bellissima morte!”
Commentò un collega con un gran pessimo gusto; lo fulminai con lo sguardo e mi accinsi a mettere a lei il respiratore nell’illusoria speranza che potesse resistere.
“Chi sei tu?”
La domanda era quasi solo un lieve respiro.
“Sono Luciana, un’infermiera, sei su un’ambulanza e ti portiamo all’ospedale.”
“Non ci arriverò; sto per morire; ma non posso andarmene finché non mi prometti una cosa.”
“Tu non stai per morire; però dimmi quello che devi.”
“Promettimi che cercherai Carlo e che gli dirai che è stato un errore; non pensasse che sono venuta meno all’amore per lui; non dicesse a Laura e a Giorgio quello che vedrà; è stata una pazzia, una stupida scommessa, una trasgressione imbecille. Io lo amo, come l’ho amato sempre, fino alla morte; fallo sapere ai miei bambini che la mamma non è una volgare adultera; ho sbagliato, ma non ho toccato il nostro amore, non lo toccherò mai. Giurami che glielo dirai; lasciami morire serena.”
“Te lo giuro, Ersilia, ti chiami Ersilia è vero? Bene ti giuro che li cercherò dovunque siano e gli dirò che li hai amati fino alla fine; adesso stai calma che stiamo arrivando all’ospedale.”
“Grazie; ora posso anche morire.”
Non respirava più, era finita; non capivo perché avrei dovuto dire quelle cose al marito che forse era morto con lei.
Riuscii a fare chiarezza solo dopo più di un’ora, quando ebbi un momento di requie; dopo un altro intervento, assai meno problematico, per un lieve infarto, potei intrattenermi con la reception e chiedere conto dell’incidente precedente; mi dissero che lei era all’obitorio; chiesi di suo marito e la ragazza al banco mi guardò sbalordita.
“Che c’entra il marito?”
“Quello al quale la morta ha staccato il sesso!”
“Il bel Salvatore evirato? Ma quello non è il marito! E’ solo un collega di lavoro, forse l’amante!”
Mi prese un colpo e mi fu chiaro il discorso della moribonda che, in quel momento frenetico, mi era apparso insensato, frutto dello shock; Ersilia mi aveva incaricato di impetrare il perdono del marito Carlo, e dei figli Laura e Giorgio; chiesi se il marito fosse stato avvertito; mi fu detto che era venuto insieme con un’amica della morta e che ambedue erano all’obitorio, per il riconoscimento; mi precipitai alla sala mortuaria e li trovai, inebetito lui, affranta lei, che non smetteva di piangere.
“E’ colpa mia; l’avevo sempre accompagnata io; non dovevo lasciarla nelle grinfie di quel farabutto!”
Si lamentava singhiozzando; mi accostai all’uomo.
“Sono Luciana, l’infermiera che ha assistito Ersilia negli ultimi istanti; mi ha incaricato di parlare con te e di assicurarti che non è stato toccato l’amore, che ha commesso un errore che le è costato la vita, ma non ha inteso in nessun modo offenderti. Ti assicuro che non può aver detto bugie perché stava morendo e in quel momento si dice la verità; è morta chiedendo perdono a te, a Laura e a Giorgio, i vostri figli; ha detto che è stato l’alcool e una stupida scommessa, senza volontà di dolo.
E’ morta col tuo nome sulle labbra.”
Non fa una piega e rimane cupo nel suo silenzio; interviene la donna.
“Carlo, devi crederci; Ersilia non ha mai fatto assolutamente niente contro di te; certamente l’hanno fatta bere; lei era astemia ed ha perso la testa, ma solo per un momento, l’attimo per morire; non continuare a tormentarti; ricordala come la conoscevi, non per un incidente surreale.”
L’uomo stava piangendo ma non si sentiva un gemito, le lacrime scendevano quasi naturalmente; poi sembrò trovare la forza per parlare.
“Ha sofferto?”
“Sì, infinitamente; ma non per lo schiacciamento del corpo; quando me l’hanno portata, era praticamente morta; ma soffriva molto per te, per i vostri figli; soffriva come moglie che vuole farsi perdonare e come madre che lascia i figli, non per le ferite; è stato come se chiedesse alla morte di aspettare per avere il tempo di farmi giurare che ti avrei parlato ed è spirata … Perché non vieni con me e prendi un caffè? Devi scuoterti e non puoi stare qui in eterno … ”
Mi seguì come un automa; si aggregò anche la donna che continuava a singhiozzare e a ripetere improperi all’imbecille che l’aveva portata a morire, a ricordare i meriti e il carattere meraviglioso della morta; Carlo si girò e la pregò di tacere, soffriva già abbastanza; la invitai con lo sguardo a contenersi; li accompagnai al punto di ristoro; un’improvvisa chiamata urgente mi costrinse ad andare via per fare il mio dovere; gli strinsi un braccio senza parlare e scappai.
Nel lavoro sulle ambulanze, di per sé terribile, la parte più mostruosa, ma inevitabile, è che i morti e i feriti si succedono rapidamente e si cancellano l’uno con l’altro; il ricordo di Ersilia mi restò inchiodato nella memoria per un paio di settimane; poi fu scalzato da altre disgrazie, da altri morti; dopo qualche mese, mi ricordavo a malapena di lei e della sua famiglia; eppure, quando incrociai, nel corridoio di un centro commerciale, Carlo e i due bambini, non ebbi nessuna difficoltà a riconoscerlo.
Pallido, emaciato, decisamente provato dalla tragedia che lo aveva investito, si muoveva come in trance mentre i due ragazzi lo tiravano per la giacca verso vetrine che li attiravano; istintivamente lo chiamai.
“Tu sei Carlo?”
Appariva quasi inebetito.
“Ci conosciamo?”
“Sono Luciana, l’infermiera che era vicino a Ersilia quando ci ha lasciato … “
L’esplosione di pianto non era prevedibile e mi colpì come una frustata; i ragazzi si accostarono ai suoi lati; Laura trovò la prontezza per chiedere.
“Tu sei l’infermiera che assisté mamma quando morì?”
“Sì, Laura; sono l’ultima persona con cui parlò e alla quale raccomandò voi due e vostro padre; vedo che lui ancora soffre e forse anche voi state male quando pensate a mamma … “
“Sì, ma papà sta peggio; lui piange sempre … “
Non sapevo come muovermi; per fortuna, il piccolo Giorgio si lanciò felice verso una vetrina; aveva visto le scarpe che cercava; Laura lo seguì; mi avvicinai al padre che se ne stava seduto con la testa tra le mani.
“Carlo, credimi, ho una buona esperienza di morti e di tragedie; capisco la tua situazione ma non posso accettare che ti lasci andare a questa depressione che non serve a nessuno; fai male a te e alla memoria di Ersilia; ma soprattutto distruggi le vite di due ragazzi che si aspettano aiuto da te.”
“Credi che non lo sappia? Non trovo la forza, quella che lei mi sapeva dare; solo adesso mi rendo conto che era anche per me la madre che sapeva essere per i ragazzi; sono allo sbando, non riesco a decidere niente … “
“Ma non sei proprietario di un’azienda? Non sei abituato a decidere, a comandare, a scegliere?”
“Anche in quello sto fallendo; non riesco a vestirmi cristianamente, non riesco a seguire il lavoro in fabbrica, non so accudire ai miei figli; sono un rottame che va buttato via … “
“Senti, rottame, se ti fai buttare via, dimmi dove ti scaricano; io un uomo fico come te, ricco come te, lo obbligo ad alzarsi e a camminare per la sua strada; mi propongo come alternativa a Ersilia, mi faccio chiamare col suo nome, se ti va …; e sai quante donne, come me, sarebbero pronte a esserti vicine, a diventare la figura femminile di cui avete bisogno tutti e tre? Adesso tu ti alzi e, petto in fuori, vai a comprare ai tuoi figli le scarpe che cercano; poi vedrai che la voglia ti viene da sola.”
“Se ti chiedo di essere Ersilia per questi momenti, te la senti? Voglio rialzarmi, ma ho paura di non farcela; lei mi avrebbe spinto a farlo, come stai facendo tu; te la senti di recitare ancora un poco, di essere mia moglie il tempo di comprare le scarpe?”
“Vieni, pigro, tirati su, rassetta un poco quel vestito che ti fa sembrare uno straccione e andiamo a vedere queste scarpe!”
Quando lo vide alzarsi, Giorgio si precipitò dal padre e lo prese per la giacca.
“Papà, vieni; guarda che belle quelle rosse e azzurro, così mi piacciono; ce l’ha anche Franchino, il mio compagno di banco; voglio quelle!”
Laura se ne stava quasi immusonita, ma il suo sguardo sembrava smarrito in un paio di scarpette con un piccolo tacco, più da ‘signorine’ e sembrava perdersi nel sogno di indossarle; mi accostai in silenzio.
“Però, sai che bella diventeresti con quel rialzo; non è un tacco; quel tanto per farti essere più bella e un poco più alta … “
“Ti piacciono? Io sono certa che papà mi farà un sacco di storie; quando c’era la mamma, lo dicevo a lei e riusciva sempre ad accontentarmi; papà pare che non veda niente … “
“Ma lo sai che queste sono cose da donne … “
“Perché non glielo dici tu?”
“La tua mamma era sua moglie; io non sono nessuno … “
“Non è vero; è a te che mamma ci ha raccomandato; adesso tu puoi decidere come se fosse lei … “
“Sei brava a imbrogliare, ragazzina; va bene, ci parlo con tuo padre … Carlo, guarda che Laura ha bisogno di un paio di scarpe e quelle lì mi sembrano ideali … “
“Ma lei è una bambina e quelle hanno già il tacco … “
“Bambina sarà tua sorella; Laura ha tredici anni ed è già una ragazza, anzi è già una signorina … “
La guardai per chiedere conferma; fece sì con la testa, per confermarmi che già aveva avuto il menarca.
“Sei tu, zotico, che la tratti come se portasse il pannolone; lei tra poco avrà bisogno di reggiseno e di slip con i cuoricini … “
“Che diavolo dici, Ersilia, stiamo parlando della nostra bambina … “
“Ed io invece sto parlando della ‘mia signorina’; ci mettiamo d’accordo o ti mando al diavolo?”
Comprammo le scarpe che i ragazzi avevano deciso; mi presero per le mani, felici come pasque, e mi trascinarono con loro; Carlo sembrava rasserenato, sorrideva ed era chiaramente contento; era mezzogiorno e alle due dovevo entrare in servizio.
“Ragazzi, mi spiace ma alle due comincio a lavorare; ho solo il tempo di andare a casa, prepararmi qualcosa da mangiare e poi scappare …”
“Scusa, ma lavori anche di sabato?”
“Sappi che il sabato sera è il momento peggiore per le ambulanze … scusa, lo sai bene purtroppo … “
“Papà, visto che anche noi dobbiamo mangiare, perché non andiamo in un posto vicino all’ospedale dove lavora Luciana e così sta ancora un poco con noi?”
“Luciana, accetti di pranzare con noi?”
“Carlo, il mio ospedale ... “
“Perdonami se prima ti ho chiamato Ersilia; lo avevamo deciso tra noi solo per le scarpe; ma tu sei Luciana e quell’ospedale è solo un posto dove cercano di salvare le persone … “
“Vedo che fai passi da gigante; sono felice di stare anche a pranzo con voi … “
“Evviva!”
I ragazzi si entusiasmarono, mi presero ciascuno per una mano e andammo insieme al parcheggio; Giorgio salì col padre sulla loro auto, mentre Laura insistette a venire con me; nel breve tratto fino all’ospedale si lasciò andare alle confessioni che le ragazze affidano solo al diario intimo; in pochi minuti mi raccontò le sue pene di passione per il ragazzo lentigginoso che la corteggiava, del desiderio di cominciare a usare un po’ di trucco; insomma, mi elesse mamma tutelare.
In un attimo di resipiscenza mi resi conto di entrare in una trappola pericolosa; ma la freschezza di quella ragazza e il suo bisogno di riferirsi a una figura femminile in un momento delicato della sua vita mi spingevano a essere più ‘infermiera’ di quanto fossi e a legare con lei in un affetto dalle radici inesplicabili; mi riservai di parlare chiaro al momento dei saluti; intanto, eravamo arrivati alla taverna scelta e ci avviammo, mano nella mano come sorelle o come madre e figlia, al tavolo con i maschi.
Il pranzo andò avanti con tante di quelle affettuosità, moine e dolcezze che mi diventò impossibile imporre uno stop per chiarire che di lì a qualche minuto sarebbe finita l’atmosfera di familiarità su cui, in poche ore, avevamo creato castelli incredibili; finii per rimandare i discorsi a fine pranzo; ma Carlo mi spiazzò; mentre ancora sorseggiavamo il caffè e i ragazzi mangiavano un gelato, mi chiese con aria distratta a che ora smontassi; ‘alle dieci’ risposi.
“Verresti a cena con me?”
“Scusa, intendi solo tu ed io oppure tu, io e i ragazzi?”
“Luciana; poche ore possono essere un lampo o tutta una vita; a noi, hanno bruciato anni di vita comune; vedi tu stessa come i ragazzi ti considerano; non ci conosciamo e avremmo bisogno di farlo; ti turba l’idea che voglia conoscerti meglio?”
“Carlo, tu ti stai ancora leccandoti una brutta ferita; la mia vita presenta qualche cicatrice che anche un’infermiera di urgenze come me non sa curare; non posso e non voglio crearmi illusioni; ho vissuto una mattinata di felicità; se ci vediamo stasera da soli tu ed io, non posso garantirti che me ne starò calma; tu sei un bell’uomo e forse hai bisogno di una donna; io credo di essere una bella donna e non cerco un uomo, ma se ne trovo uno giusto, non è per incontrarsi e dirsi addio o per una botta e via.
Te la senti di mettere alla prova il tuo dolore e di farmi mettere a rischio la mia solitudine, scelta e non imposta dalla vita, con una cena che potrebbe diventare imbarazzante?”
Laura era sempre molto attenta e non seppe stare zitta.
“Luciana, che male c’è se tu e papà vi scoprite innamorati e tu occupi il posto di mamma che se n’è andata ma non per sua volontà? Io ti vedo volentieri come mamma tutelare, bada non matrigna ma mamma tutelare, mamma a tutti gli effetti; io ti voglio già bene … “
“Anch’io ti voglio bene; l’ho detto a papà che mi ha confidato che anche lui ti vuole bene … “
“Giorgio, ti avevo detto che era un segreto … “
“Mi aspetti qui alle dieci? Bada che se ci fosse un’urgenza dell’ultimo momento potrei tardare … “
“Ti aspetterò dalle dieci di stasera fino alla fine dei giorni …. “
“Luciana, io spero che domani mattina non sarò sola a preparare le colazioni … “
“Ragazza, mi sa che sei assai più smaliziata di quanto tuo padre crede e di quanto pensavo anch’io … Se son rose … “
“Io sento già il profumo. Posso darti un bacio?”
“Con tutto il cuore, signorina mia! … Ah, Carlo, cerca di renderti più presentabile al primo appuntamento!”
Fui costretta a scappare e ad affrontare una serata dura per gli incidenti ‘del sabato sera’; quando uscii dall’ospedale, ero stanca da morire; Carlo mi aspettava davanti alla taverna; era bellissimo, finalmente ripresosi e messo in tiro da una buona doccia, dalla rasatura e da un vestito elegante; lo abbracciai e, istintivamente, incollai la bocca alla sua; aveva una grande voglia di sesso, come mi dimostrò la mazza che si alzò contro la mia vulva, che, altrettanto in astinenza, già colava.
Avevo fatto una scelta pessima, perché tutti gli addetti alle ambulanze del mio turno cenavano lì ed entrarono uno a uno guardandomi con ammirazione, i più; con invidia per il mio accompagnatore, alcune; Silvestro, il capo equipe della mia ambulanza, si accostò deciso e mi chiese.
“Luciana, scusa la sfacciataggine; lui è il vedovo di quella signora … ?”
“Sì, lui è Carlo, il marito di Ersilia che morì tra le mie braccia … ”
“Vedo che siete amici; quindi devo avvertirvi che l’imbecille che ne causò la morte sta cercando di intorbidire le acque con l’assicurazione, gettando fango sulla defunta.”
Vidi che Carlo per un attimo stringeva il coltello.
“Dai, non te la prendere; ci vorrà poco a far venire a galla la verità … “
“Luciana, sarà bene che ci conosciamo subito; stamattina questa notizia mi avrebbe lasciato indifferente; poi sei arrivata tu, a sorpresa, e qualcosa è cambiato; io so essere una belva con chi mi tocca negli affetti. Ti chiedo di starmi vicino e di aiutarmi quando la mia ferocia diverrà disumana; non ho bisogno di una fotocopia di Ersilia, ma voglio che tu sappia che ci sono cose fondamentali nella vita; una è la reciproca fiducia e assistenza.”
“Che cosa pensi di fare?”
“Fammi sapere come posso avere la pratica sanitaria dell’incidente; il mio ufficio legale provvederà.”
“Prepara la richiesta; la puoi scrivere anche qui su un foglio qualsiasi; io la presento e ritiro pro manibus i referti. Non c’è ferocia in questo … “
Scherzavo, ma avevo davanti a me un uomo intelligente e di gran classe; mi prese la mano e mi sentii sciogliere.
“Carlo, ora sono io a vibrare d’amore per te; se non la smettiamo di amoreggiare, non riusciremo a cenare; Laura aveva ragione; ho troppa voglia di te; stasera, o dormo con te o mi butto a fiume per spegnere i miei ardori … “
“Meglio se ti butti sul letto con me; poi non so se dormiremo; forse domani, ma solo perché è domenica. Non avrai un turno domenicale, spero … “
“Sì, turno speciale, a letto col mio paziente più difficile e delicato … “
La cena scivolò così, tra battute e moine da giovani innamorati anche un tantino imbranati; era quasi mezzanotte quando tornammo a casa; i ragazzi dormivano ciascuno nella sua camera; mi trovai a rimboccare le coperte quasi fossero figli miei e lessi nel sorriso di Carlo l’affetto che ormai dominava tra noi; ero curiosa di vedere come si comportasse a letto; anche per questo, mi affrettai a trascinarlo in camera e ad avvolgerlo nel bacio più appassionato che avessi mai dato a un uomo.
Avevo già avvertito la consistenza del suo sesso quando c’eravamo baciati; ma stavolta lo andai a prendere, da sopra il pantalone, e lo accarezzai per tutta la lunghezza; quasi come risposta, mi afferrò tra le dita i capezzoli; non avevo indossato reggiseno; li strofinò con perizia e con la certezza di procurarmi quella stimolazione che la mia vagina aspettava da tempo; sentii che sbrodolavo e mi abbandonai languida sulla sua bocca; riconobbe persino il mio orgasmo.
Mi sfilò la camicia e abbassò la gonna, lasciandomi in slip e scarpe; si fermò come incantato e mi osservava dai capelli alle unghie dei piedi; poi cominciò a baciarmi dalla fronte seguendo il profilo del viso; si abbassò verso la gola e scese su seni; mentre li teneva raccolti tra le mani, continuava a stringere fra le dita i capezzoli, depositava baci, leccate e succhioni sulle mammelle; continuavo a sbrodolare e ogni tanto il languore mi faceva piegare le ginocchia; mi depositò supina sul letto, con i piedi a terra.
Continuò imperterrito a esplorare il mio corpo con le labbra mentre una mano si staccava dal seno e andava ad afferrare la vulva a palmo pieno; rabbrividii e fui colta da lampi improvvisi di piacere ogni volta che spostava le dita sulle grandi labbra, sulle piccole e infine sul clitoride che stringeva fra pollice e indice; mi limitai ad accarezzare la testa, non avevo nessuna possibilità di ricambiare le carezze se non decidevo di staccarlo da me; e non volevo, per ora.
Impiegò un tempo che mi apparve infinito a leccarmi lo stomaco e il ventre, mentre imperterrito titillava capezzolo e clitoride contemporaneamente, al punto che non sapevo più da dove si scatenassero le fitte di orgasmo che mi bruciavano letteralmente il cervello; ormai non aspettavo che la sua lingua sul clitoride e, possibilmente, in vagina; ne avevo una voglia disperata; quasi mi avesse letto nel pensiero, abbandonò di colpo tutte le manovre, il suo viso affondò tra le mie cosce e la bocca catturò il clitoride.
A stento trattenni un urlo che avrebbe svegliato non solo i ragazzi ma forse tutto l’edificio; sentire la lingua che tormentava la vulva mi faceva impazzire di piacere e continuavo a godere e a ululare come una belva in amore; quello mi sembrava di essere, la femmina di un animale selvaggio; mi sentivo friggere tutto il corpo dal calore della vagina che aveva un che di ferino; mi lamentai chiedendogli di prendermi subito, perché avevo tanta voglia.
Mi tirò in piedi; si liberò velocemente del vestito; restò nudo davanti a me nella bellezza del corpo maturo e tonico; insieme salimmo sul letto; mi fece stendere al centro; s’inginocchiò tra le mie gambe divaricate; accostò il sesso alla vulva ed io me lo tirai addosso facendolo penetrare fino a urlare di dolore per il colpo ricevuto sulla cervice dell’utero; mi piombò addosso con tutta la sua mole e lo avvinghiai subito con le gambe in vita e i piedi intrecciati dietro la schiena.
Stemmo fermi un tempo che parve infinito; continuava a baciarmi su tutto il viso ed io gli carezzavo le natiche forti, i lombi, il petto, titillavo i capezzoli; mi accorgevo quasi con terrore che mi stavo davvero innamorando come una collegiale; glielo sillabai in un orecchio e lui ricambiò prima con un bacio profondo poi sussurrando a fior di labbra, in pieno bacio.
“Non dirlo a nessuno, ma mi sono innamorato di brutto … “
“Carlo, sii prudente; non sono protetta e il periodo è quello giusto … Mi piacerebbe comunque sentirti dentro … posso bere la tua mascolinità?”
Sembrava imbizzarrito; cambiò atteggiamento e prese a cavalcarmi con un impeto travolgente; sentivo il membro andare e venire dal mio utero con una foga eccezionale; non potei impedirmi di scaricargli sull’asta numerosi orgasmi che s’intensificavano e crescevano d’intensità a mano a mano che mi sentivo presa e amata con tutto il corpo; di colpo, si sfilò, si alzò e, continuando a masturbarsi, si spostò sul tronco finché la mazza arrivò all’altezza delle labbra.
Assorbii in bocca il sesso che sembrava infuocato e cominciai a succhiarlo con tutta la libidine che mi scatenava il rapporto; lo guardavo negli occhi e mi facevo entrare il fallo fino all’ugola, stimolandolo con la lingua; fece delle smorfie stranissime e gemette a lungo, mente mi scaricava in bocca fiotti di sperma caldo che accoglievo con la massima goduria e mi facevo girare nella bocca come per assaporarne la potenza, la dolcezza, l’amore che immaginavo; ingoiai con gioia, godendo da matti.
Sentii il sesso perdere consistenza e sgonfiarsi lentamente; ma non lo mollai e lo trattenni tra le labbra leccando la punta con la voglia di averlo ancora, dappertutto; mi accarezzava il viso, dalla fronte alle guance; disegnava il profilo degli occhi, del naso, degli zigomi, delle gote; giocherellò intorno alle labbra e al sesso che tenevano catturato; quando si accorse che l’asta riprendeva vigore, delicatamente si ritrasse e la sfilò, si stese a fianco, mi prese una mano e se la poggiò sul cuore.
“E’ stato meraviglioso; quanto ti ho amato, Luciana; non avevo solo bisogno di sesso; volevo amarti e sentirmi amato; ho ancora tanta voglia, tanto bisogno di amore!”
Presi una sua mano e me la portai sul seno; la spinsi a palpare, stimolare, sfregare.
“Sono andata in paradiso! Non sono una ragazzina e conosco l’amore e il sesso; ma non mi era mai capitato di provare tanta emozione; adesso vorrei poterti sentire dappertutto, ma in vagina non posso ricevere il tuo seme; abbiamo una notte lunga, da vivere nell’amore; domani non sappiamo cosa sarà; ma stanotte voglio darti tutto; fosse anche solo per questa notte, voglio vivere la più bella storia d’amore, anche sapendo che metà del tuo cuore e della tua testa sono ancora per lei.”
“Luciana, non m’interessa come e perché sei qui; per me, è stata la Provvidenza che ci ha fatto incontrare, o il Destino o la volontà di Ersilia che ha sconfitto la morte; la Provvidenza ti ha messo nel mio letto e ci ha fatto fare l’amore come desideravo da quando mia moglie se n’è andata; è destino che tu viva con me il tempo futuro; tu non mi lasci più, se vuoi aiutarmi; non ti permetterò di lasciarmi. Io adesso so che ti amo.”
Era del tutto inutile parlare; mi ribaltai sopra di lui; lo tacitai con un bacio che diceva tutta la mia dedizione e cominciò la più lunga e bella notte d’amore della mia vita; abituata a svegliarmi presto, riuscii a preparare le colazioni muovendomi in cucina come a casa mia; non poterono fare a meno di sottolineare certe identità quando, disinvoltamente, mi muovevo per la casa, trovavo gli oggetti al primo colpo e mi presentavo con la colazione fumante al letto di ragazzi.
Cominciai a frequentare con sempre maggiore assiduità Carlo, fino a diventare organica alla sua famiglia; non mi decidevo a traslocare finché, approfittando di una chiave che avevo consegnato a suo padre per sicurezza, Laura non lo costrinse a mandare, quasi a tradimento, una squadra di trasportatori che in una mattinata svuotò il monolocale che abitavo e trasferì tutto nella loro casa; quando rientrai, come d’accordo, dopo un turno serale, trovai in giro tutte le mie cose.
Carlo mi spiegò che i ragazzi avevano voluto imporre la loro fretta di vedermi al posto della madre, di cui avevano un ricordo vivido che non impediva di vedermi nella funzione di ‘tutela’ perché, secondo la loro visione, la scelta era stata fatta da Ersilia in punto di morte; Carlo mi assicurò che i mobili erano stati ben sistemati in un magazzino e il contratto d’affitto era stato annullato, perché era in grado di mettermi a disposizione di meglio se avessi deciso di rifiutare o, nel tempo, di andarmene.
La più determinata era Laura, che ormai mi si attaccava più di una figlia, più che a un’amica del cuore; sarebbe venuta a letto con me e con Carlo, se non l’avessimo frenata; il momento più difficile lo vissi quando mi feci ‘obbligare’ a presentarmi a scuola, ai colloqui con gli insegnanti, al posto della madre; con una certa mia sorpresa, anche i professori convennero che era una soluzione giusta e rasserenante; l’ebbe vinta lei e divenni ufficialmente la compagna del loro padre.
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