tradimenti
Crescere insieme
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28.08.2024 |
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“Mi dispiace; non volevo farti star male … “
“Chi lo dice che sto male? Io sono felice; mi è mancato il finale incandescente, ma ora so che non sono solo..."
Ci sono, nel paesaggio italiano, soprattutto lungo la parte più interna dell’Appennino e a partire da Roma verso il Sud, alcuni paesini, ai quali un recente interesse per i borghi ai fini del turismo interno ha dato molto rilievo; questi stessi alcuni decenni fa, addirittura per alcuni si arriva all’altro ieri, erano una realtà fuori da ogni rotta della civiltà industriale, chiusi in una dimensione tradizionale che impediva qualunque varco al nuovo.In uno di questi sono nata e vissuta, sino a quando l’emigrazione in una metropoli industriale del Nord mi ha fatto piombare all’improvviso in una realtà del tutto sconosciuta, lontana dai costumi atavici e di difficilissimo impatto per chi, come me, aveva vissuto in una sorta di limbo ‘diverso’ ed estraneo alla vita di città.
L’occasione era stata l’assunzione in una banca della metropoli di quello che era diventato mio marito; abbastanza diffusamente, era quello uno dei percorsi obbligati per uscire dalla morsa del mondo contadino e pastorale in cui ero stata cullata fino alla maggiore età, ventuno anni all’epoca.
Il matrimonio era stato, in qualche modo, deciso da quando ero bambina, otto o nove anni, e si era cominciato a parlare di Mauro come del mio futuro sposo; per una sorta di atavica rassegnazione fatalistica, la convinzione si era trascinata fino al momento di dire il fatidico ‘si’ senza che mi fossi quasi resa di quello che mi stava avvenendo.
Ero arrivata al matrimonio Immacolata, di nome e di fatto, perché niente era consentito, al tempo, ai giovani del paese vincolati alla terra che mio padre coltivava con stentati esiti, che gli consentivano a malapena di sostenere la famiglia, al limite di una povertà autentica.
Come la maggior parte dei miei coetanei, mi ero messa d’impegno a studiare ed avevo compiuto il percorso che, dopo le elementari e le medie, mi aveva portato all’istituto per ragionieri, l’unico disponibile ad una distanza praticabile per una ragazzina di tredici anni; il brillante risultato ottenuto non mi aveva consentito di trovare uno straccio di occupazione e la soluzione era rimasta il matrimonio, insieme all’emigrazione.
Qualcuno riusciva a ‘scappare’ dalla condizione atavica di emarginazione, con una grande volontà, ma soprattutto con il sostegno della famiglia più abbiente; Giancarlo era più ‘vecchio’ di me di alcuni anni, andava per i ventiquattro quando, a ventuno, io mi sposai; dopo le medie, si sobbarcò all’onere di prendere l’unica corriera che collegava il paese con la cittadina più vicina, partenza alle sei di mattina, quale che fosse il clima; rientro alle sei di sera, corsa unica, per frequentare il Liceo.
La sua ‘emigrazione’ fu meno dolorosa perché andò immediatamente all’Università, nella metropoli del nord che avrei poi raggiunto anche io, ospite di lontani e dimenticati zii, emigrati alla fine dell’Ottocento; da quel che raccontava il parroco, si era dato molto da fare, lavorando mentre studiava, e si era brillantemente laureato in Legge.
Era l’idolo di tutti, naturalmente; bello, ricco di fascino, dai modi garbati, tutte noi ragazze sbavavamo per lui che passava tra di noi col distacco della superiorità culturale ma senza boria; il ricordo più vivo di lui rimase per me la volta che mi volle offrire un gelato; quando pagò per me, mi sentii scombussolare; credo di essere arrossita fino alla radice dei capelli; Mauro, quando glielo fecero notare, fece spallucce; lui si era proclamato mio promesso sposo e questo valeva per tutti.
Non era uomo di gran garbo, il mio coniuge predestinato; svogliato a scuola, concluse gli studi insieme a me, benché avesse due anni di più, perché due volte fu costretto a ripetere l’anno; dopo il diploma, non mosse un dito per cercarsi un lavoro e si dedicò al suo sport preferito, correre in moto fino in città in cerca di nuove ragazze; questo lato della sua personalità mi metteva in difficoltà ma tutti concordavano nel ritenere che gli sarebbe passata col matrimonio.
Per un puro caso si trovò al centro di una congiuntura favorevole; il parlamentare che rappresentava il territorio, in uno di quei giochini che al tempo si facevano in politica, era riuscito ad ottenere dalla più importante banca della zona la garanzia di assunzione per alcuni giovani nelle diverse agenzie sparse in Italia; a Mauro fu offerta l’ultima sede disponibile, in un quartiere semiperiferico della metropoli del Nord; accettare fu doveroso ed immediato.
Il corollario automatico fu che mi sposasse al più presto, per rispettare convenzioni ed abitudini radicate; era il mio promesso sposo, doveva emigrare al nord, lo doveva fare con la moglie; in tempi rapidi, le nozze furono concordate e mi trovai davanti all’altare, col velo bianco, a promettere eterna fedeltà ad un ragazzino che ancora non sembrava avere coscienza delle responsabilità che con quel gesto andava ad assumere; io speravo in una vita nuova, totalmente.
Le mie speranze si rivelarono presto illusorie; Mauro non aveva nessuna intenzione di cambiare le sue abitudini; anzi, l’ambiente e il clima profondamente diversi che trovammo nella metropoli lo spinsero inesorabilmente a radicalizzare la sua condotta per lo meno discutibile; facendo leva anche sul fatto di essere un bambinone che suscitava tenerezza e sul fascino del giovane meridionale belloccio, scuro di pelle e di pelo, un poco ‘saracino’, ebbe modo di dare sfogo alla sua natura lussuriosa
A me riservò il ruolo atavico della donna al focolare; quasi non mi consentiva di uscire di casa, imponendomi di lesinare sullo stipendio non altissimo per far quadrare il bilancio; mi lasciava spesso sola la sera per andare con i suoi amorazzi e mi possedeva svogliatamente il sabato sera, quasi adempiendo ad un dovere fastidioso; di contro, trovava in me la classica bambola di gomma con l’aggravante della moglie meridionale nel senso più deteriore del termine, supina e inerte.
Nei primi tre mesi di vita nella metropoli, non conobbi mai un orgasmo né il piacere dell’amore fisico; ripensandoci, non c’era nessuna forma d’amore, ma solo la condiscendenza a leggi ataviche non scritte; in qualche modo, trovavo più accettabile la condizione di ‘vedove bianche’ con cui si definivano le mogli degli emigrati stagionali che tornavano in paese per un paio di settimane, nel mese di agosto.
A trarmi fuori da quella situazione fu una vicina che più volte espresse rammarico che con il mio diploma stessi in casa a spignattare e passare lo straccio; diceva che molte attività commerciali pagavano bene i ragionieri per tenere i conti, fare le buste paga ed occuparsi delle tasse; si dichiarava convinta che con un pizzico di fortuna avrei potuto guadagnare un secondo stipendio ed alleviare la nostra condizione economica.
Fu la molla che spinse Mauro a darmi appuntamento in centro dove avrei potuto rivolgermi ad uffici per il collocamento e andare, ad ora di pranzo, alla mensa che lui frequentava con i suoi colleghi, qualcuno anche compagno di avventure erotiche piuttosto ‘al limite’; mi sbrigai in fretta e mi fermai al bar accanto alla banca; ordinai un caffè e mi sedetti ad un tavolo.
“Dio mio, è mai possibile? Sei Immacolata!”
Mi colpì dietro la nuca non tanto la frase quanto il suono della voce; avrei riconosciuto anche in un coro quella di Giancarlo; mi alzai e mi girai di scatto; quasi gli finii addosso; mi baciò con enfasi le due guance; come in uno strano flashback arrossii fino alla radice dei capelli.
“Giancarlo, ti prego; aspetto mio marito … “
“E allora? Neppure un bacetto sulle guance posso dare ad un’amica carissima che ritrovo dopo tanti anni così lontano da casa?”
Nei successivi dieci minuti ci eravamo raccontati tutto, io del mio matrimonio conseguente all’impiego di Mauro; naturalmente, tacqui la mia delusione sul piano amoroso; lui la sua odissea per laurearsi, facendo mille lavori per mantenersi agli studi; la pratica in un ufficio legale importante e, infine, il desiderio di aprire uno studio suo; disponeva di un piccolo appartamento, ereditato dagli zii, ora defunti, e sperava di ‘decollare’ col suo lavoro.
Mentre ci gingillavamo tra il caffè e i ricordi che ci aggredivano, Loredana, la figlia del proprietario del locale, gli sottopose una questione di contabilità; Giancarlo le disse che ero io l’esperta della questione e mi passò le carte; con un’occhiata capii che era una sciocchezza ma avrei avuto bisogno di un posto dove lavorare per risolverla; la ragazza si lamentò che il loro ragioniere prendeva fino a centomila lire per quella incombenza e rimandava sempre alle calende greche.
Se avessi potuto disporre di un computer, ero in grado di fare in breve il lavoro; Giancarlo mi fece presente che lui disponeva del computer in ufficio e che una stanza vuota poteva ‘affittarmela’ per realizzare uno studio commerciale annesso al suo legale; quasi per aggiungere fiamma al fuoco, la ragazza disse a lui che tutti i negozianti dell’area sarebbero stati felici di passare con la nuova ragioniera; con un breve calcolo, realizzai che con dieci persone avrei guadagnato, in qualche ora, lo stipendio di Mauro.
Mio marito, sopraggiunto, dopo i saluti e i convenevoli, fu messo al corrente dell’ipotesi; istintivamente, scattò in un rifiuto categorico; con mia sorpresa, saltò su una delle sue colleghe, Ada, quella che nelle mie scarne informazioni era la più libertina; gliene disse di tutti i colori, da troglodita ad imbecille che gettava alle ortiche il miglioramento della famiglia; giurò sulla correttezza di Giancarlo, che conosceva bene; alla fine Mauro si convinse ed abbassò la cresta.
Passai il pomeriggio con lui, nel suo ufficio, a sbrigare pratiche fiscali con i commercianti di tutto il quartiere; non sapevo se essere più emozionata di viverlo così a lungo, così da vicino, per tanto tempo, o se invece gioire soprattutto per le banconote che ciascuno degli ‘assistiti’ mi lasciava al termine di ogni operazione; quando Giancarlo mi disse che prima di uscire doveva parlarmi in privato, mi misi istintivamente sulle difensive perché temevo accennasse all’amore che cominciava a nascere.
Si limitò invece a suggerirmi di rendere stabile la struttura; anche lui se ne era avvantaggiato perché i negozianti che erano venuti per la pratica delle tasse gli avevano poi affidato incarichi legali; andava bene per tutti e due; respirai di sollievo; ma lui aveva capito bene la situazione, dopo lo scatto di mio marito; mi suggerì di non depositare sul conto comune tutto l’incasso, ma di crearmi un conto al quale attingere in caso di necessità; non mi era tutto chiaro, ma avvertii che mi suggeriva tanta prudenza.
In pochi mesi, il mio giro di affari crebbe a dismisura, grazie al mio impegno assiduo; al passaparola che celebrava le mie qualità; al sostegno di Giancarlo che non solo mise a mia disposizione i locali e le attrezzature, ma ne adeguò molte alle mie esigenze; ed infine anche grazie anche alle indicazioni delle colleghe di mio marito, che furono le vere autrici della mia trasformazione, da che rappresentavo un vero ostacolo alle loro abitudini libertine con Mauro.
La più feroce, all’inizio, era stata Ada, per la quale ero ‘Maria Goretti’, una sorta di vergine sprecata; decisamente desiderosa di coinvolgere nei suoi giochi sessuali preferiti Giancarlo, non mi rimproverava tanto la cieca fedeltà a mio marito, che lei riteneva indegno di tanta dedizione, visto che si dava tanto da fare ogni giorno con una donna diversa e che partecipava ai loro ‘giochi trasgressivi’ con un’impiegata del loro ufficio, concedendomi la rituale ‘copula del sabato sera’.
Quello che non mi perdonava e che considerava quasi sacrilegio era vedermi innamorata cotta di Giancarlo, di osservare che lui stravedeva per me e sapere per certo che, in lunghe giornate trascorse gomito a gomito, mai avessi provato a sedurlo né gli avessi dato spazio per fare una qualsiasi avance; poiché era in una certa confidenza con lui, sapeva per certo che non c’era stato mai niente tra noi due; finiva per maledire lui, mio marito e soprattutto me che ‘sprecavo tanto ben di dio’.
In cambio, era prodiga di consigli e di suggerimenti sull’abbigliamento, sul portamento, insomma mi insegnava ad avere la classe di cui lei era largamente dotata; il rapporto aperto con suo marito, che partecipava a tutte le sue perversioni con la convinzione del grande innamorato, me la faceva in parte invidiare; ma dentro di me cresceva soprattutto la passione per Giancarlo, che lei mi invidiava moltissimo; e mi resi conto presto di camminare sul filo di un rasoio.
Samantha, invece, era un’amica preziosa; espertissima di questioni bancarie, tendeva a ‘nascondersi’ perché in adorazione del marito di cui condivideva la passione per le situazioni ‘al limite’ con le quali riempivano i fine settimana; esperta di passaggi, movimenti e burocrazia, mi suggerì presto i meccanismi e i personaggi per dare una svolta all’attività; in pochi mesi, fui in grado di organizzare il gioco detto nell’ambiente ‘delle scatole cinesi’ col quale riuscivo a fare sparire denaro in conti esteri segreti.
Con la complicità di alcuni cassieri, riuscii a mettere in piedi un meccanismo, assolutamente legale, col quale potevo costituire in banche off shore capitali per clienti ricchi vogliosi di assicurarsi una ‘via di fuga’ in caso di emergenza; una certa percentuale dei beni finiva in un mio conto segreto, di cui mio marito non sapeva niente; per lui, in fondo, l’ideale era che guadagnassi abbastanza da consentirgli di fare la vita che voleva senza preoccuparsi di limiti di spesa.
In cambio, mi proponeva settimanalmente l’accoppiamento ‘sindacale’ al quale presto rinunciai perché non provavo niente ed accampai emicranie per stargli lontano; dall’altro lato, il desiderio mi urgeva impellente e dovevo fare sforzi per non essere io a dichiararmi con Giancarlo; il solo fatto di sapere che, al di là di una porta, il mio ufficio si apriva sulla sua camera da letto era ogni giorno fonte di sogni ad occhi aperti di cui non riuscivo a focalizzare i termini.
Una sera che avevamo chiuso ambedue un lavoro importante e produttivo, ci trovammo assai vicini ad esultare di gioia; istintivamente lo abbracciai, mi prese per la vita, mi strinse e mi baciò; Maria Goretti in me si ribellò e fui tentata di respingerlo; ma Immacolata, ormai non più, si sentì ardere di voglia, si strinse a lui e sentì la sua mascolinità premere contro il ventre; per la prima volta in vita mia, mi strofinai contro un sesso finché mi sentii bagnare.
Quasi contemporaneamente sentii che lui si illanguidiva tra le mie braccia e mi baciava lentamente, dolcemente, su tutto il viso, palpandomi il seno e le natiche; gli imposi di fermarsi, per favore, di non superare il fosso che ci avrebbe portato a fare l’irreparabile; si fermò e mi avvertì che doveva andare in bagno e cambiarsi.
“Hai eiaculato nello slip?”
Gli chiesi timorosa.
“Si. A te non è successo niente?”
“Ho avuto anch’io il primo vero orgasmo della mia vita … ma non ho uno slip per cambiarmi … “
“La prima volta? Ma non fai sesso con tuo marito?”
“Non sa farmi godere; lui mi possiede; tu mi hai catturato nella ragnatela del tuo amore … “
“No, Imma, sei stata tu che mi hai tirato dentro; per una donna è quasi normale godere da sopra ai vestiti; ad un uomo, può succedere solo quando è pazzamente eccitato dalla donna che sta baciando; tu hai sconvolto il mio essere.”
“Mi dispiace; non volevo farti star male … “
“Chi lo dice che sto male? Io sono felice; mi è mancato il finale incandescente, ma ora so che non sono solo io ad amarti; prima o poi, ti avrò, perché non posso fare a meno di te … “
“Ti prego, non mi spingere troppo oltre; io sono obbligata alla fedeltà da un giuramento … “
“A parte che lui quel giuramento l’ha calpestato assai prima di pronunciarlo e se c’è un poco di equità, faresti solo il tuo dovere se ti lasciassi andare; a parte che certi giuramenti, dopo l’introduzione del divorzio, hanno perso valore; a parte che l’amore è sempre il dominatore assoluto delle nostre azioni; a parte tutto, ti amo e mi ami; questo è quello che conta.”
“Sta’ zitto, per favore; non vedi come mi è difficile perfino frenare la parola che mi brucia il cervello, il cuore, la lingua … “
“No, io ti chiamo amore, perché sei il mio amore … “
“Già; poi mi scappa di dirlo in pubblico, davanti a mio marito; lui mi ammazza, mio padre ammazza lui, mio suocero ammazza mio padre e comincia la faida … “
“Mauro non ammazza nessuno; al massimo, protesterà perché perde la gallina dalle uova d’oro … “
“Che gallina?”
“Amore, vatti a lavare e resta senza slip, tanto è di moda …. Tu sei, per tuo marito, la gallina dalle uova d’oro … Non ti sei accorta che fa grandi regali in giro, alle sue amanti anche occasionali?”
“Stai dicendo che sfrutta la ricchezza che produco per farsi bello con le donne?”
“Senti, amore; parla con Samantha e falle verificare voce per voce gli ultimi due mesi; capirai qualcosa, visto che di numeri e ne intendi.”
Aveva ragione; mi ci volle poco a stabilire che persino Ada indossava una collana regalata da Mauro; glielo chiesi e mi confermò.
“Hai visto che bel regalo mi hai fatto?”
Ironizzò.
“Tu sapevi?”
“Ragazza, devi crescere, in fretta, senza esitazioni e senza rimorsi; io al tuo posto lo ripagherei di ogni centesimo … “
“E Maria Goretti?”
“Ammazzala; anzi, falla ammazzare con l’arma più potente al mondo … “
Non riuscivo a capire; ero frastornata; un intero mondo mi crollava intorno, dal marito, infedele e indegno, all’amore che mi rendeva colpevole non sapevo neppure io di cosa, alla scaltrezza di questa donna che, alla mia stessa età, era assai più matura di me; ancora le fiamme dell’inferno aleggiavano nella mia mente confusa dalle ragnatele dell’educazione al paese; ma lo stesso corpo si ribellava e sentivo feroce l’istinto a vivere il mio amore anche fisicamente; era sempre più difficile lavorare con lui.
“Sabato sera si celebra la cena annuale dell’Associazione Commercianti; tu ne hai una bella fetta tra i tuoi clienti; che ne diresti di andarci insieme?”
“Come faccio? Mio marito mi uccide se glielo chiedo; non ho un vestito adatto all’occasione; non so come ci si muove in quell’ambiente … Vuoi mettermi in imbarazzo?”
“Allora, in ordine. Voglio che ti liberi dal matrimonio come oppressione, non ti chiedo di divorziare, ma di rivendicare la tua autonomia; sei più ricca di tuo marito, sei libera come ogni individuo, hai dei doveri sociali; se lui si abbarbica ad abitudini da cavernicoli, tu hai il dovere di batterti; chiedi ad Ada; lei saprà senz’altro consigliarti.
Secondo, devi uscire dal fagotto del tuo tailleur; sei una donna bellissima, assai più di tante che si propongono da vamp; devi farlo emergere; va in un centro estetico e fai risplendere la tua bellezza, compra vestiti che la facciano risaltare, sii più donna e più femmina; sei tanta e ti amo da morire, ma puoi diventare unica e sbalordire il mondo; anche qui Ada è vitale.
Se accetti, sarai accompagnata alla cena dal cavaliere più ammirato e più elegante della città, mi farò bellissimo per te e vedremo solo uomini e donne inginocchiarsi al tuo passaggio; ogni tua piccola gaffe sarà interpretata come un vezzo di primadonna. Ti prego, non contarmi frottole; decidi solo se vuoi sbocciare o appassire.”
“Sbocciare? Con te vicino? Cambiare tutto ma non il mio amore per te? Va bene. Parlo con Ada; se è il caso lascio mio marito; ma poi tu mi accogli nella tua vita e mi dai lo spazio di cui ho bisogno … “
“Amore, stai preparandoti al divorzio? Sarò felice di rappresentarti … “
“No, niente divorzio … per ora … almeno. Soltanto uscire dal guscio e provare a volare … a patto che tu fai il controllore del mio primo volo e mi impedisci di andare a sbattere … “
“Parla con Ada, vai al centro estetico il cui proprietario si serve di te per evadere le tasse; fatti fare tutto quello che serve ad essere bella, secondo il vangelo di Ada; compra il vestito più bello che trovi e vieni a cena con me. Poi parleremo del futuro, se vorrai.”
“Se ti bacio, poi non devi cambiarti anche stavolta? … “
“Non te lo posso assicurare; io sto ancora aspettando di sentire cosa è fare l’amore con te … “
“Mi sa che ci stiamo avvicinando pericolosamente al limite estremo … “
Aveva ragione lui e Ada si rivelò perfetta; quando affrontai Mauro, c’era lei con me e si accarezzava la collana regalatale da mio marito; lui capì presto e, dopo qualche esitante resistenza, cedette completamente; per quel sabato, avevano progettato una ‘fuga’ al mare per il fine settimana; quindi ero libera di fare quel volevo; guardai Ada negli occhi e il diavolo tentatore si insinuò tra i miei pensieri; sorrise e accennò di si con la testa; stavo per saltare il fosso.
Mi accompagnò al centro estetico e mi guidò in un mondo sconosciuto e strabiliante; alla reception c’era una gran bella ragazza che ci chiese se avevamo prenotato; io balbettai qualcosa; Ada prese in mano le redini della situazione.
“Se può contattare il proprietario, gli dica per favore che c’è la signora Imma che ha bisogno di parlargli.”
“Lei è la consulente fiscale?”
“Non io; lei.”
Mentre telefonava, la ragazza prese dei moduli e ce li sottopose; scambiò due frasi con un interlocutore, poi strappò i moduli e ci fece accomodare; cominciò per me un viaggio tra le nuvole e il paradiso; il momento più delicato fu quando Ada mi ‘trascinò’ all’epilazione; mi stesero su un lettino, cominciarono a spogliarmi ed io mi agitavo e arrossivo; su quello a fianco si stese Ada che espose serenamente le sue intimità; un giovane di bella presenza si accostò a lei e cominciò il lavoro.
Intanto, un altro ragazzo, più giovane e carino, provvedeva a denudarmi e a prepararmi per l’epilazione; fu un’operazione lunghissima, che a me apparve infinita, perché per la prima volta mi trovavo completamente nuda in mano ad un maschio; neppure con mio marito mi era capitato di farlo con tanta naturalezza; mi volsi a guardare la mia compagna e notai una grande soddisfazione sul suo volto, perché l’epilatore stava operando sulla sua vulva e la titillava apertamente.
Sentii nettamente il suo gemito da orgasmo ed ebbi paura che mi potesse capitare la stessa cosa; guardai il ragazzo che si occupava di me e ne registrai lo sguardo fisso, quasi incantato; se n’era accorta anche Ada che lo rimproverò scherzosamente.
“E’ la prima donna nuda che vedi?”
“No, signora; ne passano una decina al giorno, qui; ma così bella, armoniosa … perfetta … è la prima volta … “
“Davvero?!?! Mi pare strano, se dici che ne passano decine … “
Intervenne l’altro.
“No, ha ragione; lei è decisamente bellissima ma la sua amica ha qualcosa in più; è una questione di millimetri, forse di micron, ma si avverte nelle sue forme un’armonia particolare; diciamo che è molto affascinante … “
“Hai capito la Maria Goretti?!?! E tuo marito non se n’è mai accorto?”
“Ada, mi metti in imbarazzo; è la prima volta che mi lascio guardare da un uomo in questa posizione … “
“E sei una stupida! Tu sei bellissima, te lo dice una donna che dovrebbe odiarti perché sei più bella; ma sono ammirata anch’io; quando ti avranno ripulita, sarai un monumento della perfezione femminile.”
“Ma vai al diavolo … per favore, non perda tempo … “
Ma i commenti mi avevano profondamente colpito; non mi ero mai presa sul serio, come donna affascinante; e lo scoprivo adesso che la mia vita era ad una svolta decisiva; mi rilassai e mi abbandonai al piacere di un torturatore che percorreva tutto il mio corpo, fin nelle più intime fibre, e mi liberava di ogni accenno di peluria; poi mi sorse un dubbio.
“Ma dovrei fare frequentemente questo lavoro?”
“Completo, tre o quattro volte all’anno; per singole parti, anche più spesso; ma non c’è problema; noi siamo sempre qui e dalla tessera rilevo che lei è un’ospite di grande riguardo; non avrà aggravi di spesa se vuole essere sempre perfetta.”
“Va bene … va bene … Poi ti ammazzo, per questo.”
Ma sorrisi ad Ada mentre lo dicevo e lei sorrise a me.
Poi fu la volta del massaggiatore; ma già mi ero adattata ai complimenti ed alla carezza degli operatori; quando completammo il giro, era pomeriggio avanzato; avevamo passato l’intera giornata tra massaggi, piscine, saune, parrucchiere e quant’altro; quando mi vidi allo specchio, solo con un accappatoio addosso, non mi riconoscevo; ero infinitamente più bella, più affascinante, un’altra cosa da me stessa; Ada mi baciò sulla guancia, quasi commossa.
Mentre ci avviavamo all’uscita, sopraggiunse la ragazza della reception che ci fece fermare e ci fece assistere ad un vero e proprio defilé di modelli, invitandomi a scegliere quello che preferivo; guidata da Ada, ne scelsi uno azzurro da sera; mentre ci chiedevamo cosa significasse, si presentò il proprietario che conoscevo; mi fece i complimenti per la bellezza e chiarì che il vestito era un suo personale omaggio; ero imbarazzata ma la mia amica mi spinse a tacere.
Poi si accese una sorta di scaramuccia tra i due, con lei che ammirava la forma smagliante dell’uomo che provocatoriamente le chiedeva se per caso collezionava bei giovanotti; a furia di beccarsi, lei gli propose apertamente di incontrarlo insieme a suo marito; di fronte all’obiezione che lui non aveva una donna da proporre con sé, la ragazza, che si qualificò come sua figlia, dichiarò ammirazione per Ada e si propose come quarta nello scambio; se non accettava l’incesto, era suo padre che ci perdeva.
Ero allibita, ma mi sforzavo di non darlo a vedere; amore saffico ed incesto erano per me termini quasi proibiti; Ada invece organizzava coi due, previo accordo col marito, per incontrarsi in una Spa che i due possedevano in centro città due domeniche dopo, visto che quella successiva la mia amica l’aveva già impegnata e che potevano sfruttare la Spa vuota solo la domenica, giorno di chiusura.
Cercai di avere una spiegazione con Ada, ma si limitò a dirmi che amava moltissimo suo marito e che lui la ricambiava, ma avevano questa passione e la risolvevano insieme; sesso agli altri, amore tra di loro; a me suonava assurdo, ma per lei era normale come condizione; d’altronde, mi rivelò, aveva fatto sesso con mio marito in presenza del suo che copulava con l’accompagnatrice di Mauro; erano altri modi di vita, che potevo benissimo ignorare; ed io non volevo sentirne parlare.
La seduta si concluse con la scelta dei due abiti, uno per ciascuna; in cambio, l’imprenditore mi chiese di realizzare per lui una manovra alquanto delicata per la quale ero la persona più adatta; istigata dalla mia amica, non esitai ad accettare; questo mi fruttò una collana di lapislazzuli perfetta col vestito che avevo scelto e con le scarpe annesse; uscii dal centro totalmente rinnovata, carica di borse impreviste, ma soprattutto frastornata dalle novità che mi avevano aggredito; Ada mi accompagnò a casa e mi lasciò con una dolcissima raccomandazione.
“Imma, manda al diavolo i sensi di colpa; la vita è tua e tu sei la tua vita; tutto il mondo ti sta dimostrando che vali, che sei bella, professionale e che puoi essere determinata ed utile agli altri. Non svenderti ad un matrimonio sbagliato; scegli la strada e fatti guidare dal cuore; sei stata fin troppo prudente. Ti voglio bene e vorrei saperti felice, sul serio.”
Aveva quasi le lacrime agli occhi, ma forse anche per la felicità dell’esperienza che le era valsa assai più di quel che sperava; mio marito non c’era, avrei dovuto cenare da sola e non me la sentivo; con un colpo di follia, telefonai a Giancarlo.
“Ciao, amore mio; quell’imbecille non viene a cena; non mi va di mangiare da sola. Non sai come sono bella e diversa!”
“Passo a prenderti! Click.”
Mi sentivo stordita, avevo compiuto un gesto di cui nemmeno mi sarei ritenuta capace; cosa avrei fatto adesso? Avrei deciso di fare l’amore con lui, finalmente, o l’avrei ancora costretto a subire le mie fobie? Indossai in fretta il vestito migliore che avevo, non quello regalatomi per la cena, e decisi che mi sarei affidata alla situazione; quando Giancarlo suonò dal cancello, scesi col cuore in gola e mi lanciai fra le sue braccia; restò stupito poi mi baciò.
“Sei immensa, ineffabile, meravigliosa … E se ci vedesse qualcuno?”
“Non mi interessa … sono felice … Ti amo e non riesco ad impedirmi di amarti … “
“Andiamo a cena; è più prudente … Avrei scommesso che saresti esplosa sabato, ma tu fai sempre tutto in fretta … “
“Non stiamo andando a fare l’amore … Non ancora … stiamo andando solo a cena .. per ora … Come mi trovi?”
“Devo dirti che sei la personificazione della bellezza? Vuoi che usi tutto il dizionario degli aggettivi per celebrare la tua immensità? Non ti basta l’incanto dei miei occhi?”
“No, voglio sentirti dire che mi ami, che mi desideri, che mi farai vivere l’amore più bello del mondo … ti voglio, ti desidero, ti amo, non ce la faccio più … “
“Amore, andiamo a cena e godiamoci la serata da innamorati veri; per il resto avremo tempo.”
Scegliemmo un locale intimo, un poco fuori mano; passammo la serata a guardarci negli occhi, a carezzarci, a sentirci ed essere innamorati; era la prima volta, in tutta la vita, che vivevo quella situazione e mi sembrava che fosse un attimo di eternità sempre vissuto nel cuore, nella mente, nel desiderio; non mi stancavo di guardarlo, di farmi guardare, di accarezzargli le mani; non potevamo baciarci in pubblico, senza scandalo, ma era come lo facessimo ogni istante.
Al momento di tornare, mi si pose la domanda del che fare, se andare con Giancarlo e fare l’amore, lasciando di colpo mio marito a rischio di scatenare una faida; se aspettare il sabato quando avremmo avuto davanti la possibilità di un week end tutto nostro e, se ci fossimo incontrati anche sul terreno dell’amore fisico, avviare un processo concreto di separazione; o se creare una situazione di ‘clandestinità’ in cui immergermi con tutti i sensi di colpa conseguenti.
Mentre la testa mi fumava tra tanti interrogativi, lui mi riportava correttamente a casa; parcheggiò davanti al cancello e spense il motore; mi girai per baciarlo, ma mi bloccò.
“Guarda, tuo marito!”
Quello che vidi mi strinse il cuore; Mauro era riverso sull’ultimo gradino davanti al portone e si rotolava nel suo vomito; mi precipitai a soccorrerlo e Giancarlo mi aiutò; lo trascinammo alla meglio all’ascensore e in casa; lo misi a letto; lui si fermò nel salotto e attese che lo sistemassi; quando tornai da lui, istintivamente gli finii tra le braccia, appoggiai la testa sulla spalla e piansi; il suo amore esplose quasi con violenza; prese a baciarmi le gote leccando le mie lacrime, mi baciava sugli occhi e infine sulla bocca, spinse la lingua, socchiusi le labbra e mi lasciai penetrare, quasi mi stesse sverginando.
Quel bacio era la cosa più bella che avessi mai avuto nella mia vita; mi stringevo a lui gli succhiavo la lingua, sentivo il sesso strofinarsi contro il mio inguine e desideravo fino alla sofferenza che mi prendesse lì, in piedi, a due passi da mio marito che russava; si limitò ad abbassare una mano, sollevare la gonna e raggiungere lo slip; mi sciolsi in un languore mai provato; riuscivo solo a baciarlo intensamente e a lasciare che si impossessasse di me, del mio sesso, del mio amore per lui.
Il movimento del dito sul clitoride mi fece scoppiare negli occhi uno scintillio mai visto di stelline; trovai la forza di gemere qualche ‘si’ incomprensibile; poi esplosi con tutta la forza di anni di sesso represso; mi sentii il ventre aprire e desiderai che lo riempisse col suo fallo, che mi violentasse, che mi squartasse col suo amore; adesso capivo che cosa stava uccidendo la Maria Goretti in me; era il suo pene che diventava tramite tra cielo e terra, tra amore e sesso; ora lo volevo, ad ogni costo.
Una protesta borbottata confusamente da Mauro in camera ci svegliò dall’incantesimo che ci aveva avvolti; lui si fermò guardandomi quasi a chiedermi di decidere una volta per tutte; non me la sentii di sparare sulla croce rossa.
“Amore, sabato sarò tutta tua; stasera lasciami fare ancora la crocerossina; non sai quanto ti amo e cosa significhi questo bacio per me; ma stasera devo ancora essere pietosa, prima che egoista. Ti chiedo di aspettare qualche giorno.”
“Imma, ti aspetto da tanto tempo che qualche giorno in più non è tanto duro da sopportare; ma ti prego di scegliere; non puoi tenermi in frigo per sempre; non voglio essere l’amante clandestino. Sabato ti voglio sentire innamorata anche col corpo, come stasera; poi deciderai; spero che andremo a vivere insieme.”
“Ti assicuro che sono decisa a rompere il matrimonio e a vivere con te; ma per questa sera lasciami essere ancora riflessiva; anche la mia pazienza è esaurita, ma non voglio maramaldeggiare; quando sarà in grado di capire, lo metterò davanti alla realtà; tu sei la mia realtà.”
Il venerdì pomeriggio, la ‘pattuglia degli amici gaudenti’, prendendosi poche ore di permesso, anticipò la partenza e scomparve con due macchine verso una località non dichiarata; sarebbero rientrati direttamente il lunedì mattina, in tempo per l’apertura della banca dove tutti lavoravano; rimasi per un attimo perplessa, quasi spiazzata; poi ci ripensai e capii che era giunto il momento della verità; decisi di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Subito dopo pranzo, andai a casa, misi in una borsa poche cose utili, presi gli acquisti fatti al centro estetico e mi presentai a Giancarlo.
“Stasera dormo da te … con te.”
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