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Lui & Lei

Francesca 2


di geniodirazza
19.03.2025    |    486    |    0 9.6
"Non dirmelo! Proprio il figlio di Concetta!” “Si, lei non so chi sia, ma so che si frequentano da un anno circa..."
Ero a casa di Francesca, nel suo letto, ma lei non c’era; dal bagno sentivo lo scrosciare della doccia che mi diceva che stava mettendosi in ordine; io ne avrei fatto a meno; almeno il sabato e la domenica avrei preferito passarli a impigrire a letto, tutt’al più impegnandomi in qualche sana copula; ma gli impegni sociali, e formali, imponevano che ci mettessimo in tiro per questa serata speciale nella quale si celebrava un non so che, forse un bel niente.
Per tutta la mattinata non feci che assistere alle operazioni di maquillage di Francesca, che non mi concesse spazio nemmeno per una masturbazione, nemmeno per un bacio più intenso. Misi il broncio a bella posta ma non la intenerii; mi decisi ad entrare anch’io in bagno e passare tutte le forche caudine del giorno; doccia, barba, profumo, taglio delle unghie e tutte le torture che le donne inventano per se stesse e per i loro maschi. Finalmente ci vestimmo ma era già ora di andare in trattoria per non restare a digiuno.
Dopo pranzo, ci spettava un leggero riposo; inutilmente provai a solleticare il desiderio che c’era, si vedeva chiaro, esplodeva in tutti i gesti ma andava tenuto sacrificato perché eravamo impegnati a fare bella figura la sera dell’esordio ufficiale tra le coppie organizzate. Maledii Nicola e tutti quelli che avevano collaborato; ma alla fine dovevo proprio adeguarmi e riposare un poco. Mi svegliai in tempo per ripetere il rituale della vestizione, stavolta meno arzigogolato e più veloce, ed infine fummo pronti per la cena.
Breve corsa al solito locale, identiche affettuosità mentre mangiavamo di buon appetito. Poi di nuovo a casa, a rimetterci in sesto, a scegliere il vestito per la sera e a farci eleganti. Come al solito, era lei che sceglieva tra le cose più preziose di Carlo, che era sempre stato un vero dandy!, che non aveva voluto dare via e che ora pretendeva che io adottassi quasi per continuità ideale tra lui e me.
Anche all’Università, quando ce n’era bisogno, erano Carlo e Francesca a vestirmi e farmi bello per le grandi occasioni. L’arrivo alla villa fu piuttosto deludente; una ricchezza volgare e smaccata, sbattuta in faccia senza dignità, uno spreco folle di soldi per statuine, fuochi effimeri e decorazioni di dubbio gusto dal cancello per tutto il viale fino alla facciata imitazione palladiana in cemento armato; il massimo della cafonaggine!
Non mi ricordavo quasi niente di questo proprietario ex compagno di studi; poi ritrovai, dietro la faccia classica del parvenu senza dignità, i tratti di un arrogante personaggio senza qualità, neppure allora, che cercava ad ogni costo di entrare nel ‘giro’ di quelli bravi. Quando incontrai Nicola, gli trasmisi tutto il mio disgusto in un solo sguardo. Si mise a ridere.
“Perché con due professioni parimenti servili, io devo sempre adattarmi e tu ti permetti il lusso di sputare su tutto?”
“Nico, tu sei sempre stato un pompiere, io un desperado. Non si cambia, col tempo; siamo gli stessi!”
Mentre parlavo con lui, vidi quasi sullo sfondo, sul bordo di una piscina decisamente kitch, la cara Mirella che si strusciava addosso ad un ragazzotto palestrato; per fortuna, la deformazione professionale mi aveva fatto portare una microcamera capace di registrare video e foto per molto tempo; ebbi l’opportunità quindi di cogliere il momento in cui lei sfilava il sesso dal costume, lo prendeva in bocca e cominciava a succhiarlo; registrai perfino l’eiaculazione sulle tette.
Subito dopo, fu lui che le spostò semplicemente lo slip del bikini per piantarle il membro in vagina. Ed io registrai. Nicola si sentì in dovere di spiegare.
“E’ Roberto, il figlio di Antimo e di Concetta; lei non puoi averla dimenticata!”
Mi battei sulla fronte.
“No. Non dirmelo! Proprio il figlio di Concetta!”
“Si, lei non so chi sia, ma so che si frequentano da un anno circa.”
“Da un anno e due mesi, per la cronaca!”
“E tu che ne sai?”
“Perché lei fino a stamane era la mia compagna!”
“No! Che casino. E ora?”
“Ora, niente. Va tutto benissimo!”
Arrivò Francesca che era andata a prendere da bere.
“Mario, ma quella tipa che fa sesso così platealmente …?“
“Si, Francesca, è Mirella … “
“Ah, quanto ti capisco!!!!”
Nel corso della serata, ci muovemmo tra gruppo e gruppo; qualcuno venne a chiedere a Francesca se si univa a quelli che volevano tirare fino a lunedì la festa andando al mare. Francesca mi prese per un braccio e rispose.
“No, grazie. Noi andiamo a casa tra poco.”
Non ebbi il tempo di interloquire.
“Mario, maledetto architetto, perché ti nascondi?”
“Oh, Dio, Concetta, piccola mia.”
Francesca trattenne il riso.
“Piccola? Forse, rispetto ad una portaerei, ci può stare!”
Una massa di carne enorme, sotto forma di un donnone, mi avvolse in una nuvola di grasso.
“Maledetto traditore, dove eri finito? Io ti sapevo in America!”
“Si qualche anno fa! Ora sono in Italia.”
“E questa bellissima ragazza è la tua compagna?”
“Beh, ancora non l’avevamo annunciato; ma come al solito tu anticipi i tempi. Si, questa è Francesca, forse la ricordi come la vedova di Carlo … “
“Oh, Dio, si carissima, sapessi che dolore! Adesso state insieme? Sono felice; siete sempre stati un trio di persone meravigliose. Sono proprio contenta.”
Ormai non la fermava nessuno.
“Conosci mio figlio? Lui è Roberto.”
“Io non conosco lui, ma credo che lui sappia tutto di me soprattutto le corna.”
“Oh bella, ma tu di quelle non sei specialista? Quelle che abbiamo fatto a mio marito erano le tue prime?”
“No, non erano le prime e non sono state le ultime, puoi giurarci. Il guaio è che adesso è il tuo figlioletto ad essere convinto di averle fatte a me! Dove scappate ragazzi? Non vedete che noi le cose le affrontiamo lealmente? Possibile che siete capaci solo di tendere imboscate o esibirvi sul palcoscenico?”
“Ma che dici? Quest’imbecille avrebbe fatto le corna a te? Deve essere ben cretina quella che si fa possedere da una simile nullità!”
Fortunatamente venne attirata da qualche altra novità e andò via.
“Cara Mirella, vedo che la vacanza non ha motivazione valida. Se lunedì non sei in ufficio alle otto e trenta sarò costretto a licenziarti.”
La frase piombò come un colpo di mortaio nella festa. Nico reagì per primo.
“Mario, che dici?”
“Che la signorina Baldi, archivista di quarta classe del mio studio, ha chiesto una licenza speciale che le è stata negata. Correttamente l’avverto che, dati i precedenti, se non si presenta in ufficio, sarà licenziata.”
“Avvocato, può fare queste minacce una persona?”
Mirella si era rivolta a Nicola.
“Quali minacce, signorina? Lei è una dipendente dello studio dell’architetto? E’ vero che ha chiesto una licenza e non l’ha avuta? Se lei non si presenta in servizio, puntualissima, lunedì mattina, l’architetto ha non solo il sacrosanto diritto di licenziarla, ma ha addirittura il dovere di farlo perché, se le perdona questo, gli altri dipendenti si possono ribellare. Se non ho capito male, lei finora ha reso poco allo studio, perché era l’amante del titolare. Ma ora le cose sono cambiate; o lei lavora o lui la licenzia.”
Mirella era stralunata e se ne andò a coda ritta. Concetta mi afferrò per un braccio.
“Mario, perdonami, tutto potevo pensare tranne che quell’imbecille di mio figlio mi mettesse in questa situazione di difficoltà. Spero che non penserai male di me.”
“Concetta, l’unica cosa che devo pensare di te l’ho detta una decina di anni fa. Sei stata la mia nave-scuola, mi hai aperto gli occhi sul mondo e te ne sarò sempre grato. Non è l’arroganza di un ragazzo che può rovinare un’amicizia vera. E io sono ancora e sempre tuo vero amico.”
“Grazie, Mario. Spero di rivederti.”
“Chissà …!”
La festa si trascinò stancamente tra i vari tentativi di ‘animare’ la compagnia ed eravamo quasi decisi, io e Francesca, a sgattaiolare alla chetichella per rifugiarci nella nostra casa, nel nostro letto, nel nostro amore. Ma Nico ne aveva ancora una da parte. Con il classico gesto delle tavolate contadine, chiese l’attenzione di tutti picchiando col cucchiaino su un bicchiere, entrò una ragazza semivestita e recò uno scatolino.
Con atteggiamenti sempre più plateali, da oratore convincente, Nico annunciò che la disgrazia della dipartita di un amico come Carlo era stata compensata dalla notizia che il suo migliore amico, Mario, e la sua vedova, Francesca, avevano deciso di rimanere coerenti alla storia di tutti, a quella personale di ciascuno e a quella dei tre amici che avevano attraversato tanti anni in affetto ed amore; annunciò quindi che Mario e Francesca andavano a vivere insieme e lui, da novello sacerdote, sanciva la nuova unione con due anelli di diamanti che gli amici avevano deciso di regalare alla nuova coppia.
Nonostante la platealità decisamente rococò del discorso, Francesca dovette trattenere una lacrimuccia ed io ero abbastanza emozionato; istintivamente ci girammo e le nostre labbra si incontrarono in un bacio dolcissimo esaltato dall’applauso degli amici; Mirella, in prima fila, sembrava mandare dalle narici il fumo della rabbia più nera.
“Come vedi, il momento di parlare è arrivato. Cosa hai da dirmi?”
“Stavolta sei tu che non hai avvisato!”
“Da quanto tempo non ci incontriamo?”
“Non so, forse da qualche settimana.”
“Di’ pure da qualche mese; esattamente dal funerale di Carlo, quando ho rivisto, dopo anni, Francesca.”
“Vuoi dire che quando hai trovato il nuovo amore già non c’era più niente tra noi?”
“Almeno fin qui ci arrivi. Da quanto tempo non abbiamo nessun rapporto fisico?”
“Non me lo ricordo.”
“Altro segno che la nostra relazione era già morta da mesi!”
“Quindi, sono stata io che ho distrutto tutto.”
“Secondo il dossier che possiedo, l’hai fatto un anno e mezzo fa. Ora cosa farai?”
“Che intendi dire?”
“Niente; meglio che non dica niente; tu non hai mai accettato il mio punto di vista che a te suona solo come imposizione.”
“E’ vero. Ma ora sto annaspando con l’acqua alla gola e ho bisogno di attaccarmi a qualcuno o a qualcosa.”
“Francesca mi è troppo cara; non posso tradirla dedicandomi a te.”
“Francesca, scusa, so che forse dovresti odiarmi o forse anche essermi grata perché è la mia imbecillità che ti ha portato a Mario. Sono nella cacca e ho bisogno di aiuto. L’unico uomo a cui posso appoggiarmi è Mario. Puoi per qualche minuto lasciare che si occupi di me come un padre, senza dubitare dei suoi sentimenti?”
“Mirella, non condivido niente di quello che fai, ma non sarò mai io a buttare giù una persona che sta cercando di uscire dal fango. Se Mario vuole assisterti, sa che lo può fare liberamente. In quanto al suo amore, non è da queste cose che lo valuto; se dimostra bontà per l’impiegata che cerca l’abito da sposa, non vedo perché dovrebbe rinunciare ad aiutare una quasi impiegata a rischio di licenziamento.”
Mirella l’abbracciò con affetto; poi si rivolse di nuovo a me.
“Mi spieghi per favore cosa volevi dire?”
“I rapporti sono di varia natura. L’amicizia è il sentimento che fa sentire simili e avvicina le persone; l’affetto è la spinta umana che ti porta verso gli altri; l’amore è l’esaltazione di questi sentimenti e porta alla comunione di sensi, anche quelli materiali, anche il sesso; la passione è l’empito che porta all’incontro fisico. E potremmo andare avanti all’infinito analizzando la simpatia, l’empatia, e tutte le forme di partecipazione.
L’errore più grave è ridurre tutto ad uno solo dei sentimenti, quasi sempre la passione o l’amore. Io forse non ti ho amato, ma ho sempre avuto per te amicizia, affetto e grande passione; tu hai fatto in modo da demolire la passione cancellando il sesso, hai distrutto l’amicizia calpestando la lealtà e la chiarezza. Resta solo l’affetto, che non è poca cosa, è fatto anche del ricordo di quello che c’era e che non ci sarà mai più ed è molto duro da scalfire.
In questo senso, forse, posso darti un aiuto; ma devi essere disposta a riceverlo e a farne tesoro.”
Francesca intervenne, all’apparenza seccata, ma in realtà perché voleva che fossi più concreto.
“Adesso, per favore, smetti la predica e parla sul serio. Sono certa che Mirella ha capito e che vuole solo sapere che cosa puoi offrire.”
“Dovrei sapere di che ha bisogno; ma, come sempre, dovrò buttarmi a indovinare. La casa puoi tenerla quanto ti pare. Non ho bisogno di quell’affitto per vivere; ma dovrai imparare a pagare un affitto; nel caso, lo devolvo in beneficenza, ma tu devi imparare a guadagnarti anche il diritto alla casa, se vuoi davvero essere libera. Ti lascio il posto di lavoro, a patto che ogni giorno che Dio manda in terra, all’orario previsto, ti presenti al lavoro e rispetti tutte le regole, dal vestito ai rapporti col pubblico al comportamento con gli altri impiegati; la libertà si esprime anche con l’educazione e il rispetto.
Dovrai imparare a vivere con 1200 euro al mese, vale a dire con quello che sei abituata a spendere in meno di una settimana. Se riesci a mantenere questa linea di condotta, io sarò sempre affettuosamente accanto a te e cercherò di alleviare il tuo bisogno di una figura paterna. Se non ce la fai, sarò severo come devo essere e ti lascerò affogare nella melma in cui dici di essere.”
“Non mi va di entrare in uno schema e ripeterlo all’infinito. Preferisco vedere cosa c’è dietro l’angolo.”
“Allora, buona fortuna!”
Anche Francesca si arrese. Cominciammo il pellegrinaggio dei saluti, delle strette di mano e dei convenevoli falsi e vuoti. Finalmente montammo in macchina e scappammo via da tutto.
Erano passati due anni da quella festa. Ci eravamo sposati, io e Francesca, ed era nato Carlo che faceva i primi ruzzoloni sul tappeto. Avevo un maledetto impegno con visitatori da vari Paesi dell’Africa per esaminare alcuni lavori in via di realizzazione, in vista di interventi analoghi in Africa. Dopo le attività rituali, al momento della cena, scoprii che a tavola c’era un gruppo di ragazze di cui non sapevo niente. Guardai con occhio feroce il coordinatore che mi venne vicino e mi sussurrò.
“Architetto, mi hanno detto che è la prassi; non ho potuto farne a meno. Mi dispiace ma è così. Lei, a fine cena, vada pure via, penseremo noi alla parte più sporca del convegno. Lei è Madama Dorè, la titolare dell’agenzia a cui ci siamo rivolti.”
“Architetto, si fa così dappertutto, mi creda. Mi meraviglia che non l’abbiano coinvolta in situazioni del genere in altre occasioni.”
“Vedo che non sono affatto di primo pelo … “
“Capisco i suoi dubbi, architetto; ma spero che lei abbia almeno sentito dire qualcosa sulla dotazione dei neri. E non si può mandare a un convegno con neri ragazze di primo pelo; ci vogliono pozzi ben profondi! Ma lei come fa ad essere così sicuro che sono donne ‘vissute’, per così dire?”
“Come avete battezzato la brunetta a capotavola?”
“Denise.”
“Dica alla signorina Mirella Baldi, alias Denise, che almeno a questa tavola poteva evitare si farsi trovare, se non altro per non dimostrare quanto il suo corpo si è sfasciato ed è decaduto in due anni!!!”
“Lei conosce Mirella?”
“Troverebbe tanto strano che fosse stata la mia compagna quando meritava di esserlo e che addirittura si è finta impiegata del mio studio per farsi mantenere?”
Proprio in quel momento, Mirella si girò verso di me, mi riconobbe e la sigaretta le cadde nel bicchiere del vino.
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