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L’azzardo - Ersilia


di geniodirazza
30.05.2024    |    8.026    |    8 8.4
"Allungai la mano e la poggiai sul suo pantalone all’altezza del pacco; delicatamente feci scivolare la cerniera; il mostro mi si presentò in tutta la sua..."
Avevamo messo su una bella famiglia, io e Carlo, nonostante l’età ancora assai giovane; c’eravamo conosciuti che io non ero ancora maggiorenne e lui si era appena iscritto all’Università; poi un eccesso di ormoni in tempesta e qualche errore di valutazione mi fecero trovare diciottenne con una figlia in arrivo; facemmo diventare, quello che sembrava un ‘incidente’, un obiettivo di vita e ci costruimmo una solida realtà.
Carlo rinunciò alle sue ambizioni di laurea e si fece aggregare nella gestione della piccola azienda; in pochi anni, quando suo padre decise di ritirarsi per l’instabilità della salute, prese le redini e in breve consolidò la sua posizione sociale ed economica; anch’io rinunciai ai miei sogni di laurea e letterari, mi trovai lavoro in un’altra fabbrica e divenni rapidamente un’impiegata efficiente e apprezzata.
Anche nel privato, eravamo molto solidali e attenti; ci amavamo molto e ben presto demmo a Laura, la primogenita, il fratellino Giorgio, completando quella che in genere, a quel tempo, si considerava la famiglia perfetta, io, mamma Ersilia, papà Carlo, la femminuccia e il maschietto; anche se non eravamo frequentatori assidui della parrocchia, godevamo di una buona fama di famiglia corretta, educata e benvoluta nel quartiere.
Nell’intimità, i nostri rapporti erano improntati alla massima correttezza; facevamo l’amore anche due volte il giorno; Carlo era raffinatissimo nel cercare di favorire i miei orgasmi con tutte le abilità che possedeva, molte quasi per istinto, molte altre per educazione; non si limitava alla copula alla missionaria, ma eravamo cresciuti insieme scoprendo tutto il fascino che i rapporti sessuali possiedono.
Con decisione ma garbatamente, m’invitò a baciargli l’asta, a succhiare la cappella non indifferente e, quindi, a prendere in bocca il fallo di oltre venti centimetri che esibiva senza ostentazione, ma usandolo nella maniera più dolce e soddisfacente che poteva; la pratica della fellazione diventò abituale nelle fasi preliminari dei nostri rapporti e, quando interrompevo la pillola per un ciclo, almeno una volta l’anno, usavo ingoiare lo sperma per farlo godere; e mi piaceva molto.
La stessa cosa avvenne quando manifestò il suo grande interesse per il mio sedere; dopo qualche lieve esitazione, accettai di farmi penetrare analmente e Carlo lo fece con tutto il garbo che da lui era lecito aspettarsi; con una lunga preparazione, con un gel lubrificante e leggermente anestetizzante, mi violò l’ano senza problemi e da allora accettavo volentieri la penetrazione nel retto, specialmente nei periodi in cui la rinuncia alla pillola rendeva quella pratica la più sicura.
In sostanza, la nostra vita scorreva sui binari più lubrificati e lineari possibili; passarono tredici anni, l’età della mia Laura, ed io mi ritrovavo ad averne trentadue completamente soddisfatta, del mio lavoro che mi garantiva una certa autonomia; del comportamento di mio marito che mi assicurava una certezza di rispetto e di dignità che non vedevo frequentemente in giro; della vita sessuale che trovavo gratificante e piena; del lavoro di lui che cresceva e garantiva sicurezza economica.
Il mio mondo idilliaco veniva messo a dura prova quasi ogni giorno, non appena varcavo la soglia dell’ufficio, dove s’incrociavano le ambizioni più smodate, quasi sempre frustrate con il conseguente senso d’insoddisfazione; le polemiche spicciole più odiose e pericolose; le gelosie tra colleghi con annessi tentativi di sgambetti; le rabbie represse e gli scontri sotterranei per l’avanzamento in carriera, spesso con colleghi da scalzare.
La parte più fastidiosa, per certi aspetti, ma anche più divertente, in alcuni momenti, erano i pettegolezzi che non si risparmiavano mai, soprattutto sui costumi sessuali e sulle abitudini a letto; il presupposto quasi inevitabile era trattare con sufficienza tutti quelli e quelle che avevano, come me, del sesso una visione ‘familiare’, regolare, pacata, legata a schemi di normalità, di buonsenso, di lealtà e di fedeltà.
Le esperienze ‘trasgressive’, confessate o semplicemente millantate, erano presentate come un curriculum di merito, per cui una si attribuiva decine di amanti, un’altra sbandierava tutte le copule fatte o le pratiche che metteva in atto nei suoi incontri, più o meno clandestini, che faceva, a suo dire, quasi ogni sera in motel compiacenti, in macchina, nei parcheggi bui, in case private o dovunque si potesse.
Per i maschi, il titolo di merito più vantato era ovviamente il numero di donne conquistate, il numero di amplessi realizzati in un incontro; le forme di rapporto che si dichiaravano capaci di mettere in atto , fino a cose assurde, per fare colpo sulle donne incontrate; la dimensione del sesso; insomma tutto il repertorio delle imbecillità, che i maschi sanno tirare fuori quando si parla di sesso, erano materia di dialogo e di dibattito in ufficio.
Il re incontrastato della situazione era Salvatore, un arrogante di origini meridionali, delle quali recava tracce nei tratti decisamente da maschio latino, vagamente ‘saracino’ secondo una vecchia canzone di moda, narcisista, capace di affascinare con lo sguardo, con l’abilità di affabulatore e con l’esibizione esasperata del pacco inguinale che avrebbe dovuto far pensare a una dotazione eccezionale ma che io ritenevo gonfiata forse con carta igienica, sul modello di un vecchio film di Verdone.
A opinione generale però, Salvatore era meno millantatore di quanto io pensassi e quasi tutte le donne della fabbrica avevano avuto almeno un’occasione per verificare la sua mazza eccezionale; continuai a rimanere scettica, finché, per caso, non mi trovai di fronte all’evidenza, quando un giorno, dopo una mattinata particolarmente stressante di lavoro, sentii la necessità di una delle pochissime sigarette che mi concedevo raramente.
In nessuno dei locali degli uffici era consentito fumare; ma da alcuni colleghi, più accaniti fumatori, avevo saputo che un magazzino in disuso aveva un balconcino che affacciava su un cortile interno; affacciati a quello striminzito balcone, la maggior parte di loro si lasciava andare al piacere proibito della sigaretta; mi ci recai velocemente, uscii sul balcone e richiusi dietro di me le ante, rimanendo fuori vista, per prudenza.
Spento il mozzicone, mi accingevo a rientrare, quando fui bloccata dalla presenza, nel magazzino, di due persone; una, era il collega Salvatore; l’altra, un’operaia che qualche volta avevo intravisto, una rossa molto vistosa con un gran seno e dei fianchi abbondanti, con cosce lunghe e statuarie; il viso era di una bellezza alquanto volgare, con una bocca larga e carnosa, della quale i miei colleghi avrebbero certamente detto che era la bocca ideale per la fellazione.
Quando percepii la loro presenza, erano avvinghiati in un bacio di enorme passione; lui le teneva con le due mani le chiappe piene e carnose e le spingeva il pube contro, quasi a volerla penetrare già da vestiti; lei gli stava avvinghiata e lo divorava letteralmente infilandogli la lingua nella bocca, probabilmente provocandogli un’intensa eccitazione; i due corpi si muovevano già con frenesia, immaginando forse l’accoppiamento a cui si preparavano con gioia.
Quando si staccarono, notai il gonfiore innaturale del pantalone di lui all’altezza del sesso e la prorompenza del seno di lei che si offriva apertamente alle mani di lui che le accarezzava le tette cercando con le dita i capezzoli che s’intuivano irti e duri; quando lei aprì lo zip del pantalone e tirò fuori la verga, rimasi per un attimo sbalordita; ero abituata al sesso di mio marito che non era da meno, ma in quella condizione mi apparve enorme, quella massa.
La rossa si abbassò sulle ginocchia, spinta da lui che le faceva pressione sulle spalle; prese a due mani la mazza e la manipolò un poco, poi accostò la bocca e la ingoiò intera, fin quasi ai peli del pube; avevo spesso preso in bocca l’arnese di Carlo che raggiungeva quella stazza, ma la disinvoltura con cui la ragazza ingoiò quel manganello mi colpì; succhiò rumorosamente, si fece copulare un paio di volte in bocca e cercò di farlo eiaculare.
Ma Salvatore non si accontentava di una fellatio; sfilò l’asta, sollevò la ragazza per le ascelle, la fece girare e appoggiare col seno su una scrivania lì a fianco; senza esitazione, senza preparazione senza delicatezza la penetrò in vagina; sentii netto l’urlo.
“No, lì no, non sono protetta!”
Ancor più meravigliata, vidi lui sfilare la mazza dalla vagina, spostare la punta più in alto e infilarla nell’ano senza pietà; tremai all’idea del dolore che poteva provare; ma lei si limitò a gemere di lussuria e spinse indietro il sedere finché fu penetrata completamente; le copulò nel retto per qualche minuto, trattenendola per il seno che pendeva sulla scrivania; fu forse la pecorina più rapida che mi fosse capitato di registrare; dai grugniti di lui e dai gemiti di lei, capii che stavano godendo.
Trattennero il grido che persino a me, semplice spettatrice, sorgeva inarrestabile dal profondo della vagina; lui strinse al ventre il sedere carnoso e ampio e sembrò scaricarle nel corpo un’eiaculazione lunga e saporita; lei aveva delle strane smorfie, forse a ogni schizzo di lui nel retto, e godeva chiaramente molto, spingendosi contro il suo ventre; lui uscì fin troppo in fretta e lei dovette trattenere un urlo feroce; lui si pulì con un fazzolettino, le diede un buffetto e andò via.
La ragazza appallottolò alcuni fazzolettini, infilò il tampone provvisorio nel perizoma e si allontanò con una certa cautela, essendo del tutto fuori area; a quel punto, uscii dal balcone, attraversai il magazzino e corsi velocemente nel bagno; avevo bisogno di masturbarmi, dopo la scena a cui avevo assistito; intravidi la rossa che s’infilava in una delle cabine; mi accarezzai a lungo la vulva, catturai il clitoride, lo tormentai un poco con negli occhi la copula a cui avevo assistito e godetti con gioia.
Non conservai a lungo il ricordo di quell’evento, ma mi dovetti arrendere alla certezza che Salvatore aveva un bell’arnese, per lo meno all’altezza di quello che una volta il giorno mi sollazzava la vagina con mia grande gioia; ma non me ne preoccupai e mi dedicai al lavoro; fu Salvatore invece a cominciare a interessarsi a me con maggiore attenzione, quasi avesse scoperto che avevo visto il suo ‘biglietto da visita’; ma gli dissi che era meglio se smetteva di disturbarmi.
Tra le cose che meno mi affascinavano del mio lavoro, c’era l’incontro che, mensilmente, veniva organizzato tra tutti i lavoratori, nel tentativo di far crescere il senso di appartenenza e la fiducia reciproca tra gli operatori dello stesso sistema; in fondo, si trattava solo di una festa d’intrattenimento con pochi discorsi, un buffet per cena in piedi e tanti pettegolezzi di poco diversi da quelli che circolavano negli uffici; ma era caldamente suggerito di partecipare.
Carlo puntualmente declinava l’invito a intervenire come familiare, perché non voleva lasciare a casa soli i bambini; non gli andava di chiamare una baby sitter per quelle ore che definiva di noia istituzionale; neanche voleva ricorrere ai nonni; mi lasciava ampia libertà, riponendo in me la massima fiducia che avrei partecipato alla cerimonia come fatto di ufficio e non come ‘vacanza’ da una qualsiasi forma di ‘oppressione domestica’; assolutamente non lo sfiorava l’idea di una trasgressione.
Poiché non amavo guidare e avevamo solo una macchina, preferivo farmi passare a prendere da una collega che viaggiava sola; quel mese, come di solito faceva, mi venne a prendere nel primo pomeriggio e ci recammo alla festa che aveva luogo in un salone alquanto distante dalla città; in mezz’ora di viaggio, Palmira mi condusse a destinazione, salimmo insieme e per qualche ora soffocai la noia in chiacchiere vuote con qualche amica.
Quando si avvicinava l’ora di rientrare, vidi quasi con terrore che Palmira aveva ‘legato’ con un ragazzo di un altro reparto; che si stava facendo trascinare a bere oltre il lecito; che in breve era completamente persa per l’altro; non mi meravigliai quindi che mi dicesse fuori dai denti che non sarebbe tornata con me, ma intendeva passare la notte col ragazzo abbordato; rimasi shoccata perché mi trovavo, a piedi, a chilometri da casa, senza possibilità di tornare.
Ero ormai sul punto di telefonare a Carlo per dirgli di venirmi a prendere, quando Salvatore mi si avvicinò e mi propose di tornare con lui che già si preparava a partire con la propria macchina; per un attimo esitai; poi mi diedi della stupida perché sapevo con certezza che, se avesse azzardato qualunque mossa fuori posto, avrei ben saputo rispondergli, nel caso facendo ricorso alle nozioni di difesa personale che avevo appreso in ditta.
Decisi allora di accettare l’offerta; poco prima di andare via, Salvatore pensò bene di invitarmi a bere; ma, conoscendone le millantate esperienze con le donne, declinai l’invito con una certa durezza e rinunciò a provarci ancora; presi posto nella sua auto e ci mettemmo in autostrada verso casa; lungo il percorso, inopinatamente, lui deviò verso un’area di parcheggio che vedevo buia e minacciosa; mi misi sulle difensive.
Quando spense il motore e si girò dalla mia parte, gli dissi fuori da ogni galateo che se solo accennava ad allungare una mano gliela spezzavo; alla peggio, mi mettevo a urlare nel piazzale e consegnavo la targa dell’auto alla polizia; mi trattò da stupida, con molta supponenza, e affermò che erano solo i crampi che gli avevano imposto la sosta; tentò comunque di allungare le mani sul mio sedere e fui costretta a dargli uno spintone.
“Senti, Salvatore, non ho voglia di rompere l’amichevole cordialità con un collega solo per una stupidaggine; non sono donna da tradire mio marito così banalmente; quindi, riportami a casa e non ne parliamo più.”
Sembrò addivenire a più miti consigli e per tutta la strada non fece che rimproverarmi la chiusura a certe esperienze che in fondo sono formative per chiunque; una piccola trasgressione, non rivelata a nessuno, non lascia tracce e non offende se non c’è intenzione di dolo; lui non aveva nessuna intenzione di offendere mio marito, che stimava moltissimo; apprezzava me per la mia fedeltà; ma, in fondo, una piccola trasgressione poteva solo dare un po’ di pepe alla vita.
“Non se cerchi di penetrare nel corpo di una persona che si è già dedicata a un altro!”
“Non si tratta di violare un corpo, ma di sperimentare un’esperienza per sentire l’emozione di un momento forte come trasgredire il comandamento del matrimonio, ma solo lo stretto tempo necessario a una sensazione vivace, per tornare, subito dopo, a dimenticare tutto ed essere di nuovo quella di sempre. Al mio paese, per certe cose, si dice che ‘una lavata e un’asciugata e non è neppure avvenuta’; non è neppure tradimento, è solo un gioco, una scommessa.”
Lo pregai di lasciare stare il discorso e di tornare alla realtà; mi riaccompagnò a casa e trovai Carlo nel pieno dell’esame di una pratica; pensai che riferirgli del gesto di Palmira o del piccolo incidente in viaggio, in quel momento, sarebbe stato distrarlo da cose serie; dimenticai l’episodio e, quando mi chiese notizie della festa, mi limitai a dirgli che era stata la solita noia.
Invece, contrariamente a quanto avevo detto, l’idea che una piccola trasgressione, senza intenzione di dolo, non incidesse sulla lealtà come autentico sentimento vissuto con convinzione, cominciò a farsi largo nella mia mente e mi trovai spesso a chiedere quale trasgressione mi sarebbe risultata, eventualmente, accettabile, senza mettere in discussione i miei sentimenti d’amore per mio marito e di profondo affetto alla famiglia.
Ovviamente, non riuscivo a darmi nessuna risposta; non era un tema da proporre a un gruppo vociante di pettegole che parlavano e sparlavano di tutte; quando incontrai Palmira, le rimproverai di avermi lasciata come agnello tra i lupi; mi rispose che ero io a farmi troppi problemi; lei quella sera si era divertita molto; il ragazzo le era piaciuto subito e aveva istintivamente deciso che una piccola trasgressione poteva farla, visto che l’unico problema ero io che dovevo trovarmi un passaggio.
Quello che mi colpì, di tutto il discorso, fu che, per dare forza alle sue convinzioni, usò lo stesso luogo comune usato da Salvatore, ‘una lavata, un’asciugata e non pare neppure usata’; lei quella sera aveva fatto sesso con un ragazzo che le piaceva, che si era rivelato bravo a letto; l’aveva spedito via, alla fine, e si era ficcata sotto la doccia; la sua vulva, dopo, non pareva neppure usata; incuriosita, le chiesi cosa intendesse come trasgressione non incisiva sui sentimenti.
“Se succhio un uccello e sputo fuori lo sperma, se masturbo un maschio fino all’eiaculazione, senza metterci amore, non faccio niente di particolare, non rubo niente a nessuno, i miei sentimenti restano intatti e il godimento dell’altro dà piacere anche a me; se questo avviene in maniera particolare, poniamo per esempio farlo a un collega mentre tutti sono al lavoro, beh quella sarebbe trasgressione senza conseguenze e senza valore.”
Non ero affatto convinta, ma sentivo che la cosa m’intrigava; forse una masturbazione quasi meccanica o una fellatio molto tecnica stimolavano la fantasia della trasgressione, avevano la durata dell’orgasmo e non lasciavano tracce; ma la mia coscienza mi diceva che il tradimento era già consumato nell’atto stesso di accettare di farlo; naturalmente, m’invischiavo sempre più nei pro e nei contro ma non uscivo dalle strettoie delle elucubrazioni.
Si avvicinava la data prevista per l’incontro mensile ed io ero in fibrillazione, perché non volevo affatto trovarmi di nuovo nelle difficoltà che avevo incontrato; scelsi di parlare chiaramente con Palmira, prima di decidere; le chiesi quindi se poteva assicurarmi che, se fossi andata con lei, s’impegnava a riportarmi a casa prima di impelagarsi in altre strane avventure; mi rispose chiaro che non intendeva legare la sua esistenza alle mie fisime.
Se avesse incontrato il tipo giusto, non aveva nessuna intenzione di rinunciare al piacere che, almeno una volta il mese, riteneva suo pieno diritto; io avevo un marito che si occupava di me con molto amore quotidianamente; non era giusto che vincolassi lei a scelte che erano solo mie; quindi, se volevo garanzie per l’andata e il ritorno, cercassi altre soluzioni; l’auto di Carlo non era utilizzabile perché in revisione; l’unica persona a cui potevo rivolgermi era Salvatore.
Stavolta decisi di parlarne con mio marito; ma Carlo quasi mi prese in giro; lui trovava assolutamente assurdo pensare che fossi donna capace di lasciarmi andare a un colpo di testa o di arrivare addirittura a un tradimento; aveva piena fiducia che avrei saputo tenere fronte a un casanova di periferia e non vedeva motivo perché rinunciassi a un incontro previsto dagli accordi sindacali come obbligatorio; se volevo darmi ammalata, mi avrebbe capito; ma sperava che ragionassi.
Decisi di chiedere il passaggio a Salvatore, a patto che s’impegnasse a essere correttissimo e a non mettermi in difficoltà alcuna; giurò e spergiurò che sarebbe stato esemplare e che non avrebbe fatto niente che non fosse stato da me espressamente richiesto; il demonietto, che dentro di me ancora si agitava, mi suggeriva che era stimolante anche sfidare la situazione; mi accordai che mi venisse a prendere il pomeriggio, come facevo sempre con Palmira.
Il viaggio di andata si svolse nella massima regolarità; lui riprese il discorso sulla trasgressione e in vari modi cercò di dimostrarmi che un piccolo gesto di ribellione all’idea di fedeltà poteva soltanto accentuare il mio bisogno di amore assoluto; in fondo, provare un’esperienza diversa poteva solo arricchire la mia conoscenza e avrei potuto usare le novità per rafforzare il rapporto con mio marito.
Quando gli chiesi a quali novità si riferisse, accennò a tutte quelle cose che spesso avevo immaginato ma mai avuto il coraggio di fare, come una copula nel bagno di un ristorante, tra una portata e l’altra; una fellatio in macchina, nel parcheggio della fabbrica dopo l’uscita serale dal lavoro; tutte quelle cose, diceva, sono peccati veniali, che vanno via con gli umori che producono, ma lasciano un senso di colpa che si sconta con maggiore amore e nuove prove da offrire.
Anche se non lo ammettevo, i suoi discorsi mi coinvolgevano e cominciavo a sentirmi bagnata tra le cosce, cosa che non mi era capitata molte volte nella vita; quasi a conferma delle sue tesi, Salvatore appoggiò una mano sul mio ginocchio; la prima volta lo scansai con fastidio; quando ci riprovò, mi sentii fremere e lo lasciai fare; quasi non feci caso che la sua mano avanzava verso l’inguine.
“Come vedi, non c’è niente di male; anche se arrivassi a masturbarti, potrei solo farti godere; tu non toglieresti niente all’amore per tuo marito ed io proverei una gioia che non so neppure descriverti.”
“Il tradimento è già perpetrato quando si pensa di commetterlo; io vengo meno alla mia fedeltà a Carlo se ti lascio avanzare fino alla vulva e ti lascio masturbarmi senza impedirtelo; questo non lo puoi negare!”
“Invece lo contesto; non ti tolgo niente, non c’è dolo, solo desiderio di un po’ di piacere!”
Intanto, aveva preso la mia mano e se l’era appoggiata sul pacco che sentii già duro.
“Salvatore, avevi promesso di non fare niente che non ti avessi chiesto!”
Lasciò la mia mano, ma il suo sesso pulsante mi aveva come calamitato e non ritirai la mia; fortunatamente, eravamo arrivati a destinazione; mi riassestai e scappai quasi dalla sua macchina; sapevo di avere avviato un processo i cui sviluppi, sulla strada del ritorno, potevano ritorcersi contro di me; per tutta la sera non feci che pensare a quel sesso che avevo sentito palpitare sotto la mano e avvertivo gli umori che si scatenavano dalla mia vagina e impregnavano lo slip.
Con una scelta fuori dalle mie abitudini, accettai di bere un long drink leggermente alcolico, al quale dopo un poco feci seguire un cocktail a più forte gradazione; sentii immediatamente il calore invadermi il corpo; per una persona astemia dichiarata come me, anche una piccola quantità di alcool aveva il potere di far saltare gli equilibri e di scatenare istinti sopiti a lungo; neanche mi accorsi che Salvatore mi stava ammirando con soddisfazione malcelata.
Quando giunse l’ora di andarsene, non ebbi nessuna esitazione a uscire sottobraccio a lui che, compitissimo, si comportò da perfetto cavaliere e non accennò a nessun gesto fuori della correttezza di un gentiluomo; apprezzai molto il suo comportamento e mi sedetti in auto molto più disponibile e rasserenata; per il primo tratto, stemmo in silenzio tutti e due; appena entrati in autostrada, lui riprese il discorso sulla trasgressione.
“Mi sembra che sei meno sulla difensiva; hai cambiato idea?”
“No, sono sempre convinta che un tradimento comincia dall’idea stessa di commetterlo.”
“Anche se la trasgressione avesse una particolare valenza di straordinarietà?”
“Per esempio?”
“Per esempio, se ti proponessi di succhiarmi l’uccello mentre guido a velocità pazza in autostrada.”
“Non dire sciocchezze; non si può fare!”
“Se vuoi provare, io sono qui, l’auto sta andando a 120, basta che tu decida di praticarmi una fellatio che non credo ti sia estranea e verificherai tu stessa il piacere di una trasgressione eccezionale, della quale non resterà niente perché è solo un gioco tra noi, senza intento di tradimento o di corna a nessuno … “
Ero sconvolta alla sola idea di fare quel che mi proponeva; ma il suo sesso mi aveva intrigato da quando lo avevo visto in bocca alla rossa; mi ero già eccitata mentre lo toccavo da sopra il pantalone all’andata; l’alcool aveva cominciato a esaltarmi anche i pensieri; Carlo diventava sempre più un impegno di cui occuparmi dopo; l’unica cosa che non sapevo era come mettere in atto la scommessa.
Allungai la mano e la poggiai sul suo pantalone all’altezza del pacco; delicatamente feci scivolare la cerniera; il mostro mi si presentò in tutta la sua potenza; lo presi con una mano e mi sentii sciogliere dal piacere; accarezzai l’asta per tutta la lunghezza fino ai testicoli che incontrai grossi, tesi, gonfi di sperma, pronti a esplodermi in mano o, come mi aveva sfidato lui, in bocca; presi a masturbarlo con delicatezza carezzando voluttuosamente la cappella che si ergeva superba in cima.
“Sgancia la cintura; potrai muoverti meglio e potrai succhiarmelo!”
Mi suggerì e non ci pensai due volte; feci scattare il fermo e mi abbassai col corpo su di lui; avevo tanta paura che qualcosa di terribile potesse succedere se sbagliavamo qualcosa e, a quella velocità, non potevamo che andare a sbattere con terribili conseguenze; distrasse la mano dal volante, mi accarezzò i capelli e premette la mia testa sul fallo; aprii la bocca e lo sentii scivolare tra lingua e palato; sapeva di buono; l’alcool mi diede alla testa e mi lasciai andare.
Mi eccitò la cappella che urtava contro il palato e vibrava dal piacere; mi sentii travolgere dalla libidine e mi abbandonai alla fellatio con tutta l’anima; adesso non aveva più importanza dove fossi, cosa stessi facendo e quanto pericolo ci fosse in quella manovra assurda; tutto il mio essere si concentrava in quel meraviglioso bastone di carne che mi sfiorava l’ugola e mi spingeva a salivare per farlo scivolare meglio dentro e fuori le labbra.
Lui taceva ma sospirava e gemeva con forza; la mia fellazione lo portava al limite del piacere estremo; non avvertivo neppure il senso della velocità che aumentava; mi rendevo solo conto che stavo sfidando tutto, la natura, la fisica, dio e gli uomini e mi abbandonavo al piacere smodato che mi scivolava dalla bocca dentro le viscere, mi sconvolgeva tutta e mi faceva sentire in paradiso.
Non avvertii né l’urto né lo schianto, passai in un altro mondo, direttamente.
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