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Cene con orgia 1


di geniodirazza
04.01.2025    |    2.188    |    0 9.6
"Io ripescai l’abbigliamento già usato e mi presentai nella sala da pranzo dell’hotel mentre la cena volgeva al termine; presi la chiave della camera 16 e salii..."
Mi chiamo Maria, titolare e proprietaria unica dell’atelier di moda “da Mary” che ho costruito con pazienza ed amore in decenni di attività indefessa e tormentata; oggi ho cinquantasei anni e da quaranta, ormai, sono la donna, prima, e la moglie poi, di Ettore, quasi sessant’anni, impiegato di banca; lo conobbi appunto quando avevo solo sedici anni e lui ne aveva quasi venti; me ne innamorai pazzamente; da lui appresi i misteri del sesso e non ho conosciuto altri uomini che lui.
Il primo bacio fu uno sconvolgimento totale del mio organismo e delle mie convinzioni, all’epoca legate all’educazione rigida in famiglia; in tempi rapidissimi mi convinse a prenderlo in mano e ad imparare a masturbarlo; mi si era già infilato nel reggiseno e mi aveva fatto andare ai matti titillandomi i capezzoli, che poi succhiò con maestria insegnandomi lo step successivo, quello in cui la sua lingua passò su tutto il mio corpo fino ai limiti delle mutandine.
Quando vi entrò e mi solleticò per la prima volta la figa, lo ricordo come fosse avvenuto ieri, un’ondata di fiamma infernale mi percorse tutto il corpo e avvampai, di piacere e di vergogna; poi imparai a lasciare che mi masturbasse titillandomi il clitoride, mentre io gli praticavo dolcissime seghe; prenderlo in bocca fu conseguenza anche dei suggerimenti delle compagne di scuola con le quali mi confidavo e che già praticavano il pompino.
Insomma, nell’arco di pochi anni, che a me apparvero velocissimi, tutte le pratiche erano ormai un mio appannaggio, compresa l’inculata che imparai a ricevere con amore e dirottando il piacere all’utero per godere quando lui mi sborrava nel retto; lo feci aspettare un poco, prima di farmi rompere l’imene, perché premevano su quello le minacce infernali della mia educazione religiosa; poi imparai a scopare alla grande e a cautelarmi.
Ci sposammo che avevo appena compiuto vent’anni e lui ne aveva ventiquattro; nei primi dieci anni di matrimonio, fummo il prototipo della coppia felice che passava le serate preferibilmente a letto a scopare in tutti i modi, in tutte le posizioni; non ci risparmiavamo niente e non ci fermavamo davanti a niente; il tutto, però, sempre nella logica della coppia monogamica che ci aveva connotato sin dalle primissime esperienze; la fedeltà non ci pesava e la sincerità connotava i nostri rapporti.
Avevo avviato il mio lavoro e trasformato la bottega da sarta, per le amiche del quartiere, in un atelier di alta moda specializzato in abiti da sposa ma aperto a tutte le richieste ed alle novità più ‘in’; ero ‘la sarta’ della città e la mia clientela contava tutte le donne di maggiore peso nella vita cittadina; avevo comprato una grande casa in centro, oltre ai locali della boutique, che contava numerose commesse, e il mio patrimonio era cresciuto; Ettore era rimasto impiegato di banca.
La crisi cominciò a manifestarsi verso l’inizio dei miei quarant’anni, quando mi decisi a prendere in seria considerazione l’ipotesi di un figlio; le visite preliminari rivelarono che per anni avevo trascurato i sintomi di una infezione che aveva logorato l’utero e le ovaie; per uno strano meccanismo della mente, Ettore cambiò totalmente atteggiamento e, da focoso amante quotidiano, si trasformò lentamente in bancario col rito del sabato sera, dieci minuti e dormire.
Feci ricorso a tutta la mia pazienza e accettai la trasformazione in attesa che superassimo la crisi della mia sterilità; voci di bancone mi fecero sapere presto che si scopava alcune mie amiche, molte delle mie clienti e che andava quotidianamente in caccia di figa nuova, specie tra le impiegate della banca più giovani; qualche approfondimento mi mise al corrente di cene speciali che si consumavano in villa e finivano in orge di cui era grande protagonista; coi miei soldi, faceva la bella vita.
Avevo amato follemente ed amavo ancora profondamente il ragazzo di venti anni al quale, ancora minorenne, avevo donato con gioia ed entusiasmo, tutte le mie verginità, e che era stato il mio ardentissimo marito per quasi un quarto di secolo; mi sentii umiliata e mortificata, oltraggiata e offesa, quando i bisbigli subdoli e perversi del pettegolezzo vennero a colpirmi fino sul mio posto di lavoro, punto di ritrovo di tutte le pettegole della città.
Già mi pesava enormemente la definizione di ‘cornuta’ usata liberamente da amiche, conoscenti e clienti occasionali; ma l’oltraggio di sapere che gli stravizi di Ettore pesavano a carico del patrimonio che con sudore e sangue andavo accumulando mi resero feroce, addirittura; in un momento di lucida follia, decisi di fargliela pagare con la stessa moneta e feci in modo da sapere con certezza i movimenti adulterini di mio marito per batterlo sul suo terreno.
L’antico e immutato amore mi suggeriva di riflettere che mi ero arresa prima di lottare, perché avevo fatto prevalere la pazienza e, anziché chiarire e richiamare mio marito alle sue responsabilità, avevo ceduto alla bonomia e perdonato le prime ‘scappatelle’ diventate poi sistema di vita; ma il dato di fatto di essere messa sotto e schiavizzata da un presunto individuo alfa, che imponeva la legge del suo maschilismo con becere manifestazioni, fece scattare la ribellione.
Dalla mia amica Floriana seppi che periodicamente venivano organizzate, per i ‘soliti noti’, gli aderenti ad una certa cerchia di persone, luculliane cene in un piccolo hotel della pedemontana alla quale venivano invitate non solo le signore da tempo note per la loro frequenza dell’adulterio contro mariti distratti ma anche escort e signore che si accostavano all’orgia, perché di quello di trattava, per la prima volta; qualcuna arrivava con la maschera per non essere individuata ed esposta al pubblico ludibrio.
Dopo la ricca cena, consumata insieme nella sala da pranzo, le coppie o i gruppi avevano a disposizione alcune camere dove potevano sfogare la loro fantasia nei giochi erotici più disparati; poiché in tutte le cene lei, organizzatrice e responsabile, aveva il quadro perfetto delle presenze e dei prevedibili incontri, non mi fu difficile accordarmi perché, tramite WhatsApp, mi aggiornasse in tempo reale e mi consentisse di mettere in atto la prima parte della mia vendetta.
Il sabato incriminato, al ritorno dal lavoro, non trovai mio marito che, rientrato, velocemente si era cambiato e vestito per l’occasione, e si era recato alla cena prevista; mangiai da sola e, su segnalazione della mia amica, mi vestii allo scopo, con un combinato perizoma e reggiseno, sotto una tunichetta leggera e facile da sfilare; ai piedi calzai scarpe con tacco vertiginoso, assai raro per le mie abitudini, che sollevava al cielo il culo ancora meravigliosamente magnetico.
Inutile dire che il mio attraversamento della sala da pranzo scatenò il prurito e l’interesse di tutti i convitati e, più di tutti, di mio marito, da sempre abituato a prelibare le novità, specialmente quelle che si annunciavano particolarmente gustose; come d’accordo con Floriana, presi la chiave della numero sedici e raggiunsi direttamente la camera dove avrei consumato il mio primo vero tradimento.
Non dovetti aspettare molto; giocando con la sua indiscutibile classe ed abilità, la mia amica fece in modo che Ettore avesse come destinazione la camera della sconosciuta che lo aveva fatto evidentemente sbavare; quando entrò, mi trovò, come avevo organizzato, a letto con un trentenne assai ben dotato con cui avevo avviato approcci amorosi inequivocabili; si avanzò nella sala e si spogliò; lo fermai con un gesto e, senza una parola, gli indicai la poltrona da dove poteva seguire la scopata.
Si sedette nudo sulla poltrona; vedevo nettamente il cazzo duro ergersi dal ventre come un palo e registravo i brividi di tensione ad ogni movimento dei due corpi sul letto; le mani artigliavano i braccioli fino a rendere bianche le nocche; il ragazzo che mi montava era un bull espressamente richiesto ad un’agenzia, garantito per tutte le sicurezze e dotato di un cazzo da esposizione.
Mi sovrastò col fisico possente e muscoloso e mi baciò con una passione degna di un grande amore, mulinandomi in bocca la lingua con un’abilità che indicava esperienza e maturità; tutto il corpo stimolava il mio, corrispondentemente, ed io mi sentivo titillare tutta, dalle gambe sovrapposte alla figa stimolata da un cazzo enorme che si era infilato tra le cosce e le attraversava tutte fino al lenzuolo, dal seno schiacciato dal torace robusto e forte al viso, preda dei suoi baci.
Dopo una lunga pomiciata che fece gemere ed agitarsi lo spettatore obbligato, il bull si stese al mio fianco; mi piegai in avanti a prendere il bocca il cazzo; mio marito, ora di fronte a me, mi ammirava mentre imboccavo il randello e lo trattavo con la sapienza che nel pompino mi aveva insegnato proprio lui; seguendo antichi consigli, presi in bocca due coglioni grossi e caldi, uno per volta, e li leccai a lungo, prima di dedicarmi al cazzo vero e proprio.
Lo alzai contro il ventre e lo leccai devotamente dalla radice alla punta; la pompa era fatta a regola d’arte, ma nessuno dei due poteva sapere che, in quel momento, la mia mente inseguiva la memoria di un cazzo giovane che imparavo a prendere in gola con difficoltà; stavo seguendo il cuore e il mio gesto di pura ribellione pornografica diventava un atto d’amore alla memoria di pompini ben più intensi e importanti vissuti prima della crisi del mio matrimonio.
Mi sistemai in maniera che Ettore avesse la visione più precisa e ravvicinata del pompino e mi lanciai a godermelo in bocca; percorsi accuratamente e puntigliosamente tutta l’asta, dove disegnai lunghi ed eccitanti ghirigori; leccai bene tutta la cappella ormai viola dalla tensione e me la feci penetrare tra le labbra stringendole per dargli la sensazione di violare lentamente una figa stretta e nuova; mio marito, che me lo aveva insegnato con pazienza ed amore, vibrava.
Quando feci penetrare il cazzo in bocca stringendolo con la lingua contro il palato e tenendo saldamente in mano il grosso della mazza fuori dalla bocca, ebbe smorfie di piacere, forse al ricordo dei pompini miei o di altre sue amanti, ed espressioni preoccupate, quando vide tutta la mazza entrare nella gola fino ai peli del pube; sussultò, quando manifestai difficoltà di respirazione; seguì con interesse tutta la succhiata e la scopata in gola.
Il bull si fermò e mi bloccò, quando evidentemente la pressione dell’orgasmo fu troppo alta perché non poteva sborrare prima dell’ora concordata; mi spinse indietro delicatamente, mi trascinò verso il fondo del letto, divaricò le gambe, spinse indietro le ginocchia a spalancare la figa; in ginocchio al mio lato, si abbassò a leccare le grandi labbra e infilò la punta della lingua nella vagina; mi contorsi e vibrai tutta; esplosi in un orgasmo, perché mi aveva succhiato il clitoride.
Mi leccò a lungo, dolcemente e delicatamente con l’intenzione di farmi sballare succhiandomi tutto, e in particolare il clitoride; quando, con una sorta di cronometro incorporato, si rese conto che si avvicinava la conclusione, mi fece stendere supina in mezzo al letto, divaricò le gambe coi suoi piedi, prese in mano il cazzo, appoggiò la punta alla vagina e cominciò una lentissima penetrazione; non vedevo il viso di mio marito, se non da uno specchio dell’armadio.
L’unica cosa che poteva ammirare da vicino era il mio culo con l’ano che pulsava dal desiderio, la figa spalancata e piena di quella enorme mazza che vi si muoveva avanti e indietro regolarmente, e i coglioni che pendevano battendo sull’ano; la scopata fu regolata a puntino coi tempi e fu lenta, cadenzata, provocatoria di infiniti piccoli orgasmi, per larga parte; spesso il ritmo diventava quasi violento, mi picchiava forte sull’inguine e sull’utero; io godevo e urlavo ad ogni colpo.
Mio marito seguiva tutto come calamitato dalla visione e partecipava al godimento, sia mio che del bull, agitandosi sulla sedia come per un fuoco di Sant’Antonio che gli impedisse di stare fermo un momento; aspettava, con noi, il momento dell’esplosione della borrata nella mia figa; arrivò, di colpo, con un urlo animalesco del mio stallone che mi riversò nell’utero una fiumana di caldo sperma; io urlai fino al cielo il mio orgasmo ed Ettore sembrò rilassarsi felice sulla sedia.
Il ragazzo, dopo qualche momento per riprendersi ancora piantato nella mia figa, alla fine si sfilò, andò verso il bagno; sentii che si sciacquava, uscì, si rivestì in fretta ed andò via; Ettore se ne stette per un poco seduto; evidentemente aspettava che mi andassi a lavare; io mi crogiolai un poco nel piacere dell’orgasmo, poi mi distesi languida; si decise e montò sul letto, cercando di accostarsi; mi salì sul corpo, ma lo respinsi indietro e lo feci scivolare in basso finché la testa non fu all’altezza della figa.
Spalancai le gambe e sollevai le ginocchia; gli presi la testa e premetti la bocca sulla figa; cercò di resistere, ma gli avvolsi le gambe intorno alla testa, in una presa che avevo imparato dalle arti marziali; rimase qualche minuto pressato, a bocca chiusa, sulla figa; non ci eravamo detti una sillaba e non azzardavo di farmi riconoscere dalla voce; finalmente sentii la punta della lingua sfiorare le grandi labbra, poi le piccole, poi il clitoride; ebbi un brivido di piacere ma strinsi la testa.
Capì e finalmente sentii la punta della lingua varcare la vagina; gli presi le tempie e lo guidai finché la lingua scivolò in vagina e raccolse tutto lo sperma e gli umori che avevo scaricato nell’orgasmo; si rassegnò e allentai la presa, prese fra le labbra il clitoride, lo strinse tra i denti e cominciò il suo inconfondibile titillamento che tanto piacere mi aveva dato negli anni ‘buoni’; lo ricevetti con passione e in un pochi colpi esplosi uno squirt che gli finì in gola; bloccai la testa e glielo feci ingoiare.
Era chiaramente incerto tra il piacere dell’orgasmo, che aveva innescato anche la sua eccitazione massima, e la ripugnanza a bere lo sperma di un altro; forse valutò che era valsa la pena e mi scivolò addosso fino a sovrapposi a me; mi sarei aspettata che mi succhiasse i capezzoli; ma non mi baciò neppure, forse perché mi aveva visto ingoiare il cazzo; mi penetrò in figa in un sol colpo, quasi con violenza, e mi montò a lungo; frenò non so quante volte l’orgasmo ma non uscì dalla figa.
Non poteva neanche immaginare quanto godessi, mentalmente, di averlo obbligato a succhiare lo sperma di un altro e gli umori miei insieme; non capiva che gli orgasmi che si susseguivano nascevano dal mio cuore, dal ricordo di un ragazzo di vent’anni che mi riempiva figa e cuore proprio con quel cazzo; il mio amore per il ‘mio’ Ettore a quel punto esplodeva in tutta la sua forza; era il mio amore che mi stava scopando, non la montagna di fango che l’aveva soffocato.
Sentivo che era quasi orgoglioso di provocarmi tanto piacere; non sapeva che la mia gioia nasceva da una piccola parte di quello che era diventato, da quel ragazzo che non avrei mai buttato con l’acqua sporca; amavo in lui quello che mi aveva saputo dare; sapevo anche che se avessi parlato in tempo, non mi sarei trovata a dover fingermi estranea per riprendermi nel corpo quel cazzo che mi aveva fatto donna; ma, intanto, mi accontentavo di amare il ragazzo che mi amava tanto.
Esplose troppo rapidamente, per i miei gusti; quando si scavallò e si adagiò al mio fianco, mi precipitai in bagno, espulsi sperma e orina nel water, mi lavai sul bidet, tornai in camera, ripresi i miei vestiti, li indossai e scappai via senza dargli il tempo di obiettare; lo lasciai che ancora si gustava il languore di un orgasmo che finalmente ci trovava soddisfatti, per me molti anni dopo che avevamo fatto l’amore con passione l’ultima volta, prima della visita del ginecologo.
Tornata a casa, feci una doccia per liberarmi da scorie e odori delle scopate, indossai il ‘pigiama da massaia’, nascosi nell’armadio il vestito ‘da scopata’ e mi misi a letto, con l’orecchio teso ai rumori; passò molto tempo, prima che arrivasse, forse perché si era fermato a chiedere notizie a Floriana ricevendo poche informazioni utili; lo sentii entrare, andare sotto la doccia per ripulirsi anche lui delle scorie e venire in pigiama verso il letto.
Forse per un senso di responsabilità, tentò un timido approccio per scopare; fingendo una voce assai assonnata gli dissi che poteva ritenersi soddisfatto delle scopate fatte nel dopocena e mi lasciasse dormire perché ero stanca; e lo ero davvero, dopo una maratona a cui da anni non mi sottoponevo; ci girammo di schiena e dormimmo; prima di crollare, sognai le scopate fatte col mio giovane marito che mi lasciavano sempre distrutta; una montagna di fango le sommerse anche nel sogno.
Con mia somma sorpresa, una mattina lo vidi entrare nella boutique con un collega che conoscevo; sapevo che aveva una storia con una mia amica, annoiata di suo marito; vista la dimensione e l’allestimento dei camerini di prova, dotati di ampi divani, mi aveva chiesto di lasciarla scopare un volta con la scusa di un prova d’abito; era già capitato, con la mia complicità; non me l’ero sentita di dirle di no; quello che non sapevo, era che il suo amante fosse collega e amico di Ettore.
Quando gli chiesi cosa ci facesse in un posto che lo riguardava solo per le carte di credito che usava senza criterio, mi rispose che non aveva potuto lasciare uscire l’amico da solo per motivi burocratici; anziché aspettarlo al bar, saputo che veniva al mio negozio, ne aveva approfittato per incontrarmi; osservò, naturalmente, che era assai sorpreso che, con il mio puritanesimo, mi prestassi a favorire certi amori illeciti.
“Ettore, ma hai dimenticato il campo sportivo?”
“Oh, dio, quello dove non avevamo macchina e spiavamo quelli in macchina mentre ci masturbavamo in piedi? … non mi dirai che anche qui fai il giochetto dei guardoni per masturbarti insieme a qualcuno!”
“Si, con quel cornuto di tuo nonno! Visto che ormai il cazzo è un accessorio fuori dalla mia portata, faccio la guardona e mi masturbo, ma solo perché ormai non si scopa più … “
“Mi faresti dare un’occhiata? Dai, solo così, per gioco, senza malizia … “
Mi lasciai convincere e lo portai nel mio ufficio, accesi il computer riservato e apparvero i due che, in piedi davanti al divano, si divoravano in un bacio sensualissimo; lui le stava sfilando il vestito e rapidamente mise a nudo due tette da sballo, gonfie e tese, con aureole evidenti e ben disegnate e con capezzoli grossi e ritti; il commento di Ettore fu istantaneo.
“Cazzo, che tette meravigliose!”
Si beccò all’istante un pizzicotto sul braccio.
“Imbecille, da quanto tempo non osservi le mie? Sono altrettanto belle, ma per te sono come le sedie, ti ci siedi senza guardarle.”
“Perdonami, hai ragione, è stata una gaffe terribile; anche senza analizzare, si vede che sei molto più bella.”
“Non commettere una gaffe ad ogni pezzetto che ammiri!”
Lui si era lanciato su quelle tette e se ne cibava con l’ansia di chi è a secco, con la gioia del bimbo affamato; lei aveva più chiaro il senso del tempo tiranno, si tirò via il vestito e restò in intimo; la mano di Ettore mi scivolò sul culo; lo lasciai fare; mi piaceva sentire che almeno quella emozione gli era rimasta; allungai la mano e gli aprii la patta; il cazzo era duro come acciaio e pronto alla sega; non ci pensai un attimo a cominciai a menarlo.
Si accostò di più e mi baciò un orecchio; sapeva che andavo in deliquio, se mi stimolava le orecchie e sentii che mi mordicchiava i lobi, mi leccava il padiglione, mi baciava sul collo; lo masturbai con passione; chiusi gli occhi e lui era il ragazzo a cui, dietro le barche in secca, facevo seghe interminabili perché amava essere masturbato da me, ‘ti amo’ mi dissi nella testa; lo stavo dicendo a quel ragazzo, non alla montagna di fango che lo copriva e che era l’uomo che mi stava vicino.
Mi accorsi delle dita che mi erano entrate in figa solo quando strinse il clitoride e me lo tormentò; dovetti soffocare l’urlo, quando l’orgasmo mi colse, tanti anni dopo le grandi scopate di due sposi innamorati; lui stava per sborrare e mi avvertì; misi una mano davanti alla punta, a coppa, e raccolsi gli spruzzi che sparava; mi portai alla bocca la mano piena di sperma e leccai.
“Maledetto, hai sempre un ottimo sapore che mi fa impazzire.”
“Ti amo, Maria, anche se non mi credi più, ormai!”
“Lo dici a tutte quelle che ti scopi o solo a quelle delle cene?”
“Non lo dico a chi do solo sesso; lo dico all’unica donna che ho amato, che amo e che amerò sempre.”
“Allora, bastardo, perché mi riempi di corna e non mi dai più amore come fai in questo momento?”
“Non lo so; i momenti come questi servono a fare outing; ma ancora non ho preso coscienza dei miei errori.”
“Se non ti allontani immediatamente, domani entri nel coro di voci bianche; le forbici da sarta possono essere micidiali!”
Uscimmo dall’ufficio tra i sorrisetti allusivi delle commesse, non so se per la mia breve assenza o per la lunga sosta della signora col cavaliere nel camerino di prova; suggerii ad Ettore di andare nel bar, perché il suo amico ne avrebbe avuto ancora per un bel po’; mi sfiorò le labbra con un bacio e gli presi la mano; era mio marito e, comunque, ci amavamo.
Si sa che il lupo perde il pelo ma non il vizio; l’episodio nell’ufficio dell’atelier fu solo un caso più unico che raro; subito dopo, la nostra guerra sotterranea riprese; Ettore continuava a limitare le sue effusioni ai dieci minuti del sabato sera; nei giorni della settimana, continuava a tampinare ragazzine e mature senza differenza, solo per manifestare ancora e sempre la sua vocazione di individuo alfa, di maschio dominante; io continuavo a meditare la mia rivendicazione.
Le cene con orgia si tenevano mediamente una volta al mese; quindi qualche settimana dopo, Floriana mi avvertì che mio marito si era prenotato per la cena; le chiesi di organizzare come la volta precedente e tutto filò come su un copione recitato al meglio da attori provetti; solo il sabato mattina Ettore mi avvertì che non avrebbe cenato a casa né con me; passò velocemente per prepararsi alla cena e sparì.
Io ripescai l’abbigliamento già usato e mi presentai nella sala da pranzo dell’hotel mentre la cena volgeva al termine; presi la chiave della camera 16 e salii sopra, dove già il mio bull mi aspettava; stavolta era un ragazzo moro, di origini forse meridionali, molto palestrato, con un fisico da statua greca ed una dotazione apprezzabile; ci abbracciammo da veri innamorati e lui mi riempì immediatamente la bocca con la lingua larga e pastosa, che mi sollecitò desiderio e libidine in tutto il corpo.
Mi spogliò con abilità e accompagnò lo spogliarello con sapienti carezze eccitanti sui punti erogeni che a mano a mano emergevano; si dedicò infatti ai seni con aria da buongustaio e mi fece esaltare carezzandoli tutti e prendendoli a piene mani; poi passò a leccare aureole e capezzoli; la lingua morbida che avevo apprezzato in bocca fu sublime sui globi delle mammelle e titillò goduriosamente le punte; le labbra grosse e carnose succhiarono abilmente .
Gli tolsi maglietta e pantaloni e mi fermai incantata davanti alla mazza rigida del cazzo superbamente ritto; ci stendemmo sul letto e ci accarezzammo per ogni dove; quando vidi entrare Ettore, recitai la pantomima precedente, invitandolo a starsene seduto a guardare, mentre col ragazzo avviavo una scopata più lunga ed intensa; dopo un lunghissimo pompino quasi rallentato a favore dell’unico spettatore, mi feci succhiare la figa per molto tempo.
Gli orgasmi furono sempre più forti e spesso caricati nelle mie reazioni per segnalare a mio marito un piacere assai maggiore di quello che mi squassava; cominciò a scoparmi in figa e lo fece in tutti i modi, dalle classiche missionarie e pecorine, attraverso le mie cavalcate più diverse su lui sdraiato, faccia a faccia e di spalle; seduta sul cazzo di lui seduto, di fronte e di spalle, mentre mi masturbavo con gusto; sdraiata su un fianco con lui dietro che mi fotteva e mi masturbava, facendomi alzare la gamba libera.
Mi portò sul bordo del letto, sollevò le mie gambe al collo e, in piedi, mi fece entrare in figa tutta la mazza fino alle palle; mi batteva l’asta sulla figa e me la spatolava con la cappella; gemevo godendo e urlavo quando avevo un orgasmo; a pecorina, carponi sul bordo del letto, mi chiavava da terra, in piedi e mi faceva sentire tutta la mazza; per tre quarti dell’ora concordata, il suo cazzo non uscì quasi dalla figa e godetti come mai avevo fatto; mio marito guardava incantato.
Per l’ultimo quarto, decisi che toccava al culo; mi preparò per benino con leccate e gel spalmato finché l’ano fu pronto e me lo infilò una prima volta a pecorina; mi fece girare, sollevò i piedi molto in alto, finché avevo solo le spalle sul letto, e penetrò dall’alto riempiendomi il retto tutto quanto; mi spostò sul bordo del letto, supina, alzò entrambe le gambe e infilò il cazzo nel culo, in piedi da terra; mi fece ruotare e, carponi, mi inculò sempre coi piedi sul pavimento; mi sentivo sventrare ma godevo.
Ettore si godeva lo spettacolo, nudo, con il cazzo duro ritto dal ventre; ogni tanto si masturbava, ma aspettava il suo turno per sfondarmi; quando il bull mi fece segno che doveva sborrare, gli indicai il culo; si scatenò sul buchetto con una violenza inaudita e mi fece arrivare il cazzo al cervello, finché esplose in una violentissima sborrata che scaricò nel retto; al limite della resistenza, si sfilò con garbo e lasciò il posto ad Ettore, invitandolo a subentrare; ‘leccala’ fu un ordine imperioso.
Memore della precedente esperienza, lui si accostò al culo martoriato e passò la lingua sulle chiappe e sul perineo; il moro gli prese i capelli e guidò la testa all’ano; benché riluttante, mio marito passò la lingua sul buco ed io gli espulsi la sborra in bocca; infoiato e incazzato, al tempo stesso, infilò a fondo la lingua e leccò con rabbia tutta la sborra che l’altro aveva scaricato; carezzò a lungo il buchetto martoriato e allargò le natiche con le mani per aprire l’accesso; raccolse tutta la sborra.
Poi si alzò, appoggiò la cappella al buco e spinse; sapevo bene che la sua mazza, più grossa, avrebbe fatto più fatica e mi sarebbe costata un po’ di dolore, ma strinsi i denti e ricevetti il cazzo fino in fondo, accompagnandolo con l’amore per il ragazzo che era stato e che amavo ancora; lo trattenni per le natiche quando mi fu completamente dentro e per un attimo fummo fusi come a me sarebbe piaciuto.
Cominciò il capolavoro di inculata che da lui avevo avuto per poi dimenticarmene e che ora si riproponeva; non sapevo se gli tornassero alla mente quelle meravigliose che mi aveva praticato; a me tornavano nitide ad ogni sensazione che il cazzo nel ventre produceva; colse che volevo farla durare e la volevo complessa, varia, esaustiva; mi palpava le natiche con passione e mi teneva per i seni, tirandomi verso di sé e spingendomi a seconda del movimento.
Mi spinse sul letto, bocconi, e mi montò; mi inculava con tutto il corpo, scivolando su di me; sentivo la mazza sfondarmi mentre andava su e giù ma anche il resto del corpo chiavarmi in un unico esaltante e lussurioso; mi metteva, su un lato, davanti al suo cazzo e scivolava avanti e indietro dal culo; mi fece sollevare il corpo, lasciando le spalle sul cuscino e mi inculò dall’alto; sentivo la mazza entrare fin oltre il possibile.
Dopo un lunghissimo esercizio di inculata in tutti i modi, mi distese supina e mi venne sopra, senza sfilare il cazzo dal culo, scopò per qualche minuto e, senza avvertire, sborrò come una fontana rotta; lo conoscevo bene ed avevo avvertito la sborrata in arrivo; riuscii a sborrare in simultanea e godetti della sua faccia meravigliata per l’improvvisa sintonia che scopriva, molto più che dell’enorme scopata che, senza volerlo forse, mi aveva dato.
Uscì dolcemente e si stese supino; filai in bagno senza dargli tempo di articolare verbo, mi lavai e rientrai che ancora si gustava il piacere della sborrata; mi vestii veloce come il lampo e sparii, lasciandolo agli interrogativi a cui nessuno avrebbe mai dato risposta; presi la mia macchina e rientrai; passai sotto la doccia e usai una pomata per il culo che mi doleva; come la volta precedente, indossai il pigiama da massaia e mi ficcai a letto.
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