tradimenti
Amore in prova

03.04.2025 |
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"Il suo tono cambiò quasi impercettibilmente..."
Come tutte la mie storie pure questa è frutto esclusivo della mia fantasia per cui ogni riferimento a persone o cose realmente esistenti è puramente casuale. Il giorno prima della maturità di Iole i suoi genitori stavano tornando a casa da una piccola commissione segreta.
Iole era sempre stata una studentessa modello e volevano festeggiare il suo esame con un dono; un simbolo del loro orgoglio per l’importante traguardo da lei raggiunto.
Per questo si erano recati nella città vicina dove e avevano scelto il regalo.
Ad un certo punto la tragedia!
Lo scoppio di una gomma,
L’auto che sbanda,
Il guard rail difettoso.
La macchina che finisce la sua corsa invadendo la corsia opposta proprio mentre sta sopraggiungendo un TIR.
La vettura che prende fuoco distruggendo tutto e tutti,
Questa tragedia in un attimo cambiò tutto per Iole.
Ella ricevette la notizia proprio mentre si preparava per il giorno più importante della sua vita e il mondo che conosceva si sgretolò in un istante.
La chiamata giunse inaspettata, tagliando l’aria con la precisione di una lama.
Fuori uscirono poche parole: uno scoppio, un’autostrada, un tir.
Il diploma, un evento che avrebbe dovuto essere motivo di gioia e orgoglio, si trasformò in un simbolo di dolore e di perdita.
Per quanto frammentati, quei dettagli dipingevano già il quadro di una realtà inaccettabile.
Iole rimase senza fiato, come se il mondo intero avesse smesso di girare intorno a lei.
L’abito scelto con cura per la cerimonia sembrava ora una reliquia insignificante, e i libri sparsi sul tavolo diventavano fantasmi di un futuro che ormai sembrava irreale.
La stanza, piena di luce e speranza, era ora avvolta da un’ombra silenziosa e soffocante.
Non fu solo il dolore emotivo a sopraffarla, ma una sensazione fisica devastante: un vuoto incolmabile allo stomaco, una morsa gelida al petto che la costrinse a sedersi.
Era il peso della consapevolezza, un fardello che premeva su di lei con una brutalità disarmante.
In quel momento, ogni fibra del suo essere urlava contro la realtà, ma non c’era alcuna via di fuga da ciò che era accaduto.
La sua camera, che fino a poco prima rappresentava rifugio e ordine, si trasformò in una prigione che rifletteva perfettamente il caos che ora regnava nella sua anima.
Il giorno successivo Iole si presentò di fronte alla commissione indossando un semplice abito nero, un segno discreto ma inequivocabile del suo lutto.
La sala d'esame era colma di studenti, alcuni nervosi che ripassavano freneticamente le ultime nozioni ed altri più rilassati, già consapevoli di aver superato il proprio turno, qualunque fosse stato l’esito.
Iole attendeva il suo momento in silenzio fissando il crocifisso appeso alla parete.
Non aveva bisogno di ripassi: aveva studiato a fondo durante l’anno, ma i si mormorava sommessamente del suo abbigliamento e della tragedia che l’aveva colpita.
Nessuno tra i suoi compagni sereni osò prenderla in giro: c'era un rispetto tacito nei suoi confronti, una barriera che il suo dolore imponeva.
Quando il presidente della commissione pronunciò il suo nome, Iole si alzò con calma e si avvicinò alla cattedra.
Prima di iniziare, il presidente le rivolse un breve gesto di rispetto, accompagnato da poche parole di condoglianze:
—Signorina, rispetto il suo lutto e, a nome di tutta la commissione, le porgo le nostre condoglianze. È ammirevole il fatto che, con tale tragedia sulle spalle Lei voglia ugualmente affrontare l’esame, questo dimostra la sua forza d’animo.
Se tuttavia durante la prova lei avesse necessità di una interruzione non esiti a domandarla: l’asseconderemo volentieri.
—La ringrazio Preside. Io ora voglio solo affrontare questo esame per rendere orgogliosi di me, ovunque si trovino, i miei e poter in seguito avere tutto il tempo necessario per piangerli.
Il Preside annuì poi, con tono professionale, pose la prima domanda.
Iole rispose con precisione, con la voce ferma ma priva di quel calore che l’aveva sempre contraddistinta.
Ogni parola era un atto di volontà, un modo per onorare il lavoro fatto in passato e l’impegno che i suoi genitori avevano sempre sostenuto.
Le domande si susseguirono incalzanti, e lei mai vacillò.
La sala sembrava trattenere il respiro, come se persino il pubblico silenzioso intuisse che quello non era un esame come gli altri.
Quando l’ultima risposta fu data, Iole si alzò, ricevette un breve cenno di approvazione dal presidente ed abbandonò la sala che ora era immersa in un silenzio che nessuno osava interrompere.
Dopo la maturità, Iole si ritrovò davanti a una serie di difficoltà inesorabili.
L'appartamento in cui era cresciuta era in affitto, ed ora, senza i genitori, non aveva alcun modo di pagarne la pigione.
I pochi risparmi rimasti non sarebbero stati sufficienti a coprire le spese neppure per un altro mese.
La decisione di lasciare la sua casa non fu scelta, ma una necessità.
Noleggiò un magazzino e vi raccolse i pochi mobili che possedeva.
Con il cuore pesante e una valigia piena più di ricordi che di oggetti, Iole si trasferì in un ostello per la gioventù, molto più economico.
Si trattava di un luogo anonimo, privo del calore che l’appartamento di famiglia aveva sempre avuto.
Le pareti spoglie e i letti di ferro le ricordavano costantemente la precarietà della sua nuova vita.
L'ostello si trovava alla periferia della città, incastrato tra edifici grigi e strade sempre trafficate.
Le pareti esterne erano scrostate, il colore originario era sbiadito sotto il peso del tempo e dell’incuria.
All'interno, lo spazio era angusto e freddo, illuminato da una luce al neon che proiettava ombre sgradevoli su pavimenti consumati.
Nelle stanze comuni, il rumore era incessante: risate, litigi, voci che si intrecciavano e si accavallavano.
Ognuno portava con sé le proprie storie, che si traducevano in una cacofonia continua.
Per Iole, però, quel rumore era un peso ulteriore.
Non le permetteva di rifugiarsi nei suoi pensieri, di concentrarsi sul dolore che avvertiva dentro di sé.
Quei momenti di solitudine e di riflessione, necessari per metabolizzare ciò che era accaduto, le venivano costantemente negati.
La sua stanza, una cella spoglia con un letto di ferro e un armadio sbilenco ed era l’unico luogo che le apparteneva, ma anche lì il vociare filtrava attraverso le sottili pareti.
Ogni notte si addormentava con un tumulto esterno che rispecchiava il caos interno della sua anima.
L’ambiente non era solo fisicamente freddo: era un costante promemoria della sua precarietà.
Ma forse proprio quel disordine, quell’incapacità di trovare pace, la spinse a concentrarsi sull'unica via d'uscita possibile: reagire.
Ogni mattina, uscire dalla sua stanza e affrontare il mondo diventava una battaglia, e ogni giorno che passava le insegnava a convivere con il dolore senza lasciarsi sopraffare.
Non poteva permettersi di crogiolarsi; la realtà l’incalzava con una durezza implacabile.
Nonostante tutto, il suo carattere deciso cominciò a emergere.
Consapevole che doveva sopravvivere, iniziò a cercare lavoro.
Ogni colloquio era una battaglia, un tentativo di dimostrare a se stessa che nonostante il dolore poteva trovare un modo per andare avanti.
Ogni rifiuto, invece, le ricordava quanto il mondo esterno fosse indifferente alla sua tragedia
Iole entrò nella sala del colloquio senza aspettarsi nulla di diverso da tutti gli altri incontri che aveva avuto fino a quel momento.
L’ambiente era minimale, con un tavolo rettangolare al centro e una finestra che lasciava entrare la luce del primo pomeriggio.
Seduto dall’altra parte del tavolo c’era un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e gli occhiali che gli cadevano leggermente sul naso.
La sua espressione seria non prometteva nulla di particolare.
— Prego, si accomodi,
Disse lui, con un tono formale:
— Sono Marco. Grazie per essere venuta.
Iole si sedette e annuì, pronta a rispondere alle domande con la stessa decisione che l’aveva guidata fin lì, nonostante tutto.
Le prime domande furono di rito: esperienze precedenti, capacità lavorative, disponibilità.
Ma Marco notò qualcosa.
Tra le risposte precise di Iole si celava un'ombra, un peso che sembrava trasparire dal suo modo di parlare.
Il suo tono cambiò quasi impercettibilmente.
Da distaccato, divenne leggermente più morbido, anche se Iole non se ne accorse subito:
— Lei sta bene?
Domandè infine, spezzando il flusso delle domande.
Iole esitò, sorpresa.
Nessuno degli intervistatori precedenti si era mai preoccupato di qualcosa che andasse oltre le sue competenze professional:
— Sto… sto cercando di fare del mio meglio,
Rispose, con un sorriso debole.
Marco fece un cenno di assenso, e la tensione nella stanza sembrò diminuire leggermente.
Il resto del colloquio continuò con meno rigidità, e nelle parole di Marco iniziò a trasparire un’attenzione nuova, come se fosse realmente interessato non solo a ciò che Iole poteva fare, ma a chi fosse.
Completato l’esame e concluso il colloquio, Marco la guardò con curiosità, tamburellando leggermente con le dita sul tavolo:
— Lei è assunta. Una domanda, se posso.
La voce aveva perso quel tono formale che aveva caratterizzato l'incontro:
— Come mai, per l’indirizzo, ha indicato un ostello?
Iole esitò, le mani intrecciate in grembo.
Aveva imparato a evitare queste domande troppo personali, ma il tono di Marco non era giudicante, solo curioso.
— È… una situazione temporanea,
Ribattè infine:
— Al momento, non posseggo altre opzioni.
Marco annuì lentamente, come se stesse riflettendo.
Poi si sporse leggermente in avanti.
— Sa, ho una stanza libera nella mia abitazione. Non sono sposato e per me è molto grande. Penso che sarebbe più comoda di un ostello.
Si fermò un attimo, misurando le sue parole:
— Chiaramente, avrebbe piena libertà di andare e venire come preferisce. Non sono uno di quelli che fanno troppe domande.
Iole alzò lo sguardo, sorpresa.
— Non saprei… è davvero molto gentile da parte sua, ma non posso permettermi di pagare al momento.
Marco fece un sorriso appena accennato:
— Non sto parlando di un affitto. Certo, potrà esserci qualche compenso, niente di monetario. Nulla di impegnativo comunque. Ci pensi. Non c’è alcuna fretta.
Le sue parole rimasero sospese, lasciando a Iole un misto di sollievo e diffidenza.
La proposta era allettante, ma qualcosa nella sua formulazione le lasciava un retrogusto amaro.
Tuttavia, la possibilità di lasciare l’ostello e vivere in un luogo più stabile pesava molto di più delle sue incertezze.
Marco, un uomo abile e pragmatico, aveva intuito fin dal primo incontro la vulnerabilità di Iole.
La sua proposta iniziale, apparentemente generosa, nascondeva un interesse personale che si sarebbe rivelato presto.
Non cercava solo una giovane ragazza da aiutare, ma qualcuno che potesse soddisfare i suoi bisogni più egoistici.
Il compenso non economico che richiedeva era chiaro: Iole avrebbe dovuto diventare la sua amante senza per questo responsabilizzarsi, una presenza che scaldasse le sue lenzuola e riempisse il vuoto della sua vita.
Iole, sopraffatta dalle circostanze e incapace di vedere una via d’uscita, accettò.
La sua disistima sessuale, alimentata dalla situazione, la imprigionò in un ruolo da cui non riusciva a liberarsi.
Marco, però, non era solo un uomo manipolatore; era anche un industriale astuto, capace di riconoscere il potenziale di Iole.
In poco tempo, comprese di avere tra le mani un gioiello raro, una mente brillante che poteva far crescere la sua azienda.
Con il passare del tempo, Marco iniziò a far scalare a Iole l’interno della sua ditta, affidandole ruoli sempre più importanti.
La mandò in giro per l’Europa, fiducioso negli affari che lei avrebbe procurato.
Iole, pur dimostrando una straordinaria capacità professionale, rimase intrappolata nella sua disistima.
Il peso della relazione con Marco e il senso di colpa per il ruolo che aveva accettato le impedirono di affrancarsi, di vedere il proprio valore al di là di quella dinamica.
Iole divenne una figura chiave all'interno dell'azienda, rispettata dai colleghi e temuta dai concorrenti.
Ella era abile, strategica, capace di negoziare con precisione chirurgica e di prevedere con incredibile lucidità le tendenze del mercato.
Eppure, ogni successo professionale era intriso di amarezza.
Marco le aveva dato molto, ma in cambio si era preso tutto.
Marco le aveva dato molto, ma in cambio si era preso tutto.
Ogni sera, al termine delle sue giornate, Iole tornava nella stanza che Marco le aveva assegnato e che le serviva unicamente da deposito per la sua valigia.
Non era una casa in cui poteva sentirsi a proprio agio o al sicuro, ma solo un'altra maschera, un luogo che esisteva per sembrare qualcosa che non era.
Le stanze erano arredate con gusto, ma l’assenza di personalità le rendeva fredde, impersonali.
Non c'era nulla che appartenesse davvero a lei.
Anche lì il silenzio era rotto solo dal ronzio distante di un impianto di ventilazione.
Ogni notte, la pressione del suo ruolo e il peso della relazione con Marco la accompagnavano in quel letto che sentiva tanto estraneo, quanto il resto della sua vita.
Si rifugiava nelle sue abitudini: una doccia lunga, un bicchiere di vino, la lista delle cose da fare per il giorno successivo.
Qualsiasi cosa che potesse distrarla dalle domande che, inevitabilmente, tornavano a tormentarla quando si sdraiava e chiudeva gli occhi.
“Chi sono diventata? È questo ciò che volevo?”
Queste parole rimbombavano nella sua mente, come un eco che non trovava mai risposta.
Marco le affidò una serie di trattative iniziali in città italiane: Milano, cuore pulsante della finanza; Roma, crocevia di cultura e diplomazia; Torino, con il suo spirito industriale.
Questi luoghi erano il palcoscenico ideale per mostrare le sue bravura, la sua capacità di trattare e di capire le dinamiche del mercato.
La sua efficienza e la sua prontezza la resero indispensabile agli occhi di Marco, tanto che iniziò a fidarsi di lei per gestire affari che pochi altri avrebbero potuto portare a termine.
Durante uno dei suoi viaggi a Torino, poi, Iole concluse un accordo che Marco considerò cruciale per l’espansione dell’azienda.
Così, la scala gerarchica dell’azienda iniziò a salire sotto i suoi piedi, portandola sempre più vicino alla vetta
Marco, come simbolo del prestigio dell’azienda, aveva acquistato una limousine che praticamente usava lei sola.
L’auto, impeccabile e imponente, con tanto di autista in divisa la presentava ai clienti prima ancora che lei aprisse bocca.
Questa era parte del teatro che Marco aveva creato intorno a lei, un modo per impressionare gli altri e affermare la superiorità della sua azienda.
Iole, però, la vedeva diversamente: per lei, quella limousine era un peso, un promemoria costante del controllo che Marco esercitava su di lei e della sua incapacità di liberarsi.
Ma ogni sera quando rientrava nell’abitazione di Marco, Iole avvertiva il peso di quella scalata.
Ogni vittoria professionale sembrava portarla più lontano dal desiderio di libertà che teneva nascosto dentro di sé.
Era come se, ad ogni successo, il legame con Marco si rafforzasse invece di indebolirsi.
Con l’espansione continua dell’azienda, Marco decise di lanciarsi anche sul mercato internazionale e naturalmente fu Iole ad essere inviata oltre frontiera per realizzare la trattativa..
Per Iole Parigi non rappresentava più di un’altra tappa in una vita che sentiva sempre meno sua.
Non c’erano romanticismo o magia nel suo viaggio; c’erano solo riunioni, trattative e la costante pressione di non deludere Marco.
Fu scortata da Alessio, uno dei dirigenti di fiducia della società, un uomo pragmatico e distaccato. Il loro rapporto era puramente professionale, privo di scambi personali significativi.
Alessio la osservava con rispetto, riconoscendo la sua straordinaria abilità negli affari, ma non cercava di conoscere la donna oltre il ruolo che ricopriva: sapeva che ella era l’amante del capo e non intendeva certo correre rischi.
Di Parigi, Iole non aveva visto nulla.
La città dell’amore era per lei solo un nome, un luogo che esisteva al di là delle finestre degli uffici e degli hotel.
La prima sera, dopo una giornata di trattative e incontri, si recò nella stanza di Alessio, il dirigente che Marco aveva scelto per accompagnarla.
Malgrado le sue proteste iniziali e le sue affermazioni di fedeltà alla moglie, Iole lo sedusse, dando inizio a una pratica che sarebbe diventata parte della sua routine nei viaggi futuri.
Non era amore, né desiderio.
Era un modo per colmare il vuoto che sentiva dentro, per cercare un senso di controllo che sembrava sfuggirle nella vita.
Alessio, come gli altri che sarebbero venuti dopo di lui, era solo un mezzo, un riflesso della sua disistima e della sua incapacità di affrancarsi dalla dinamica che Marco aveva imposto.
Ogni notte, il silenzio della stanza amplificava il caos dentro di lei.
Ogni mattina, agli uffici la riportava alla realtà, una realtà che sembrava sempre più distante da ciò che un tempo aveva desiderato.
Iole si sentiva intrappolata in un circolo che non riusciva a spezzare, un cerchio che la portava sempre più lontano da sé stessa.
Dopo aver conquistato Londra e Berlino, il successo di Iole sembrava irrefrenabile.
Era diventata il volto dell’espansione aziendale, capace di assicurare affari con precisione e sicurezza.
Tuttavia, ogni traguardo portava con sé un peso crescente.
Iole decise finalmente di aprirsi con Marco.
— Questa però non è vita!
Eesclamò una sera, nella stanza di Marco;
— Abbiamo soldi in abbondanza, sia io che tu, ma al di fuori di questa stanza non abbiamo nessuno svago. Accompagnami almeno in discoteca.
Marco, inizialmente sorpreso, si lasciò convincere:
— Io non so ballare,
Affermò con un sorriso ironico:
— Ma hai ragione,sei giovane e ti sei meritata un premio. Tu ballerai ed io ti guarderò. Per una sera sarò la tua scorta armata.
Quella stessa notte, invece di andare a letto,, Marco e Iole si diressero verso una discoteca esclusiva in città.
All’ingresso, il potere e il prestigio di Marco aprirono loro le porte senza esitazione.
Dentro, la musica pulsava come un grande cuore, le luci colorate creavano ombre danzanti, e una folla frenetica riempiva la pista agitandosi al ritmo della musica.
L’atmosfera era un misto di caos e vitalità, una combinazione che prometteva libertà e divertimento, ma che Iole percepiva come un luogo di confusione, dove si poteva finalmente perdere ogni senso di identità.
Marco e Iole erano seduti a un tavolino riservato, circondati dall’energia frenetica della pista da ballo.
La musica assordante esplodeva da ogni angolo, impossibile da ignorare, con bassi che sembravano rimbombare nel petto e soprattutto nella testa di chiunque fosse presente.
Le luci stroboscopiche illuminavano a intermittenza il locale, creando un’atmosfera che oscillava tra il vibrante e il disorientante.
Persone si accalcavano ovunque: alcuni sulla pista, muovendosi al ritmo, altri al bancone del bar, impegnati a chiamare i barman al di sopra del frastuono.
Era caos puro, un turbine di movimenti, suoni e colori che non lasciava spazio a silenzi o momenti di pausa.
Marco, con il suo atteggiamento imperturbabile, si limitava a osservare, sorseggiando il suo drink e mantenendo uno sguardo vigile.
Iole, invece, si sentiva travolta dall’ambiente, incapace di trovare un punto di riferimento.
Segue (solo a richiesta)....
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