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Allattare è bello 5 (finale)


di iltiralatte
12.06.2024    |    1.726    |    0 9.5
"Ancora una volta le principesse mangiarono la loro stessa bile e la vita, per me, migliorò di molto..."
Il re si mostrò generosissimo nei miei confronti.
Non parlo solo di gioielli o della generosa prebenda che dispose mi venisse consegnata a scadenze fisse, ma anche di carrozze, servitori e persino un palazzo in campagna nelle immediate adiacenze di Parigi che mi furono donati ogni volta che dormivo nel suo letto.
Io. per mio conto, mi tenevo lontano dalla politica con lo scopo dichiarato di tenere il più possibile i malumori lontani da me, ma questo non sempre era possibile.
Alle figlie del re, forse timorose che io sottraessi loro l’affetto del padre, stavo sul piloro.
Al mio passaggio volgevano ostentatamente il viso dall’altra parte non ritenendomi degna di nessuna considerazione.
Non sapevano nulla di me se non che non appartenevo a nessuna famiglia nobile, quindi per loro era inconcepibile che il padre mi frequentasse.
Non fui però io a lamentarmene col re bensì lui stesso che mi si rivolse.
-La mie figlie non riescono a sopportarti: sono odiose. A loro parere non dovrei proprio frequentarti, ti definiscono fonte di scandalo e puttana, appoggiate in ciò dal prelato di corte e vogliono che ti allontani. Il fatto che tu mi dia gioia e serenità che alla fin fine si traducono in un bene per tutto lo stato non le sfiora proprio.
-E allora cosa vuoi fare Luigi? Io sono cosa tua e ti obbedirò qualunque ordine voglia darmi. Devo ritirarmi in convento? A malincuore ma lo farò.
-No mia cara, non se ne parla proprio. Ho riflettuto a lungo e sono giunto ad una conclusione: l’unica. TU DEVI SPOSARTI.
-Allora vuoi veramente liberarti di me? Quale sarebbe la differenza tra il ritirarmi in un convento ed il matrimonio? In entrambi i casi avrei un impedimento legale a frequentarti. Ne morirei.
-Non proprio un impedimento se lo sposo te lo scegliessi io!
Attenta lo guardai mentre lo ascoltavo.
-Il maggiore ostacolo che abbiamo è che tu non appartieni a nessuna famiglia nobile. Potrei scegliere tra una enorme quantità di nobili, anche con titoli importanti, in bancarotta. Sarebbe quindi semplice selezionarne uno, pagarlo profumatamente perché ti sposi e che poi ti lasci nel mio talamo, assumendosi eventualmente la paternità di eventuali figli tuoi.
-Ma sei certo che questo basterà a soddisfare le tue figlie?
-Deve bastare perché, come alternativa, spedirei loro in convento. Sono astute, vedrai che sapranno fare bene i loro calcoli.
Fu così che, in capo ad un mese, uscii una mattina dal letto del re per correre a sposarmi.
Mio marito, un certo marchese Du Barri, ufficiale del Regio Esercito disse di si sull’altare per poi restituirmi immediatamente al mio augusto amante, e questa fu l’unica Volta che lo vidi.
Ora ero una donna sposata, ma la situazione non migliorò per questo: anzi …
Quelle befane pettegole delle principesse asserirono che ora io vivevo pure nel peccato e continuarono a tramare alle mie spalle. Il loro padre non ebbe a questo punto il coraggio di chiuderne neppure una in convento e la situazione si incancrenì.
A peggiorare le cose giunse infatti una ragazzina di 16 anni, Maria Antonietta, ceduta dagli Asburgo in moglie al Delfino del re,
Non ho prima parlato di lui ma colui che sarebbe poi diventato Luigi 16 era un giovane schivo ed introverso. Non era gay, semplicemente non gli interessavano le donne,
Il fatto poi di conoscere come sua legittima consorte una bambina non ancora uscita dall’adolescenza compì il resto dell’opera.
Il futuro re si interessò alle arti, all’astronomia, alla caccia e si disinteressò completamente della moglie che, un anno dopo le nozze, era ancora vergine.
Facile comprendere anche la delusione della giovane futura regina e questa non trovò di meglio che appoggiarsi alle DUE befane per fare vita di corte,
Se prima la mia vita era difficile ora essa divenne un inferno.
Quella maledetta etichetta imponeva che io non potessi mai rivolgere per prima la parola alla futura regina.
Questa volta fui io a rivolgermi a Luigi nell’intimità della mostra camera.
-Quella donna mi ignora Luigi e se la futura regina non mi parla tutta la corte segue il suo esempio. Il risultato è che io vivo in un ambiente di fantasmi in cui solamente i servitori mi rivolgono la parola ma solo per dire “Si signora”
Il re mi rispose:
-Hai ragione, è una situazione incresciosa. Quella ragazzina non solo non è capace di generarmi un erede ma semina zizzania all’interno di quella che io voglio una famiglia felice. Mi occuperò io della cosa.
Un paio di giorni dopo, mentre traversavo la sala del trono, Luigi mi fece cenno di accostarmi a lui.
-Oggi la Delfina ti rivolgerà la parola. Non attenderti discorsi trascendentali ma resta nei miei pressi. Voglio poterla sentire quando parlerà.
Così avvenne.
Quello stesso giorno la Delfina, pur attorniata dalle sue ancelle, si fermo accanto a me.
-Sembra che oggi pioverà.
Quattro semplici parole che non dicevano nulla di veramente importante ma che servirono allo scopo.
La Delfina aveva ritenuto Madame Du Barri degna di una sua confidenza, quindi non era vero che fosse una reietta.
Ancora una volta le principesse mangiarono la loro stessa bile e la vita, per me, migliorò di molto.

Questa la mia vita a Versailles ma la sorte aveva ancora qualche cosa in serbo per me, una cosa molto spiacevole.
Una mattina Sua Maestà si svegliò con addosso una certa malavoglia:
-Oggi debbo incontrare il rappresentante inglese ma non me la sento proprio.
-Luigi perdona la mia franchezza ma hai da lungo superato la settantina. Lascia perdere lo stato e pensa un poco a te.
-Si mia cara, parli bene tu che mai hai voluto occuparti di politica. Tu hai badato solo a me, e di questo ti sono grato. Mi hai reso un uomo felice ma nel contempo ora non ho chi possa sostituirmi quando sono indisposto.
-Abbi fiducia in tuo figlio Luigi, sono certa che riporterà un successo.
-Non posso Jeanne, non è ancora pronto. Fare il re è un mestiere complicato.
Quella fu la sua ultima uscita ufficiale. Il giorno dopo il malessere persisteva ed il cerusico di corte sentenziò un male terribile: vaiolo.
Per giorni non abbandonai il capezzale di quello che consideravo oramai il mio uomo. Lo imboccavo, gli inumidivo le labbra, gli asciugavo il sudore dalla fronte ma, nonostante l’impegno mio e dei guaritori lo vidi peggiorare e spegnersi un poco alla volta.
Ero accanto a lui quel maledetto giorno 1 settembre 1715 in cui si capiva che stava per esalare l’ultimo respiro.
In un estremo tentativo di trattenerlo a me gli confessai:
:-Luigi, non lasciarmi, Sarai anche il re ma io amo l’uomo che è in te. Ti amo!
Pur con la faccia devastata dalla malattia mi guardò con amore ed abbozzò un sorriso:
-Finalmente! Ti ci è voluto tanto a dirmelo? Questa è la prima volta che lo fai e mi consentirà di raggiungere felice il nostro creatore.
Erano le 8.10.
Cinque minuti più tardi il camerlengo al balcone gridava: -IL RE È MORTO!
E, dopo un breve istante: -VIVA IL RE!
Le figlie di Luigi, alla morte del padre, riconquistarono facilmente tutto il potere che avevano avuto a corte e convinsero facilmente il giovane successore loro fratello a rinchiudermi in un convento.
Due anni durò il mio esilio poi finalmente il giovane re, forse convinto dai vecchi consiglieri del padre, mi fece liberare.
Questa volta fui io a sottrarmi alla mefitica atmosfera della corte e mi ritirai in campagna dove, pensavo, non avrei più avuto avventure.
Ancora una volta mi sbagliavo.
Scoppiò la Rivoluzione Francese e tutti i protagonisti di questa storia furono decapitati.
Per primo toccò a re Luigi 16 che conobbe il patibolo il 21 gennaio 1793.
Stessa sorte per Maria Carlotta e Sofia Beatrice (le sorelle) che furono giustiziate in una pubblica piazza mentre le megere popolane sferruzzavano coi ferri da maglia e di cui si è persa ogni traccia del luogo di sepoltura.
Sua moglie Antonietta li seguì, con estrema dignità debbo dire, il 16 ottobre dello stesso anno dopo aver ottenuto di essere sepolta assieme al marito.
Ed io?
Io durante la fase acuta della rivoluzione ho aiutato tanti innocenti a fuggire all’estero per salvarsi, ma alla loro salvezza, alla fine, è equivalsa la mia condanna.
Ora: 8 dicembre 1793, sono qui sulla ghigliottina in attesa della mia esecuzione che avverrà tra poco.
Imploro:
-La prego, cittadino boia, mi conceda ancora un minuto. Troppo ho amato la vita e voglio ancora una volta ammirare il cielo.
Ora sono distesa sulla pancia col collo prigioniero in un incavo simile alla gogna.
Poi odo uno scatto ed un fruscio:
-Eccomi Luigi (15), amore mio, sto riunendomi a te. Non ci lasceremo mai più.

Fine
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