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NELLA DOMUS ROMANA


di RedTales
06.11.2020    |    9.237    |    10 9.6
"Ho sentito a lungo il vostro nerbo nelle mie carni e ho percepito il vostro seme sgorgare più volte, caldo ed abbondante..."
Roma, anno Domini 341, domus della ricca matrona Lucilla e del figlio Marco Aurelio.
Quel giorno Marco Aurelio sentiva una voglia estrema che saliva dal basso ventre e raggiungeva il cuore e decise di porvi rimedio perché sapeva che quello stordimento che riusciva a raggiungere con uno tsunami di sesso era qualcosa di meraviglioso ed ormai non riusciva più a rinunciarvi.
Così anche quel giorno passò in rassegna gli schiavi che la madre, vedova, teneva per appagare i propri piaceri sessuali. Vedendoli si inebriò delle loro splendide forme e, dopo aver appagato il desiderio di accarezzarli nelle loro intimità, ne scelse cinque e ordinò che più tardi gli fossero portati nella zona del palazzo a lui riservata. Fatto ciò raggiunse il bagno e si fece lavare e profumare dai suoi servi prima di dirigersi nelle sue stanze. Qui indossò una corta tunica e dopo essersi sdraiato sul comodo letto rimase in attesa dei suoi ospiti.
Quando i domestici annunciarono il loro arrivo cercò di adagiarsi in una posizione il più lasciva possibile e li fece introdurre nella grande stanza e quindi, con lenti movimenti si portò davanti a loro e, aiutato da due servitori personali, si fece togliere la tunica restando completamente nudo.
“Cospargete il mio corpo con unguenti balsamici” ordinò.
Le sapienti ed esperte mani dei due eseguirono quanto richiesto lasciandolo, alla fine, lucido e profumato e, quando ebbero finito, diede loro un altro compito: “togliete le tuniche agli schiavi e profumate i loro corpi con oli.”
I cinque prestanti giovani furono rapidamente svestiti e quindi massaggiati sotto lo sguardo di Marco Aurelio che iniziò a bramare i loro corpi ma, vista la presenza dei servi, indugiò ed aspettò che terminassero quanto loro richiesto.
Come completarono la consegna li congedò: “ora uscite, lasciate che intrattenga i miei ospiti.”
Rimasto solo, si avvicinò a loro, iniziando a sfiorarne i corpi con la mano, seguendone la muscolatura del petto o insinuandosi tra i glutei o stringendo tra le dita il loro sesso sorridendo compiaciuto di tanta virilità.
Continuò a toccare, massaggiare ed afferrare i corpi e i sessi fin quando questi ultimi non raggiunsero il massimo splendore, erigendosi dritti, duri ed imponenti verso l’alto.
A quel punto si fermò dinnanzi a loro e li fissò in estasi, sapendo che presto avrebbe assaggiato tanta virilità, e li esortò con voce delicata: “adesso siete pronti o sublimi Adoni per poter dare lussuria al mio corpo.”
Detto questo andò a sdraiarsi sul basso divano che aveva fatto porre al centro della stanza e gli ordinò di penetrarlo, uno alla volta, fino a loro completa soddisfazione.
I cinque si fecero appresso e, dopo essersi guardati per stabilire chi iniziasse, lasciarono che il primo si accostasse e, dopo essere salito sul divano, unisse il suo corpo con quello del suo padrone.
Il grosso e nerboruto pene si insinuò tra le curve dei glutei e, facilitato dagli oli che vi erano stati spalmati iniziò a sprofondare nel corpo, accompagnato da una prolungata serie di acuti urletti che Marco Aurelio cominciò ad emettere e che continuò a far risuonare nella stanza per tutto il tempo che i cinque si alternarono dentro di lui.
Consci di dover soddisfare il loro padrone e ben sapendo cosa desiderasse, fecero del loro meglio per prolungare gli orgasmi che i loro notevoli sessi gli diedero e, avvicendandosi uno con l’altro, anche dopo aver riposto nel suo intimo i loro semi, continuarono a lungo a sodomizzarlo.
I gemiti di Marco Aurelio, diventati via via vere e proprie urla di piacere, si diffusero in gran parte della domus e cessarono solo quando, ormai con la mente annebbiata e pago di piacere e pervaso da spasmi e tremori, li fece smettere, ordinando loro, con un filo di voce e con l’eloquio incerto, di fermarsi.
A quel punto si lasciò sprofondare tra i morbidi cuscini per riprendere fiato e facendo trascorrere un certo tempo prima di accennare ad un qualsiasi movimento mentre nella stanza calò il silenzio e i cinque schiavi, stanchi pure loro per le lunghe effusioni, vedendolo inerte, ne approfittarono per accovacciarsi per terra, sentendosi finalmente liberi di non dover più ostentare ripetute erezioni.
Marco Aurelio, provato e sazio, rimase immobile a lungo fin quando non allungò una mano per passarla tra i glutei per raccogliere un po’ del nettare che continuava ad uscire dal suo corpo. Portò quindi le dita al naso per aspirare quell’intenso aroma di maschio e poi le allungò tra le labbra per gustarne la fragranza. Ripeté quel gesto alcune volte prima di mettersi seduto e, sorridendo ai suoi schiavi li elogiò con parole di approvazione: “mi compiaccio per il vostro impeto e per quanta devozione avete dimostrato nel servire il vostro padrone per soddisfare le sue voglie carnali. Ho sentito a lungo il vostro nerbo nelle mie carni e ho percepito il vostro seme sgorgare più volte, caldo ed abbondante. Ho odorato e gustato il vostro sapore e ho goduto con la vostra possanza che ha fatto fremere e tremare il mio corpo. Bravi! Bravi, mi avete dato piacere e gioia. Per questo riceverete un compenso. Ora andate che le mie stanche spolia mi implorano di riposare. Fermati solo tu per accompagnare il cammino del mio sonno e la mia brama di giacere abbracciato ad un giovane e vigoroso maschio.”
Così detto indicò Alteius e, come gli altri quattro uscirono dalla stanza, gli chiese di aiutarlo ad alzarsi e, abbracciato a lui, andò a sdraiarsi nel grande letto.
Marco Aurelio si raggomitolò in una posizione quasi fetale e chiese allo schiavo di tenerlo stretto tra le braccia e le gambe: “in modo che possa sentire, ben premuto contro le mie terga il tuo imponente sesso per tutta la notte.”
Ciò fatto, ormai stanchissimo, si lasciò andare nelle braccia di Morfeo.
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