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Gay & Bisex

Heimat - 6


di HegelStrikesBack
25.03.2025    |    7.119    |    6 9.6
"” Al ritorno dalle vacanze tra me e Carlo c’era stato uno slancio di riavvicinamento, la sua cartolina in cui mi dava del bastardo mi aveva fatto molto ridere..."
“Taramelli, per favore, ti imploro. Finiamo questo strazio d’interrogazione.”
“Sì, prof... e niente, quindi dovrebbe venire -3sen⍺+cos⍺”
“No Taramelli. No, no, no e ancora no. Quando imparerai a leggere le espressioni e le loro parentesi? Taramelli tu mi fai pentire di aver fatto l’insegnante. Carano, per favore, vieni tu a mettere ordine in questo massacro, santo cielo.”
Carlo si alzò controvoglia dal suo posto in seconda fila, di fianco alla Teresa Sanna, per raggiungere il professor Cova.
Felpa grigia, aria assente, sorriso inesistente.
Mentre ci incrociavamo nel corridoio sinistro dei banchi ci scambiammo una fugace occhiata, la sua somigliava più a un “Guarda che cazzo di casino hai combinato e adesso tocca a me risolverlo”, la mia era più uno “scusa”, con lo sguardo che volgeva a quarantacinque gradi verso il basso.
Arrivato alla lavagna prese il cancellino, tolse tutta la parte errata, stappò il pennarellino blu, emise un sonoro sospirone e cominciò a scrivere.
“Tenendo conto delle parentesi il prodotto è questo, poi raccogliendo un sen⍺ il risultato che si ottiene è: sen⍺(sen⍺-cos⍺)”
“Alleluja Carano. Grazie per avermi fatto riprendere fiducia nell’umanità. Taramelli, cosa c’era di difficile? Me lo spieghi? Era un quesito banale… e sì che quando avevate cominciato a studiare insieme il tuo rendimento era migliorato, perché avete smesso?”
Nel momento stesso in cui Cova disse questa frase, gli sovenne tutta la questione del proto-sextape che mi riguardava, del fatto che fosse stato girato e diffuso dalla ex fidanzata di Carlo e dal di lei fratello e capì di aver perso un’ottima occasione per tacere. Più tutto quello che, ahilui, non poteva sapere essere successo dopo e che sto per raccontarvi.
“Almeno ci vai a ripetizione?”
“Sì, prof” dissi costernato.
“Forse cambierei tutor però. Non vedo progressi. Mi informo per trovartene una più capace io.”
Al ritorno dalle vacanze tra me e Carlo c’era stato uno slancio di riavvicinamento, la sua cartolina in cui mi dava del bastardo mi aveva fatto molto ridere.
“Bastardo a chi?” gli scrissi in un sms, due ore dopo eravamo già in un bar del centro dove io mi sentivo finalmente speciale e lui mi diceva che gli ero mancato. Tra una Gauloises e una Muratti Multifilter rossa mi disse di essersi lasciato con Benedetta/Maledetta, che non riusciva a perdonarsi di avermi provocato così tanto dolore e che avrebbe voluto recuperare con me il rapporto perso.
Gli spiegai che non era una cosa così automatica, che ero rimasto molto ferito dal suo modo di comportarsi, che avremmo cercato però di riprendere da dove avevamo lasciato. Con calma e con tranquillità senza metterci fretta. Ricominciarono le uscite del sabato pomeriggio doposcuola per i pomeriggi in centro, ricominciarono le piccole attenzioni che ci riservavamo, che a volte potevano essere un semplice cioccolatino preso al bar sotto scuola e lasciato sul banco dell’altro o per me, che venendo in Vespa passavo davanti all’edicola di Piazza Trieste, prendergli la Gazzetta da leggere all’intervallo o nell’ora di religione.
Una sera poi uscimmo a ballare, una serata tranquilla, all’Hobby. Una discoteca che piaceva a tutti e due perché non era eccessivamente lurida e becera, ma neanche di quelle da fighetti col palo in culo. Ci si andava vestiti tendenzialmente normali, bere non costava uno sproposito e ci si divertiva più che a rimanere a casa quantomeno.
Non ci furono gesti eclatanti, né evidenti. Ma l’elettricità per noi era tangibile.
Carlo ballava e beveva, ma non ballava con nessuna anzi, ha rifiutato varie avances. Voleva stare con me, scherzava, rideva, ballava e beveva. E così finimmo ubriachi.
“Enri, non puoi tornare a casa in queste condizioni. Caschi dalla Vespa alla prima curva e se tuo padre ti becca così ti ammazza. Mia madre non c’è, vieni a dormire da me stasera, poi domani recuperiamo la Vespa presto e torni dai tuoi per pranzo.”
Scrissi un messaggio ai miei, furono inaspettatamente contenti nonostante fossero le tre del mattino, perché secondo loro a me Carlo faceva molto bene. E lo stesso sua madre diceva di me.
Quando arrivammo a casa iniziammo a spogliarci – non senza qualche difficoltà per l’evidente stato di ebbrezza – per metterci un pigiama e dormire. Ci ritrovammo inevitabilmente nudi uno davanti all’altro per la prima volta.
Che bello che era Carlo.
Esitò nel ricoprire quel metro e ottantacinque di muscoli tardoadolescenti forgiati dal nuoto e vaga peluria con la tuta in acetato con cui dormiva e anche io, complici i fumi dell’alcool mi muovevo come al rallenty.
Le bocche felpate, gli sguardi fanali accesi. Ma chi c’ha il coraggio di dire qualcosa adesso?
Prese coraggio lui.
“Ti va se…”
“Sì.”, risposi velocemente senza nemmeno farlo finire.
Carlo si mise a ridere di giusto: “Ma “sì” cosa? Non sai nemmeno cosa ti stavo proponendo. Dicevo, ti va se guardiamo un porno insieme, ne ho scaricati alcuni nuovi”.
“Sì.”
La scena fu completamente diversa dalla volta precedente, in piedi nella penombra, completamente nudi col cazzo drittissimo: filtrava la luce dei lampioni in strada e quella del porno dove stava andando in scena una gangbang interraziale di quelle dove due ragazze petit bianche come il latte venivano sfondate senza pietà da quattro mulatti di origine imprecisata in scene di doppia penetrazione e di “spiedo”.
Io e Carlo ce ne stavamo in piedi impietriti uno accanto all’altro a segarci, il braccio sulla spalla dell’altro.
Fu ancora lui a prendere l’iniziativa e spostare la sua mano dalla mia spalla al mio cazzo, scostando la mia di mano. Mi venne istintivo fare lo stesso. Emettemmo quasi contemporaneamente un grugnito di piacere, eravamo entrambi bagnatissimi. D’improvviso come in un riflesso incondizionato mi misi di fronte a lui, apposi il mio cazzo sul suo e li segai insieme con una sola mano guardandolo negli occhi.
“Ma dove hai imparato questa cosa meravigliosa?”
“Non ha importanza ora”
Provò anche lui, il contatto con la sua mano fu una totale scarica elettrica giù per la schiena e senza accorgercene ci eravamo avvicinati fino ad essere davvero corpo-a-corpo con tutto il corpo.
L’istinto e la disinibizione di quei quattro gin tonic fecero il resto, avvicinai la bocca alla sua spalla e gli diedi un bacio, poi leggermente più su fino al collo. Carlo non rispondeva, lasciava fare, mentre io mi lasciavo menare il cazzo in combinata con il suo. Arrivai, in uno slancio fino alla guancia e al bordo della bocca.
“Hey, hey… non esageriamo adesso”, disse scostandosi ma sorridente. Non era pronto, ci stava, ci arriveremo.
Capii che forse ero un po’ uscito dai ranghi e mi ricomposi un attimo, quando presi in mano io i nostri cazzi fu lui ad abbassarsi con la testa sulla mia spalla e a cominciare una serie di piccoli flebili baci in punta di labbra fino al collo, la mandibola, la guancia e verso l’orecchio con tanto di un piccolo morso al lobo che mi fece sussultare e gemere. Quasi infilandomi la lingua nell’orecchio ci sussurrò dentro di non smettere.
Venimmo insieme, totalmente all’unisono come se stessimo suonando la stessa sinfonia, la sinfonia del piacere. Ci sciacquammmo in bagno prima di infilarci le tute e andare a dormire. L’alcool cominciava a scendere e la spannung erotica che si era consumata prima al buio, alla luce degli impietosi faretti del bagno si stava trasformando in quella goliardia e quel gusto di stare insieme che mi era mancato tantissimo.
Ci addormentammo in un amen separati e ci svegliammo la mattina seguente, di buon ora, prevedibilmente abbracciati.
Dei nostri fine serata gli amici non erano evidentemente al corrente, ma avevano ripreso a fare qualche battutina qua e là sulla nostra vicinanza affettiva. Finché una sera le cose non andarono esattamente come previsto. Già, perché quel sabato sera in cui con Vale, Terry e Mattia andammo a mangiarci una pizza da Pino prima di andare all’Hobby, si tirò fuori un argomento decisamente taboo: quello che era successo durante l’estate trascorsa.
A chiedere fu Mattia: “E quindi Enri, il bonone di Torino che hai conosciuto in Riviera? Archiviato o vi sentite ancora?”
Cercai di fare il vago, non era la conversazione che volevo avere davanti a Carlo.
“Mah, è stata un’avventuretta estiva”
“Avventuretta estivaaaaa?” sbottò la Vale, “Ma se ci hai sfrangiato i maroni per due mesi di quanto era bello, figo, dolce e tutte le caratteristiche positive del mondo, di quanto fossi preso bene da Matteo e adesso è un avventuretta estiva? Che bugiardo, Madonna mia! Piuttosto… lo vai a trovare davvero a Torino per il ponte?”
Se la Vale avesse saputo come si erano evolute le cose di certo non avrebbe fatto quella sparata, ma si rese conto del mio sguardo atterrito solo alla fine del suo mini-monologo. E, soprattutto, vide quella di Carlo. Lo sguardo della lepre all'apertura della caccia.
L’imbarazzo calò sovrano e nessuno ebbe più il coraggio di parlare fino al momento di chiedere il conto.
L’idea di andare a fingere di divertirci pareva a tutti il coronamento più sbagliato di quella serata del cazzo.
“Io ragazzi sono un po’ stanchino e domani vorrei studiare per la versione di Latino che sono un po’ indietro… che dite se all’Hobby andiamo settimana prossima?”
“Sì, anche io sono stanca” mi fece eco Valeria, fingendo di sbadigliare.
“Beh, sì possiamo fare il prossimo weekend che c’è il ponte anche… tanto Enri sarà a divertirsi a Torino, possiamo andare anche senza di lui no?” aggiunse feroce Carlo, piantando i suoi occhi neri dentro i miei.
“Ma sì, ci sta, certo” chiosò Mattia imbarazzatissimo.
Da lì, Carlo frenò ogni slancio nei miei confronti, ma soprattutto nei confronti di tutto quello che lo circondava.
Lo sguardo fisso, vitreo, inespressivo.
I gesti meccanici, la voce monocorde.
Le parole poche e pesate. Spesso polemiche.
Tentai inutilmente di capire cosa fosse passato nella sua testa in quel periodo ma non ebbi mai risposta.
Fino a una serata di qualche mese dopo.
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