Gay & Bisex
LOVE IS IN THE AIR - ENCORE PARIS (Parte 2)
di HegelStrikesBack
11.11.2017 |
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"“E da quando in qua te ne intendi di ragazzi?”
“Sono fisionomista diciamo”
“Ah sì, e di me cosa dici?”
“Beh, per stare con una fica come Valeria qualche..."
Non so dire quanto sono rimasto per terra privo di conoscenza, ma so che ora che riapro gli occhi accanto a me c’è un tavolino rovesciato, una teiera e due tazze rotte e la confezione in cartone di un cappuccino.
Che fine ingloriosa, dottor Crociani!Sopra di me invece ci saranno sette o otto persone che parlano francese concitatamente e il viso di Sebastiano - tra il preoccupato e il divertito - con gli occhi perfettamente perpendicolari ai miei.
“Ti sei fatto male?” dice tendendomi una mano
“Eh mannaggia la m******” impreco bestemmiando da bravo toscano.
“È arrivato Uber, dai andiamo che per oggi danni ne hai già fatti abbastanza”
Saliamo sul mezzo designato. Non riesco a non pensare un po’ disgustato che ho il cappotto macchiato di thè e di pozzanghera di pioggia sul pavimento di Starbucks e per di più sto salendo su una Ford Mondeo. Mai una gioia.
Arrivati in camera, la mia scorta si offre di aiutarmi a spogliarmi e a mettermi a letto.
Mi toglie il cappotto, lo mette dentro la mia valigia tanto è sporco e non lo rimetterò certo macchiato, mi leva il maglione con delicatezza e inizia a sbottonarmi la camicia.
Sento il contatto delle sue dita affusolate sul mio torace. Ho come una scarica elettrica e lui se ne accorge. Sono già pronto a dire che è stato un brivido di freddo.
“Non ho mai sbottonato la camicia ad un uomo…”
“Non mi sono mai fatto sbottonare la camicia da un uomo”.
I nostri occhi si ritrovano ancora ad incrociarsi per un momento troppo lungo, come ieri sera su Quai de Valmy. Tutti e due tentiamo di dire qualcosa come a giustificarci, ma io ho la febbre troppo alta per parlare, mi sfilo da solo i jeans, mi riavvolgo nel pigiama mettendomi sopra anche la felpa pesante e mi butto nel letto senza dire una parola.
Al mio risveglio mi viene detto che ho dormito 7 ore di filato come un bambino, Sebastiano nel frattempo è anche andato a fare una passeggiata su Canal-Saint-Martin e Place de la Republique per vederle con la luce del giorno.
Ormai sono le 18:30, la tachipirina mi ha fatto sudare come un porco ma è un buon segno perchè effettivamente la febbre non la sento più. Vado a farmi una doccia, quantomeno per rendermi presentabile e invito Sebastiano ad aereare un po’ la stanza nel mentre.
Insaponandomi non posso fare a meno di avere dei flashback di Sebastiano trasognante a Canal-Saint-Martin, di lui nudo sul letto stamattina, di lui che mi sbottona la camicia e non posso fare a meno di avere un’erezione.
E quando viene su duro c’è una sola cosa da fare. Lo prendo in mano, è durissimo e le palle sono risalite un po’, ottimo segno. Inizio a masturbarmi lentamente, assaporandomi ogni scappellata, con gli occhi chiusi. Siccome quattro giorni di astinenza per uno abituato a farlo tutti i giorni si fanno sentire, vengo con sei schizzi piuttosto densi sul vetro della doccia che prontamente risciacquo e in un tempo ragionevole senza destare sospetti riesco ad uscire.
“Ho fame, ti va se usciamo a mangiare un boccone?”
“Ci credo che hai fame, da stamattina hai fatto solo colazione… però niente di pesante che sei stato male fino a stamattina”
“Sì, mamma…” bofonchio sbuffando.
Ridiamo insieme, c’è una complicità tra di noi che raramente, anzi che mai, mi era capitata con un uomo.
Decidiamo di non allontanarci troppo e torniamo su Quai de Valmy, dove ieri sera ci siamo guardati diversamente per la prima volta.
Nonostante l’effetto dei medicinali sia appena finito decido che mangerò finalmente qualche specialità francese ma soprattutto berrò.
La prima bottiglia di Bordeaux la finiamo tra l’entrée e la portata principale, segue un Côtes-du-Rhône che, nonostante i miei campanilismi sul vino rosso toscano, fa breccia nel mio cuore.
Il cameriere che ci serve la cena, Mathieu, è uno studente di recitazione, è giovanissimo, impacciato e con un paio di occhiali tondi imbarazzanti.
Mi lascio scappare, naufragando nel rosso, una considerazione:
“Secondo me, Seba, il cameriere di sto posto è uno di quei ragazzi che sembra un bischero, un coglioncello, ma poi a letto le donne se le apre in due”.
“A me sembra il sosia francese di Harry Potter…”
“Sì, Harry Fotter!”
Scoppiamo a ridere palesemente ubriachi, ma a questo punto si deve giocare col fuoco.
Comincia lui, tuttavia.
“E da quando in qua te ne intendi di ragazzi?”
“Sono fisionomista diciamo”
“Ah sì, e di me cosa dici?”
“Beh, per stare con una fica come Valeria qualche qualità anche a letto dovrai averla, non basta tutto il resto…”
“Il resto?”
“Sì, che sei un bel ragazzo, dolce, premuroso, intelligente, ironico…”
“Pensi questo di me?” “Sì, penso questo.”
“Sai, è curioso perchè è esattamente quello che penso anche io di te. Che sei un uomo affascinante, dolce, premuroso, dall’ironia raffinata e di una gentilezza d’altri tempi.”
Nessuno dei due ha la forza di sostenere lo sguardo dell’altro.
Chiediamo il conto, in fretta pure. It’s now or never. Adesso o mai più.
Ci mettiamo circa dieci minuti a tornare in hotel, e una volta arrivati, sette piani di ascensore per smettere di baciarci.
Baciare un uomo? Io? E chi l’avrebbe mai detto.
E soprattutto chi l’avrebbe mai detto che mi sarebbe piaciuto.
Le barbe che si sfregano, i nasi un po’ più voluminosi di quelli femminili, il tocco diverso delle mani, l’odore diverso, il corpo più massiccio da abbracciare.
La porta si apre davanti a due turisti giapponesi, noi manco ce ne siamo resi conto, finchè uno dei due non si è schiarito la gola.
Sembriamo due ragazzini in hotel durante una gita scolastica, facciamo un gran casino mentre cerchiamo di aprire la porta della nostra stanza, salvo poi scoprire che stavamo cercando di aprire la stanza sbagliata.
Rientrati in camera ci baciamo ancora, ancora, ancora e ancora.
I vestiti volano, e in men che non si dica ci ritroviamo nudi, abbracciati e a limonare.
“Dai vai sotto le coperte, che poi prendi freddo e stai male di nuovo”.
La premura di questo ragazzo mi intenerisce sempre di più.
Gli do retta, mi butto sotto le coperte, lui aggiunge due plaid trovati nell’armadio, poi entra nel letto.
Mi rannicchio vicino a lui fino a sentirne il calore corporeo, e dire che sono anche più alto e grosso di lui, ma cerco la sua protezione come una pianta cerca la luce del sole. Ne ho bisogno, mi nutro del suo essere così.
Mi abbraccia, mi bacia sul collo da dietro.
“Te la senti?”
Cazzo, ho appena dato il primo bacio. E adesso che si fa? Come si fa? Ma soprattutto si fa?
Io ho una donna a casa che mi aspetta che doveva essere qua, in questo letto al posto suo e peggio ancora è la migliore amica della sua fidanzata.
Stiamo facendo una troiata. Le cose vanno chiamate col lor nome e questa è una troiata.
“No Seba, scusa ma non me la sento.”
“E allora dormiamo abbracciati, che problema c’è. Io mica scappo.”
Neanche il tempo di rispondergli e complice la bevuta abbondante mi addormento in un sonno profondissimo.
Il risveglio è traumatico, per uno che fino a ieri era convinto della sua eterosessualità ed abituato a svegliarsi accanto alla sua compagna da cinque anni, trovarsi nudo in un letto con un altro uomo nudo è quanto meno destabilizzante.
Il tempo di focalizzare l’accaduto che anche Sebastiano si sveglia, insieme a lui si sveglia anche il suo amichetto là sotto.
Rimango immobile, pietrificato dalla situazione nuova, mentre lui mi mordicchia la spalla.
“Che c’è? Tutto bene?”
“No… sì… è solo che, beh, non ci sono abituato tutto qua”
“Ah, perchè io sì invece? Rilassati dai, non fare l’ansioso. Godiamoci quello che c’è, se c’è e quando c’è. Che ti va di fare oggi? È l’ultimo giorno pieno che abbiamo…”
“Andiamo a Montmartre?”
“Va bene. E poi sulla Tour Eiffel.”
“Oui monsieur…”
Altri baci seguono nel letto, poi sotto la doccia insieme.
Ci insaponiamo, ci tocchiamo.
Istintivamente glielo prendo in mano, lo scappello, lo insapono e comincio a masturbarlo come ho fatto ieri sera col mio. Lui si appoggia con le spalle al muro della doccia e chiude gli occhi per godersi il momento.
Quasi grugnisce mentre io baciandolo furiosamente sul collo, con la mano destra masturbo i suoi 19 cm di virilità e con la sinistra gioco con le palle che pendono in maniera piuttosto vistosa.
Sta per venire, mi sposta la mano, vuole fare lui e io lo lascio fare dedicandomi un po’ al mio.
Svariati schizzi colano sulla sua mano, sul piatto doccia e sulle ante in vetro satinato.
Poi quella mano piena di schizzi si ripulisce proprio sulla mia faccia.
“Ma che cazzo ahahahahahah”
Ridiamo insieme e io mi metto a fargli il solletico che scopro soffre tantissimo.
Per sfuggire alla cattura si inginocchia e si trova faccia a faccia col mio cazzo ormai durissimo.
Guarda in su, a cercare la mia approvazione ma trova semplicemente la mia mano che con fermezza lo spinge verso la cappella.
Lui apre la bocca e la cappella sparisce. Un gioco di prestigio che non avevo mai visto fare ad un uomo, ma che, col senno del poi, capisco che riesce meglio ai maschietti.
Il tempo di abituarsi alla novità del gioco che la bocca di Sebastiano si avvicina sempre di più alla base della mia erezione. Tutto non credo che riuscirà a prenderlo, ma vediamo dove si può arrivare. E arriva quasi in fondo. Cerco di contenermi nei movimenti, lasciando che ne esplori le forme. È il suo primo pompino, non posso chiavargli la gola: lo traumatizzerei.
Ci vuole poco perchè senta l’urgenza di sborrare.
“Sto per venire” gli sussurro in preda al piacere.
Lui si stacca, se lo piazza davanti alla faccia e mi finisce con una sega.
Ho un orgasmo così forte che mi sembra di aver messo le dita bagnate nella presa di corrente. Lui si prende tutta la schizzata in faccia, anzi nella barbetta.
“Ora siamo pari” dice alzandosi.
Ma prima che si possa sciacquare sotto il getto tiepido della doccia, lo bacio togliendo gli schizzi del mio seme dalla sua barba.
Ha gli occhi più dolci che abbia mai visto, mi attraversano da parte a parte mentre io completamente inerme ingoio e assaporo il mio stesso sapore.
“È stato bello sai?”
“Anche per me, molto” ribatte lui passandomi un accappatoio.
Chissà come sarebbe vivere questo come la normalità di tutti i giorni? Sarebbe così anche con un altro uomo o è Sebastiano che mi suscita emozioni che non avrei mai pensato di poter provare, io così sicuro della mia eterosessualità, di voler passare la mia vita con Sara e forse di provare anche a farci un figlio insieme.
Tutte queste domande riempiono la mia mente mentre la linea 2 della metropolitana, come un serpentone d’acciaio ci porta verso la fermata Anverse.
Sulla funicolare che evita le scale per il Sacro Cuore siamo io e lui e uno sparuto gruppetto di turisti nord-europei e mentre guardiamo la città abbassarsi, con un filo di voce e la timidezza dei primi appuntamenti chiedo quello che non avrei mai pensato di chiedere ad un uomo.
“Posso tenerti per mano oggi?”
Non arriva risposta, solo le dita della sua mano destra che incontrano le dita della mia mano sinistra. S’incontrano, si sfiorano, si riconoscono, s’intrecciano e non si lasciano.
La città oggi la giriamo così, non più come due amici ma come una coppia mano nella mano.
Ci scattiamo qualche selfie da postare su instagram con la città alle nostre spalle sulla terrazza di fronte al Sacro Cuore, scendiamo le scale mano nella mano e sorpresi da un temporale improvviso ci rifugiamo a mangiare un Croque Monsieur in un ristorantino di Rue de Clignancourt, dove più che quella delizia che ci hanno servito ci ritroviamo a mangiarci con gli occhi.
La pioggia passa, la voglia no.
L’istinto dice di correre in albergo a fare l’amore, la testa dice che la Tour Eiffel ci aspetta.
E allora riprendiamo la metro e poi la RER verso Champ de Mars.
Non c’è nemmeno troppa fila alle biglietterie degli ascensori e dalle nuvole che si stanno diradando filtra una luce quasi mistica.
Ho il cuore pieno di gratitudine, mi emozionano ancora le cose piccole e insignificanti, come una luce particolare che taglia l’aria e rende i colori diversi. Quella luce sento di averla negli occhi e la vedo negli occhi di Sebastiano. Ho anche paura, paura che tutto questo finisca. E quando sono felice vorrei che non finisse mai.
Saliamo al primo livello, poi al secondo e infine al terzo.
Sul terrazzo panoramico ancora infradiciato dalla pioggia di prima guardiamo Parigi dall’alto, tutta sotto di noi, con la sua caratteristica architettura a stella.
Piccola come un diorama, un plastico dove piccoli modellini d’auto si rincorrono senza sosta a una velocità impressionante mentre quassù a 324 metri d’altezza lo scorrere del tempo sembra più lento.
Mentre ci incamminiamo verso gli ascensori per scendere in città, la visione delle indicazioni per le toilettes illumina di eccitazione gli occhi di entrambi.
Entriamo nel bagno dei signori, ci chiudiamo dietro la porta a chiave.
Neanche il tempo di farlo che ci ritroviamo a limonare selvaggiamente, come due adolescenti.
Quanto bacia bene, che mani che ha, che bello che è.
Questa volta sono io ad inginocchiarmi verso il suo cazzo e a cercarne di far sparire il più possibile dentro la mia bocca anche se la situazione completamente nuova mi provoca qualche conato.
Seba è eccitatissimo, sembra che non riceva un pompino da anni ed io mi rifiuto di credere che sia così, bussano alla porta, risponde lui con un italianissimo “Occupato”.
Non bussano più e Seba viene inavvertitamente inondandomi le fauci di sborra calda.
“Scusami, non ce l’ho fatta a scansarmi prima…”
“Chi ti ha detto di farlo? Hai una mentina?”
Ridiamo entrambi, ci baciamo e ci risistemiamo.
Un anziano signore tedesco per poco non viene colpito da infarto vedendo due uomini uscire manina nella manina dalla toilette dei signori e l’odore di ormoni maschili e di sperma lascia poco all’intuito di quello che può essere accaduto a 324 metri di altezza.
Scendiamo finalmente, sempre più vicini fisicamente, incollati e non perchè l’ascensore fosse pieno. Nell’orecchio mi sussurra “Hai l’alito che sa di sborra” e io gli tocco il culo.
Ridiamo ancora. Sto benissimo. Lasciatemi qui, non fatemi tornare a Milano.
Al bar del primo piano ci fermiamo a ri-ammirare il panorama l’ultima volta prima di scendere. Sebastiano si siede a un tavolino e ordina due calici di champagne.
“A che brindiamo?”
“Beh, a noi. Mi sembra giusto no?”
“Sì, a noi.”
“Cin cin.”
Lo sguardo di Sebastiano si fa improvvisamente triste.
Chiedo spiegazioni e ottengo come risposta che questa complicità gli mancherà.
Lui forse ha molto più chiaro di me che a Milano questa complicità non riusciremo più ad averla, nonostante a livello pratico non siamo nulla se non amici.
Amici speciali (sì, credici...), ma sentimenti in campo sarebbe mendace dire di averne.
Anche a me mancherà questo e confesso di sentirmi anche molto in colpa nei confronti delle nostre compagne ignare di quanto sia accaduto qua e soprattutto di quanto ci abbia fatto stare bene.
Non ho mai tradito Sara con un’altra donna.
Nè prima, nè ora.
L’ho tradita, anche se non so quanto sia la parola giusta, con qualcosa che lei non potrà mai darmi. La sensazione di avere un uomo al mio fianco.
E ora che so quanto è bella, le cose saranno inevitabilmente diverse per me.
Nel tavolo accanto al nostro una coppia di spagnoli guarda delle fototessere in bianco e nero che si sono appena scattati.
Chiedo dove le avessero scattate.
“Alla macchinetta vintage alla Città della Moda su Quai d’Austerlitz”
“Dai, Seba… ci andiamo?”
Sbuffa, ci vorranno almeno 20 minuti di RER per arrivarci
“E va bene, almeno avremo un ricordo tutto nostro di Parigi.”
Camminiamo nella luce del tramonto, andiamo a farci qualche foto insieme, da conservare in fondo a una scatola o in un cassetto della scrivania dove nessuno va mai a frugare.
Parigi è bellissima, e anche Sebastiano lo è.
Le sue mani stringono ancora le mie, le foto lentamente si auto-sviluppano, noi ci diamo un bacio in pubblico: il nostro primo bacio in pubblico.
Arriviamo in hotel, due foto a te, due foto a me e facciamo l’amore due volte. Completo.
Io dentro di lui, lui dentro di me. Due animali. Un incontro di wrestling. Mi fai male.
Ancora.
Cazzo, sì, così.
Ancora.
Ti…
Ti?
Niente.
Domani mattina ritorneremo a casa, ordiniamo una tartare dal servizio in camera. Spegniamo la luce.
E chi s’è visto, s’è visto.
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