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Gay & Bisex

L'amore e la violenza - 1987


di HegelStrikesBack
02.02.2022    |    7.123    |    4 9.1
"Cominciò a spendere cifre folli in regali per me: una Mercedes, la più costosa a listino, un Rolex, gioielli Cartier, un viaggio alle Maldive, un conto..."
“Estate, sei calda come i baci che ho perduto”.
All’epoca, sa, i tatuaggi erano un po’ da galeotto, da chi aveva un vuoto incolmabile dentro e non sapeva come raccontarlo all’esterno oppure erano un atto di coraggio, una prova di forza… altrimenti quella frase me la sarei tatuata. Oggi sarei ridicolo, alla mia età.
Comunque quell’estate 1986 aveva segnato l’inizio di una nuova vita per me, quella con Bernardo. Con lui accanto non avevo più paura di nulla: della mia famiglia, della non accettazione, del vuoto incolmabile dentro che non sapevo tirare fuori e che coprivo a suon di cappotti da un milione e mezzo. A capodanno eravamo andati a sciare a Cortina con i suoi fratelli, che mi trattavano come uno di famiglia. Io mi sentivo bello, importante, potente. Un po’ tipo Stefania Sandrelli in “Vacanze di Natale”, ma più fica.
Una sera di gennaio, quasi un anno dopo che ci eravamo conosciuti, Bernardo mi portò con sé a Morea al Porto. Avevamo litigato la sera prima: mi preoccupava infinitamente il suo essere sempre così in prima linea. Era gente che non scherzava quella. E se gli fosse successo qualcosa? Se una sera non fosse rincasato? A chi avrei dedicato tutto l’amore che avevo dentro, che mi gonfiava il petto? Le urla volarono, amplificate dalle architetture rigorose e dagli spazi vuoti della villa. “Domani vieni con me, capirai che non c’è nulla di cui preoccuparsi.”
Bernardo, Donato e Antonino, come raccontai a Letojanni nella mia dichiarazione fiume, incominciarono a fare i contrabbandieri a 15 anni, nel 1972. Il padre era morto da poco, la madre si arrangiava come poteva per portare a casa qualche spicciolo, e loro come spesso accade a quell’età, erano finiti su una cattiva strada. Cattiva, poi… chi siamo noi per giudicare cosa uno fa per far sì che la madre non venga sfrattata, umiliata e derisa per non aver saputo come fare a mettere a tavola due pasti caldi e dei vestiti nell’armadio per i propri figli?
Ad ogni buon conto, i tre Iannelli erano svegli, svegli come volpi. Partirono scaricatori e intorno ai trent’anni gestivano la quasi totalità del contrabbando di sigarette della città.
Per loro lavoravano sei squadre da circa sessanta persone ciascuna. Gli scafisti partivano dal porto con le lance e raggiungevano i “palmos”: contrabbandieri greci con cui si facevano ottimi affari e che li attendevano a 15 miglia dalla costa. Dalle loro navi scaricavano la merce sulle lance e via, a tutta birra di nuovo al porto di Morea. Ogni lancia caricava dalle 80 alle 100 casse, da 50 stecche ciascuna quindi ogni sera al porto rientravano dai 40 ai 50 mila pacchetti di sigarette. Può solo immaginarsi il giro economico.
Bernardo era stato sincero con me. Lui non era in prima linea, dal porto dava indicazioni e poi tutto il resto avveniva da sè. Donato, il fratello maggiore poi si occupava dello stoccaggio delle casse in alcuni immobili abbandonati a Morea e Antonino, il fratello minore, dello smistamento: le sigarette venivano caricate su alcuni furgoni e portate poi ai commercianti che le smerciavano. Una macchina oliata, pulita.
Mi ero quasi tranquillizzato vedendo l’operosità e la scientificità con cui il tutto avveniva. Poi, d’un tratto il patatràc.
Ero distante una cinquantina di metri da Bernardo, che con un walkie-talkie dirigeva tutte le operazioni, quando una mano si posò sulla mia spalla.
“Ivan, dobbiamo parlare… io non ce la faccio più senza di te.”
“Che cazzo ci fai qui? Vattene immediatamente per Dio!”
Saverio ci aveva seguiti, era ubriaco, puzzava come un barbone.
“Io ti amo, ti voglio… ti ricordi come scopavamo l’altra sera? Eh?”
Barcollava, mi mise una mano sul culo.
Lo allontanai con una spinta e lui alzò la voce. Bernardo si voltò vedendo la scena di Saverio che mi palpava il culo.
A falcate ci raggiunse, gli sferrò un montante che gli fece letteralmente partire il naso.
“Che cazzo fai qua figlio della merda? Eh? Cosa vuoi da Ivan, pezzo di stronzo?”

“Bernardo lascialo stare è ubriaco!”

“Che cazzo me ne fotte, lo ammazzo di botte questo figlio di puttana.”
Seguirono, calci, pugni e ancora calci che il povero Saverio subiva rantolando, piangendo e sputando sangue dalla bocca.
Per assicurarsi di aver finito bene il lavoro, lo buttò in mare.
Qualche giorno dopo i giornali titolarono: “Centravanti del Notori trovato morto annegato al porto di Morea: si sospetta rapina finita male”.
E invece no, era solo una storia d’amore finita male.
Non so se fosse la prima volta che Bernardo pestava in quel modo qualcuno, ma di sicuro non era la prima volta che Saverio mi seguiva. Quando eravamo andati a casa sua a riprendere tutte le mie cose, Bernardo mi aveva aspettato giù in auto. 
Saverio aveva preso malissimo la notizia, si mise a piangere, a urlare che mi amava, che mi voleva. Ma io non amavo e non volevo lui. Non alzò le mani, non glielo avrei mai permesso, ma le allungò. Mi toccò il culo, mi disse che ero una troia, che lo avevo usato. Mise la mia mano destra sul suo cazzo, già barzotto nei jeans, mentre io cercavo di divincolarmi chiedendo se me lo ricordassi quello, che mi piaceva tanto una volta, prima di finire nelle mani di un mafioso di merda.
Il problema è che non potevo contraddirlo: era vero. Lo avevo usato. Mi ero piazzato a casa sua perché non avevo un posto dove andare e sapendo quanto io gli piacessi avevo usato il mio corpo come merce di scambio per un po’ di sicurezza. Si era preso cura di me, mi aveva protetto, mi aveva salvato, mi aveva pure dato dei soldi per mantenere il mio stile di vita. E io non ci ho pensato due volte a voltargli le spalle. Mi sentivo sporco, viscido. E certo che mi piaceva il suo cazzo, certo che mi piaceva scopare con lui.
Saverio faceva l’amore all’opposto di Bernardo. Era dolce, premuroso, tenero. Tutte cose che io non ho mai saputo gestire a letto. Poi pian piano, spesso anche sollecitato da me, saliva l’animale che aveva dentro e allora il sesso diventava improvvisamente facile, divertente, giocoso: lui era il cacciatore e io la preda. Bernardo invece giocava duro fin dall’inizio, poi, dopo l’orgasmo diventava un animaletto innocuo, di quelli che stringeresti al petto e coccoleresti per ore. Ma intanto le palle erano vuote.
Saverio dopo quella scena a casa sua si fece trovare varie volte nei posti che frequentavo: da Rivola a guardare con fare distratto la moda maschile, al Bar Marinella dove prendevo l’aperitivo con i compagni di corso, al Sassofono Blu che nel weekend frequentavo con Bernardo. Stava a distanza, guardava, non parlava, non toccava. Bernardo lo guardava in cagnesco ma non lo vedeva come una minaccia. Le cose cambiarono invece una sera, quando Bernardo uscì per un carico di bionde e Saverio s’attaccò al citofono di Villa Iannelli allo Zodiaco. Il guardiano del comprensorio, vedendolo e riconoscendolo, lo aveva fatto passare senza indugio, dicendo che era nostro ospite a cena. Si fece persino autografare un foglietto per il figlio e lasciò passare la sua BMW.
Corsi ad aprire, pensai che fosse Bernardo che aveva scordato qualcosa, era uno sbadato di prim’ordine.
E invece era lui. La giacca doppiopetto, Drakkar Noir di Guy Laroche, la bottiglia di Dom Perignon. La barba di un giorno. Un sorriso killer.
“Voglio solo parlare.”
Entrò, si guardò intorno con l’ammirazione di chi quella vita l’avrebbe voluta per sé.
Aveva ventitré anni come me ma improvvisamente aveva l’aria sicura, forte, di un vero uomo. Non di un ragazzo.
Voleva sincerarsi che stessi bene, sapeva chi era Bernardo e che cosa facesse ed era preoccupato per me.
Dal canto mio io ero l’emblema della tranquillità, con Bernardo le cose andavano bene salvo la mia apprensione per quando usciva per i carichi e per il mistero che ne faceva. Fuori dalle sue attività illecite Bernardo era il ragazzo più normale del mondo: andavamo al cinema, a fare la spesa al supermercato, al mare a mangiare il fritto misto e a fare l’amore, cucinavamo insieme, andavamo a ballare, fumavamo e facevamo l’amore.
Al momento di congedarsi Saverio s’avvicinò: “Beh, non ti fai neanche abbracciare?”

Mi feci abbracciare, eccome. Lo guardai negli occhi e sentii un brivido pervadere ogni cellula del mio corpo.
Lo baciai, per l’ultima volta.
Saverio mi toccò i capezzoli da sopra il maglioncino in lamé che portavo. Mi voleva e io ero, chissà perché, assolutamente disposto a lasciarmi andare.
“Non abbiamo molto tempo, Bernardo sarà qui tra un paio d’ore”, dissi guardando l’orologio da polso.
Il bel centravanti allora si spogliò veloce come un fulmine, come un bambino davanti al primo bagno in mare della stagione. Ricominciò a baciarmi e a spogliarmi mentre i vestiti cadevano un po’ là dove capitava.
“Girati.” ordinò perentorio e cominciò a limonarmi il culo con la stessa passione e brama dell’avere con cui mi aveva baciato in bocca fino a un minuto prima. Con la mano destra invece cominciò a muoversi su e giù per la mia asta che a poco a poco si bagnava sempre più di umori. La sinistra invece percorreva la sua.
Era un bel cazzo il suo, non enorme, sui 17/18 centimetri ma così perfettamente proporzionato, con una bella cappella turgida e i coglioni pelosi, sempre pienissimi. Mi girai per prenderlo in bocca mentre con la mano lo scappellavo dolcemente. Saverio era in estasi: si toccava la faccia al grido di “Dio mio, dio mio”. Quanta spiritualità può ritrovare un uomo lontano dalla fede si può sperimentare solo inginocchiandosi davanti a lui e accogliendo nel cavo orale il suo membro.
Voleva incularmi, ma a me non andava. Non ero pronto, non mi ero preparato. Chi l’avrebbe mai detto che la serata sarebbe finita così. Allora mi chiese di incularlo. Si mise a pecora sul divano Cassina del salotto. Mi pregò di fare piano, era la sua prima volta. Non aveva mai voluto farlo, nonostante glielo avessi proposto più volte. Evidentemente il bisogno di comunione con me, era per lui necessaria. E come durante il sacramento dell’eucarestia si accoglie il corpo di Cristo, con devozione e spirito nuovo, lui accolse il mio membro dentro di me.
Farsi strada sul momento non fu agevole. Era stretto il ragazzo, non mentiva, quello era un culo vergine. Massimo un dito poteva esserci entrato. Un po’ spingevo, un po’ mi staccavo e glielo leccavo per aumentare la dilatazione. Non potevo nemmeno fargli sniffare della coca perché Bernardo se ne sarebbe accorto: sapeva che senza di lui non sniffavo. Riuscii a infilarlo tutto solo dopo una decina di minuti di tentativi e presi a stantuffarlo. Gemeva come una puttanella in calore, di quelle alle prime armi, convinte che fare casino sia propedeutico al godere di più. Sbagliato, è solo liberatorio. Il piacere arriva dallo sguardo. È quando sei occhi negli occhi con il tuo predatore, quando sai che non hai scampo, quando ti senti un suo trofeo, la sua macchina del piacere che arriva anche il tuo. Non ebbi il tempo di focalizzare che stavo per venire da tanto quel culo stretto metteva a dura prova la mia resistenza che mi scaricai completamente dentro il suo culo.
Lo feci rivestire in fretta con un tale terrore di macchiare il divano o il pavimento al punto da dimenticare che lui non era ancora venuto.
Mi inginocchiai, lo segai con forza, obiettivo farlo venire subito e mi venne in bocca. Ingoiai per non saper né leggere né scrivere e lo cacciai di casa col terrore che Bernardo ritornasse.
Mi sentivo sporco, lo avevo tradito e avevo fomentato l’ossessione che Saverio stava cominciando a nutrire nei miei confronti. Mi sciacquai la bocca con il colluttorio, indossai il pigiama in seta e mi misi nel letto a piangere.
Speravo che Bernardo tornasse presto, che venisse a letto, mi abbracciasse, mi dicesse che mi amava da impazzire e si addormentasse accanto a me e che questa serata così sbagliata si potesse cancellare con un colpo di spugna, come una sbronza del sabato sera.
Bernardo rientrò alle quattro del mattino circa. Mi ero addormentato da poco. Sentii il leggero cigolio della porta e l’odore di mare misto a Davidoff che faceva la sua pelle. Non ci furono baci, né tenerezze.
Accese la luce, la violenza inaudita della plafoniera a soffitto mi destò improvvisamente.
“Con chi cazzo eri stasera?”
“Amore ma che dici? Che ore sono?”

“Non fare lo stronzo. Di chi è questa cazzo di sciarpa?” 
Brandiva una sciarpa in mohair beige. Non era mia, lo sapeva. E non era nemmeno sua.
“È venuto a trovarmi Saverio”
“Che ti ha fatto? Ti ha toccato?”
“Ma no, ma no, figurati…”

“Non ti credo, bugiardo!”
Ne scaturì una lite infinita che tirò fuori da parte di entrambi un problema di fiducia.
Io non ero tranquillo quando lui usciva per i carichi, temevo per la sua vita. Lui temeva che quando non c’era io ingannassi la solitudine con altri uomini.
Non era così, a parte quella sera non era mai successo.
Giungemmo a un compromesso dopo ore di lite: lui mi avrebbe portato con sé al carico successivo, io gli avrei dato modo di fidarsi di me.
Al guardiano dissi che per nessun motivo al mondo Saverio avrebbe potuto accedere al comprensorio, gli allungai pure duecentomila lire per accertarmi che non ci fossero incidenti di percorso.
Da quella sera ritrovai Saverio in ogni luogo in cui andavo. Cominciai anche a preoccuparmi in qualche modo ma sapevo che Saverio era completamente incapace di fare del male agli altri. A se stesso, invece, stava dando prova di essere un campione di autolesionismo.
Finché appunto non si giunse al fattaccio.
Bernardo aveva gli occhi iniettati di sangue mentre lo pestava a sangue.
Io rimasi inerme, paralizzato da tanta violenza. Una violenza che non pensavo che potesse uscire dal mio uomo che tanto amavo e che tanto mi amava.
Ingenuo com’ero non pensavo neanche che lo avesse ammazzato.
In macchina verso casa il silenzio tombale era rotto solo dal rombo della Maserati.
Arrivati a casa, mi diressi immediatamente verso la nostra stanza da letto, presi il cuscino e il pigiama di Bernardo e glieli lanciai sul divano
“Che significa?”
“Che io con te non ci dormo, stronzo.”
“Stronzo? Io?”
“Ma ti rendi conto di cosa gli hai fatto?”
“Andava fatto!” gridò. “Era pericoloso. Andava fatto.”
“Era mio amico da quando eravamo piccoli, non mi avrebbe torto un capello”, ringhiai con le lacrime agli occhi.
“Così amico che però voleva scoparti come pagamento dell’affitto di casa sua eh? Io non ho amici così, ma forse ho sbagliato tutto.”
“Non ti permettere di giudicarlo. E di giudicare me. Buonanotte.”
“Io l’ho fatto solo per proteggerti, cazzo!”
“Nessuno te l’ha chiesto Bernà.”
L’urlo rimbombò nel salotto spoglio.
Quando leggemmo la notizia della morte di Saverio vidi Bernardo veramente pentito. Venivamo da giorni di guerra fredda.
Scoppiai a piangere, Bernardo mi abbracciò e mi accolse nel suo cardigan verde.
“Mi dispiace” sussurrò.
Neanche lui probabilmente aveva capito fino a quel momento la gravità della cosa.
Avrei dovuto incazzarmi o correre da Letojanni a denunciarlo ma non lo feci.
Non per paura eh, mai avuta quella. No, no. È che era la prima volta che qualcuno si preoccupava per me.
Bernardo aveva sbagliato, senza dubbio. Ma lo aveva fatto per difendere me.
“Oggi al carico ci penseranno Donato e Nino. Io e te stasera ce ne stiamo qui buoni buoni a casa, prepariamo la pizza e se ti va noleggiamo un film o andiamo al cinema. Vuoi?”
Mangiammo la pizza e poi guardammo “9 settimane e mezzo” in videocassetta. La luce azzurrastra che promanava dal Grundig Supercolor gli illuminava a intermittenza i lineamenti del viso. Il naso adunco, la barbetta, quei ricci meravigliosi in cui adoravo tuffare le dita, i tratti squadrati. Era bellissimo. E per uno strano scherzo del destino, era mio.
Il mio Mickey Rourke.
Per anni non seppi come finiva il film perché a 45 minuti circa dalla fine gli dissi nell’orecchio che avevo voglia di fare l’amore.
Mi prese in braccio e mi portò di sopra. Facemmo l’amore con la foga di sempre, la rabbia di due pugili che sfiniti si abbracciano. Quando mi venne dentro i fiotti mi sembrarono infiniti. Si accasciò su di me, facendomi anche un po’ male, pesavo probabilmente la metà di lui. 
“Hai visto? Non mi sono nemmeno masturbato in questi giorni perché volevo che fosse speciale la volta in cui avremmo ricominciato a farlo.”
“Mi sei mancato sai?”
“Anche tu amore, non lasciamo che nulla si metta più tra di noi? Promesso?”
“Promesso”.
Da quel giorno però qualcosa nella testa di Bernardo cambiò.
Cominciò a spendere cifre folli in regali per me: una Mercedes, la più costosa a listino, un Rolex, gioielli Cartier, un viaggio alle Maldive, un conto aperto da Rivola, mocassini di Hermés. Tutte cose non chieste, liberalità si direbbe in gergo giuridico.
Erano il suo modo di espiare la colpa di quello che era successo a Saverio e di farsi perdonare delle sue assenze crescenti. Gli utili mensili che derivavano dal traffico di sigarette erano di 80 milioni di lire, che diviso tre facevano circa 26 milioni a testa. Una cifra folle per l’epoca, eppure per lo stile di vita che Bernardo aveva deciso di intraprendere non bastavano. In prima battuta i carichi divennero tre a settimana, in fondo la richiesta c’era quindi perché non accontentarla.
Ma neanche quella si rivelò sufficiente.
Bernardo voleva sempre di più, era sempre più affamato di soldi, di denaro, di potere.
Erano arrivati a trasportare 500 pacchi a carico, facevano quasi 600 milioni al mese. Poi certo c’era da pagare tutta l’enorme macchina di contrabbando dietro a quei carichi: benzina, barche sempre più veloci per sfuggire alle forze dell’ordine, scafisti, trasportatori, smerciatori. Il mercato però divenne saturo in fretta, serviva un’altra idea.
Se ne parlò in una cena con i suoi fratelli.
Bernardo aveva conosciuto un certo Mamdouh, un marocchino che importava hashish. C’era troppa diffidenza ancora nei loro confronti, ma l’hashish cominciava a spopolare in città. Se l’avesse venduta gente di fiducia, come gli Iannelli beh, si sarebbero potuti fare volumi di affari incredibili.
“Bernardo, non mi sembra una grande idea” lo rimbrottò subito Donato “quella è gente che non scherza.”
“Donato da quanti anni facciamo questo mestiere? È mai andato storto qualcosa?”
“No, in effetti no… però è pericoloso così. Col contrabbando di sigarette non rischiamo nulla, lo Stato chiude un occhio, ma pure due, ma pure il naso e la bocca… ma l’hashish è un’altra cosa: è un reato penale si chiama traffico di stupefacenti Cristo! Come fai a non capire”.
Non capiva a cosa stesse andando incontro, era accecato dalla sua smania di avere sempre di più.
Vide in me lo sguardo di disapprovazione. 
“Non sei d’accordo con me vero?” Disse sprimacciando il cuscino e cambiando la federa con una fresca di bucato.
“No. Ma non ho voce in capitolo.”
“Lo sto facendo per noi amore. Voglio portarti via, voglio che ce ne andiamo da questa città. Da questa nazione. Andiamo dove vuoi tu. In Europa, in America, ai Tropici. Dove vuoi tu, senza sigarette, senza risse, senza droga. Ricominciamo tutto io e te da soli. Però ci serve un sacco di soldi perché vogliamo comunque vivere bene, no? Fammi arrivare al mio obiettivo e giuro che smetto, smetto immediatamente e ti porto lontano da tutta questa merda. Intesi?”
“Promettimi solo che non ci succederà niente di brutto.”
“Prometto amor mio.”
E mentre mi stampava un tenero bacio sulla fronte rammentai che la strada che conduce agl’inferi è lastricata delle migliori intenzioni.
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