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Chi ha il comando nella cella E 26?


di Zindo
05.01.2025    |    3.297    |    3 9.3
"Aveva cominciato a frequentarla da tanto tempo ma era cominciata a piacergli in modo particolare da qualche mese..."
Era notte fonda ma il buio non regnava ovunque. Per esempio tutta la recinzione della casa circondariale era illuminata a giorno. Anche all'interno, pur se con luci soffuse, anche i corridoi e le celle erano in qualche modo illuminate.
Quasi tutti dormivano. Anche qualche guardia che avrebbe dovuto vegliare. Qualche guardia, non tutte.
Per esempio Tonio aveva detto al suo collega: "Mi sto annoiando, vado a fare un giro di perlustrazione. Non si sa mai"
Il collega non aveva mosso obiezioni di sorta. Conosceva bene Tonio e sapeva che durante i suoi turni di notte spesso diceva di essere preso da queste sue smanie di fare giri di perlustrazioni, ma sia lui che altri colleghi sapevano benissimo il perché Tonio andava girando nottetempo in qualche braccio del carcere. Erano affari di Tonio se si dilettava a procurare "sollievo sessuale" a qualche detenuto elargendo a molti sia seghe che pompini. Meglio ai detenuti che non avevano molti modi di appagare questo genere di bisogni che non ricevere loro (i colleghi) le attenzioni di Tonio. Loro preferivano le donne, Infatti erano quasi tutti sposati o conviventi, ma con donne. Tonio era un caso a parte.

Infatti Tonio con passo piuttosto veloce, senza indugio alcuno si era diretto in fondo al corridoio destro dell'ala E, dove c'era la cella 26. Si era guardato intorno e, cercando di non far molto rumore, aveva fatto girare la chiave nella porta metallica prima, nel cancello a grata poi. Li aveva varcati entrambi e poi li aveva richiusi a chiave prima di dire a voce relativamente bassa:- "Eccomi. Non mi sono potuto liberare prima, Stasera sono in turno con quel noioso di Brunchetti e non mi è stato possibile venire prima"
Nessuno dei due detenuti occupanti la cella gli aveva risposto. Erano troppo impegnati nella loro scopata.
Si: i due stavano scopando tra loro. Uno, il meno giovane, era appoggiato, con le mani e gli avambracci, alla parete, sulla quale gravava la maggior parte del suo peso, stando lui con le gambe divaricate, leggermente flesse sulle ginocchia, i piedi molto distanziati dalla parete verso la quale quasi poggiava, in posizione inclinata il suo corpo, arrivando con le solo spalle a quella quella minima distanza creata dalle braccia e le mani aderenti al muro. Dietro di lui l'altro detenuto, il più giovane, il più bello, lo inculava sbattendolo freneticamente, tenendosi agrappato ai fianchi di coluui appoggiato al muro. All'arrivo di Tonio non avevano fatto neanche una piega, continuando a scoparsi tranquillamente.
Tonio si era accovacciato, anzi si era nesso proprio a sedere sotto i due, con il suo corpo tra le quattro gambe divaricare per trovare il modo di arrivare a leccare i testicoli di entrambi in un primo momento e poi, spostandosi un poco con le spalle verso la parete, arrivare a fare un discreto pompino all'inculato e a stuzzicare con il dito bagnato di saliva, il buchetto sul culo dello scopante.
Solo a quel punto gli altri due avwevano cominciato a prenderlo in considerazione e di li a poco, smetendo di incularsi, entrambi avevano offerto il poprio cazzo alla bocca vogliosa della guardia accovacciata ai loro piedi. Tonio si era prodigato con maestria a volte sull'uno a volte sull'altro pene con il lavorio di bocca, tenendo "in caldo" quello che non pompinava, con un attento lavoro di mano. Intanto, sopra la sua testa gli altri due si sbaciucchiavano tra loro.
Essendo gli altri due in azione già da diverso tempo rispetto all'arrivo di Tonio, solo dopo pochi minuti costui ebbe modo di imbrattarsi la faccia con le rigogliose schizzate di sborra prima dal cazzo del meno giovane, poi da quello dell'altro che però volle riversare i suoi liquidi direttamente nella bocca e Tonio, ben lieto di accogliere la cremosa bevanda, per risputarne una parte e, lentamente, ingoiarne un altra, prima di rileccarsi entrambi gli ancora umidi cazzi.
"La prossima volta aspettatemi. Così è troppo poco" aveva detto Tonio alzandosi e riaprendo grata e porta per potersene andare (forse verso altre celle?).Forse!
Quella da lui preferita comunque era la cella 26 del braccio E, dov'era appena stato.
Aveva cominciato a frequentarla da tanto tempo ma era cominciata a piacergli in modo particolare da qualche mese. Da quando era arrivato anche Giovanni.

Ecco come erano andate andate le cose, partendo dall'inizio.

L'agente carcerario Tonio, aprendo la porta-cancellata con gran rumore di chiavi, aveva detto "Avete compagnia, don Ceschì"
Francesco (detto il Lampo) che stava sdraiato sulla branda , aveva sollevato il capo quasi in maniera impercettibile, di quel minimo indispensabile per riuscire a vedere, a palpebre socchiuse, cosa stava succedendo.
Tonio, il secondino suo "amico", aveva aperto la porta a grata della cella restando all'esterno, facendo invece entrare un uomo piuttosto giovane, intorno alla trentina, con un grosso zaino sulle spalle ed una espressione impenetrabile, forse da duro o forse da spaventato.
Francesco, chiamato o Ceschì, anzi don Ceschì (abbreviazione del diminutivo Franceschino) solo da chi voleva lui, o "il Lampo" dagli altri, finse indifferenza, quasi come se non avesse sentito e non stesse vedendo. In realtà stava studiando il nuovo arrivato.
In galera da pochi mesi per scontare una pena di molti anni, il Lampo si era già costruito una specie di territorio in cui comandare e una "squadra" da comandare.
Il gruppo malavitoso del quale faceva parte aveva infiltrazioni di una certa importanza anche dentro il carcere e non lo aveva certamente abbandonato, anzi! Tonio per esempio era sì dipendente dello Stato, ma anche un'asservito alla cosca alla quale apparteneva anche il Lampo.
Non era per caso che in un sistema carcerario con seri problemi di superaffollamento lui fosse detenuto in una delle poche celle per due sole persone.
Da pochi giorni, causa trasferimento ad altro carcere del suo ex compagno di cella, era rimasto addirittura solo. Almeno fino all'arrivo di questo nuovo venuto.
Non era stato casuale neanche il fatto che l'altro detenuto non fosse stato subito rimpiazzato, ma ciò era avvenuto perché "chi di dovere" sapeva che il nuovo "ospite" doveva essere non sgradito a lui.
Tonio, richiudendo la cella aveva detto. "Don Ceschì, mi raccomando a voi. Ci siamo capiti".
Solo allora il Lampo s'era sollevato anche con il busto e, come se ignorasse il nuovo arrivato, aveva detto con tono di rimprovero: "Tu solo le raccomandazioni sai fare".
Tonio si era allontanato e finalmente l'attenzione del Lampo si era posato sul nuovo arrivato e lo aveva rimproverato subito con: "Non siete stato abituato a salutare?"
"Non volevo interrompere la vostra conversazione con la guardia"
"Superiore. Si dice superiore, non guardia. Non siamo bestie tenute a guardia, siamo persone. Siete nuovo di questo mondo?"
"Mi hanno trasferito stamattina"
"Prima dove stavate?"
"Nella casa circondariale di Torino"
"Ah! Quindi avete conosciuto Ricuccio lo sfregiato?"
"Non di persona. Di fama"
"C'entra lui con il vostro trasferimento?"
"Può essere"
"Conosci le regole?"
"Qualcuna. Ditemi voi quali dovrei conoscere"
"Cominciate bene. Chi comanda dentro una camerata?"
"Chi è arrivato prima"
"Dici giusto. Qui io ci stavo già quindi...."
"...Comandate voi"
"E chi non comanda un cazzo?"
"L'ultimo arrivato"
"E voi siete arrivato adesso, adesso"
"Sissignore"
"Mi piacete"
Sceso dalla branda, aveva camminato intorno al nuovo arrivato guardandolo da capo a fondo, lo aveva toccato prima su una spalla, poi gli aveva tastato un braccio, aveva fatto scorrere la mano sul petto, poi girando ancora, aveva dato una manata sul sedere ripetendo "Sì, mi piacete proprio". C'era una inflessione strana, in questo reiterato apprezzamento. Un tono quasi smielato.
Aveva aggiunto, con tono serio: "Sistemate le vostre cose"
"Dove preferite che le metto?"
"Quella è la mia branda e quello il mio armadietto. Spostate voi la roba che sta sull'altro letto e nell'altro armadio e sistemateci la vostra. A proposito togliamo un poco di distanze e diamoci del tu: come ti chiami?"
"Io Giovanni, per servirvi".
Aveva usato ancora il "voi". Sapeva che doveva attendere un preciso consenso per poter dare del tu anche lui.
Francesco, il Lampo, aveva apprezzato questo comportamento e si era lasciato andare ad una concessione che faceva di rado: gli aveva dato il permesso di chiamarlo "don Ceschì".
"Mi chiamo Francesco ma gli amici mi chiamano Ceschì, tu puoi chiamarmi don Ceschì".
Giovanni si era messo a sistemare le sue cose. Ceschì si era risistemato sulla branda, guardando con attenzione il nuovo arrivato.
Gli piaceva davvero, in tutti i sensi. Non era un pivello! Conosceva le regole e gli stava portando rispetto, ma soprattutto era bello fisicamente: magro ma non secco, larghe spalle, cosce lunghe, sedere ben sagomato e dal fugace tocco che gli aveva dato gli era sembrato anche ben sodo. Sì, a Ceschì quel Giovanni piaceva proprio, in tutti i sensi.
In quel momento alcuni sensi erano in piena ebollizione.
Non voleva indugiare troppo, meglio chiarire subito ogni cosa.
Per questo aveva chiesto "E' tanto che sei dentro?"
"Abbastanza, da saperci stare"
"Infatti lo vedo. Come ti sei trovato con i tuoi compagni di cella a Torino?"
"Come si sta in cella"
"Cioè"
"Quello che succede dentro le sbarre non ha lo stesso valore delle stesse cose che avvengono al di fuori, perciò si fanno e poi si cancellano dalla mente, non si raccontano!"
"Non ti ho chiesto di raccontarmi cosa facevi ma se ti sei trovato bene o male"
"Ciò che avviene dentro le sbarre non va giudicato. Sono cose che se avvengono dentro sono normali, fuori no, perciò non si dice mai ciò che si fa, né si definisce mai bene o male nulla di ciò che si vive"
Ceschì era balzato su con il busto mettendosi a sedere sulla branda e ancora una volta aveva esclamato "Cazzo, tu mi piaci davvero". Questa volta con enfasi.
Battendo una mano sul materasso del suo giaciglio aveva aggiunto:-"Vieni qui, siediti accanto a me, dobbiamo conoscerci davvero io e te, vieni...te lo ordino come capo della camerata"
Giovanni era andato a sedersi là dove Ceschì aveva battuto la mano dicendo "Obbedisco, come ultimo arrivato che non comanda un cazzo"
"Vuoi dire che se non fossi obbligato dalla gerarchia dentro la cella non saresti venuto accanto a me?"
"Diciamo che avrei fatto prima qualche domanda sulle vostre effettive intenzioni e comunque mi pare che sto eseguendo i vostri ordini"
"Dammi del tu, suvvia, entriamo in confidenza"
"Fino a che grado di confidenza?"
"Per me fino a quella più intima" aveva detto Ceschì allungando una mano tra le cosce di Giovanni ed il collo verso la faccia di costui, offrendo la bocca a labbra appena dischiuse e palpeggiando con la mano tra le gambe del nuovo compagno di cella che lo aveva lasciato fare, senza sottrarsi, senza ricambiare.
Ceschì aveva chiesto "Mettici un poco più di calore".
"Forse sarebbe stato meglio che voi ci avreste messo un poco più di tempo. Manco sono arrivato e già vi siete spinto fin qua. Manco foste in astinenza da chissà quanto"
"Anche da di più di chissà quanto! Senti, senti, tocca qui e vedi quant'è duro? Un pezzo di marmo, tanto è carico"
"Effettivamente...non siete affatto scarso. Anzi" aveva detto Giovanni toccando più attentamente di sua spontanea iniziativa per concludere con "Complimenti. Gran bel cazzo!"
"Perché lo tocchi da sopra i calzoni? Tieni! Prendilo nella mano, carne su carne..." aveva detto Ceschì tirando fuori dai calzoni il suo attributo, facendo esclamare a Giovanni "Mamma mia che gran cazzo!".
"E' tutto tuo! Mi fai vedere anche il tuo? Ho voglia sia di darlo che di prenderlo. Ho voglia di scopare"
"Ma c'è in giro la guardia o, come dite voi, il superiore. Se quello passa lungo il corridoio e ci vede chissà che farà!"
"Tonio dici? Al massimo apre la cancellata ed entra per unirsi a noi. Come credi che sto andando avanti in questi mesi? Solo grazie a lui che ogni tanto, quando può, viene, mi fa una sega, al massimo un pompino e se ne va. Non mi dà gusto. Io voglio vederlo schizzare un bel cazzo, ma a quello manco gli si alza. Con lui non c'è gusto. Il tuo invece lo sento ...cribbio se è duro, grosso, caldo..." e, intanto, frugando con le mani aveva liberato pene e palle del nuovo arrivato e, ammirandolo con occhi concupiscenti, aveva cominciato a giocarci di labbra e di lingua.
Giovanni per qualche secondo, forse quasi un minuto, lo aveva lasciato fare, apprezzando anche la sua prestrazione, poi si era ritratto indietro all'improvviso, sorprendendo il Lampo il quale aveva chiesto semplicemente "Perché?"
Con fermezza Giovanni aveva risposto "Perché queste cose non le faccio per obbedienza a chi vuole essere il capo cella che da ordini. Queste cose le faccio se va di farle anche a me"
"Se ce l'hai cosi duro e teso vuol dire che va anche a te"
"Sono a digiuno anche io da parecchio tempo. Non è voglia, è fame"
"Lasciati sfamare allora"
"Non così. Se si deve fare si fa a modo mio"
"Cioè"
"Cioè si cambiano alcune regole, Per esempio tu non dai più ordini qui dentro ma chiedi le cose per favore. Per non fare correre rischi a me devi compromettere anche il tuo amico guardiano, Devo essere io a tenervi in pugno, non voi a me"
"Non è così che ci si comporta"
"Ma non è neanche così come hai fatto tu che si circuiscono le persone."
"Avrai fame anche tu un giorno"
"Ne ho già abbastanza se è per questo"
"Allora perché fai così?"
"Perché nell'altra casa circondariale ero io il capo cella e sono abituato a dirigere io i giochi e non ad obbedire ad altri. Puoi scegliere se fare il capo-cella e comandare in tutto ma non praticare nulla di sessuale né con me, né con altri in mia presenza, neanche con il tuo Tonio, oppure... oppure... tu ti prendi le tue soddisfazioni con me o con chi vuoi ma io gestisco il comando della cella"
"Se togli i piaceri intimi che altro c'è da comandare?"
"Non ti preoccupare. Fai la tua scelta: o gestisci la sessualità e rinunci al comando in cella o il contrario"
Ceschì ci aveva pensato solo un attimo prima di dire "per quello che mi frega del comando in cella, prenditelo pure, però adesso ti fai scopare"
"Voglio la tua parola"
"Ti ho dato la mia parola"
"Senza testimoni non vale. Chiama il tuo amico guardiano e impegnati davanti a lui"
Ceschì era diventato pallido.
Tonio solo poco prima gli aveva detto "Don Ceschì, mi raccomando a voi. Ci siamo capiti" e lui sapeva che Tonio era geloso e con quel "mi raccomando" gli aveva voluto dire che non doveva concedere favori al nuovo venuto, ma sapeva anche che Tonio era il suo tramite verso i capi della cosca di appartenenza e per questo aveva bisogno di lui per poter tenere ancora i collegamenti con l'esterno, perciò non poteva deluderlo anche se sessualmente ne avrebbe fatto volentieri a meno, data l'impotenza sessuale della guardia carceraria.
Visibilmente contrariato aveva detto a Giovanni: "Parliamo da uomo ad uomo. La faccenda è seria".
"Lo è anche per me, perciò se ne parla alla pari e non tu da capo ed io da chi non comanda un cazzo"
"Mi stavi dando del voi poco fa"
"Lo so, ma sei stato tu a far correre velocemente i tempi. Io mi sono adeguato. Ripartiamo da una posizione alla pari e parliamo da uomo ad uomo"
"Parla chiaro, cosa vuoi concretamente? Dove vuoi arrivare?"
Giovanni glielo aveva spiegato nei dettagli, Ceschì aveva capito perfettamente, aveva valutato la situazione, accettato le condizioni e sceso a patti, nel senso che già da quel giorno toccò a lui tenere in ordine la cella, anche rifare i letti, e sottostare a molti capricci del troppo bello e troppo deciso Giovanni. In cambio però cominciò a potere appagare alla grande i bisogni più piacevoli della vita, quelli del cazzo...e anche delle altre zone erogene del suo corpo.
Poi c'era Tonio il quale, sorvegliando, vigilando, controllando, com'era nei suoi doveri aveva impiegato davvero poco a capire come si erano organizzati tra loro i due detenuti e, facendo leva sull'autorevolezza che gli conferiva la sua mansione, non aveva chiesto di poter far parte dell'enturage, ma si era imposto, semplicemente presentandosi e partecipando , senza essere esplicitamente invitato, senza mai essere respinto, come ormai chi legge ha già scoperto leggendo già la prima parte di questo racconto.
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