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2 matrimoni e un funerale – 3 (Il Prete)


di jeepster
06.04.2025    |    3.987    |    10 9.5
"Una sera, mentre senza particolare interesse sta leggendo degli articoli di giurisprudenza sul web, con in sottofondo la musica di una playlist, la sua..."
Roma, novembre 2016. Don Claudio deve celebrare un funerale e sta indossando i paramenti sacri per celebrare la messa. Bussano alla porta della sacrestia e va ad aprire: «Mancini?! Ma che bella sorpresa! Come mai tu qui?»
«Valentini! È una sorpresa anche per me. Non sapevo che fossi tu il parroco»
«Peccato che mi hai preso in un momento critico, mi fermerei volentieri a parlare con te, ma ho un funerale da celebrare»
«E io sono qua per questo. Il sacrestano mi ha detto che il parroco voleva parlare con un familiare del defunto prima della funzione»
«Sì, è vero... ma certo! È il papà di Luigi; perciò tu sei il marito della figlia»
«Ex-marito, ora sono… sì, ora sono il “marito” di Giovanni… o forse da adesso in poi dovrei dire il “vedovo”»
«Ah!... e com’è successo?»
«Abbiamo fatto l’unione civile subito dopo che è stata approvata la legge. A Giovanni era stato diagnosticato un tumore al pancreas e ha voluto che ci sposassimo subito, prima che fosse troppo tardi; più che altro perché voleva assicurarmi la possibilità di restare a vivere a casa sua, visto che la mia l’avevo dovuta cedere a Rossella in base agli accordi di divorzio. Ci siamo separati pochi mesi dopo il matrimonio; ha scoperto me e suo padre a letto insieme. Non ha voluto più saperne di noi; non ci siamo mai più visti da quando è iniziata la nostra convivenza, durata quasi vent’anni. Suo fratello l’ha informata ma gli ha detto che non verrà neanche al funerale. Io non sono credente ma Giovanni lo è stato fino alla fine e così ho voluto rispettare la sua fede»
«Ah, ho capito… E Luigi?»
«Lui è di là, è venuto col suo compagno. Ora vive nelle Marche. »
«Oh Signore, troppe sorprendenti notizie tutte insieme. Dobbiamo assolutamente rivederci con calma e parlarne; scambiamoci i numeri di cellulare».
Dopo che ognuno ha registrato il numero dell’altro, Don Claudio riprende: «Bene. Ora andiamo!»

Sono passati alcuni mesi e Dario comincia a sentire il peso del dolore e della solitudine. Si sente apatico, svuotato, privo di ogni slancio vitale; anche il lavoro comincia a pesargli e lo trascura sempre di più. Non ha appetito, mangia poco e male. Si è isolato completamente, declinando anche gli inviti dei pochi amici che vedevano come coppia. È sull’orlo di una profonda crisi depressiva.
Una sera, mentre senza particolare interesse sta leggendo degli articoli di giurisprudenza sul web, con in sottofondo la musica di una playlist, la sua attenzione viene catturata da una canzone dei R.E.M. che gli è sempre piaciuta molto. Dario ama tantissimo la musica, in questo periodo sembra essere l’unica cosa che gli dà un po’ di sollievo. Quella canzone l’aveva ascoltata decine di volte, ne apprezzava la melodia ma non si era mai soffermato ad ascoltarne attentamente il testo, che a un certo punto dice: “Quando la notte ti ritrovi da solo/e hai voglia di farla finita/se pensi di averne abbastanza di questa vita/resisti. Perché tutti soffrono/cerca il conforto degli amici/Non scoraggiarti, no/non farlo/se credi di essere rimasto da solo/ no, non è così…”.
Forse perché non si era mai trovato in una situazione simile, sta di fatto che in quel momento riceve come un’illuminazione; decide di far proprio quell’invito a resistere, ma sa che non può farcela da solo; allora prende il cellulare, cerca il numero di Don Claudio Valentini e lo chiama.
“Ciao Dario – risponde l’amico prete – che piacere sentirti! Ormai quasi non ci speravo più, ma prima o poi ti avrei chiamato io”
«Sei impegnato? Ti disturbo?»
“No, affatto! Dimmi pure…”
«Mi piacerebbe venire a trovarti una di queste sere… oppure dimmi tu quando è meglio»
“Fantastico! Per me andrebbe bene pure domani, per te?”
«Si, certo, anche per me»
“Benissimo. Allora ti aspetto dopo le otto, ceniamo insieme, preparo io qualcosa. Suona al portone della canonica, a destra di quello della chiesa”
«Okay, a domani allora»
“Sì, a domani”.

«Eccoti qua, Dario! – esclama Don Claudio, aprendo la porta al suo ex compagno di liceo – sono proprio contento di rivederti. Accomodati dove vuoi, butto giù la pasta e fra dieci minuti, mangiamo. Faccio degli spaghetti con un pesto buonissimo che mi ha regalato un parrocchiano, fatto da lui stesso; per secondo dei petti di pollo al limone. Hai fame?»
«In realtà non molto, ultimamente mangio pochissimo»
«Si vede, sai? Mi sembri più sciupato rispetto a pochi mesi fa. Come mai?» Chiede il Don.
«È che dopo la perdita di Giovanni, mi sembra di esser caduto in un burrone da cui non riesco a risalire» risponde Dario mentre si guarda intorno nell’ampia stanza adibita contemporaneamente a salotto e sala da pranzo, con un angolo cottura da un lato.
Si siede alla tavola già apparecchiata. Poco dopo l’altro gli si siede di fronte.
«In questi casi è meglio farsi aiutare da qualcuno. Intanto sappi che io sono disponibile per qualsiasi cosa» si offre Don Claudio.
«È proprio quello che speravo. Avrei bisogno di qualcuno che mi aiuti ad uscire dall’isolamento in cui mi sono chiuso; mi basterebbe anche soltanto una persona con cui parlare ogni tanto… e chi meglio di un prete, che questa cosa la fa di mestiere?» conclude Dario, sorridendo all’amico.
«È importante che tu sia riuscito a fare questo primo passo. Mi fa piacere che tu abbia pensato a me. Ti garantisco il massimo della mia disponibilità. Compatibilmente con i miei impegni in parrocchia»
«Certo, ma tranquillo, non ho intenzione di assillarti»
«Raccontami un po’. Com’è successo che hai finito col convivere per vent’anni con tuo suocero?» chiede Don Claudio mentre si alza per andare a controllare la cottura della pasta.
«Eh, posso immaginare che per voi preti certe cose sono fuori dal mondo…»
«No, no, stop!... – lo interrompe l’altro – togliti subito dalla testa quel “per voi preti”, perché ti assicuro che non hai davanti un sacerdote bigotto e reazionario; perciò niente pregiudizi. Vorrei che parlassimo tra di noi con la massima apertura d’animo e di cuore»
«Hai ragione, ti chiedo scusa»
«Non ce n’è bisogno, tranquillo»
«Beh, quando ero ancora fidanzato con Rossella, capitava sempre più spesso che io e Giovanni ci ritrovassimo a passare del tempo insieme. Mi coinvolgeva in varie attività, dai lavori e lavoretti di sistemazione della casa o del giardino, ad uscite in giro nella natura, o per visitare luoghi o monumenti. Questo ci portò a stabilire un forte legame affettivo. Rossella era contenta di questa confidenza che c’era tra genero e suocero, e io ne ero felicissimo, perché dopo la perdita dei miei, mi sembrò di aver trovato un altro padre»
«Immagino» dice Don Claudio mentre poggia sul tavolo l’insalatiera con la pasta.
«Però, man mano che la nostra frequentazione andava avanti, io cominciavo a sentirmi attratto da lui in un modo che non era esattamente quello di un figlio per il padre: lo desideravo sessualmente. Ne ero turbato, perciò ho cercato in tutti i modi di reprimermi. Che diamine! Stavo per diventare il marito di sua figlia»
«Certo! È normale...»
«Poi un giorno che ero già sposato da alcuni mesi, si è verificata una situazione in cui lui mi ha fatto capire che provava per me lo stesso tipo d’attrazione che provavo io e così siamo finiti in camera sua a fare l’amore. fu proprio quella volta che fummo sorpresi da Rossella»
«Perbacco! Ma forse è stato meglio così. Pensa se il matrimonio andava avanti parallelamente alla vostra relazione segreta; non sia mai ci fossero stati anche dei figli, sai che disastro!»
«È quello che ha detto subito anche Giovanni»
«Ma visto i tuoi precedenti turbamenti, non ti è venuto in mente di rinunciare a sposarti con Rossella?»
«Purtroppo no. È stato quello il mio errore più grande. Però credo anche che inconsciamente ero convinto che sposare Rossella fosse l’unico modo per poter stare anche con Giovanni»
«Già… e alla fine bisogna dire che ha funzionato»
«Ehi, mi sorprende tanto cinismo da parte di un prete!» esclama Dario, e poi sbotta in una breve risata.
«Te l’ho detto che sono un prete sui generis. E sai che tutto sommato, quello che mi ha portato a sposarmi con Dio, è stato un errore simile al tuo?» ribatte Don Claudio.
«Cosa vuoi dire?»
«Ora ti spiego… ma aspetta, ho visto che non hai finito la pasta, perciò mi sa che non ti va più niente»
«Hai ragione, è così»
«Allora accomodiamoci sul divano; ho visto che hai portato una bottiglia di vino rosso; scusami se non ti ho ringraziato subito, lo faccio ora. Ti prendo un cavatappi. Aprila e versane per tutt’e due, intanto metto via queste stoviglie».
Dopo che Dario ha stappato la bottiglia, l’appoggia insieme ai bicchieri su un tavolinetto davanti al divano; si siede e aspetta che arrivi l’amico sacerdote per brindare.
«Brindiamo alla nostra ritrovata amicizia» esordisce Don Claudio alzando il bicchiere.
«Giusto! Prosit» aggiunge Dario alzandosi e facendo lo stesso.
«Insomma anch’io quando ho deciso di diventare sacerdote, ho voluto fare una cosa per ottenerne un’altra – riprende Don Claudio sedendosi insieme all’amico – Probabilmente non avevo questa gran voglia di dedicare tutta la mia vita al servizio del popolo di Dio, benché ne fossi fermamente convinto allora; piuttosto cercavo un modo per controllare e gestire le mie pulsioni omosessuali, e mi parve che il celibato e il voto di castità potevano essere la soluzione al mio problema. Pensavo che in seminario avrei imparato a farlo»
«E ci sei riuscito?» gli chiede Dario.
«Direi proprio di no. Anzi, credo che quello sia proprio il luogo meno adatto. Immagina un gruppo di ragazzotti con gli ormoni scatenati e quasi tutti con quel tipo di orientamento sessuale, che si ritrovano a vivere tutti insieme per un lungo periodo in un ambiente di soli maschi: per molti può essere una sorta di paese dei balocchi. Per me, a dire il vero, è stato un inferno, almeno nei primi anni. Le tentazioni erano tante, ma io le consideravo, appunto, come tentazioni del demonio; delle prove datemi da Dio, che io dovevo superare. Pensa che avevo anche smesso di masturbarmi, e le pochissime volte che non riuscivo a trattenermi o quando avevo le polluzioni notturne, correvo subito a confessarmi, ma il mio confessore mi confermava che si trattava proprio di tentazioni demoniache da contrastare e respingere con la preghiera. Però più che con le orazioni, ci riuscii almeno in parte, buttandomi a capo fitto nello studio della teologia.
Col tempo diventai sempre meno ligio al dovere di continenza. Visto l’andazzo, iniziai ad accettare le avances di qualche compagno che mi piaceva e smisi pure di confessare le mie masturbazioni, e tanto più gli approcci avuti con gli altri ragazzi. All’interno del seminario non veniva messa in atto nessuna particolare forma di costrizione per evitare che si facesse sesso; sotto sotto la cosa veniva abbastanza tollerata; le uniche due regole da rispettare erano: omertà e segretezza. Se si veniva scoperti, l’espulsione era inevitabile e immediata»
«Quindi se ho ben capito, anziché reprimere la tua omosessualità, ti sei trovato a poterla vivere tranquillamente»
«No, no, non la metterei in questi termini. In realtà la cosa si viveva tutt’altro che tranquillamente. Sempre con la paura di essere traditi o di essere scoperti. Infatti diversi lo furono e vennero espulsi immediatamente. Ma l’esperienza più brutta che ho avuto in seminario fu con un educatore. È una figura fondamentale all’interno del seminario, accompagna e aiuta i seminaristi nel loro percorso di formazione al sacerdozio. È anche la persona a cui rivolgersi se si hanno dubbi di natura teologica, spirituale o anche personale; qualcosa di assimilabile alla figura dello psicanalista, solo che anziché basarsi sulla psicanalisi, l’educatore si basa sulla teologia e la dottrina della chiesa. Te la sto dicendo in modo un po’ approssimativo, ma è giusto per darti un’idea»
«Sì, ho capito… ma cosa è successo?»
«Io ero molto affascinato da lui. Mi aveva conquistato con la sua affabilità, la sua sollecitudine, la sua gentilezza, la disponibilità al dialogo ma allo stesso tempo la sua fermezza nel ribadire certi principi; la sua capacità di suggerire sempre il modo migliore per affrontare e risolvere ogni problema; e non ultimo… il suo aspetto fisico. Era un uomo bellissimo, capelli marroni e barba curata; una virilità e una prestanza sconvolgenti; un modo di fare sicuro e autorevole; che ti dava un senso di sicurezza e di protezione…»
«Ho capito, te n’eri innamorato» lo interrompe Dario.
«Non lo so, può darsi. Sta di fatto che un giorno decisi di affrontare con lui il tema del celibato e della castità. Lui mi ribadì subito l’assoluta necessità di questi due principi della dottrina cattolica che regolano la vita del sacerdote. Allora io gli ho obbiettato: “Perciò vuol dire che non potrò mai essere un buon sacerdote se non riesco a metterli totalmente in pratica?”. “Non è così – rispose lui – ma potrai esserlo sempre di più, man mano che riuscirai ad essere sempre più puro”. “Allora non ho speranze – ho detto – sono al settimo anno di seminario e giusto ieri sera non ho saputo rinunciare a farmi praticare un rapporto orale da un mio compagno”. A quel punto lui cambiò completamente atteggiamento e tono della voce. Eravamo nella mia cameretta, io seduto sul bordo del letto e lui su una sedia di fronte a me; si china in avanti, mi poggia una mano sulla coscia e mi fa: “L’unica cosa che posso dirti (ma vale solo per me), è che io ormai ho capito che la castità non ha nulla a che vedere con l’attività del sacerdozio ma soltanto con l’immagine pubblica del sacerdote. È questa capacità di saper rinunciare a qualcosa di irrinunciabile che ci rende superiori agli occhi dei fedeli. Ma non è necessario che il sacerdote sia davvero casto, basta che loro lo credano tale. È per questo che l’importante è non dare scandalo. Ora io ho voglia di fare sesso con te, se lo vuoi anche tu, facciamolo e basta. Se non vuoi, non devi far altro che dire: fermati” e subito spostò la sua mano sul mio basso ventre e cominciò a tastarmi. Non dissi niente; restai fermo, impietrito per la sorpresa e lo stupore; completamente soggiogato. Incapace di fare o dire alcunché. Allora lui mi abbassò la zip, mi slacciò la cintura dei pantaloni, e me li tirò giù fin sotto i ginocchi insieme alle mutande. Si fermò un attimo a guardarmi così esposto, poi si chinò e incominciò a succhiarmelo. Mi ricordo che in quel momento mi venne da pensare che era tutto un sogno; un altro di quei sogni erotici che facevo ogni notte; ma quando raggiunsi l’orgasmo e gli venni in bocca, mi resi conto che stava accadendo veramente. Lui dopo aver ingoiato tutto, disse: “Ora tocca a me”. Indossava il clergyman, ma non si tolse nulla, si tirò giù la lampo dei pantaloni e se lo cacciò fuori. Mi aiutò a stendermi sul letto a pancia in giù; poi con una gamba poggiata a terra e l’altra piegata sul letto, si posizionò su di me e cominciò a leccarmi il buco per lubrificarlo per bene. Quando venne il momento di penetrarmi, mi mise una mano sulla bocca e cominciò ad entrare. Sentii un forte dolore, mi venne da gridare, ma il mio urlo fu soffocato dalla sua mano, e mi vennero le lacrime agli occhi. Dapprima volevo che smettesse subito, poi dopo un po’, con mia grande sorpresa, mi lasciai andare a quella sensazione di sottomissione; volevo che non la finisse più: mi piaceva molto quello che stavo provando. Quando fu sul punto di venire, si sfilò e m’imbrattò tutte le chiappe. Mi girai a guardarlo e lo vidi in piedi che si puliva il membro con un fazzoletto. Se lo ricacciò dentro ai pantaloni e senza neanche guardarmi, e senza dire niente, se ne andò»
«Che stronzo!» commenta Dario.
«Già, è quello che pensai anch’io. Appena chiuse la porta sbottai a piangere»
A questo punto Don Claudio, che per tutta la durata del racconto aveva fissato il vuoto davanti a sé, si volta verso Dario, come a voler capire l’effetto che gli ha fatto il racconto. Questi lo fissa per un po’ senza parlare, poi gli chiede: «È la prima volta che racconti di questa esperienza?»
«No, alcuni anni fa l’ho detto in una confessione faccia a faccia con un mio amico sacerdote un po’ più grande di me. Questa sera più che a te, l’ho voluto raccontare a me stesso, come a voler rivivere quei momenti e capire se mi fossi liberato davvero da quel senso di colpa che mi son portato dietro per anni»
«Perché ti sentivi in colpa?»
«Perché mi era piaciuto… e questa cosa mi confondeva e spaventava. Pensai che fosse tutta colpa mia; che ero stato io a provocarlo, dicendogli della sera prima. Mi convinsi che mi aveva trattato in quel modo per umiliarmi, per punirmi. Invece quel mio amico prete mi fece capire che in realtà io ero la vittima e non il colpevole; che ero stato usato, o meglio, abusato, e non c’era nessun peccato per cui mi dovesse assolvere»
«Non ci hai più riparlato con l’educatore?»
«Avrei voluto! Volevo fargli sapere che avevo intenzione di ritirarmi, ma lui mi ha sempre evitato. Poi ripensando a quello che mi aveva detto riguardo la castità dei preti, lo presi come un suo insegnamento; così ho cominciato a mettere da parte un po’ del mio rigorismo, forse potrei dire anche fanatismo, e ho iniziato a vedere il mio percorso di fede da un’altra prospettiva; più cinica, forse, ma anche più realistica: quasi come un mestiere, perché no? Ma soprattutto è stato allora che ho capito che se c’è qualcosa che è davvero contro natura, non è l’omosessualità, ma la pretesa folle di costringere o annullare del tutto le pulsioni sessuali dell’essere umano»
«Concordo pienamente» aggiunge Dario.
Per un po’ scende il silenzio tra i due. Don Claudio aspetta che sia l’altro a parlare. Dario in quel momento è meravigliato dal forte sentimento di vicinanza che si è creato tra loro nel giro di un paio d’ore. Mentre lo ascoltava si sentiva invadere da una sensazione di calore e di pace che non provava da tempo; come se avesse trascorso queste ultime settimane imprigionato in un blocco di ghiaccio che ora si stava sciogliendo.
Si rende anche conto che il racconto del suo amico lo ha fatto eccitare. Questa cosa lo turba un po’, ma gli fa realizzare che ormai da troppo tempo anche lui ha represso o ignorato il suo desiderio sessuale.
È Dario a rompere il silenzio: «Claudio, posso farti una domanda?»
«Certo!» risponde il sacerdote.
«Ti ricordi di quella volta che con la scuola siamo andati in gita a Firenze?»
«Sicuro! Fui contento quando tu ti offristi di stare in camera con me»
«Lo feci perché mi faceva piacere, ma anche perché non volevo che alla fine risultasse che nessuno voleva stare con te»
«Beh, grazie. Eravamo in quinta, se non sbaglio»
«Sì, o in quinta o in quarta. Mentre passeggiavamo per Firenze un po’ staccati dal resto dei compagni, a un certo punto ti sei messo a canticchiare una canzone della Nannini, quella che fa: “I maschi innamorati come me…”»
«“Ai maschi innamorati come te – lo interrompe Don Claudio, continuando a cantarla – Quali emozioni quante bugie / ma questa notte voglio farti le pazzie…”»
«Sì, era proprio quella strofa!... Mi sembrò subito strano che un maschio si mettesse a cantare quella canzone, poi mi è venuto in mente che forse mi stavi lanciando un messaggio»
«Eh già»
«All’epoca ce l’avevo avuta qualche esperienza con un mio amico. Niente di ché: solo qualche sega, anche reciproca, guardando delle riviste porno; perciò non mi sarebbe dispiaciuto farlo anche con te. Se ti ricordi, quella sera – continua Dario – quando ci ritirammo nella camera doppia che condividevamo, io mi feci una doccia, e mentre ero sotto l’acqua, mi eccitai pensando a quello che avremmo potuto fare. Così quando sono uscito, mi sono avvicinato al mio letto senza mettermi niente addosso; volevo mostrarti la mia erezione. Tu eri già sotto le coperte; mi guardavi, ma non facevi e non dicevi niente. Allora iniziai ad accarezzarmelo, ma non ci fu alcuna reazione da parte tua, così pensai di aver frainteso il messaggio, e mi misi a dormire con la speranza che magari poi avresti preso tu l’iniziativa. Invece non è successo niente»
«Ricordo bene tutta la scena. No, non avevi frainteso: lo desideravo eccome; solo che in quel momento mi ha bloccato la paura. Ho temuto che venisse qualche professore a controllare, o qualche compagno che volesse entrare. Ero già il bersaglio di battutine allusive e piccole cattiverie di ogni genere; se ci avessero scoperti, per me sarebbe stata la fine»
«Capisco… però sai una cosa? Mentre mi raccontavi la tua esperienza e adesso ripensando a quella volta… beh sì, mi sono eccitato»
«Beh, guarda che stavolta non me ne starei zitto e fermo» ribatte Don Claudio, fissando l’altro negli occhi.
Allora senza dire altro, Dario si alza in piedi, si slaccia la cintura dei pantaloni, tira giù la lampo e se li cala fino alle ginocchia insieme agli slip, esponendo così il suo membro in erezione davanti all’amico prete che resta seduto sul divano. Questi allunga una mano per toccargli il pene e inizia lentamente a masturbarlo. Dario si avvicina un po’ di più e a questo punto, chinandosi, Don Claudio può accogliere nella sua bocca il cazzo dell’amico, suscitando in lui un gemito di chiara approvazione.
Dopo un po’ il sacerdote si interrompe per dire: «Perché non ce ne andiamo in camera mia? Staremo più comodi»
Dario annuisce ed inizia a spogliarsi completamente; così pure fa Don Claudio.
Appena sono nella sua camera, fa stendere l’amico su un fianco e, stendendosi in posizione opposta, riprende il pompino che aveva interrotto. La posizione è ideale per un 69, a cui Dario non si sottrae; così anch’egli comincia a succhiare il pisello dell’altro, che è già piuttosto lungo e duro e lo sente inturgidirsi sempre di più mentre lo tiene in bocca, finché l’altro s’interrompe di nuovo per proporgli: «Ti va di infilarmelo dietro?».
«Va bene, con piacere» risponde Dario.
Don Claudio si sporge dal letto per tirare fuori un tubetto di lubrificante dal cassetto del comodino; si mette a quattro zampe e chiede all’amico di spalmargliene un po’ tra le natiche. Cosa che lui fa, senza tralasciare qualche piccolo tentativo di forzare l’apertura dell’ano, facendo mugolare il suo partner.
Poi se ne mette anche un bel po’ sulla sua cappella e si posiziona per iniziare la penetrazione. All’inizio con molta lentezza, poi incoraggiato dai gemiti e dalle esclamazioni di approvazione di Don Claudio, aumenta pian piano il ritmo.
Però, vuoi per la recente prolungata e quasi totale astinenza, intervallata solo da qualche sega; vuoi per l’incredibile eccitazione che gli provoca il vedere quanto stia godendo il suo amico prete; dopo solo qualche minuto si ferma perché sta per venire. Allora propone: «Stavo per sborrare, ma prima mi piacerebbe che anche tu mi penetrassi»
«Volentieri» risponde prontamente l’altro. Quindi ripete all’inverso tutta la necessaria preparazione e quando entra nel retto di Dario, questi esclama: «Sììì, dai!... Avevo quasi dimenticato quanto fosse bello!»
Don Claudio cerca di durare più che può, finché non ce la fa più a ritardare ancora l’eiaculazione, e quasi urlando esclama: «Godooo!».
A più riprese inonda di sperma il retto dell’amico, per poi sfilarsi e sdraiarsi supino. Appena Dario sente invadere le sue viscere dal liquido caldo dell’altro, raggiunge a sua volta l’apice del piacere e in pochi secondi, senza neanche toccarsi, viene copiosamente.
Prima di distendersi al suo fianco, scambia con l’amico un lungo bacio sulla bocca.
Per un po’ nessuno dice niente, poi è Don Claudio il primo a parlare: «Puoi fermarti a dormire qua, se vuoi»
«Lo farei volentieri, ma domani devo alzarmi presto: ho un’udienza in tribunale. Ma presto avremo modo di rivederci»
«Sicuro!».

FINE

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