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GRAZIE ZIO (Prima parte)
di jeepster
24.10.2024 |
14.355 |
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"Ti farò uno squillo venerdì mattina, così ti dico per quando è previsto il mio arrivo»
«Benissimo, allora buona serata e a presto»
«Grazie, anche a te»..."
Ho 42 anni, , vivo a Roma, sono sposato con Barbara, una moglie meravigliosa, e ho un figlio di 12 anni che è la mia gioia e il mio orgoglio.La mia attività di avvocato è stata sempre intensa, a tratti soffocante. Passo la maggior parte delle giornate in ufficio, circondato da scartoffie; ho appuntamenti, riunioni, scadenze e responsabilità che non mi danno respiro.
Una domenica di metà luglio di due anni fa, durante la festa di compleanno di Paride, lo zio di mia moglie, fui sorpreso da un invito inaspettato: a lui avrebbe fatto piacere se il prossimo weekend l’avessimo potuto trascorrere insieme nella casa di montagna in Trentino.
Disse che moglie e i figli partivano per alcuni giorni; andavano a trovare i genitori di lei, e visto che in passato aveva avuto dei dissapori col suocero, non aveva alcuna intenzione di accompagnarla. Allo stesso tempo non gli andava di restare da solo. Però sarei dovuto andare solo io, perché nella casa c’erano solo due camere: una con letto matrimoniale e una con un lettino singolo. Pensava che avremmo avuto la possibilità di conoscerci meglio e sarebbe stata un’ottima occasione di relax.
L’idea di passare un weekend lontano da mia moglie e mio figlio non mi entusiasmava. Poi conoscevo appena lo zio Paride; finora c’eravamo incontrati solo in riunioni di famiglia. In tutte le volte che ci eravamo visti, avevamo fatto solo conversazioni di circostanza per non più di mezzora in totale; forse era meglio declinare l’invito.
Poi, ripensandoci, mi sembrò che questa poteva essere l’occasione che cercavo da un po’ per interrompere la solita routine, spegnere il telefono e ignorare per qualche giorno le pile di documenti che riempivano la mia scrivania. Era da tanto che non riuscivo a concedermi del tempo per me stesso e rilassarmi come avrei voluto.
Volevo pensarci meglio e gli risposi che dovevo vedere com’ero messo, perché a volte mi capitava di essere impegnato anche nei weekend.
La sera dopo, rientrando a casa, Barbara mi disse che aveva chiamato zio Paride chiedendo di me: «Gli ho detto che ti eri attardato in ufficio e lo avresti richiamato appena tornavi… dai, chiamalo subito così puoi cenare tranquillo»
Mia moglie sapeva il motivo della chiamata, perché la sera avanti gliene avevo parlato; mi aveva esortato ad accettare, le era sembrata una buona cosa.
Mi feci dare il numero da lei e lo chiamai: «Ciao zio, allora accetto il tuo invito. Ho dato un’occhiata ai miei impegni e potrei fare in modo di partire già venerdì mattina, vorrei sfruttare al meglio questa occasione, perché chissà quando potrebbe capitarmi di nuovo… ma tu quand’è che vai su?»
«Ah, visto che hai accettato, io partirò mercoledì, così metto un po’ a posto e sistemo tutto per bene. Allora ti aspetto per venerdì mattina; ora che ho il tuo numero ti mando la posizione satellitare, così non avrai difficoltà a trovare il luogo dove mi trovo»
«Sì, grazie, ma non disturbarti troppo, sono uno che si adatta facilmente»
«Nessun disturbo, anzi, non sai quanto mi fa piacere che tu abbia accettato»
«Il piacere è anche mio. Ti farò uno squillo venerdì mattina, così ti dico per quando è previsto il mio arrivo»
«Benissimo, allora buona serata e a presto»
«Grazie, anche a te».
Paride è un uomo oltre la cinquantina, alto, brizzolato, con una buona posizione e mi ha sempre dato l’idea di essere un tipo molto discreto e riservato, perciò mi ha un po’ sorpreso il suo invito e l’entusiasmo dimostrato per il fatto che avessi accettato.
Il venerdì mattina misi un po’ di cose nella mia borsa da viaggio, salutai mio figlio che forse neanche aveva capito che stavo via per qualche giorno, preso com’era dalle sue cose, poi baciai mia moglie che mi congedò dicendo: “vedrai che ti farà bene, divertiti e rilassati”. Annuii, benché una parte di me non era ancora del tutto convinta che questa fosse una buona idea. Nel peggiore dei casi avrei inventato una scusa per tornarmene subito a casa.
Senza indugiare oltre, saltai sulla mia station wagon e partii.
Il tragitto mi sembrò interminabile, ma devo ammettere che mentre guidavo, cominciai a provare un senso di libertà. Il viaggio durò quasi quattro ore. Percorsi per lo più autostrade, ma quando stavo per avvicinarmi alla meta, le strade diventavano più strette, si snodavano tra colline e boschi.
Il silenzio della campagna mi avvolse, facendomi dimenticare il solito rumore della città. La prospettiva di andare incontro a un totale isolamento, cominciò ad attrarmi. Quando arrivai di fronte alla casa dello zio Paride, c’era un silenzio quasi assoluto; rotto solo dai pneumatici della mia macchina sulla ghiaia del vialetto. Era una costruzione non tanto grande, in stile rurale ma ben tenuta; circondata da alberi alti e campi tutt’intorno. Era esattamente il tipo di rifugio di cui avevo bisogno per evadere dalla routine e dal caos della città.
Quando parcheggiai davanti alla casa, sulla veranda mi aspettava lo zio, la cui robusta corporatura e lo sguardo severo e penetrante, davano l’idea di una persona autorevole e sicura di sé. Almeno era questa l’impressione che avevo avuto anche nei precedenti raduni di famiglia.
«Ce l’hai fatta finalmente! » disse sorridendo, avanzando verso di me per salutarmi.
Ci stringemmo la mano e la sua presa fu forte e decisa.
«Vieni Aldo, ti mostro la stanza».
L’interno della casa era spazioso e confortevole, con ampie finestre nel soggiorno, che facevano entrare la luce dappertutto. Salimmo per una scala di legno e aprì la porta di una piccola ma comoda stanza: «Ecco dove starai, puoi lasciare qui le tue cose e sistemarti. Ti consiglio d’indossare un paio di shorts come i miei, fa caldo fuori e ti sentirai più a tuo agio» mi raccomandò con tono calmo e sicuro.
Annuii, il consiglio era sensato. Dopo essermi cambiato, tornai di sotto. Paride mi aspettava in veranda con due birre fredde in mano.
«Gustiamoci queste birre» disse porgendomi una delle due bottiglie.
«Volentieri – risposi – grazie»
Sedemmo sotto l’ombra del portico ad ammirare la veduta dei campi e dei boschi tutt’intorno; il caldo di mezzodì era attenuato da una gentile e piacevole brezza. Il primo sorso di birra andò giù liscio e i miei muscoli cominciarono a rilassarsi. Paride mandò giù una lunga sorsata e disse: «Era da tempo che desideravo prendermi una pausa dalle fatiche quotidiane, sono contento che tu sia venuto».
«Ad essere sincero, all’inizio ho esitato ad accettare, ma ammetto che stare via per un po’ è stata un’ottima idea»
«Barbara mi dice che tu sei sempre intrappolato in ufficio, vedrai che qui ti troverai bene – commentò come se mi leggesse nel pensiero – niente preoccupazioni, solo la campagna… e noi due».
Non aveva detto niente di strano, eppure mi parve che ci fosse tra le righe qualcosa che non riuscivo ad afferrare.
Il tempo sembrava scorrere più lentamente e la tensione che avevo accumulato nel viaggio iniziò a sciogliersi. Parlammo a lungo, raccontandoci le nostre rispettive quotidianità, riguardanti le nostre famiglie e il lavoro. Paride era un abile conversatore, poi a un certo punto suggerì che era il momento di preparare qualcosa da mangiare.
«Facciamo una grigliata di carne? » chiese, ed io fui subito d’accordo.
Nel piccolo cortile sul retro della casa c’era un barbecue di mattoni che lo zio mise subito in funzione. Mentre la carne arrostiva sulla griglia, diffondendo il suo odore, continuammo a bere birra e a chiacchierare, raccontandoci delle nostre vite.
Cominciavo a sentirmi davvero bene e fui felice di aver accettato l’invito.
Era così piacevole conversare con Paride; erano anni che non riuscivo a rilassarmi così.
Dopo aver pranzato, lo zio mi esortò ad andare a riposarmi un po’. Non me lo feci ripetere due volte, perché il viaggio era stato piuttosto impegnativo.
Mi risvegliai che era ormai tardo pomeriggio e quando scesi di sotto trovai lo zio che armeggiava in cucina. Di lì a poco avrei scoperto che Paride era anche un ottimo cuoco.
«Sto preparando la cena di stasera, tu intanto vai a fare una passeggiata, così cominci a scoprire i dintorni»
«Ah bene, con molto piacere».
Tornai dopo quasi un’ora, mi sembrava che fosse passato un secolo dall’ultima volta che avevo potuto fare una passeggiata nella campagna e tra i boschi. Lui mi aspettava seduto in veranda, dove aveva già apparecchiato il tavolo per la cena. Appena mi vide arrivare si alzò, prese una bottiglia dal secchiello del ghiaccio e la stappò dicendo: «Vieni Aldo, ti faccio assaggiare un ottimo vino bianco che fanno da queste parti». Aveva ragione, il vino era davvero ottimo.
Dopo aver chiacchierato un po’ si alzò dicendo: «Vado a prendere la cena, torno subito»
Dopo un paio di minuti tornò esclamando: «Canederli! Non si può venire in Trentino e non mangiarli. E tu li hai mai mangiati? »
«No» risposi.
«Vedrai che ti piaceranno, in questi anni ho imparato a farli davvero bene».
Aveva ragione anche stavolta: erano squisiti. Infatti ne mangiai una buona quantità. Mi chiese se volevo altro ma risposi che ero sazio.
Il sole cominciava a tramontare e noi continuammo a bere vino e a chiacchierare.
Era notte ormai, quando lui disse: «Non avrei mai pensato di apprezzare così tanto di trovarmi in un posto isolato insieme a un altro uomo» e nel dire ciò comparve sul suo viso un espressione sorridente ma strana.
Anche il tono della sua voce non sembrava il solito, era come se in quella affermazione ci fosse un qualcosa di allusivo che non riuscivo a decifrare.
Continuava a fissarmi sorridendo, come se si aspettasse una mia reazione. Io rimasi in silenzio per alcuni secondi, cercando di capire se c’era un significato recondito in quanto aveva detto.
Il silenzio che si era venuto a creare in quegli attimi, strideva nettamente con quell’ininterrotto parlare che c’era stato prima e quindi sentii come se si stesse creando un po’ di tensione nell’aria. Risi debolmente, come se avessi preso la frase di Paride per una specie di battuta ironica.
Lui non smetteva di guardarmi con quello strano sorriso, quasi ammiccante e così portai il discorso sulla cascata che avevamo deciso di andare a visitare il giorno dopo.
«Mi sa che è ora di andare a dormire – dissi – domattina dovremo alzarci presto, vero? »
«Hai ragione, è ora di andare a letto» concordò Paride annuendo, ma anche stavolta mi sembrò che l’affermazione avesse un doppio senso.
Ce ne andammo ognuno nelle proprie camere, ma prima di prendere sonno molti pensieri si affollarono nella mia mente, ripensando a tutto quello che era accaduto e ai discorsi fatti.
Il giorno dopo ci alzammo abbastanza presto; dopo una veloce colazione prendemmo alcune cose da mangiare e da bere da portarci dietro e ci incamminammo. Ci volle quasi un’ora per arrivare alla cascata e i suoni della natura ci accompagnarono lungo tutto il percorso attraverso la fitta vegetazione.
Paride mi camminava a fianco ma era insolitamente silenzioso, così mi concentrai sulla quiete di quei boschi. Quando arrivammo fui quasi stordito dalla bellezza di quel luogo, non avevo mai visto niente di così meraviglioso. Circondata da una lussureggiante vegetazione, ai piedi della piccola cascata si era formata una piscina naturale illuminata dal sole, continuamente alimentata dall’acqua che scendeva e andava a rimpiazzare quella che fuoriusciva sul lato opposto formando un delizioso torrente.
Eravamo entrambi accaldati e sudati per via della lunga camminata e della temperatura che cominciava a salire, così ci togliemmo i vestiti restando con addosso soltanto i pantaloncini, quindi ci sedemmo entrambi su un grande asciugamano steso su un piccolo spiazzo erboso al margine dello stagno.
Dopo un po’ Paride si tolse anche i calzoncini e rimase con solo gli slip.
«Ti vuoi fare il bagno? » gli chiesi.
«Si, ma non subito, l’acqua è ancora troppo fredda».
A quel punto non potei fare a meno di dare una fugace occhiata al considerevole rigonfiamento in mezzo alle sue gambe. Ora che indossava soltanto gli slip, riuscivo ad avere un’idea più precisa di quello che avevo intuito il giorno prima, quando nonostante gli shorts, si poteva notare una inconsueta protuberanza nella zona inguinale. Non so cosa si scatenò dentro di me, sta di fatto che la visione del notevole “pacco” di zio Paride, mi suscitò una serie di pensieri ed emozioni inaspettate e imbarazzanti: in primis, la curiosità di sapere com’era davvero quello che stava sotto quel sottile strato di stoffa dei suoi slip. Forse era il solito desiderio di confronto che c’è tra noi maschietti, ma c’era anche qualcosa di più, perché a un certo punto mi corse come un brivido lungo la schiena che arrivò fino al perineo e risalì verso il mio pene, provocandomi un inizio di erezione. Non seppi resistere alla voglia di guardare ancora.
Sperando di non essere scoperto, tornai a fissare quel rigonfiamento, poi improvvisamente Paride si voltò verso di me per chiedermi: «Tu non te lo fai il bagno?... Comunque ti conviene toglierti i pantaloncini, starai più comodo» e aveva nuovamente quel sorriso ammiccante sulla faccia.
Il pensiero di esser stato beccato mi provocò un forte imbarazzo ma cercai di non darlo a vedere e simulando calma e tranquillità risposi: «Sì, dopo entro in acqua anch’io» e così dicendo mi sfilai velocemente gli shorts, restando in mutande. L’eventualità che Paride potesse notare la mia leggera erezione non mi frenò, anzi, pensai che così non avrei sfigurato troppo nel confronto.
«Magari possiamo fare anche qualche tuffo dall’alto della cascata, l’acqua è abbastanza alta»
«Sì, perché no? » risposi in realtà con scarsa convinzione.
Rimanemmo distesi in silenzio per un po’, godendo della quiete di quel posto, dove gli unici suoni che si sentivano erano i canti degli uccelli, il ronzio di qualche insetto e il rumore dell’acqua della cascata. In breve l’imbarazzo che avevo provato poco prima scomparve e la tensione si allentò. Tuttavia non riuscivo a fare a meno di sbirciare da quella posizione il corpo seminudo dello zio, soffermandomi soprattutto su quella specie di montagnola che non era ancora stata denudata.
Quasi subito sentii di nuovo un certo stimolo in mezzo alle mie gambe e allora cercai di distogliere il pensiero e concertarmi sulla sensazione di libertà e relax che provavo in quel momento.
All’improvviso Paride scattò in piedi e senza dire niente si diresse verso lo stagno. Lo guardai in silenzio mentre saggiava la temperatura dell’acqua: doveva essere ancora molto fredda. Tuttavia si fece coraggio e si tuffò per immergersi completamente. Provò a fare qualche bracciata ma si arrese quasi subito ed uscì da quella piscina naturale. Si avvicinò all’asciugamano correndo, si sfilò velocemente gli slip e si diresse verso un albero lì vicino dicendo: «Il contrasto con l’acqua fredda mi ha stimolato la vescica, devo subito fare pipì».
Io ero a dir poco sbalordito da quel suo gesto di intima confidenza, ma allo stesso tempo fui contento di poter finalmente vedere chiaramente cosa aveva zio Paride tra le gambe. Il modo in cui si dispose per urinare sul tronco dell’albero, faceva sì che io potessi osservare tutto molto bene. Restai a guardarlo allibito mentre si massaggiava i grossi testicoli o dirigeva lo schizzo che fuoriusciva dal suo pene che, benché moscio, era di una lunghezza e larghezza decisamente superiori alla media per un pisello in quella condizione. Pensai che il mio era di poco più lungo quando era completamente eretto. Però la cosa davvero scioccante fu che quando ebbe finito, al momento di scrollarselo si voltò verso di me e lo fece con disinvoltura, ridendo e ammiccando. Mi resi conto che avrei dovuto dirigere il mio sguardo altrove ma non ne fui proprio capace. Una specie di scossa elettrica partì dal mio cervello arrivando dritta al pube e rimasi a fissare Paride che ora stava simulando una masturbazione, cosicché il suo randello diventava sempre più lungo e grosso, mentre non smetteva di ridere.
Se non fosse stato per le emozioni e le sensazioni che si erano scatenate in me, avrei potuto concludere che in fondo quella era solo una scena goliardica che avrebbe accresciuto la confidenza che cominciava ad esserci tra di noi, ma non era così. Dovetti rendermi conto che in realtà in quei momenti provavo un desiderio e una irresistibile attrazione fisica per quell’uomo: mai mi sarei aspettato che potesse accadere una cosa simile.
Quando Paride si accorse dall’espressione turbata del mio viso che la sua esibizione non aveva suscitato in me l’ilarità che probabilmente si aspettava, ma piuttosto sconcerto e imbarazzo, smise subito e venne verso di me: «Scusami, forse mi son preso qualche confidenza di troppo ma volevo solo… » si interruppe quando il suo sguardo si posò sulla evidente protuberanza che i miei slip non riuscivano a dissimulare. Neanch’io mi ero reso conto della prorompente erezione che avevo e così non tentai di nasconderla, ma a quel punto Paride iniziò a fissarmi negli occhi con quello sguardo magnetico a cui sembrava impossibile sottrarsi; poi la sua faccia si avvicinò pian piano alla mia finché le sue labbra toccarono le mie e poiché non mi ritrassi, mi baciò con decisione e io non potei fare a meno di rispondere al suo bacio. Però dopo qualche attimo fui assalito da un senso di paura e di panico che mi fece tornare in me e allora staccai le mie labbra e balbettando gli sussurrai: «No zio, ho paura, non so se questo è giusto ». Così lui si ritrasse, andò a raccogliere i suoi shorts, se l’infilò e mi sedette accanto in silenzio, mentre io fissavo il vuoto in preda a un vortice di pensieri che mi riempiva la mente.
Dopo un po’ lui si distese e io feci altrettanto, ma in breve tempo lo zio si addormentò, mentre io non riuscivo a smettere di arrovellarmi.
(Continua - La seconda parte è già disponibile sul mio profilo)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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