Gay & Bisex
Università. L’Equivoco


06.04.2025 |
6.109 |
15
"Mi sfondò con colpi durissimi che mi slargarono il culo..."
Era troppo tardi per rientrare, ero dall’altra parte della città. Carletto, il mio collega d’università, mi aveva invitato a restare a dormire da loro. Era un bel ragazzo dai capelli castani sempre leggermente spettinati, dagli occhi svegli e attenti che tradivano una mente lucida e curiosa. Sinceramente ipotizzai volesse cercare l’occasione per approfondire la nostra conoscenza intima. C’era stato giusto qualcosa tra noi, nulla che potesse fargli neppure sospettare quali e quante esperienze avessi già fatto. Evidentemente neanche uno in facoltà gli aveva raccontato ciò che ogni tanto avevo combinato nei cessi. Meglio, perché, in un certo senso, avevo deciso di provare ad avere una storia “seria”, benché nessuno di noi due volesse rinunciare ad avere una fidanzata con cui vivere la parte etero della propria bisessualità.Poco convinto di combinare con i suoi genitori nella stanza a fianco, cercai di tergiversare, dicendo che non avevo nulla con me, neppure uno spazzolino da denti. Carletto mi tranquillizzò.
Giocava a calcio da sempre, e anche se l’università lo teneva occupato, non saltava mai una partita con la squadra del campus o un allenamento serale. In campo era determinato e veloce, il tipo di giocatore che dava tutto fino all’ultimo minuto. Anche quella sera sarebbe dovuto andarci, ma mi chiese di restare comunque a casa con i suoi per non dover dare tante spiegazioni o generare sospetti.
Visto che non rientrava, chiesi di andare a dormire e il padre mi accompagnò in camera, indicandomi il matrimoniale in cui dormiva il figlio. I suoi modi erano bruschi, essenziali, come chi non ha tempo da perdere con le smancerie. Avrà avuto una cinquantina d’anni ma il suo fisico era ancora quello tipico di un manovale: robusto, asciutto, fatto di muscoli veri, costruiti con la fatica più che con la palestra. Aveva la pelle cotta dal sole, il volto scavato, i capelli rasati e brizzolati e occhi chiari che sembravano osservare tutto in silenzio. Durante la cena aveva parlato poco e, quando l’aveva fatto, la sua voce era stata ruvida, con un tono che non lasciava spazio a giri di parole. Mi sentivo fortemente attratto da quella situazione che mi portava a sentirmi tentato dall’idea di tradire Carletto con suo padre che, di certo, non si sarebbe accontentato di un pompino.
Non sapevo esattamente che ora fosse quando la porta della stanza si aprì. Ero un po’ incazzato con Carletto e finsi di dormire per non salutarlo. Sentii che si spogliava, che scostava il lenzuolo. Sicuramente, nel farlo, avevo notato che avevo tenuto la maglietta ma non le mutande per dormire in libertà.
Si sedette sul bordo. Si muoveva appena, forse per non svegliarmi. S’infilò sotto il lenzuolo con lentezza. Il suo respiro era irregolare. Gli venne spontaneo baciarmi sul collo poi dietro un orecchio: “Oh… Posso? Tanto non stai dormendo!”
Aveva un odore che riconobbi appena. Immaginai avesse dovuto docciarsi con gli altri maschi dopo la partita e la cosa, che prima mi aveva innervosito, mi eccitò.
Quel corpo caldo divenne una calamita. Cercai il suo cazzo, lo palpai per poi scappellarlo e segarlo un po’.
- “Me lo succhi?”
M’infilai sotto il lenzuolo e imboccai il suo sesso ormai in piena erezione. Mi dedicai al frenulo, con la mia linguetta che si divertiva a stuzzicarlo. Gli baciai la cappella e ci feci scorrere sopra la lingua per poi lappare l’asta fino all’attaccatura dei coglioni. Mi prese la testa all’altezza delle tempie con le mani e cominciò a scoparmi velocemente in bocca, ficcandomelo fino in gola e portandomi a sbavare copiosamente, con rivoli di saliva che fuoriuscivano, colando sui suoi coglioni duri. Mi meravigliai di quell’inaspettata irruenza, ma avevo voglia del suo cazzo, volevo il suo sperma, volevo ingoiarlo golosamente. Mi sentivo bene al pensiero di fargli un pompino con ingoio da favola, ritrovandomi nella stanza a fianco di quel padre che avrei volentieri invitato a unirsi a noi.
Mollò la presa e un rumore metallico mi distolse. Seguì l’odore tipico della Nivea. La sua mano scese sotto il lenzuolo e si cosparse la capocchia di crema.
- “Sali, che ti scopo!” - borbottò.
- “Sei sicuro?”
- “E certo! Basta che non facciamo casino!” – mi bisbigliò nel buio della stanza.
Cominciò a leccarmi tutto il corpo, ficcandomi due dita in culo e cominciando a sditalinarmi in maniera quasi violenta. Con la testa riversa all’indietro, mi mordicchiai le labbra cercando di non mugolare di piacere. Si fermò, mi fece stendere all’insù. Iniziò a leccarmi l’ombelico per poi giungere all’interno delle cosce, divaricandomele. Mi masturbò violentemente con la mano unta di crema e, subito dopo, mi rivoltò con energia per arrivare alla mia fessura anale. Allargandomi le chiappe, leccò l’ano, lo mordicchiò, succhiandolo. Ogni tanto ficcava la lingua dentro, alternandola alle dita lubrificate di crema e saliva.
Risalì. Ci baciammo in un intreccio di lingue e saliva, mentre puntava il cazzo.
Alla faccia dell’inesperienza dichiarata, senza alcun problema m’infilzò e incominciò a pomparmi. Avrei voluto gridare per il piacere che stavo provando ma, mettendomi una mano sulla bocca, mi sbatté con forza, impedendomi di fare rumore. Mi sfondò con colpi durissimi che mi slargarono il culo. Ero fuori di testa da quanto godevo, finché con un affondo più deciso e profondo fece aderire i nostri corpi. Per lo sfregamento io sborrai tra me e il materasso. Lui, invece, esplose dentro di me. Lo sentii che mi riempiva con il suo liquido caldo. Quando lo tirò fuori, lo sentii colare e scendermi giù per le cosce.
Non ebbi il tempo di pensarci più di tanto, perché dalla porta vidi entrare Carletto che, accesa la luce, restò immobile e guardò stupito la scena davanti a sé.
- “Papà!?
Mi voltai e vidi suo padre scivolarmi a fianco: “Carle’, che te devo di’?!”
Cercai di giustificarmi: “Credevo fossi tu! Te lo giuro!”
- “È vero. Sta a di’ la verità!”
Carletto chiuse la porta: “Porca puttana, fai ‘ste cose pure con mamma nell’altra stanza!? Sei 'na merda!”
- “Vabbè, perché tu non te lo sei portato a casa per fa’ roba?”
- “È solo un mio compagno di università!”
- “Ma vaffanculo, va! L’ho visto un paio di mesi fa in un cinema porno, prima nel cesso e poi con un militare più o meno dell’età mia. L’ho riconosciuto subito, lui no… Forse perché nel cesso eravamo tre o quattro!”
Tirando via il lenzuolo si sollevò dal letto a cazzo ancora duro. Si stiracchiò, sollevò le braccia, mostrando le ascelle pelose. Il cazzo non sembrava voler mollare la sua erezione: “Beh…Semo andati due o tre volte assieme a disoneste, no? Che cambia? Fattelo pure tu, così non rompi i coglioni! Sta sborrato dentro, ma è roba di famiglia!”
Notai che anche Carletto ce l’aveva duro e, forse, se ne accorse pure il padre: “Se vuoi resto pur’io. Basta che non facciamo casino che svegliamo tu’ madre!”
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Commenti per Università. L’Equivoco:
