Gay & Bisex
La stazione di notte
di chupar
08.09.2023 |
12.974 |
8
"Sabino rise: "‘A cuntentezza vene da ‘o cazzo, altro che core!"
Nonostante fossi sfinito, anche l'ultimo me lo volle mettere in bocca..."
“Vaffanculo!” pensai. Mi ero fatto quel viaggio per fare una sorpresa a uno stronzo, profumato e in carriera, che mi aveva fatto perdere la testa. L'avevo conosciuto perché era un nuovo fornitore. Era venuto in azienda a Roma e, a sentir lui, era stato subito colpito da me. Eravamo usciti assieme ad alcune amiche, perché non volevo starci da solo. In quel periodo mi piaceva anche un altro ragazzo dell'azienda e non volevo fare cazzate. Invece l'avevo fatta. Un pompino, cosa sarà mai? Mi ero detto dopo una cena romantica. In fondo siamo adulti! Mi ero ripetuto dopo essermi fatto scopare in ufficio. E invece dopo due giorni l'avevo raggiunto a nord, nel suo paese d'origine. Lo avevo chiamato e lui mi aveva portato in un autogrill per dirmi che era sposato e non poteva ospitarmi. Dopo avermi offerto una pizza al taglio e avermi scopato nei cessi, era tornato dalla famiglia. Senza neppure pensare al mio piacere, mi aveva mollato in piena notte in quella stazione ed io stavo ancora lì a pensarci su. Sfiga nella sfiga, non era neppure possibile starsene in santa pace nella sala d’aspetto sul binario, perché due operai stavano facendo dei lavori di manutenzione. Il primo era un tipo biondino, corporatura normale, barba incolta; il secondo era un bel maschio, alto oltre il metro e ottanta, spalle larghe, moro, con un filo di capelli bianchi alle basette e brizzolato sul mento. Il primo non mi diceva un granché, il moraccione invece era molto interessante.
Avevano in testa il casco da cantiere e le quattro tasche, il porta-metro e i ganci di plastica, sporgevano dal classico gilet arancione con catarifrangenti. Levandosi i guanti da lavoro, ridendo fra loro, confermarono di aver studiato bene il piano. Sorbito un caffè nel bar vicino alla stazione, avevano atteso che uno dei responsabili della ditta appaltatrice si avviasse all’uscita per la notte. Avevano stabilito i turni di scambio con i colleghi in modo da avere tutti e tre un bel po’ di tempo libero tra un lavoretto e l’altro, pur essendo ufficialmente tutti a lavoro per l’intero turno.
Cercai di non distrarmi troppo per non dare nell’occhio e chiesi dove potessi mettermi per non essere d’impiccio. Standosene sulla scala, il moro m’indicò seccamente un posto distante. Una panca di legno scuro, come quella delle scuole, era accostata alla parete.
Mi spostai, ma nel farlo osservai il suo bel sedere, le gambe tornite.
“Tutto bene?” - mi chiese il biondino.
Annuii e mi toccai la tasca destra della giacca per verificare la presenza rincuorante del biglietto e del portafogli. Temetti per un attimo di averli persi nel cesso dell'autogrill. Il mio tipo era stato a dir poco irruento.
“C'hai tanto da aspettare” - mi disse, mentre il suo sguardo si posava sulla scritta che scorreva lentissimamente sul monitor indicando la stazione di arrivo.
- “Eh, già!” – risposi, sistemandomi meglio sulla sedia, perché il culo mi faceva ancora un po’ male.
- “Fa freddo stasera, eh?”
“Sì” - risposi, sospirando, strofinandomi le mani e avvicinandomi al vetro.
- “Eh noi non siamo abituati a questo clima del nord. Tra un po’ c’è il cambio turno, se vuoi puoi venire con noi a bere qualcosa di caldo!”
- "C'è un bar in stazione?"
- “Ce n’è uno ma è chiuso da due ore almeno. Toccherà spostarci da qualche parte qui vicino.” - mi disse sorridendo premurosamente, provocando così un fantastico intersecarsi di rughette d'espressione sulla sua faccia.
In realtà non desideravo nulla. Mi sembrava solo strano vedere quei tizi dall'accento napoletano indaffarati in mezzo a tanta desolazione settentrionale e mi sarebbe piaciuto chiedergli qualcosa di loro. Però in fondo il ragazzo era carino nei modi, con un bel sorriso e la proposta mi sembrò priva di pericoli. Forse un po’ di compagnia mi avrebbe fatto passare più in fretta l’attesa: “Volentieri! Ma non sei di queste parti?”
- “No, noi siamo di Napoli, poi altri due sono di Roma. Abbiamo vinto l’appalto. Finiamo e ripartiamo. Comunque io sono Gennaro e lui è Sabino, piacere”.
Uno squilibrato di mezza età, con la faccia paonazza per l’ubriachezza, si avvicinò ai due e cominciò a parlargli quasi urlando. Gennaro, da parte sua, lo ignorò beatamente, ma l'uomo, puzzolente di alcool, improvvisamente entrò nella cabina vetrata e s’indirizzò verso di me. Alzò le mani nell'evidente atto di volermi colpire. L’operaio, rapido, mi afferrò per mano mi allontanò, mettendosi tra me e il barbone. Il collega pensò bene di fare qualcosa. Mise un braccio intorno al molestatore e lo condusse fuori. Dal modo di fare pareva lo conoscesse.
Gennaro: “Sta qui tutte le sere. È innocuo, ma ci sono altri strani soggetti in giro. Dai, vieni”.
M’incamminai verso l’uscita con Gennaro: "Che ci fai qui?"
- "Dovevo vedere una persona".
- "Maschio o femmina?"
Non risposi e salii in auto: “Dove siamo andando?”
- “In stazione è tutto chiuso, te l'ho detto. Qui non siamo in una grande città. Andiamo a cercare un bar aperto senza Sabino, che quello tene 'a cazzimma. Per me possiamo stare pure qui! Dipende da quello che vuoi fare”.
Si sistemò sul sedile senza dire altro. Lo guardai, mi tolsi il giaccone e lo sistemai dietro. Mi sentivo bene nel calore di quell'auto con quel giovane uomo a contemplare il buio e la nebbia.
Gennaro mi sorrise in modo dolce e nello stesso tempo virile, carezzandomi la guancia: “Allora? Teso' che vuoi fare?”
Rimasi immobile a fissarlo. Mamma mia, ma cos’hanno di speciale i napoletani? - pensai. Con quel sorriso fece sciogliere ogni mia perplessità, un nodo mi si allentò nello stomaco e, senza perdere altro tempo, mi tuffai nel gioco.
Gennaro mi venne vicino: "E' difficile stare lontano da casa, da solo...".
Sentii il suo odore leggero di deodorante. I capelli che spuntavano dal suo berretto erano biondi, fini e morbidi. Allungai la mano e li sfiorai leggermente, facendoli scorrere tra le dita, mentre con la coda dell’occhio lui controllava l’intorno preoccupato dal fatto che fossimo nel parcheggio di una stazione. Finalmente si rilassò e ogni bacio durò un’infinità. Lo faceva con tanta foga che io quasi non riuscivo a stargli dietro. Mi ritrovai a essere carezzato, leccato sulle orecchie, sul collo, sul petto: "Brav, brav... Continua accussì che me fa ajiza' o cazz".
Ci baciammo ancora, toccandoci culo, cazzo e ogni parte del corpo. Godevo nel sentire la sua barba pungente sulla faccia e le sua lingua che si intrecciava alla mia! Mi sedetti su di lui con i vestiti addosso, cominciai a strusciarmi ma mi fermò: "Teng o cazz dur, se t'assett accussì mo me fai sburra'!"
Mi scostai e lui con decisione mi prese una mano se la mise sul minchione che aveva tirato fuori dalla divisa. Impugnandolo, lo masturbai lentamente e immaginai cosa mi avrebbe potuto fare se solo non fossimo stati lì.
Mi fermò e mi sorrise: “Amo’, che dici? Eh, ti va di farmi nu bucchin?'”
Iniziai scappellandolo al massimo ma, nel prenderlo, mi bloccai: Metti il profilattico?
E quello: “Mettimelo tu!”
Ne prese uno dalla borsa degli attrezzi. Nel passarmelo, mi bloccò la mano e mi guardò come un bambino deluso.
“Va bene. Lasciamo perdere!”
Mi piaceva lui e quello che stavo facendo al suo uccello. Il sapore era intenso, ma mi eccitava tantissimo, sapeva un po' di piscio e di sudore. Ciò nonostante ci lasciavo colare sopra la saliva, che producevo quando lo facevo scivolare in gola, per poi leccarla via. Cercai di impegnarmi al meglio e di aiutarmi con le mani, palpandogli e massaggiandogli i testicoli. Mi fermò la testa e, muovendo il bacino cominciò a scoparmi a fondo: "Amo', brav...Pijati tutto o' cappucio n'gola".
Mi scostò all'improvviso. “Aspetta” - accese l’auto e, dopo pochi metri, attivò un telecomando. Il cancello di un cantiere si aprì. Era più che altro un deposito materiali, ma sicuramente più tranquillo dello spiazzo della stazione.
Ricominciai, mentre quello mi incitava - “Oohhh siii, vai, così...U sapev ca a vulev” - e io ingoiavo il suo cazzo come un assatanato. Mi piaceva stimolarlo in quel modo, ciucciandolo rumorosamente. Lo prendevo tra le labbra, facendolo roteare tra la lingua e la bocca. Mentre continuavo, con un’espressione divertita quello mi incitò e lo spinse più a fondo:"Pigl' tutto o pesc' mocc!"
Ero convinto che mi sarebbe venuto in bocca e, in effetti, sembrava che spingesse così a fondo perché potesse riempirmela di seme. Lo incitai, tirandolo fuori dalla bocca: "Devi riempirmi! Voglio berla, dammela tutta la tua sborra!"
E senza profferire parola, l'operaio me lo spinse in gola, ma ancor più a fondo. Mi fermò la testa. Sentii che ero arrivato alla massima sopportazione e che di lì a poco mi sarei strozzato con quell'uccello caldo e duro, ormai pronto ad esplodere. Mi lasciò respirare, stavo per pomparlo di nuovo, ma mi fermò: "Basta, basta…Voglio il culo…Voglio incularti!”
Non sapevo come dirgli che avevo ancora il deretano dolorante per il calibro del tipo, quando per fortuna sentii una suoneria. L’operaio afferrò il telefono: “No, capo, nessun problema, credo. Qua stiamo facendo un po' di bordello per quella storia del contatto, ma dovremmo finire in tempo".
Chiuse la chiamata. A cazzo duro, innervosito, si accese una sigaretta: "Che rompicoglioni".
All'improvviso, vedemmo procedere tre operai, il moro di prima con i due del cambio turno: "Merda! E mo' che vogliono questi?"
I tre si avvicinarono alla macchina e Gennaro abbassò il finestrino: “Oh, mi ha chiamato il capo. Dobbiamo finire 'mpressa. Cinque minuti e arrivo!"
Sabino: “Ha chiamato pure a me. Tu quann' t' ce miette a fatt fà nu bucchin?"
Gennaro sollevò il bacino e mostrò l'uccello barzotto poggiato sulla cintura da lavoro: "Ti pare che ho finito? Cinque minuti. Finisco sigaretta, finisco tutto e vengo".
- "Eh, e pure nuje vulemme veni'. Si arap a machina ce sfunnamm tutte'assieme a sto ricchion”.
Con la coda dell’occhio, vidi che aveva una potente erezione e, a giudicare da quanto i pantaloni da lavoro lasciassero immaginare, Sabino doveva avere un attrezzo fuori dall’ordinario. Gennaro mi guardò, aspettando una mia risposta positiva o negativa, che non arrivò. Nel dubbio disse che di sedere non se ne parlava, che era roba sua, ma che se volevano potevano masturbarsi vicino ai finestrini, guardandoci.
Indispettiti dal rifiuto, comunque cacciarono i loro cazzi fuori.
Gennaro mi fece mettere di fianco e mi sputò sull’orifizio. Indirizzò ben bene il suo tronco di nuovo bello duro sul buchetto. Spinse. Entrò. Si fermò. Il mio deretano era talmente aperto che ci sarebbe passato di tutto e lui non ci mise molto a capirlo. Sentii la sua grossa mano che mi frugava l'ano insieme al cazzo duro. Guardò i colleghi e diede un colpo più deciso, poi un altro, un altro ancora fino ai coglioni. Ansimai ogni volta e lui andò avanti, scopandomi con intensità e continuando nella profanazione più profonda, a favore di ciò che i quelli si aspettavano da lui. I tre, infatti, cominciarono a menarselo sempre più forte. Mentre il ragazzo mi tirava i capezzoli, ormai rossi e duri, anche io cominciai a masturbarmi e ad emettere sempre più intensi gemiti di piacere. Ero in estasi mentre quelli mi fissavano e Gennaro mi scopava, anche se non mi baciava più.
Si fermò in me, mentre gemevo con gli occhi mezzi chiusi dalla voglia: “Amo’, sei così bello. Fatti toccare anche da loro. Ti va? Solo toccare!"
Non risposi, ma mugugnai di piacere. Lo prese per un sì.
Aprii il finestrino: “Maniateci sol e zizz!"
Sabino: “Genna’ quante storie! Manco fosse la donna tua! Questo è comme ‘na busta da munnezza: c’hann mis a dinte ogni fetenzia.”
Mi afferrarono i pettorali e cominciarono a stimolarmi i capezzoli. La situazione mi umiliava, sì, ma in fondo mi eccitava. Gennaro si staccò da me, lasciando una voragine al posto del mio culo. Lo rimise, soddisfatto di sé: "A dicere so’ tutte capace; ‘o defficile è a ffa".
Altri colpi e lo sentii irrigidirsi e poi pulsare mentre, con gli occhi della mente, vedevo i densi schizzi di sperma bollente fuoriuscire da quella grossa cappella che mi allagavano lo sfintere. Intanto, continuavo a masturbarmi, percependo le mani dei tre balordi. Gennaro, sondando il mio culetto, dilatato e scivoloso, si succhiò le dita che vi aveva inzuppato, ridacchiando in modo un po’ scemo e scatenando un uragano di commenti volgari dei ragazzi.
Il più giovane poggiò il cazzo sul finestrino. lo guardai, era un ragazzotto dai tratti popolari: "Cazzo c’hai da guarda’? Devi statte co’i occhi bassi, nun devi arzalli, ha’ capito?" Quindi, aumentando il ritmo sborrò sul vetro, come se volesse farlo sulla mia faccia.
Sabino si avvicinò: “Vu’ a sfaccimma? Pigliamelo mmocca, jamm!”
Entrò con l’uccello in auto, spingendomi la grossa cappella contro le labbra: "Basta co' le stronzate! Famm verè comm te piac o cazz!". Mi mise una mano dietro al collo, mi inclinò la testa all’indietro e con un solo colpo mi ficcò il cazzo dritto in gola, fino alle palle. Inarcando il corpo, cominciai a soffocare. Avevo conati di vomito e i miei occhi si riempiono di lacrime. Cominciai a mugugnare, finché lo sentii sussultare. Stava per venire e lo disse pure, in effetti, diffidandomi dal perderne anche solo una goccia: "Quanno uno s’à da mbriacare è meglio che se mbriacasse de sborra buona".
Eruttò e dovetti assaporarla tutta. Non contento, il bastardo fece una specie di smorfia divertita e pulì la sua cappella sul mio volto. Poi mi scostò con un gesto brusco: "Oh, Genna', faglj nu ritolin ind’o cul ‘nzevato e sborr!"
Svuotatomi dal suo piacere, Gennaro infilò prima due, poi un terzo dito. Girandole dentro di me, mi masturbò analmente, raggiungendo la mia prostata. Finalmente godetti nel mio palmo.
Sabino rise: "‘A cuntentezza vene da ‘o cazzo, altro che core!"
Nonostante fossi sfinito, anche l'ultimo me lo volle mettere in bocca. Non avrei voluto aprirla, ma con una mano mi tappò il naso e con l’altra mi tirò i capelli: "Vviè cqua, a fijo de ‘na mignotta!"
Appena la schiusi, mi spinse tutto il suo grosso arnese in gola e, impugnandomi per i capelli, mi scopò come fossi stato un oggetto.
Ero stravolto e, mentre avevo la gola forzata dalla grossa cappella, provai a prenderlo in mano, per cercare di accelerare il suo piacere, ma quello si incazzò: "Nun sta a usa’ ee mani, stronzo, ha’ capito?"
Completamente passivo, poggiato al finestrino come fossi stato in un glory hole, mi limitai a farmi scopare con buon ritmo, finchè non sborrò sui miei capelli.
I tre, rilassati, si poggiarono intorno all’auto. Si accesero una sigaretta.
Sabino, rivolgendosi a Gennaro, ironizzò: “L’amico tuo è nu grande artista, ce piac’n e schizzi!”
Gli altri risero.
Rimasti vestiti per tutto il tempo, avevano il cazzo ancora barzotto che poggiava la testa rubiconda sul blu della divisa. Ciuffi di peli ricci imbrattati di sperma fuoriuscivano dalle patte semiaperte e gocce di seme imperlavano il tessuto intorno.
Sentivo l’odore della sborra sulla mia faccia e avevo ancora quel sapore aspro in bocca, quando i tre se ne andarono. Il culo mi faceva un gran male. Facevo schifo! Sembravo una troia che aveva reso felici mille soldati! Eppure invidiavo le loro donne, le puttane con cui erano andati e quelle con cui avrebbero scopato in futuro. Non ebbi il coraggio di dirlo a Gennaro che mi stava chiedendo scusa per l’accaduto, spiegandomi che erano colleghi ai quali non poteva negare del tutto un piacere. Aveva preso dei fazzolettini e cercava di ripulirmi alla meglio, mentre mi diceva che aveva sbagliato a portarmi lì, ma che l'aveva fatto pensando fosse un posto più sicuro.
- "Se vieni da me a Casoria, ti ospito, magari ci possiamo conoscere? Così mi faccio perdonare! Che ne dici? Ti presento anche mio cugino. Siamo una famiglia molto unita".
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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