Gay & Bisex
IL FASCINO BURINO DI ROMA 1
di chupar
30.06.2023 |
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"Andiamo via, magari andiamo a casa tua..."
Frequentavo l’Università a Roma. Avevo scelto appositamente una facoltà nella capitale perché sentivo impellente il bisogno di gestirmi e di capire meglio cosa fare della mia sessualità.Ho vissuto pochi periodi senza avere una ragazza. Così spesso mi è capitato di uscire in coppia o in quattro, due coppie.
Io e Francesca avevamo legato con una mia collega di università, una ragazza fuori corso, e con il fidanzato, Fabio, un ragazzo piuttosto rozzo sulla trentina. Sonia era carina, affabile e in certa misura anche raffinata. Non riuscivo a capire come potesse piacerle un tipo del genere, anche se, dovevo ammettere, quella tipologia di maschio allietava da sempre le mie serate solitarie e stimolava le mie masturbazioni. Certo, ma una cosa era farsi una sega su un ideale, altro condividerci la vita.
Era una sera come tante. Eravamo stati al cinema, poi le ultime risate tra amici, ma non appena Fabio vide Sonia sparire frettolosamente per prendere l’ultimo mezzo per rientrare, mi afferrò per il braccio, chiedendomi di fermarmi sulla scalinata di Piazza di Spagna per fare due chiacchiere: "'Na sigaretta e andiamo."
- “Certo, una sigaretta, dopo, ci vuole, no?”- domandai ironico, visto che durante il film si era dato da fare, e non poco, con la sua ragazza, fino a portarla in bagno.
Ero convinto di non avere argomenti da poter condividere rimanendo solo con un tipo del genere, ma poi, considerando il suo sguardo scintillante, cedetti: “Va bene, ma per dieci minuti. È davvero tardi e domani ho lezione e poi…”
- “Sei senza speranza! Prima o poi ti verrà voglia di goderti un po’ la vita?”
Seduti sulla scalinata, Fabio iniziò a farmi i complimenti e a dirmi che ero davvero un tipo a modo, che era difficile incontrare un ragazzo così, che Francesca era fortunata. Sfiorandomi la mano, iniziò a raccontarmi di Sonia, del fatto che non gli interessasse chissà quanto di lei, che quando poteva la tradiva: "Per esempio, quella stronza stasera m'ha lasciato a secco! Che devo fa'? Me posso fa 'na pippa all'età mia?"
Meravigliato da questa improvvisa confessione, lo fissai perplesso e lui mi spiegò che se voleva scopare con qualcuno ci provava senza tanti problemi.
- "Ma trovi facilmente donne?"
- "Donne, trans, trav... Se sto proprio carico nu me perdo e pago. Piuttosto che anda' a prende una, la devi porta' a cena, magari vuole pure l'albergo..."
Si alzò, mi girò attorno. Andò alle mie spalle. Tenendosi la sigaretta tra le labbra, iniziò a farmi un inoffensivo massaggio: "Se una cosa t'ispira, te eccita, perché uno non ce devi prova'?"
Mentre mi domandava in modo quasi distratto come andassero le cose con la mia ragazza, scese con le mani verso la schiena per poi risalire. I miei muscoli erano molto tesi. Nel procedere, il suo discorso prese una piega strana, mi disse di avermi sempre percepito originale, non uguale a tutti gli altri e: “C'è gente che darebbe il culo per essere come te. Tu l’hai già dato?”
- “No! Cioè, ma che cazzo di domande fai? Non sono affari tuoi!”
Fabio, forse percependo l’insicurezza della mia voce: “Meglio che l'hai già dato."
- "Io non ti ho detto che l'ho dato."
- "Sì, ma tanto, alla fine, uno carino come te, qui a Roma lo deve comunque da' de sicuro."
- "Mi stai consigliando di dare il culo in giro come una troia?"
- "Non pe’ voja, ma perché, se vorrai fare carriera, qualche vecchio se lo pijerà de forza.”
Senza perdersi in giri di parole: “Certe cose vanno prima imparate bene, altrimenti i bavosi non s"accontentano…” - e, sorridendo, mi accompagnò la mano e l’introdusse nell’apertura dei pantaloni.
Non mi ritrassi, non protestai. I giochi erano scoperti.
Ero e sono sempre stato certo della mia mascolinità pubblica e come avesse fatto a capire certe mie inclinazioni non l’ho mai saputo. Fatto sta che sentii i bottoni della patta segnarmi il dorso della mano e il sesso del mio nuovo amico gonfiarsi, scaldarsi. Strinsi il cazzo intrappolato negli slip, lo percorsi in tutta la sua lunghezza, deciso a tastarlo fino alla base. Fabio inizialmente guidò i movimenti, ma dopo pochissimo iniziai a fare da solo, lanciandomi in una magnifica sega. Cominciai a giocare con quella crescente eccitazione, prima lentamente e poi con ritmo più incalzante.
- “No, non così. De mano faccio pure da solo…” - e mi fece capire i suoi desideri, passandosi il medio tra le labbra e ciucciandolo leggermente.
- “Fabio qui ci possono vedere. Andiamo via, magari andiamo a casa tua.”
- “Come no!? Mo pe na pompa ce facemo trenta minuti de mezzi. E poi ai miei genitori glielo spieghi tu? O entro e dico: A ma' vado in camera a famme fa un pompino dall'amico mio. Che me porti du' stracci, cosi non sporco de sborra?”
Per non passare proprio da verginello a mignotta in due minuti: "Così non mi va. Non sono pratico, mi sto innervosendo".
- “Mo’ chiamo n’orchestra, mentre me lo succhi!”
Guardandomi con un ghigno da stronzetto, appoggiò le mani sulla staccionata di travertino e, dilatando le gambe, se lo tirò fuori e si mostrò con orgoglio: “Non te basta questo come romanticismo?"
Non dissi sulla, al che lui: "Che? Non te lo pensavi così grosso? Ma l’amica tua non te racconta niente?”
I testicoli cadevano pesanti e, coronati di peli ricci e scuri, lasciavano emergere il fallo, dritto, spesso e nodoso, dalla capocchia particolarmente sporgente. Avvicinatomi, gli sollevai la camicia e con la lingua seguii gli avvallamenti degli addominali, segnati da una leggera peluria. Poi, senza fretta, scesi, leccando lateralmente il fallo e giocherellando con l’attaccatura dei testicoli. Più la mia lingua si agitava, più la sua verga fremeva all’estremità.
Fabio, osservandomi dalla sua posizione, diede anche un’occhiata intorno per essere certo che nessuno fosse nei paraggi. Poi, tirandosi in basso l’uccello mi costrinse a prendere quel monumento con voracità, bloccandomi la testa. Subito cominciò ad agitare leggermente il bacino e a spingermi in contro tempo verso il suo fallo. Ogni qual volta l’uccello scivolava fuori, quasi innervosito, lo afferrava e me lo infilava in bocca, ricominciando a stantuffare a fondo quasi sino a toccarmi le tonsille.
All’improvviso, bloccandomi la testa tra sé e la balaustra, non mi consentì più alcuna libertà, imponendomi appieno il suo ritmo. Forse aveva intenzione di venire così, di svuotarsi nella mia gola, ma io con quella capocchia in gola non riuscivo a respirare. Per farglielo capire, posi le mani sul suo bacino, per spingerlo lontano.
Si scostò e finalmente inspirai a pieni polmoni, ma subito iniziai a tossire saliva: “Che cazzo! Mi vuoi ammazzare?”
- “Zitto!" - e mi fece rialzare. Spingendomi in una zona d’ombra, mi ordinò di restare immobile. Da Via Condotti arrivavano leggeri brusii e rumori sordi. Erano due vigilanti che stavano girando per i loro controlli notturni. Non appena le due sagome ebbero attraversato la piazza, io isterico: “Tu sei matto! Hai visto? A quella distanza avrebbero potuto vederci e chiamare qualcuno e..”
Fabio, facendo una piccola acrobazia per infilarsi l’uccello ancora duro nei pantaloni: “Finiscila de fa’ la femmina. Andiamo!”
Camminò frettolosamente davanti a me, quasi in maniera comica, con il fallo che gli gonfiava notevolmente la patta.
Arrivammo a Villa Borghese. Piazza del Popolo era a due passi eppure mi sembrava un altro mondo a quell'ora: "Fabio ho paura. Non è pericoloso qui?"
"Dovemo solo sta' attenti se arrivano gli spacciatori o qualche tipo strano. Se arriva un negro che faccio? Je dico de favorire?"
Sorrisi: "Ma vaffaculo!"
- "Damme tempo che c'arrivamo."
Ci avvicinammo a una scala mobile abbandonata, recintata, piena di rifiuti e sterpaglie. Alla base di una siepe d'oleandro c'erano un paio di mutandine femminili, ai nostri piedi due scatole di profilattici, preservativi usati e fazzoletti accartocciati dappertutto.
Fabio, guardatosi attorno: “Qui, me pare, che se po sta tranquilli! È zona de scopata.”
Sistematosi su una palizzata di legno dietro un arbusto di si calò del tutto i pantaloni e le mutande. Il suo uccello, liberato dalla stretta, sgusciò fuori, sull'inguine villoso: “Mo’ se finisce però!”
Fabio, appoggiando una gamba sulla staccionata, mi diede la possibilità di saettare con rapidi colpi di lingua su e giù per l’asta pulsante, dedicandomi poi ai coglioni e mordicchiandolo tra l’ano e le palle. Mi ordinò con insolenza di leccargli il cazzo: “Così! Bene! Sul cazzo! Passamela sul cazzo la lingua! Dai! Più forte! Lecca più forte! Ancora”
Le prime timide leccate erano diventate lentamente sempre più forti e decise, fino a diventare in alcuni minuti dei veri e propri colpi di lingua sul cazzo duro: “Ancora! Così! Ancora sul cazzo! Daje!”
Ci sputai sopra e poi lo leccai. Aveva il cazzo gonfio e grosso mentre mi teneva per i capelli.
- “Mortacci…Quanto sei bravo! Fermati!”- mi fece a un certo punto, divaricando ancora di più le gambe: “Leccami il buco del culo!”
- “No... Non lo faccio.”
- “Non rompere i coglioni!”
Affondai la lingua nel suo buchetto e, sollevandogli i testicoli, portai avanti il mio incarico, lasciando che lui si strattonasse il fallo nodoso. Poggiai un dito sul suo ano, lo titillai, ma ero deciso a infilarlo. E lo feci.
Lo sfintere peloso di Fabio pulsava ancora sotto i colpi della mia lingua e del mio dito, quando: “Alzati! Mettiti a pecora che te faccio er culo!"
- "No, dai... Ce l'hai troppo grosso!"
- "Ma che cazzo stai a dì?"
Fabio replicò dicendo che si capiva chiaramente quanto fossi voglioso, che da tempo avevo voglia di leccarlo, di sentire l’odore del suo cazzo, di leccargli le palle sudate, di essere leccato e sbattuto come una troia da lui.
In preda ad un profondo delirio, mi voltai e, abbassandomi i pantaloni e le mutande, mi posizionai sulla recinzione. Mi sistemai a cosce allargate, con la gamba sinistra a terra e l’altra sulla staccionata.
Fabio cominciò a masturbarmi con forza e rapidità meccanica: “Così non rompi, poi però te stai zitto, sottomesso e a vacca!” Quindi fece un ghigno di soddisfazione e cominciò a puntarmi il culo con l'uccello.
- "Oh, ma che sei matto? Così me spacchi!"
- "C'hai ragione. E' che sto a ferro che l'amica tua il culo non me lo dai mai!"
Afferratomi con forza le chiappe e divaricatole, mi sputò sul buco e iniziò a baciarmelo con maestria, a leccarmelo con vigore, a penetrarmi con la punta della lingua e con le dita. Sputò ancora, lo allargò con due dita e provò a infilare il cazzo.
Ormai lubrificato, sentii l’enorme cappella appoggiarsi al mio sfintere.
Con forza Fabio spinse. Un colpo di reni deciso e la punta dell'uccello mi attraversò: “Bello, siiih.... ”
Entrata la cappella, diedi un lamento. Ma Fabio m'aveva lubrificato bene il culo tanto che cominciò a muoversi agilmente, ma piano. In breve iniziò a fottermi con grinta inaudita.
Ero spezzato in due da quel manganello che mi divaricava le natiche. Lo sentivo spingersi sempre più profondamente. Sentivo le palle dure e pelose sbattermi contro le chiappe; sentivo la rabbia che Fabio ci stava mettendo. Ma non m’importava. Mugugnavo sentendo il cazzo penetrarmi, facendo fronte ai colpi e al loro dolore che diventava piacere.
Fabio continuò a sbattermi sonoramente, si muoveva da Dio. Cominciò a darmi del frocio, della troia, del rottoinculo… Ora il Il porco piano piano mi sfilò il cazzo dal culo. Fabio, con la cappella gonfia, mi afferrò per la nuca, facendomi inginocchiare innanzi a lui. Vicino al culmine, mi spinse sul suo cazzone in bocca. Certo della totalità del suo affondo, dopo una sorta di guaito, quasi ululò: - “Ce sto! Cazzo! Manda giù!”
Eruttò una quantità incredibile di sborra densa. Non finiva più di venire, tanto che non riuscii a ingoiare tutto il seme che si accumulava scivoloso sulle pareti della mia bocca e in fondo alla lingua.
Sentendomi soffocare, preso da conati di vomito, cercai di liberarmi dalla stretta di Fabio che mi lasciò solo dopo essersi svuotato del tutto. A quel punto, continuando a tossire, inveii contro: “Stronzo di merda!”
Fabio, senza neppure cercare di contraddirmi, ridacchiando si girò di spalle per pisciare: “Ce sai fa', non come una donna, ma meglio, come ‘na mignotta. E poi c'hai un bel culo stretto, non se ne trovano così in giro e soprattutto gratis. Io me ne intendo de culi".
Il porco doveva aver girato un bel po' di mignotte, e forse anche di trans.
Sgrullatosi la capocchiona ancora gocciolante, si accese una sigaretta. Aspirandola se lo mise di nuovo nella patta: “Andiamo va’…è tardi e voglio torna’ a casa che domani lavoro.”
- "E io?"
- "In che senso?"
- "Non sono venuto!"
Avevo ancora voglia, ce ne voleva per calmare il calore che quel ragazzo aveva infiammato e per fargli vedere quanto ancora potessi essere troia.
- " Ah, se resti qua da solo a quest'ora de trova' trovi pure n'orchestra intera de neri, de veni' forse vieni pure, ma non so' sicuro che torni a casa intero!"
Cominciò a fischiettare e a scuotersi il suo zufolone chiuso nel pacco: "Che fai? Vieni?"
Annuii e gli andai dietro.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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