Racconti Erotici > Gay & Bisex > AI – Ancora io
Gay & Bisex

AI – Ancora io


di leatherbootsfetish
17.04.2025    |    2.853    |    8 9.1
"Alto, imponente, con quella calma che precede il morso..."
Milano, venerdì sera. Il locale è un tempio di eccessi raffinati, luci basse, specchi ovunque. Musica elettronica elegante, bicchieri pieni, corpi stretti gli uni agli altri.

Paolo entra con passo lento, i tacchi dei suoi texani, neri e lucidi, rimbombano sul pavimento ad ogni passo. I pantaloni in pelle avvolgono morbidamente le sue gambe e sotto, come sempre, nessuna barriera. Accanto a lui, Sergio — due metri di maschio alfa nordico, capelli rasati ai lati, una camicia nera, aperta quel tanto che basta a mostrare pettorali scolpiti e il sorriso arrogante di chi sa di piacere.

Sergio tiene il braccio sulle spalle di Paolo, quasi a volerlo marcare. Gli piace mostrare a tutti che quell’uomo è suo.
Ma quando Paolo alza lo sguardo verso l’area lounge, qualcosa dentro di lui si spezza.
Michele …
Appoggiato contro il bancone, con un cocktail in mano, elegante come sempre. Un completo scuro, una camicia bianca aperta fino allo sterno che accentua il contrasto con la sua pelle scura. E accanto a lui, un ragazzo giovane, troppo giovane. Pelle liscia, occhi pieni di ammirazione, incollato a quell’uomo come un’ombra.
Esattamente come Paolo, anni prima.

Per un secondo, il mondo si ferma.
Poi, Michele solleva lo sguardo e lo vede.
Il loro sguardo si incastra, silenzioso e rovente, mentre intorno la musica continua a pulsare. Gli occhi di Michele si socchiudono appena. Le sue labbra si piegano in un sorriso lento, ambiguo. Sta decidendo se mostrare i denti… o ricordare il sapore.

È Michele a fare la prima mossa. Come sempre.
Lascia il ragazzo dov’è e si avvicina, fermandosi a pochi passi da Paolo. Non c’è fretta nei suoi movimenti, solo una calma apparente che sa di tempesta in arrivo. Paolo tiene lo sguardo fisso verso il bancone, come se l’alcol fosse improvvisamente diventato l’unica cosa interessante nel locale.
Ma Michele non ha bisogno che Paolo lo guardi. Sa leggere ogni fibra del suo corpo anche da tre metri di distanza.

“Non mi aspettavo di vederti qui.” La voce è profonda e vellutata, ma taglia. “Pensavo fossi sparito,” dice con voce bassa, quasi un sussurro pericoloso.
Paolo si bagna le labbra con la punta della lingua. Non si volta. Non ancora.
“A volte andarsene è l’unico modo per non rompersi.”
Michele ride piano, amaro. “Romperti? Davvero? Non eri tu a volere sempre di più?”
“Forse. Ma quel tempo non esiste più”

Un silenzio teso.
Sergio si raddrizza. Osserva il nuovo venuto facendo scorrere gli occhi sul suo corpo dall’alto in basso, misurandolo.
“E tu saresti?”
Michele sorride senza rispondere subito, gli occhi fissi su Paolo.
“Qualcuno che conosceva Paolo … tanto tempo fa”
“Che sfortuna. Mi spiace per te” ribatte Sergio. “Io lo conosco adesso.”
Paolo deglutisce. Le mani sudano, ma il suo volto resta impassibile.

“Sergio, questo è Michele. Michele, Sergio.”
Sergio stringe la mascella. C’è tensione nel suo sguardo, come se qualcosa gli stesse sfuggendo.
“Ciao.” Lo dice senza calore.

Michele lo guarda un attimo, poi torna a torturare Paolo.
“Hai cambiato gusto…” Una pausa. Poi un sussurro appena più basso, velenosamente intimo. “…O solo superficie?”

Paolo sente il cuore accelerare. Sente anche il calore negli inguini. Quella voce, quello sguardo… tutto torna.
Poi, finalmente si gira. Gli occhi non mentono: sono lucidi di ricordi che bruciano. Ma la voce è ferma.
“Basta così.”

Michele inclina la testa, lento. Gli occhi chiari, quegli occhi che Paolo ha evitato per tutto il tempo, si piantano nei suoi come coltelli.
Un altro silenzio. La tensione sale.
Il ragazzo giovane con cui era Michele, nel frattempo, è tornato accanto a lui. Si stringe al suo fianco, ignaro del campo minato su cui cammina.

Michele lo accarezza sulla nuca con un gesto meccanico, distratto, e dice senza distogliere lo sguardo da Paolo:
“Sai, c’è chi dimentica in fretta… e chi non dimentica niente.”
Paolo non risponde. Perché sa benissimo a quale dei due appartiene.

E finalmente Sergio capisce chi ha davanti.
“Finiscila di rompere i coglioni e mettitela via. So chi sei stato per lui e sinceramente non ci interessa.” interviene Sergio
Michele lo osserva con un sorriso appena accennato, le mani in tasca. “No? Dovresti. Alcune cose restano sottopelle.”

Sergio non si scompone. “Non sotto la mia e nemmeno sotto la sua. Paolo mi ha garantito di aver chiuso quella porta”
Paolo trattiene il respiro. Dentro di lui qualcosa vibra. Sente l’elettricità scorrere tra i due, come se bastasse una parola in più per accendere un incendio.
Michele osserva la scena con quegli occhi chiari che non concedono nulla. Poi si piega leggermente verso Paolo, accorciando le distanze, come se nessun altro esistesse.
La voce è un soffio: “Ma io sono ancora la chiave, e tu lo sai”

Sergio fa per affrontarlo, ma Paolo lo blocca con una mano sul petto. È un gesto istintivo, come se volesse evitare che qualcosa degeneri. O forse solo per avere un secondo in più per decidere come uscire da quella situazione esplosiva.

Michele resta lì, a pochi passi, immobile come scolpito nel marmo. Gli occhi puntati su Paolo, inespressivi in superficie, ma taglienti sotto.
Lo osserva come si guarda una cosa che si è persa, ma che ha ancora il proprio odore addosso.

Sergio non dice nulla. Non serve.
Fa un solo passo avanti, lento, perfettamente calibrato. Un passo che sposta gli equilibri. Si posiziona accanto a Paolo, non davanti a lui: al suo fianco. Un braccio forte e deciso si appoggia sulla sua schiena, le dita si allargano appena sotto il giubbotto, toccando la pelle a nudo, proprio lì dove i pantaloni in pelle si abbassano appena. Un contatto che non è casuale. È dichiarazione.

Michele nota il gesto. Le labbra si piegano in un mezzo sorriso che sa di sfida.

Sergio incrocia il suo sguardo. Alto, imponente, con quella calma che precede il morso. I suoi occhi azzurri si accendono di qualcosa che non è rabbia… è controllo. Poi, lentamente, abbassa lo sguardo su Paolo, lo studia, gli accarezza la mascella con le nocche. È una carezza maschia, ferma. Il messaggio è chiaro: “lo vedo. So che trema. Ma a lui ci penso io”.

Paolo rimane in silenzio. La mano di Sergio sulla schiena lo ancora, ma anche lo espone. Il corpo gli brucia. Gli occhi di Michele sono ancora lì. E anche se non lo guarda direttamente, li sente sulla pelle come un colpo di frusta.
Michele si lecca le labbra. Poi si sporge appena, la voce sempre bassa, ma tagliente come un rasoio.
“Curioso vedere come certe abitudini restano… anche cambiando compagnia. Vedo che continui a evitare di mettere le mutande, così come ti ho insegnato”

Sergio sorride per la prima volta. Un sorriso piccolo, quasi elegante. Poi fa qualcosa di studiato e perfetto: si china verso Paolo e gli mormora qualcosa all’orecchio — una frase che Michele non può sentire. Ma che deve vedere.
Paolo chiude gli occhi un istante. Si morde il labbro. E poi… ride piano. Una risata breve, nervosa, ma vera.

Michele stringe le labbra. La maschera di ghiaccio si incrina per un attimo. Poi si volta.
“Goditelo finché dura.” Lo dice al vuoto, senza guardare nessuno.
E si allontana, il passo lento, il giovane al seguito come un’ombra stonata.

La serata è stata un disastro, gravata da silenzi profondi che sono proseguiti in macchina durante tutto il viaggio di ritorno.
La porta di casa si chiude alle loro spalle con un tonfo sordo. Nessuna lite, nessuna parola pesante. Solo uno sguardo lungo, teso. E poi il silenzio. Paolo aveva detto: “Ho bisogno di stare un attimo da solo” E Sergio, anche se contrariato, aveva capito.

Ora l’appartamento è immerso nella penombra. Le luci basse, il profumo di cuoio e tabacco nell’aria. Paolo si lascia cadere sul divano, ancora con gli stivali ai piedi, le gambe larghe, il petto che sale e scende piano sotto la camicia aperta.

Porta una mano al volto, si strofina gli occhi. L’altra mano scivola distrattamente lungo la coscia, sulle pieghe tese dei pantaloni in pelle. Mentre si accarezza sente la pressione del palmo di Michele sulla nuca, anni prima, che gli sussurrava dritto nell’orecchio con quella voce profonda che lo faceva tremare anche dentro.

Michele…
Quello sguardo. Quella frase: “Io sono ancora la chiave, e tu lo sai.”

Paolo chiude gli occhi. Le immagini tornano da sole, lucide come sogni bagnati: Michele che si fa togliere gli stivali lentamente, come un rito. Michele che lo bacia senza chiedere permesso. Michele che lo guardava come se fosse sua creazione. Michele che lo faceva suo.

E poi c’è Sergio. Divertente, forte, giovane, eccitante da morire. Ma non lo guarda così. Lo desidera, sì. Lo prende e si fa prendere. Lo ama anche, forse. Ma non lo plasma. Non lo fa tremare al solo suono del respiro.

Paolo si alza, nervoso. Cammina avanti e indietro sul parquet scricchiolante, poi si ferma davanti allo specchio. Si guarda. I capelli in disordine, il petto ancora teso sotto la camicia aperta.
Il riflesso non mente: è agitato, eccitato, confuso. Abbassa lo sguardo verso la patta. La sente pulsare.
“Figlio di puttana…” mormora, ma non si capisce se lo dice a Michele o a sé stesso.

Poi si appoggia al muro, chiude gli occhi, la testa indietro.
Il passato non è solo un ricordo fortissimo. È un’ombra addosso. Un odore sulla pelle. Un’impronta sotto le dita.
E Paolo… non sa se vuole davvero lavarla via.

Il telefono vibra sul tavolo basso del salotto. Una vibrazione secca, insistente, che rompe il silenzio come un colpo.
Paolo lo guarda. Lo schermo acceso mostra un nome che non compariva da anni.

Michele.
Il cuore salta un battito. Le dita esitano.
Non c’è messaggio, solo una notifica: 1 nuovo messaggio su Instagram. Paolo lo apre con lentezza. Lo stomaco stretto.
“Ti ho guardato tutta la sera. Hai ancora quel modo di camminare che ti ho insegnato.
Fa male vederti in mano a un altro, ma cazzo se sei ancora mio”
Non ci sono emoji. Solo parole. Precise. Dolorosamente sensuali.

Paolo si lascia ricadere sul divano. Il respiro gli sfugge dalle labbra come un sospiro trattenuto troppo a lungo.
Poi sente la porta che si apre.

Sergio.
Entra in silenzio. Nessun rimprovero, nessuna scenata. Solo lui, enorme, ancora vestito da sera. Si ferma davanti a Paolo, lo guarda per un lungo istante.
“Stai bene?” chiede piano.
Paolo annuisce con la testa. Mentendo.

Sergio si inginocchia davanti a lui, lento. Gli prende le mani. Le guarda. Poi, con un gesto sorprendente, si china e gli accarezza gli stivali.
Non c’è rabbia, non c’è controllo. C’è solo cura. Un gesto antico, intimo. Una dichiarazione silenziosa della quale loro conoscono bene il significato.
Paolo lo lascia fare, ipnotizzato. Ogni carezza, ogni gesto, è un “io ci sono”. Ma anche un “io ti voglio”.

Sergio gli sfila gli stivali, li posa con rispetto accanto al divano. Poi solleva lo sguardo verso di lui.
“Non mi interessa cosa hai provato con lui. Tu sai che adesso ci sono io. E io non mi tiro indietro”

Paolo sente la gola chiusa, le emozioni pronte a esplodere. Non risponde.
Sergio si solleva. Gli prende il viso tra le mani, lo bacia piano sulla fronte. Poi si volta e dice solo:
“Quando vuoi vieni a letto. Oppure resta qui. Ma non andare via”
Ed esce dalla stanza, dandogli il tempo di scegliere.

La luce fioca del corridoio accarezza le pareti mentre Paolo cammina scalzo, lento, i pantaloni ancora indosso, sbottonati solo in cima. Il messaggio di Michele brucia ancora nella tasca posteriore, ma non ci vuole pensare. Non stanotte.

Apre la porta della camera e trova Sergio sdraiato sul letto, a petto nudo, il lenzuolo abbassato sui fianchi. Non dorme. Non ci ha nemmeno provato. Stava aspettandolo.
Gli occhi di Sergio lo scrutano con quella calma predatoria che Paolo conosce bene. Quel modo di guardarlo come se sapesse esattamente dove toccarlo per farlo stare bene.

Paolo si avvicina al letto, senza dire una parola. Sale sopra, a cavalcioni, e lo guarda dall’alto. Gli occhi scuri sono lucidi di pensieri contrastanti, ma le mani tremano quando accarezzano il petto caldo di Sergio.

“Fammi dimenticare tutto, adesso,” mormora, con la voce roca.
Sergio lo afferra per i fianchi, lo fa piegare in avanti stringendolo forte a sé, fino a fargli sentire il respiro caldo sul collo.
“No,” sussurra contro la sua pelle. “Io voglio che tu ricordi… chi sei diventato con me”

E poi lo prende. Con calma feroce, con quella sicurezza brutale che Paolo ama e odia allo stesso tempo. Lo ribalta, lo apre, lo domina. Le mani grandi lo tengono fermo, lo guidano, lo invadono — senza fretta, ma con un’intenzione chiara: fargli sentire che ogni centimetro del suo corpo appartiene a lui.

Paolo geme contro il cuscino, la fronte sudata, la pelle tesa. Non pensa a Michele. Non può. Il presente lo riempie troppo, lo tira dentro, lo stringe con tutta la forza di un corpo giovane e sicuro.
Ogni affondo è un ricordo che si spezza. Ogni bacio sulla schiena è una cicatrice che si richiude.
E quando esplode, con un urlo strozzato tra i denti, non c’è più Michele. C’è solo il calore rovente di Sergio sopra di lui, dentro di lui, con lui.

La stanza è quieta. Solo il rumore lieve del respiro di Sergio, ancora profondo, un po’ affannato. Le lenzuola umide si attaccano alla pelle nuda di entrambi, mentre il corpo massiccio di Sergio cerca di recuperare le forze a fianco di Paolo, una gamba ancora intrecciata alla sua.

Paolo è disteso sulla schiena, il petto che sale e scende piano, gli occhi persi nel soffitto. Una mano scivola lenta sul proprio ventre, dove il calore dell’altro è ancora presente, quasi tatuato.
Non dice nulla. Non serve. C’è una dolcezza stanca nei suoi muscoli, una resa che non ha bisogno di parole.

Sergio si gira, gli appoggia la testa sulla spalla e scivola con una mano sul petto, tracciando cerchi lenti con un dito. I suoi movimenti sono più delicati adesso, quasi protettivi.
“È ancora lì?” gli chiede piano.
Paolo non risponde subito. Gli passa le dita tra i capelli biondi, li accarezza piano, poi sospira.
“No. Per adesso no.”
Sergio si solleva appena, lo guarda. “So che tornerà. E avrò bisogno di sapere se sarai ancora mio quando succederà.”
Paolo chiude gli occhi un attimo. Poi si volta verso di lui, lo bacia piano sul collo, quasi con gratitudine. “Stanotte lo sono. E adesso … voglio solo questo.”

Sergio lo stringe di più. Il suo braccio è una barriera, il suo corpo un rifugio. Non chiede altro.
E Paolo, tra le braccia forti di quell’uomo che lo desidera così com’è, sente il peso del passato farsi un po’ più leggero. Forse non se ne andrà mai. Ma almeno… non è più l’unica cosa che brucia.


La luce entra morbida, attraversando le tende semiaperte. Milano è silenziosa, ancora addormentata, e nella camera aleggia l’odore del sesso e del sudore della pelle nuda. Quella pelle che Paolo sente ancora addosso come una coperta viva.

Sergio dorme profondamente accanto a lui, disteso di lato, una mano pesante ancora appoggiata sul fianco di Paolo come se temesse che potesse scappare durante il sonno.

Paolo apre gli occhi lentamente. La testa è piena, ma il corpo è rilassato, svuotato. Guarda il soffitto per qualche secondo, poi si gira piano, con attenzione, per non svegliare Sergio.
Lo osserva.

Il viso di Sergio nel sonno ha qualcosa di tenero che non mostra mai da sveglio. I lineamenti forti si ammorbidiscono, le labbra socchiuse sembrano quasi vulnerabili. Paolo gli accarezza piano il torace, segue con un dito la linea del petto fino all’ombelico. E poi si ferma. La mente lo tradisce.
Il messaggio di Michele è ancora lì, inciso più nella pelle che nel telefono.
“Ti ho guardato tutta la sera… Fa male vederti in mano a un altro… Ma cazzo se sei ancora mio”

Paolo chiude gli occhi, si morde il labbro. Non vuole pensarci. Ma il corpo non mente: un brivido gli corre lungo la schiena. Quel cazzo di messaggio lo ha colpito più di quanto voglia ammettere.

Si alza piano dal letto, nudo, i muscoli che si muovono sotto la pelle ancora segnata da morsi e graffi. Cammina fino alla finestra, si appoggia al vetro fresco. La città comincia a svegliarsi. Lui, no.
Dietro di sé sente un movimento. Sergio si gira nel letto, allunga una mano verso il lato vuoto. La sua voce, impastata dal sonno:
“Dove sei adesso?”
Paolo non risponde subito. Resta lì, fermo, la fronte appoggiata al vetro.
Poi, senza voltarsi, dice solo: “Sto cercando di respirare un po’”

Il vetro è freddo contro la pelle nuda di Paolo, ma il calore arriva da dietro. Il letto si muove appena, un lieve cigolio sul parquet, e poi il corpo massiccio di Sergio si avvicina. Non dice nulla. Si incolla lentamente al suo, senza invaderlo, solo aderendo.
Il petto di Sergio contro la sua schiena, le braccia forti che lo avvolgono, la mano grande che scivola lungo il suo ventre, fermandosi appena sopra il pube. Il respiro caldo sul collo, regolare.

E poi, la voce.
Bassa. Sincera.
Quasi ruvida per quanto è vera.

“Lui è il tuo passato. E farà parte di te per sempre. Anzi, dovrei ringraziarlo per averti fatto diventare così.”
Paolo chiude gli occhi. Il cuore batte forte. Il corpo si tende.
“Ma io sono il tuo presente. E forse anche il tuo futuro.”
Una pausa.
“Devi solo decidere se vuoi andare avanti. O tornare indietro. In entrambi i casi… io accetterò la tua decisione. Perché per me… conti solo tu.”

E Paolo crolla.
Non con le lacrime, ma con il corpo. Le spalle si rilassano, la tensione si scioglie, e in un gesto lento, istintivo, carico di desiderio e gratitudine, allunga una mano dietro di sé.

Le dita si chiudono attorno al cazzo di Sergio, già mezzo duro, caldo, vivo.
Sente il respiro dell’uomo spezzarsi contro la sua nuca. Un sussulto. Un gemito appena trattenuto.

Paolo sorride, gli occhi ancora chiusi.
“Sei davvero disposto a lasciarmi scegliere?” sussurra, mentre la mano si muove lenta, decisa.
Sergio gli bacia la spalla. “L’ho sempre fatto e lo sto facendo anche adesso.”

Il cazzo di Sergio si indurisce nella sua mano, e Paolo lo stringe più forte, appoggiandosi contro di lui, aprendo le gambe quanto basta per invitarlo, per dirgli senza parole che sì, è qui. È con lui. Il passato può rimanere un ricordo. Ma è nel presente che lui vuole vivere.

E quando Sergio lo spinge piano contro il vetro, prendendolo tra le mani con desiderio e rispetto, Paolo lo accoglie con tutta la fame di un uomo che ha scelto.
Il vetro della finestra è freddo, ma la pelle di Sergio è bollente contro quella di Paolo. I loro corpi si cercano come calamite, senza freni. Paolo è con la fronte appoggiata al vetro, le mani aperte sul legno, mentre le labbra di Sergio gli baciano la nuca con fame e dolcezza.
“Adesso voglio che mi senti dentro. Che ti ricordi chi siamo quando scopiamo così.”

Paolo geme, basso, gutturale. Il cazzo di Sergio è duro e pulsante contro il suo culo nudo, premuto tra le sue chiappe che si muovono lente, stuzzicanti, aperte.
Sergio lo prende per i fianchi con forza, le dita che affondano nella pelle. Lo apre senza fretta, ma con decisione. Il respiro gli si spezza nel petto mentre scivola dentro di lui, profondo, con un singolo, lento, affondo che li unisce come un morso lungo l’anima.

“Porca puttana, sì…” sussurra Paolo, piegandosi un po’ di più, offrendosi completamente. Il vetro si appanna davanti al suo volto, il fiato caldo che disegna forme confuse sulla superficie.
Sergio comincia a muoversi. Lenti affondi che diventano sempre più decisi, più ritmati, più veri. Ogni spinta è una promessa non detta. Ogni gemito un “resta con me”.
Le loro pelli si schiacciano, sudate, bollenti. Il rumore sordo del sesso si mescola ai respiri spezzati, alle imprecazioni, ai nomi sussurrati tra un bacio e un morso.

Sergio gli prende il petto, lo stringe, gli morde la spalla con passione. Paolo ride, eccitato, e poi ansima, sentendo il cazzo dell’altro martellare dentro di lui con una precisione che lo distrugge e lo fa risorgere.
“Dimmi che mi vuoi,” sussurra Sergio all’orecchio, mentre lo scopa più forte.
“Ti voglio… cazzo se ti voglio…” risponde Paolo, la voce rotta, il corpo teso.

La mano di Sergio scende fino al cazzo di Paolo, duro e lucido. Lo masturba con forza mentre continua a tenerlo contro il vetro, a scoparlo come se volesse entrargli sotto alla pelle.
Il piacere esplode all’improvviso. Paolo viene tra le dita di Sergio, il corpo scosso da spasmi, la fronte premuta al vetro come se il mondo potesse scomparire.
E Sergio non si ferma. Pochi colpi ancora, profondi, viscerali e poi si lascia andare con un ringhio contro il corpo sudato di Paolo, venendo dentro di lui, riempiendolo.

Il silenzio che segue è sacro.
Rimangono lì, abbracciati, i corpi ancora tremanti. Il cazzo di Sergio ancora dentro, il cuore che batte forte contro la schiena di Paolo.
Poi, piano, Sergio bacia la sua spalla, la nuca, la guancia.
E dice solo: “Tu sei davvero mio, e io sono dannatamente tuo”

E Paolo… non sente più alcun bisogno di fuggire.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.1
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per AI – Ancora io:

Altri Racconti Erotici in Gay & Bisex:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni