Racconti Erotici > Gay & Bisex > Non aprire quella porta - 1 - Il contesto
Gay & Bisex

Non aprire quella porta - 1 - Il contesto


di leatherbootsfetish
10.01.2023    |    6.297    |    11 9.9
"Mi rispose che sembravo proprio la persona giusta per l’incarico di uomo di fiducia presso la casa di un dirigente della società, del quale mi dette..."
Sono da tempo affascinato dal mondo leather e dopo aver letto innumerevoli racconti di molti talentuosi scrittori, ho pensato di unirmi a questa community con una storia scritta di mio pugno. Il racconto si basa su una storia vera ma è stato ampiamente romanzato.

Mi chiamo Paolo e vivo con i miei genitori in un paese sperduto sull’appennino, lontano dalle grandi città. Ho una relazione stabile con Giovanna, una ragazza del paese, ma non mi sono mai mancate avventure clandestine con altre ragazze.
Sono alto poco più di un metro e ottanta e vado molto orgoglioso del mio fisico tonico con i muscoli allenati che al paese mi invidiano tutti. Sto sempre attento che i miei folti capelli castano scuri siano sempre in ordine e adoro sentirli scorrere attraverso le dita mentre li pettino o sistemo il ciuffo sulla fronte. La corta barba della quale ho una cura maniacale contribuisce a darmi l’aspetto molto maschile del quale vado orgoglioso.
Arrivato alla soglia dei venticinque anni mi resi conto che la vita in campagna mi andava stretta, i soldi erano pochi e sentivo di essere destinato a qualcosa di più importante.
Ero iscritto a tutti i social possibili e immaginabili ed avevo migliaia di followers sparsi per il mondo ma mi resi conto che la vita non poteva essere vissuta solo in digitale.
Così un giorno risposi a un annuncio per un lavoro in città.

L’annuncio non specificava chiaramente quale fosse la mansione, ma la paga era buona.
D’altra parte, il mio curriculum era inesistente e non avevo altre esperienze o competenze al di fuori di quelle acquisite in campagna.
Decisi quindi di tentare la sorte.
Quel giorno presi il treno con grande entusiasmo e mi presentai all’appuntamento in un ufficio in centro.
Qui incontrai un giovane assistente che disse di chiamarsi Francesco, molto elegante nel suo completo grigio che cadeva perfettamente sul suo fisico atletico. Poco più basso di me con una faccia simpatica e sorridente incorniciata da un ciuffo di capelli biondissimi. Avrei giurato che avesse più o meno la mia età.
Tra noi si creò subito un’intesa e mi mise immediatamente a mio agio, tanto che mi sarebbe piaciuto approfondire la sua conoscenza. Ma era un colloquio di lavoro e quindi lasciai perdere.
Mi fece alcune domande di routine e qualcuna di tipo più personale per capire se fossi adatto per quel posto. Mi domandò anche se sapessi cucinare e gli risposi che nella mia infanzia avevo passato tanto tempo in cucina con mia madre e mia nonna, le quali mi avevano insegnato tutti i loro trucchi.
Mi rispose che sembravo proprio la persona giusta per l’incarico di uomo di fiducia presso la casa di un dirigente della società, del quale mi dette l’indirizzo e mi disse di recarmi subito a incontrare il padrone di casa. Prima però, il medico della società mi prese un campione di sangue per, disse, esami di routine.

Non era esattamente quello che stavo cercando e che avrei voluto ma, mi sono detto, "da qualche parte bisogna pur cominciare".
Così raggiunsi l’indirizzo indicato e mi trovai davanti al cancello di una piccola villa moderna a due piani, circondata da un’alta siepe che la nascondeva alla vista degli estranei.
Suonai il citofono e il cancello di ferro si aprì elettricamente rivelando un giardino ben tenuto con una piscina sullo sfondo e un acciottolato che conduceva all’ingresso.
Ebbi un attimo di smarrimento quando un uomo alto e di colore, sicuramente sotto ai 40 anni, venne ad aprirmi la porta.
Mi fece entrare e con un forte accento straniero si presentò come Mike Donovan, dirigente di una multinazionale americana, senza famiglia e troppo occupato con il suo lavoro per avere il tempo di tenere la casa in ordine.
Era quindi alla ricerca di una persona che si occupasse delle faccende domestiche. Insomma, un domestico tuttofare. In cambio offriva una buona paga, vitto e alloggio gratuiti.

Ciò che mi colpì di lui fin dal primo momento fu il fisico imponente e i movimenti agili e aggraziati tipici delle persone di colore.
Lunghe gambe sostenevano un corpo magro ma sotto i vestiti si potevano immaginare muscoli tonici. Aveva i capelli corti e la carnagione mulatta, le labbra carnose e il naso importante.
Decisi, non so per quale ragione, che doveva essere cubano o comunque con origini nella regione caraibica.
Senza alcun dubbio poteva essere definito un bell’uomo e aveva quella sicurezza in sé stesso e quel carisma tipici delle persone con tanti soldi e una solida posizione.
La cosa che mi colpì di più erano i suoi occhi insolitamente chiari che gli conferivano uno sguardo magnetico e carismatico che sembrava poterti leggere direttamente nell’anima.
Ma non sorrideva mai.
Mi sentivo in grande soggezione, ma passai anche questo esame a pieni voti e ottenni il lavoro.

Durante il viaggio di ritorno verso il paese fantasticai sulle infinite opportunità che mi si stavano aprendo.
Io mi sentivo predestinato a un grandioso successo e questo lavoro rappresentava la mia opportunità di essere nel posto giusto all’età giusta per gettare le basi del mio futuro.
La parte più difficile fu far accettare a Giovanna il fatto che ci saremmo visti molto più di rado e che non avremmo più potuto scopare con la frequenza attuale.
Fu però d’accordo con me che questi soldi ci avrebbero aiutato per creare le basi della nostra vita insieme.
Così preparai rapidamente le mie cose, salutai i miei genitori e partii per la città con la promessa di tornare a trovarli appena possibile.

Quando tornai alla villa in città, suonai il citofono e Mike mi aprì il cancello.
Mi fece fare il giro della casa mostrandomi le diverse camere, la palestra attrezzata e la sauna che probabilmente lo aiutavano a mantenere in forma il suo fisico imponente, concludendo con la cucina e la mia camera da letto situate al pianterreno.
Era una casa arredata con grande gusto, in stile moderno e minimalista. Enormi divani circondavano un camino in pietra sovrastato da un televisore gigantesco e i tappeti morbidi contribuivano a rendere la casa calda ed accogliente.
Ciò che mi incuriosì molto fu quando, senza dare ulteriori spiegazioni, mi indicò la porta di una stanza al primo piano nella quale non avrei mai, per nessuna ragione, dovuto entrare. Insistette molto su questo fatto e si accertò che avessi compreso le sue parole.
Pur trovandolo strano, promisi di rispettare il divieto.
Le istruzioni che mi diede erano molto semplici: dovevo tenere pulita e in ordine la sua vasta abitazione, fare la spesa e preparargli la cena.

Di base, io detestavo prendere ordini e stare al servizio di qualcuno, per di più di una persona di colore.
Al mio paese io sono sempre stato un leader, il capo della comitiva, quello che tutti gli uomini ammiravano e quello con il quale tutte le donne avrebbero voluto scopare. Ero orgoglioso del mio fisico asciutto e muscoloso, forgiato dal lavoro manuale che usavo per mettere gli altri in condizione di inferiorità. Insomma, io ero nato per comandare e le uniche persone di colore che si vedevano dalle nostre parti erano gli stagionali che lavoravano nei campi. Il loro compito era ricevere ordini ed eseguirli.
Feci dunque buon viso a cattivo gioco ma fin dai primi giorni mi resi conto della fortuna che mi era capitata.
Il mio padrone era incredibilmente educato e gentile e si preoccupava che non mi mancasse nulla. Inoltre, tenere pulito l’appartamento di uno scapolo non è certo impegnativo e mi restava quindi tanto tempo libero per navigare in internet alla ricerca di altre opportunità di lavoro e tenere aggiornati i miei profili social.
Per di più, quando riceveva ospiti che io ritenevo amici o colleghi di lavoro, mi lasciava libero di andare a spasso per la città e godermi la vita nei posti più alla moda.

Ma la curiosità di quella stanza nella quale il mio padrone si recava ogni sera e alla quale mi negava l’accesso mi prendeva sempre di più.
Così, un giorno mentre lui era al lavoro mi avvicinai e vidi che la serratura era molto semplice e che non sembrava certo difficile da “violare”. Con l’aiuto di un ferretto la feci scattare in pochi minuti, abbassai la maniglia e varcai quella soglia.
Cercai a tentoni l’interruttore della luce e una volta premuto rimasi deluso e perplesso.
Si trattava di una camera semivuota, quasi un magazzino, con uno specchio, una poltrona e un grande armadio a tutta parete. Sempre più curioso aprii l’armadio e mi trovai davanti una serie infinita di pantaloni, giacche, accessori e stivali in pelle.
Rimasi molto perplesso perché ciò che vedevo non si adattava alla persona elegante e sofisticata che avevo appena cominciato a conoscere.
Inoltre, la quantità di capi di abbigliamento era troppo ampia per una persona sola ma, guardando meglio, notai che le misure dei diversi capi variavano.
Vidi anche una pila di riviste e DVD dalle copertine inequivocabili con giovani uomini in abbigliamento in pelle nera che mettevano in evidenza i loro corpi muscolosi e i loro cazzi enormi.
Per curiosità cominciai a sfogliare qualche rivista e mi resi conto che quelle immagini mi intrigavano e facevano crescere in me un’eccitazione mai provata prima. Il mio uccello divenne durissimo e così non resistetti dal calarmi pantaloni e mutande e cominciai a menarmelo con passione.
A un certo punto decisi di immergermi maggiormente nell’esperienza.
Mi spogliai completamente e indossai un paio di morbidi pantaloni di pelle nera della mia taglia. La sensazione di piacere che quel materiale liscio e morbido mi trasmetteva attraverso la pelle era incredibile. Mi guardai allo specchio e decisi di completare l’outfit con una giacca e un paio di stivali alti presi dall’armadio.
Quel materiale morbido e lucido metteva in evidenza il mio pacco che ricominciava a gonfiarsi.
A quel punto non resistetti più e mi tirai una sega violenta davanti allo specchio, venendo nelle mutande che avevo deposto poco prima sulla poltrona insieme ai miei vestiti.

Non so quanto tempo passai in quella stanza a provare vestiti e leggere riviste, ma a un certo punto mi resi conto di aver fatto tardi.
Rindossai rapidamente i miei vestiti, rimisi tutto a posto, spensi la luce e richiusi la porta.
Quando Mike tornò a casa tutto si svolse come da routine e dopo che gli ebbi servito una cena veloce si recò come di consueto nella stanza misteriosa. Notai che vi rimase più a lungo del solito e così, una volta finito con la cucina, andai in camera mia.

Prossimo episodio - "Il baratro"
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore. Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Votazione dei Lettori: 9.9
Ti è piaciuto??? SI NO


Commenti per Non aprire quella porta - 1 - Il contesto:

Altri Racconti Erotici in Gay & Bisex:



Sex Extra


® Annunci69.it è un marchio registrato. Tutti i diritti sono riservati e vietate le riproduzioni senza esplicito consenso.

Condizioni del Servizio. | Privacy. | Regolamento della Community | Segnalazioni