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Gay & Bisex

Non aprire quella porta - 12 - Giovanna


di leatherbootsfetish
09.02.2023    |    3.800    |    11 9.7
"Mi danno caldo” le risposi cercando di fare l’indifferente..."
Il treno che mi stava riportando a casa era mezzo vuoto e traballava sulle rotaie logore.
Casa?!?
Ultimamente erano successe talmente tante cose che non sapevo più quale fosse veramente la mia casa. I pensieri cominciarono ad affiorare cullati dal ritmico dondolio della carrozza.
Alla prima stazione salì un ragazzo con un paio di occhiali tondi che si mise a sedere di fronte a me e aprì il suo portatile sul tavolino in mezzo a noi.
Avrà avuto intorno ai vent’anni e nonostante l’aspetto un po’ da nerd appariva in grande forma con quei capelli scuri pettinati con cura, il fisico asciutto e i vestiti perfettamente in ordine. Lo salutai distrattamente e ripiombai nei miei pensieri guardando fuori dal finestrino.
Mi resi però conto che continuava ad alzare timidamente gli occhi dallo schermo, guardando nella mia direzione.
Incuriosito e intrigato, scivolai un po' sul sedile allargando le gambe. Con la punta del mio stivale toccai la sua scarpa da ginnastica e lui non la ritrasse. Provai ad accostare la mia gamba alla sua e lui non la spostò.
Vidi che deglutiva continuamente e si sforzava di tenere lo sguardo sul PC, ma le sue dita non correvano sulla tastiera.

Allora presi l’iniziativa e gli chiesi: “Ti dispiace se mi siedo al posto di fianco al tuo? Stare seduto al contrario del senso di marcia mi mette sempre un po’ di nausea”. Lui annuì, indugiando con lo sguardo su di me oltre al necessario.
Mi alzai in piedi e alzai le braccia facendo finta di sgranchirmi in modo da sollevare la T-shirt mostrandogli i peli alla base del mio addome. Poi, rimanendo in piedi davanti ai suoi occhi, mi misi a posto i jeans tirandoli su per la cintura e mi sistemai il pacco aggiustandomelo con la mano da sopra i pantaloni stretti. Vidi che continuava a deglutire facendo a finta di guardare lo schermo.
Una volta seduto sul sedile di fianco a lui ci presentammo con una stretta di mano e scoprii che si chiamava Alessandro.
Feci vari tentativi di instaurare una conversazione ma Alessandro era visibilmente imbarazzato e rispondeva a monosillabi. L’unica informazione che riuscii a cavargli fu che andava all’università e che, come me, stava tornando a casa a trovare i suoi genitori dopo la sessione di esami.

Così provai un approccio differente. Appoggiai casualmente una mano sulla mia gamba e, con fare casuale, allungai due dita per toccare la sua. Non la spostò nemmeno di un centimetro.
Mi feci spavaldo e gli presi gentilmente la mano posizionandomela sul cazzo, approfittando del tavolino che nascondeva la parte bassa dei nostri corpi agli eventuali sguardi degli altri viaggiatori presenti in carrozza. Lui mi lasciò fare ma rimase immobile, incredibilmente rosso in viso.
Così gli sussurrai in un orecchio: “Sei mai stato con un uomo?”
Fece una faccia imbarazzata non sapendo come rispondere. Potevo solo immaginare l’eccitazione che stava provando e il turbine di pensieri che gli affollavano la mente.
Mi rispose di no muovendo la testa di lato.
Gli chiesi a bassa voce: “Ti piacerebbe cominciare ad esplorare questo campo e scoprire cosa c’è in mezzo alle mie gambe?” e a quel punto rispose prontamente di si.
Volevo che si lasciasse andare, così lo incalzai: “Io ti piaccio?”
Lo vidi arrossire ma non rispose immediatamente. Dopo un po’ mi guardò annuendo con il capo.
“Quindi, in questo momento hai la mano sul pacco di un uomo che ti piace. Sei curioso di vedere com’è fatto il suo cazzo e c’è solo uno strato sottile di stoffa che ti impedisce di prendere in mano il suo arnese caldo e pulsante. Ti consiglio di approfittare di questa situazione e fare qualunque cosa ti passi per la mente di fare”.

E così la mano si mosse. Accarezzò lieve la stoffa dei pantaloni facendosi più decisa man mano che sentiva il mio attrezzo gonfiarsi.
Decisi di facilitargli il compito, sbottonandomi la patta e aprendo i pantaloni.
Sorrisi quando, infilando la mano all’interno, si fermò per un attimo rendendosi conto che non indossavo alcun indumento intimo.
“Mi piace sentire il cazzo che sfrega libero contro la stoffa dei jeans” gli sussurrai in un orecchio. “E’ una sensazione fantastica. Dovresti provare anche tu”.
Continuava a far scorrere la mano sul mio cazzo bollente e io allungai la mia all’altezza del cavallo dei suoi pantaloni rendendomi conto che l’aveva duro come il marmo anche lui.
“Non trascurare mai le palle di un uomo. Mi piace quando qualcuno me le prende nel palmo della sua mano e le stringe leggermente” gli dissi piano e le sue dita scesero un po’ più in basso, continuando ad accarezzarmelo.
Ormai al colmo dell’eccitazione prese confidenza e lo impugnò saldamente muovendo la mano su e giù, guardandosi intorno continuamente.
“Non ci può vedere nessuno. Dimmi cosa pensi” gli dissi. “Ti piace?”
“E’ così duro e morbido allo stesso tempo. E poi è così caldo”.
Sentivo che cominciavo a inumidirmi e volevo evitare che si vedesse attraverso i jeans così gli dissi: “Lo senti come si sta lubrificando? Fai scorrere piano il pollice su tutta la cappella, impugnandolo con le altre dita”

Andammo avanti così per un po’, aiutati dallo sferragliare del treno, finché gli dissi. “Non ce la faccio più. Devo andare in bagno a liberarmi” e cominciai a richiudermi i pantaloni sotto al tavolino.
“Posso venire con te?” mi chiese timidamente a bassa voce.
“Raggiungimi in bagno tra un paio di minuti” gli sussurrai alzandomi come se nulla fosse, compatibilmente con l’asta che rischiava di scoppiare da un momento all’altro all’interno dei miei jeans stretti.
Mi chiusi nello stretto e puzzolente locale, mi abbassi i jeans a mezza coscia e in un attimo il mio arnese si impennò verso l’alto, finalmente libero da qualunque costrizione. Rimasi fermo in attesa, cercando di resistere al bisogno irrefrenabile di tirarmi una sega furiosa.
Quando Alessandro mi raggiunse richiusi immediatamente la porta dietro di lui, glielo feci impugnare e guidai la sua mano finché non cominciai a eruttare come un idrante, imbrattandogliela con il mio seme vischioso. Gli portai poi le dita alla bocca invitandolo ad assaggiare il mio sperma. Dopo qualche secondo di indecisione, tirò fuori la lingua e leccò qualche goccia.

Ubbidiva come un automa a qualunque richiesta gli facessi e aveva un rigonfiamento evidente che premeva dall’interno dei suoi pantaloni. Credo che in quel momento avrei potuto fare di lui qualunque cosa.
Lo guardai sorridendo con uno sguardo complice: “Se deciderai di proseguire in questo percorso scoprirai che ti piacerà bere direttamente dalla fonte”.
Poi gli misi una mano in mezzo alle gambe, tirai giù la cerniera dei pantaloni e gli infilai la mano nelle mutande sentendo tutta la durezza del suo cazzo. A fatica riuscii a farlo uscire dai pantaloni e cominciai a menarglielo piano. Ma era troppo eccitato e venne in pochi secondi rischiando di macchiarmi i jeans e gli stivali. Mi misi in bocca qualche dito succhiando quel liquido appiccicoso fissandolo negli occhi per poi ficcargli tutte le dita, una ad una, tra le sue labbra. Alessandro me le ciucciò come se fossero state le tettarelle di un biberon.
Una volta che ci fummo ripuliti tornammo al nostro posto cercando di fare a finta di nulla agli occhi degli altri passeggeri. Allungò di nuovo la mano sotto al tavolino per accarezzarmi la gamba e mi disse: “grazie, mi è piaciuto molto tenerlo in mano e accarezzartelo”.
Ebbi compassione per lui e per tutte le persone inibite che vivono reprimendo i loro istinti.
Chiacchierammo piacevolmente per tutto il resto del viaggio mentre continuava a far scorrere la mano sulla mia gamba e sul pacco, nascosto dal tavolino.
Aveva un sacco di domande alle quali risposi come meglio potevo e un sacco di dubbi sui quali non potevo proprio fare niente.
Scese alla stazione prima della mia e quando si alzò per andarsene ci scambiammo il numero di cellulare.

Alla stazione c'era Giovanna ad aspettarmi. La trovai un po’ più rotondetta di quanto la ricordassi e, nonostante avesse quasi 24 anni, era vestita con i soliti semplici abiti da ragazzina di campagna.
Sul viso, rigorosamente senza trucco, era stampato quel suo sorriso furbetto da maialina impaziente che mi aveva sempre stregato.
La baciai con trasporto non appena scesi dal treno e mentre la tenevo stretta tra le braccia lei allungò di nascosto una mano tra le mie gambe, tastando la consistenza della mia dotazione.
“Mi siete mancati tutti e due così tanto” disse facendo la gattina.
“Allora che ne diresti di darci il benvenuto come si deve?” risposi io.
Andammo dritti al casolare abbandonato che era stato testimone di tutti i nostri incontri e mentre si spogliava velocemente non potei fare a meno di fare paragoni con il corpo sinuoso di Sonia o i modi impostati delle ragazze di città. Ma con la sua finta ingenuità, Giovanna riusciva sempre a scatenare il mio istinto animalesco e mi venne subito così duro che dovetti calarmi rapidamente i jeans e tirarlo fuori per fargli prendere aria.
Lei si fermò guardandomi sorpresa e sospettosa al tempo stesso. “Come mai non hai le mutande?” mi chiese.
“Non le metto più sotto i jeans. Mi danno caldo” le risposi cercando di fare l’indifferente.

Decisi di troncare sul nascere altre domande buttandomi su di lei e la scopai appassionatamente tanto che, contrariamente a quanto eravamo abituati prima che io partissi, il rapporto andò molto oltre la consueta sveltina che contraddistingueva la nostra relazione. Feci però molta attenzione che non vedesse le lettere tatuate sul mio sedere.
Ci rivestimmo rapidamente prima che qualcuno si chiedesse dove fossimo finiti e mentre mi stavo infilando gli stivali ai piedi mi guardò dicendo con voce pacata: “Sei cambiato”.
Al momento non capii. “In che senso?” le chiesi con uno sguardo interrogativo.
“Non so. Sei diverso da quando sei partito. Non ti avevo mai visto con addosso vestiti costosi e stivali ai piedi, ad eccezione di quelli di gomma. E poi il sesso. È stato fantastico, ma completamente diverso da quello che facevamo prima. Dimmi sinceramente: hai per caso un’altra donna in città?”
“Certo che no” Risposi con assoluta sincerità, ma mi resi conto che non ne era convinta.
Arrivati sotto casa sua la abbracciai e la baciai, dopodiché aprì la porta e sparì alla mia vista.
Povera ragazza, non poteva neanche lontanamente immaginare tutto ciò che mi era capitato da quando mi ero trasferito in città. Se solo avesse saputo…
In quel momento mi resi conto che tra Giovanna e me non c’era più un futuro e che, per il suo bene, avrei dovuto trovare il modo di troncare quella relazione al più presto.

Andai a casa dei miei genitori e mia madre mi accolse con un abbraccio stretto e forte.
Come da copione, mi trovò sciupato e mi chiese se stessi mangiando abbastanza, ma non potevo certo dirle che la mia faccia sbattuta era dovuta a tutto il sesso che stavo facendo in quel periodo.
Mio padre continuò a tempestarmi di domande e volle sapere tutto della frenetica vita di città.
Portai i miei pochi bagagli di sopra riflettendo sul fatto che, nonostante fosse passato pochissimo tempo dalla mia partenza, la mia vecchia camera da letto mi appariva ormai come quella di un'altra persona.
Poi chiamai i miei vecchi amici e diedi a tutti loro appuntamento in piazza dopo cena.
La mamma mi aveva preparato i miei piatti preferiti e sorrideva protettiva vedendomi mangiare di gusto e trovando quindi conferme ai suoi dubbi.
Quando arrivai all’appuntamento trovai tutti i miei amici di una volta che mi subissarono di domande. Le solite cose tra maschi: come sono le ragazze di città, quante me ne ero scopate, se fosse vero che erano tutte troie e così via.
Mi fecero mille complimenti per il mio abbigliamento firmato e notai (ma forse immaginai) qualche sguardo di troppo che si soffermava sul rigonfiamento del cavallo dei miei jeans.
Ma il lavoro in fabbrica o nei campi prevede una sveglia all’alba, così la serata finì presto e ci salutammo ripromettendoci di sentirci più spesso.
Tornai verso casa, diedi il bacio della buonanotte ai miei genitori e mi infilai sotto le lenzuola del mio lettino adolescenziale.

La mattina successiva Giovanna mi chiamò di buon’ora chiedendomi di incontrarci al bar per parlare.
Mi disse che non mi riconosceva più. Che la distanza delle nostre vite e le telefonate saltuarie ed affrettate ci stavano allontanando e che, soprattutto, non era più sicura della mia fedeltà. Non poteva ipotizzare di rimanere in quello stato di incertezza e gelosia per tutto il tempo in cui saremmo stati lontani.
Tra le lacrime disse che mi amava profondamente ma che mi stava lasciando.
Eravamo quindi arrivati alla stessa conclusione e ci salutammo da buoni amici, promettendoci di rimanere in contatto.
Più tardi la mamma mi consegnò una cesta con tutte le prelibatezze che aveva fatto in tempo a preparare per me. Mi aiutò a raccogliere le mie cose e mi accompagnò alla stazione.
Durante il viaggio di ritorno in treno ebbi modo di riflettere su quanto la vita tranquilla della provincia fosse ormai lontana anni luce dalla mia vita attuale e sentivo che non mi apparteneva più. Amavo i miei genitori, ma non potevo nemmeno prendere in considerazione l’idea di tornare a vivere in quel posto.
La consapevolezza del fatto che stavo chiudendo un capitolo della mia vita mi mise addosso un po’ di tristezza, così appena tornai in città chiamai Francesco per invitarlo a passare la serata insieme a me.
Purtroppo, mi disse che quella sera era impegnato con una cena di lavoro, così non trovai altra soluzione che distendermi in piscina a prendere gli ultimi raggi di sole e prepararmi per passare la serata da solo.

Ma avevo una voglia irrefrenabile di sesso che dovevo soddisfare e mi venne improvvisamente in mente la stanza nella quale tutto era cominciato.
Così andai là dentro, chiusi la porta e mi spogliai completamente. Indossai soltanto i miei stivali preferiti e mi misi comodo sulla poltrona chiudendo gli occhi.
Con una mano cominciai ad accarezzarmi il cazzo moscio mentre con l’altra mi pizzicavo i capezzoli pensando a Giovanna. Vedevo il suo corpo morbido e lei mi sorrideva con quello sguardo da porcellina eccitata che mi piaceva tanto.
Cominciai a massaggiarmi lentamente i coglioni e feci partire un lento su e giù sul cazzo dritto pensando a Francesco. I suoi capelli biondi, il corpo tonico e quel culo sodo mi portavano alla follia. Adoravo quel bel ragazzo così sensibile, divertente e appassionato.
Aumentai il ritmo pensando a Sonia. Il corpo statuario e le lunghe gambe alla cui confluenza stava il boschetto proibito mi mandavano fuori di testa. Era nuda anche lei e mi aspettava a gambe larghe con indosso soltanto un paio di scarpe con un tacco vertiginoso.
Ma quando Mike entrò nella mia testa con quei pantaloni in pelle attillati, infilati negli alti stivali neri che mi hanno sempre fatto impazzire, la mia mano accelerò il ritmo e mi ficcai un dito nel culo per stimolare la prostata. I suoi occhi erano fissi nei miei mentre con la mente passavo la mano sul cavallo di quei pantaloni lucidi e lisci. Mi prese la faccia e me la sprofondò sul suo inguine tenendola in quella posizione premendo sulla nuca. Potevo percepire distintamente l’odore della pelle dei pantaloni misto a quello del suo cazzo.
Venni con una serie interminabile di schizzi che riuscii a stento a trattenere con le mani.
Quando mi ripresi mi alzai calmo dalla poltrona e, nudo con indosso solo gli stivali, mi leccai voluttuosamente le dita imbrattate dal mio sperma stando esattamente davanti alla telecamera che aveva registrato l’inizio di tutti gli avvenimenti delle ultime settimane, tenendo gli occhi fissi sul vetro del suo obiettivo.
Poi andai in camera mia, mi tolsi gli stivali e andai sotto le lenzuola senza nemmeno farmi una doccia.

Sorrisi tra me e me pensando che, nel caso non avesse avuto modo di vedere il filmato in streaming, lo avrebbe sicuramente visto al suo rientro a casa.

Prossimo episodio: "Il ritorno a casa del mio padrone"
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