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Una penitenza finita bene


di Monicatrav
27.01.2025    |    5.872    |    16 9.9
"Lui, nel frattempo, aveva fatto scivolare un dito dentro la mia figa anale, provocandomi un piacere indescrivibile, finché lo sentii irrigidirsi e venne..."
Avevo compiuto sedici anni da poco e come tutti i ragazzi della mia età, vivevo la mia vita in modo spensierato.
Scuola, pallavolo, libri, famiglia e amici erano parte integrante del mio vivere quotidiano e apparentemente ero un ragazzo normale.
Ho scritto apparentemente perché, a differenza di altri miei coetanei che manifestavano una crescita e uno sviluppo indirizzato verso la virilità io al contrario diventavo sempre più efebo.
Avevo gambe lunghe e affusolate, un culetto sodo e alto, totale assenza di peli sul corpo e un leggero accenno di peluria sul viso.
Spesso, al termine delle partite di pallavolo, quando correvamo a fare la doccia, per me era diventato motivo d’imbarazzo spogliarmi e di solito io davo la precedenza agli altri proprio per non farmi vedere nudo.
Inoltre, guardare tutti quei corpi pelosi e con membri di tutto rispetto provocava in me un certo turbamento, pur urlando dentro di me che non ero omosessuale, in quanto le ragazze mi piacevano e pure parecchio.
Una mattina ero rimasto a casa perché dovevo studiare, in vista di un compito in classe molto tosto.
Mia madre era uscita per delle commissioni e sul frigorifero mi aveva lasciato un biglietto con cui mi avvisava che sarebbe stata fuori tutta la mattina.
Rimasi in camera a studiare fino alle 11:00, quando poi il mio stomaco mi avvisò che era ora di mangiare qualcosa.
Andai in bagno per lavarmi le mani e sull’armadio notai che mia madre aveva dimenticato i suoi cosmetici.
Un’idea pazzesca mi passò per la mente.
Presi la cipria e, tamponando leggermente, la applicai sul viso.
Continuai la mia opera con il rossetto, l’ombretto e il mascara; le mani mi tremavano, ma il risultato era davvero sorprendente: non sembravo più io.
Mi spogliai della tuta e mi accorsi che ero parecchio eccitato; corsi in camera dei miei e con accortezza presi dell’intimo dal cassetto di mia madre: reggiseno e slip, un paio di collant neri velati, una camicetta e una gonna nera.
Per fortuna, mia mamma era una donna robusta e quindi, pur essendo un ragazzo, tutto mi stava alla perfezione.
Infine fu la volta delle scarpe; scelsi un paio di sandali con un tacco medio e, con qualche difficoltà, mi alzai in piedi e mi recai davanti allo specchio.
L’emozione e la sorpresa di vedermi femmina furono così intense che ebbi un orgasmo senza nemmeno toccarmi e venni copiosamente imbrattando gli slip di pizzo.
In preda al panico mi spogliai velocemente e corsi a lavarli, asciugandoli successivamente con l’asciugacapelli.
Mi feci una doccia rapidissima e, dopo aver messo tutto in ordine, tornai al mio studio.
Rimorso, paura, vergogna erano tutte cose che mi ruotavano in testa.
Io, un ragazzo che mi ero sempre considerato etero, avevo provato piacere a vestirmi da donna.
Nei giorni seguenti cercai di non pensare più all’episodio e, nel tempo libero, sfogliavo le riviste vietate ai minori dove attrici in lingerie sexy venivano scopate da uomini giovani e dotati.
Fingendo che non era successo nulla.
Tuttavia mi sbagliavo perché la voglia di riprovare tornò più forte che mai.
Divenne il mio gioco segreto.
Quando potevo indossavo calze o intimo femminile e arrivai anche a comprarmi dei collant per conto mio, creandomi una piccola collezione personale.
Quando pensavo di avere raggiunto un equilibrio, accadde l’evento che mi accingo a narrare.
Era la domenica di carnevale e la mia comitiva aveva deciso di festeggiare travestendoci i maschi da femmine e le femmine da maschi, classico di quel tempo in cui internet non era così diffuso e non era facile acquistare nei negozi.
Il programma prevedeva di assistere alla sfilata dei carri allegorici e infiorati, poi mangiare qualcosa insieme e infine recarci a casa di una nostra amica di Siracusa per ballare fino a notte fonda.
Per l’occasione, facendomi aiutare da una mia amica, mi ero travestito da cameriera, con tanto di grembiulino, parrucca e scarpe col tacco nere.
Tralascio i dettagli e i commenti dei miei compagni quando mi videro arrivare nel luogo convenuto, perché mentre gli altri ragazzi sembravano dei giocatori di rugby con la parrucca, io ero semplicemente un bel bocconcino.
Il pomeriggio e la serata passarono senza incidenti e finalmente fu il momento di raggiungere la villa della mia amica.
Appena entrati, fummo accolti da una musica assordante e notammo che, oltre a noi, c’erano altri invitati alla festa, anch’essi mascherati.
Ballammo fino a quasi mezzanotte, quando la padrona di casa, forse stanca di vedere le coppie che limonavano approfittando della penombra, propose di fare un gioco di compagnia.
La scelta della maggioranza cadde sul gioco della bottiglia e democraticamente ci sedemmo a cerchio per iniziare il gioco.
I miei compagni erano dei bravi ragazzi, ma il problema era che spesso tendevano a esagerare; per cui le prime penitenze per coloro che perdevano erano lievi, ma poi, più si entrava nel vivo del gioco, e più diventavano gravose.
C’erano state ragazze che si erano spogliate restando in reggiseno e mutandine, ragazzi che avevano dovuto bere diversi bicchieri di vodka tutto d’un fiato, altri che in slip avevano bussato ai vicini, ma purtroppo quando arrivò il mio turno mi fu proposto di raggiungere la strada statale che correva a pochi metri dalla casa, fingere di essere uno dei travestiti che solitamente battevano in quella zona e cercare di farmi caricare da un potenziale cliente.
Naturalmente avrei dovuto farmi pagare mostrando una banconota da cinquantamila lire.
Sulle prime rifiutai, ma poi l’insistenza di tutti ebbe il sopravvento e mi feci spiegare cosa avrei dovuto fare.
Raggiunsi il marciapiede e cominciai a passeggiare avanti e indietro cercando di sembrare il più femminile possibile.
Se entro mezz’ora, cronometrata dai miei compagni nascosti dietro le siepi, non si fosse fermato nessuno, avrei superato la prova.
Tuttavia, non rientro nelle grazie della Dea bendata e dopo dieci minuti una Mercedes nera si accostò al marciapiede con il motore acceso.
Il guidatore, abbassando il finestrino, mi disse con calma: “Ciao, ti va di andare a fare un giro?”
Risposi: “Sono cinquantamila anticipate!”
Dentro di me stavo morendo, il cuore mi martellava nel petto e speravo che lui dicesse di no; invece esclamò: “Nessun problema, gioia, vieni salta in macchina.”
Salì dalla parte del passeggero e Valerio, disse di chiamarsi così, mi strinse la mano in modo amichevole.
Partimmo e durante la marcia ebbi modo di studiare il mio compagno di avventura.
Poteva avere sui trentacinque anni, ben vestito; portava degli occhiali con la montatura scura che lo facevano sembrare un professore.
Emanava un buon odore, forse acqua di colonia, e parlava con voce calma e pacata.
Mi confessò che era sposato, ma che era attratto dalla trasgressione e, più volte, era passato per quella strada nei giorni antecedenti, ma non aveva mai avuto il coraggio di fermarsi, fino a quella sera.
“Che fortuna!” dissi dentro di me.
A un certo punto, forse la stanchezza o forse l’alcool che avevo in corpo mi fecero cadere in una sorta di trance, dimenticando il motivo per cui quello sconosciuto mi aveva fatto salire in macchina.
A un certo punto si fermò in una piazzola buia e, aprendo il portafogli, mi consegnò la banconota che avevo richiesto, poggiando la sua mano sulla mia coscia e cominciando a accarezzarmi con dolcezza.
Mi sentì avvampare e stavo per confessare il mio scherzo quando Valerio mi baciò sulle labbra.
Non so spiegare cosa accadde, ma la mia parte maschile abbandonò completamente il mio corpo.
Risposi al bacio con passione e, come le più navigate delle meretrici, gli sbottonai i calzoni, tirando fuori un uccello già eretto.
Lo accolsi nella mia bocca, assaporando il sapore del suo precum e cominciai il mio primo pompino, dedicandomi con tutta la lussuria e la voglia che avevo in corpo.
Lui, nel frattempo, aveva fatto scivolare un dito dentro la mia figa anale, provocandomi un piacere indescrivibile, finché lo sentii irrigidirsi e venne copiosamente.
Non riuscì a trattenermi e parte del suo sperma imbrattò le mie calze nere.
Restammo abbracciati per un tempo che a me sembrò interminabile finché mi chiese se volevo fare l’amore con lui.
In preda a mille sensi di colpa e rendendomi conto di quello che avevo fatto, chiesi di essere riaccompagnato.
Valerio sorrise e con dolcezza mi disse: “Questa sera ci siamo fatti un aperitivo, ma la prossima volta sarai mia, se vorrai.”
Per tutto il tragitto non aprì bocca e, giunto alla villa, mi accorsi che ovviamente i miei amici erano andati via.
Recuperai il mio motorino e corsi a casa.
Per fortuna dormivano tutti; gettai nel bidone della spazzatura l’abito e i collant imbrattati di sperma e feci una doccia calda.
Mi addormentai come un sasso, sperando che tutto fosse stato un brutto sogno.
(CONTINUA)







































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