Gay & Bisex
Non aprire quella porta - 2 - Il baratro
di leatherbootsfetish
11.01.2023 |
5.791 |
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"Dovevo reagire rapidamente e cercai di alzarmi dal divano ma lui mi ributtò giù con uno spintone..."
Stavo facendo sesso telefonico con Giovanna quando Mike entrò nella stanza senza bussare e mi ordinò di interrompere subito la telefonata. Aveva uno strano sguardo e si era vestito con quanto avevo visto quel pomeriggio nel deposito segreto.
Alti stivali neri nei quali erano infilati stretti pantaloni di pelle. Indossava una camicia bianca e un paio di bretelle anch’esse di cuoio nero.
Rimasi però assolutamente sbalordito dal suo pacco: un pene di dimensioni enormi si disegnava sotto quegli stretti pantaloni lucidi.
Mi ordinò di alzarmi e seguirlo.
Mi fece sedere su un divano davanti alla televisione rimanendo in piedi a breve distanza da me, tanto che l’odore della pelle dei suoi pantaloni mi riempiva le narici.
Mi sovrastava con la sua statura e avevo il suo inguine proprio all’altezza della mia faccia.
Non riuscivo proprio a capire cosa stesse succedendo.
“Adesso vedrai” mi disse e fece partire un video.
Sullo schermo del televisore panoramico si vedeva chiaramente la stanza nascosta, la porta che si apriva ed io che entravo.
Mentre seguivo attonito le immagini che mi riprendevano mentre mi segavo violentemente, vestito di pelle nera e sfogliando una rivista gay leather, ho capito la gravità della situazione nella quale mi ero cacciato.
Tutti quegli anni spesi a crearmi una reputazione, a socializzare e a stabilire il mio status potevano essere spazzati in un istante. Ancor più, le relazioni che stavo creando si sarebbero interrotte. Avrei perso tutto ciò per il quale avevo lavorato per tutta la vita e sarei diventato lo zimbello di amici e conoscenti.
Quando il video finì alzai la testa per guardare il mio aguzzino.
Stava in silenzio, con le braccia conserte e un leggero sorriso sulle labbra. I suoi occhi magnetici mi fissavano dall’alto facendomi sentire una piccola merda.
Dovevo reagire rapidamente e cercai di alzarmi dal divano ma lui mi ributtò giù con uno spintone. Ero disperato e cominciai a implorarlo, balbettando e piagnucolando.
“Ti prego, non puoi divulgare questo video, la mia vita sarebbe rovinata. Ti imploro, farò tutto quello che vuoi, ma non posso permettere che venga visto in giro”
Lui continuava a guardarmi in silenzio e il mio imbarazzo aumentò finché disse: “Sai quanta fatica c’è voluta per farmi strada in un mondo di bianchi? Sai quanto ho dovuto subire? E ogni volta sono diventato più forte. Ho rinunciato a una famiglia e a una vita normale per diventare quello che sono oggi. Sono diventato duro e talvolta cattivo ma devo avere la garanzia che i miei dipendenti facciano esattamente ciò che ordino loro. Tu mi hai tradito e quindi la pagherai”.
Ricominciai a piagnucolare suppliche e per tutta risposta lui mi disse con voce tagliente: “Mettiti almeno in ginocchio se vuoi implorarmi come si deve”.
Sperando di conquistare la sua benevolenza mi buttai immediatamente in ginocchio davanti a lui che continuava a fissarmi dall’alto.
“Non sei altro che un insulso essere senza spina dorsale. Lecca questi stivali come hai visto fare nelle riviste che ti sono tanto piaciute” mi ordinò perentorio.
Con un misto di paura e ribrezzo cominciai a leccare i suoi stivali come avevo visto, ma poco dopo disse deciso: “non mi sto divertendo. Accarezzamelo”.
Sul momento non capii a cosa si riferisse, ma fu solo questione di una frazione di secondo durante il quale spinse leggermente in avanti il bacino.
E io capii.
Non ero gay, non avevo mai toccato l’uccello di un altro uomo e tanto meno quello di un negro, ma il suo sguardo gelido non ammetteva repliche.
Così, sempre rimanendo in ginocchio, alzai il busto e cominciai ad accarezzargli il cazzo da sopra i pantaloni.
Era una sensazione strana. La pelle liscia rendeva il tocco freddo, morbido e piacevole al tatto ma mi resi conto che il suo attrezzo stava diventando sempre più consistente.
“Tiralo fuori” ordinò ed io cominciai a slacciare i bottoni della patta.
Una volta liberato, dimostrò tutte le sue dimensioni.
Era scuro, con una cappella pronunciata e le vene in rilievo che stavano pompando sangue all’interno facendolo gonfiare.
Non sono un esperto di cazzi, non ho occhio per le misure e non era certo il caso di misurarglielo. Così non saprei dire quanto fosse lungo o largo, ma era certamente il cazzo più grosso che avessi mai visto in vita mia.
Non era ancora completamente duro ma continuava a crescere alzandosi ed ero terrorizzato da quel contatto così ravvicinato.
“Ora imparerai una lezione che ti servirà per il futuro. Io sono abituato a punire coloro che mi disubbidiscono e lo faccio per evitare che ciò accada ancora”.
Piangendo senza ritegno lo implorai nuovamente. “Ho sbagliato, lo so. Ti giuro che non capiterà mai più. Sarò il più fedele dei tuoi servitori”.
“Lo so, ne sono sicuro. Le punizioni servono per questo. Mettilo in bocca e succhialo, ma fai attenzione ai denti”.
Non potevo crederci: io, il più maschio del paese stavo per prendere in bocca il cazzo di un altro uomo. Ma non avevo alternative e così eseguii.
Mi avvicinai lentamente con lo sguardo fisso su quel “coso” puntato verso di me ed esitai.
Mi prese per i capelli e spinse le mie labbra sul suo membro dicendo: “Bacialo, mettilo in bocca e succhia rimanendo concentrato sul tuo lavoro. Non distrarti, non divagare, non alzare lo sguardo.
Adesso hai un solo incarico e devi eseguirlo perfettamente”.
Vincendo la repulsione baciai la cappella come mi aveva ordinato. Poi aprii la bocca per accoglierlo. Volevo che quella situazione finisse presto così cercai di farlo nel migliore dei modi.
Misi quindi in atto tutte le pratiche che negli anni avevo insegnato alla mia ragazza e le cose che mi davano maggiore godimento quando lei mi faceva i suoi memorabili pompini.
Cominciai piano, accogliendolo poco per volta e insalivandolo il più possibile. Cominciai ad andare lentamente avanti e indietro con lo sguardo sempre fisso sul suo inguine.
Ogni tanto lo tiravo fuori e leccavo il taglietto sulla cima, l’asta e le palle per poi ricacciarmelo in bocca. La sensazione di ribrezzo stava diminuendo ed ero rassegnato a fare il lavoro che mi veniva imposto al fine di espiare la mia colpa e finire con quell’incubo.
Lui gestiva il ritmo tenendomi saldamente per i capelli e facendomi male.
“Guardami” disse improvvisamente e la sua voce sembrava arrivare da un’altra dimensione. Alzai lo sguardo e mi bloccai.
In mano aveva un cellulare con il quale stava riprendendo il mio lavoro.
Mi sentii morire e, ancora con il suo cazzo in bocca, mi resi conto che non era finita li.
Continuando a riprendermi cominciò a insultarmi. “Continua troia, continua così che sto cominciando a divertirmi”.
Non potei fare altro che proseguire, in uno stato di trance. Mi sentivo come se fossi in un sogno dal quale mi sarei presto svegliato.
Ma non era così.
Si staccò da me e il suo cazzo uscì dalla mia bocca con uno schiocco. Si sedette a gambe larghe sul divano e mi fece segno di continuare.
Cominciò a sbattermelo in faccia ripetutamente, un po’ sulle guance e un po’ sulla bocca aggiungendo: “Avanti ciucciacazzi, fammi vedere cosa sai fare”.
In ginocchio tra le sue lunghe gambe inguainate nei pantaloni neri che profumavano di pelle continuai il mio lavoro.
Avevo perso la cognizione del tempo e non so dire quanto durò ma a un certo punto mi resi conto che stava arrivando alla fine. Con una serie di spasmi e movimenti del bacino mi scaricò in bocca una valanga di sborra calda. Dato che non ero preparato e non ero completamente in me stesso la ingoiai quasi completamente.
A quel punto, con la sua crema che mi colava parzialmente dalla bocca lo guardai.
Lui mi fissò continuando a riprendere con il cellulare e con il suo freddo sorriso mi chiese:
“Ti è piaciuta?”
“Bastardo!!!” ringhiai.
Senza scomporsi nemmeno per un attimo, mi fissò con sguardo cattivo e disse: “Risposta sbagliata. Riproviamo. Ti è piaciuta?” Capii dove voleva arrivare e, dato che ero in trappola, risposi:
“Si”.
“Quanto ti è piaciuta?”
“Tanto” risposi serio
“Ne vorrai ancora?”
Ero inebetito. Stava giocando al gatto col topo e questo topo non aveva più scampo.
“Si, ne vorrò ancora”
“Se farai il bravo vedrai che il tuo padrone saprà accontentarti”
Spense il cellulare e si alzò dal divano, ancora con il cazzo molle fuori dai pantaloni che posizionò davanti ai miei occhi.
Rimanendo davanti a me disse: “Adesso cominci a capire cosa si prova a essere sottomessi. Ero sul punto di licenziarti facendoti pentire di aver disobbedito ai miei ordini, ma sei stato bravo e hai saputo soddisfare il tuo padrone. Ho quindi deciso di darti un’ultima possibilità tenendoti ancora al mio servizio. Ma fai attenzione. Questo è l’ultimo avvertimento. Adesso vai a letto e domani ne riparleremo”.
Mi alzai come un automa sulle mie ginocchia doloranti e mi avviai verso la mia camera quando lui mi urlò: “Credo che una volta che avrai finalmente capito il tuo ruolo, tu ed io staremo molto bene insieme in questa casa”.
Chiusi la porta e mi abbandonai a un pianto liberatorio. Quella notte dormii poco e quel poco che dormii fu popolato dai peggiori incubi.
Quando suonò la sveglia avevo preso la decisione di fare buon viso a cattivo gioco.
Lo avrei assecondato e avrei cercato di riconquistare la sua fiducia in modo da poter cancellare quei video.
Dopodiché lo avrei mandato al diavolo.
Preparai la colazione come di consueto e attesi il suo risveglio in cucina.
Quando si presentò era di ottimo umore, mi disse di aver dormito benissimo ma aggiunse che, a giudicare dalla mia faccia, non gli sembrava che ciò valesse anche per me.
Mi venne vicino, così vicino che potevo sentire il suo alito e mi disse: “Oggi riposati e fai le valigie mettendo al loro interno tutto ciò che hai portato. Poi prendi pure dal mio armadio i vestiti che preferisci. Mi curo sempre dei miei dipendenti e da ora in poi io penserò a te”
Mentre rimettevo a posto la cucina lui si vestì di tutto punto e uscendo mi urlò: “A proposito, da oggi non esiste più nessuna stanza segreta”
Prossimo episodio: "La svolta"
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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