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Lui & Lei

Allergico alla bellezza


di Zindo
12.01.2025    |    1.695    |    4 8.8
"Però le donne troppo belle lo intimidivano, lo intimorivano, lo condizionavano, ed Elena era bella, troppo bella e, purtroppo per lui, condividevano lo..."
Onde evitare delusioni in qualche lettore che si aspetta un "normale racconto" tra un lui ed una lei, si avverte che il genere erotico al quale questo racconto è stato attribuito è uno di quelli , tra le scelte possibili, al quale forse si avvicina di più senza appartenerci totalmente. Potrebbe essere infatti inquadrato anche in qualche altra categoria ma sempre per "approssimazione" non per concreta appartenenza. Nella speranza che comunque piaccia si augura una buona lettura.



Elena aveva chiamato Giovanni, il collega con il quale condivideva l'ufficio, alla sua postazione per chiedergli delucidazioni in merito a dei dati sui quali stava lavorando e che erano sul monitor del suo computer.
Giovanni, gentile e collaborativo come sempre, era andato a guardare ed aveva trovato davvero strano che la collega faticasse a capire cose che a suo parere erano semplicissime. Addirittura anziché digitare lei un determinato codice si era alzata dalla sedia dicendogli: “Scusa ma oggi faccio fatica a capire, ti spiace se mi fai vedere tu?”, cedendogli la sedia perché Giovanni potesse operare direttamente.
Come colpita da una immediata illuminazione della mente, appena Giovanni si era seduto, lei aveva esclamato “Mi sa che ho capito, aspetta. Devo inserire il codice qui, vero?” e parlando si era chinata in avanti, aveva preso con la sua mano quella di Giovanni che aveva appena impugnato il mouse, il suo seno aveva più premuto che sfiorato la spalla dell'uomo che aveva respirato il buon profumo di lei.
Il problema per il quale Giovanni era stato chiamato era stato già risolto, ma ne era sorto un altro: Giovanni aveva cominciato a sudare in maniera incredibile, al punto che la sua fronte era imperlata di goccioline, le sue gote avevano cambiato rapidamente tonalità di colore, dal naturale, al pallido, al rosso infuocato per impallidire di nuovo.
Elena deliberatamente aveva continuato a tenere la sua mano su quella di Giovanni e aveva premuto ancora di più il suo seno contro l'uomo, esclamando:- “Ma che hai? Tu scotti!”
Giovanni, come persona presa dal panico, si era alzato, allontanato, diretto all'attaccapanni, afferrato il soprabito e infilandoselo disse con voce concitata:- “Sì, credo proprio di avere la febbre oggi. Scusami ma io vado via, vado a casa”. Presa la sua borsa-cartella era scappato via lasciando Elena stupita ed interdetta.

Occorre dire che, Giovanni , a differenza della maggior parte degli uomini, e si parla di maschi etero, di fronte alle belle donne non solo non riusciva ad eccitarsi ma, al contrario più erano belle, più si sentiva in forte disagio.
Elena era alta, slanciata, vitino stretto, bei fianchi, culo meravigliosamente sagomato, seno generoso ma non esageratamente, che stava su anche senza indumenti di sostenimento. Anche il suo volto era particolarmente attraente: occhi chiari e labbra carnose, capelli lunghi e biondi che si divertiva a pettinare in modo diverso anche nell'arco della stessa giornata. Li poteva tenere in una treccia morbida, o scioglierli per farli cadere in libertà sulle spalle, oppure raccoglierli in una coda di cavallo o, ancora attorcigliare questa coda e tenerla con una forcina.
Era così bella che, secondo Giovanni, sbagliava a valorizzarsi ulteriormente indossando tacchi esili ed alti, gonne corte ed aderenti, camicette generosamente scollate.
Tutti gli altri colleghi sporgevano gli occhi quasi fuori dalle orbite quando guardavano Elena, solo lui, Giovanni, pensava che quell'esporre e valorizzare la già rilevante bellezza rendeva la donna volgare. Ovviamente si guardava bene dal dirlo, conscio che sarebbe stato deriso da tutti, però lo pensava e -secondo lui- era “la volgarità” di Elena a disgustarlo non la sua innegabile bellezza a procurargli effetti opposti all'eccitazione, una specie di ritrazione del pene.
Lo stesso effetto comunque gli capitava anche al cospetto di altre donne di particolare bellezza. C'era in lui un qualcosa che lo faceva sentire come maschio inadeguato per le troppo belle, uno non all'altezza, uno senza possibilità di poter piacere a quel tipo di donne che lui definiva “troppo donne”.
Giovanni non era né misogino, né gay, anzi. Andava in visibilio per le donne di bassa statura e mingherline ed apprezzava molto la mentalità femminile.
Godeva addirittura la fama di essere un dongiovanni, di certo non si faceva mancare le donne, né per mera compagnia, anzi preferiva le amicizie femminili a quelle maschili, né per avere con loro rapporti sentimentali poco impegnativi in quanto poco propenso al matrimonio, né per condurre una vita sessuale normale, forse più che appagante rispetto ad altri scapoli della sua età.
Però le donne troppo belle lo intimidivano, lo intimorivano, lo condizionavano, ed Elena era bella, troppo bella e, purtroppo per lui, condividevano lo stesso ufficio, con l'invidia di tutti gli altri colleghi maschi e con suo gran tormento.
Elena, come tutte le donne belle consapevoli di essere tali, alla lunga aveva fatto l'abitudine sia agli sguardi languidi che a quelli quasi concupiscenti dei vari uomini, ne era pure lusingata ma in fondo, in fondo ci si era abituata. Di fronte ai vari salamelecchi, ai complimenti, anche a qualche mano morta dei colleghi ormai aveva imparato come trattare ognuno per tenerli alla dovuta distanza di buon cameratismo concedendo, e non a tutti, poche e non eccessive confidenze.
Quello che la faceva rodere era la freddezza di Giovanni nie suoi confronti. Era un bel ragazzo Giovanni, simpatico di carattere, intelligente, collaborativo come collega di lavoro, ma freddo nei suoi confronti. Elena sapeva pure che gli piaceva correre volentieri dietro alle sottane ma ignorando, come tutti gli altri, quale fosse la tipologia femminile che lo attizzava, non riusciva a capacitarsi come mai ignorasse lei, proprio lei che lavorava nella stessa stanza, spesso condividendo lo stesso lavoro. Mai un complimento, una parola carina, mai uno sguardo nella sua scollatura o alle sue gambe, eppure lei ne faceva di tutte per farsi notare e per provocarlo, per mera vanità femminile, per conquistare una sbirciata ai suoi seni o al suo lato B da quegli occhi. Si apriva la camicetta un bottone più del necessario, accavallava frequentemente le gambe, si chinava in maniera esagerata, a volte si stiracchiava persino pur di farsi notare, senza mai ottenere neppure un mezzo sorriso. Niente assolutamente. Anche il problema per il quale aveva chiesto aiuto a Giovanni era inesistente, era stata solo una scusa per stuzzicare il collega carino e troppo per benino verso di lei. Non poteva immaginare che il povero Giovani, a fronte delle sue esibizioni. soffriva invece di quel poco gradevole effetto di cui si è detto: l'antieccitazione.

=*=*=
Appena Elena gli aveva chiesto telefonicamente se per caso avesse visto dei particolari documenti, Giovanni aveva controllato dentro la sua borsa. Chissà come erano finiti tra le sue carte: erano nella borsa che lui aveva portato via.
Il suo malore ormai era sparito. Subito era andato a portare i documenti alla collega, precipitosamente. In un baleno era arrivato a casa di Elena. Nonostante i lampioni del viale fossero spenti (forse per un guasto al solo impianto di illuminazione pubblica dato che alcune finestre delle case errano illuminate) era riuscito ad individuare il pulsante del campanello ed aveva pigiato. Senza neppure chiedere chi fosse, come se lo stesse aspettando, Elena gli aveva aperto la porta e l'aveva fatto entrare. Aveva aperto tenendosi con il corpo nascosto dietro l'anta girevole, sporgendo solo il capo per vedere chi aveva suonato e, visto Giovanni, gli aveva semplicemente detto “Entra”.
Appena richiusa la porta Elena era apparsa a figura intera agli occhi di Giovanni.
Che visione! Che abbigliamento! Ammesso che si potesse definire abbigliamento quello che Elena aveva sul corpo.
Calzava stivali in pelle o nappa, neri, lunghi fin sopra il ginocchio, con tacchi altissimi; portava otto anelli, uno per ogni dita della mano diversi dai pollici e poi... difficile da dire il resto. Aveva una specie di tanga di pelle nera o forse solo un triangolo bordato da occhielli metallici, di nappa sul pube; più che un vero reggiseno una specie di sostenitore delle tette, sempre in pelle, con bordi chiodati e poi, poi nient'altro che stringhe di cuoio nere, tante stringe, infinite stringhe. Stringhe che passavano negli occhielli del “tanga” e avvolgevano i fianchi, facendo da sostegno al copri figa; stringhe che sostenevano il “reggi tette” chiodato passando dietro al collo, stringhe che tenevano i capelli di Elena raccolti in una coda di cavallo, stringhe avvolte a spirale attorno alle braccia nude, altre attorno alle cosce e persino stringhe tenute nelle mani, penzoloni. Potevano essere ancora da sistemare attorno al corpo di lei o, hai visto mai, da usare come scudisci sul corpo di Giovanni, allibito da quella visione.
Con voce autorevole Elena lo aveva scosso impartendogli quasi un ordine più che un invito: “Che fai lì impalato? Dai, vieni!” e lo aveva preceduto dirigendosi verso una delle tante porte. Che fianchi, che culo, che passo lanciato.
“Dai, vieni” gli aveva ripetuto appena oltre la porta, quando giunti in camera da letto lei si era seduta sul bordo, a cosce divaricate.
Giovanni aveva esitato un attimo e quella con tono autoritario “Vieni, ho detto”.
Giovanni aveva mosso un passo ed Elena lo aveva bloccato, alzando una delle due gambe, arrivando a poggiare il lungo tacco dello stivale sul basso ventre dell'uomo, in posizione che avrebbe potuto essere anche pericolosa. Sempre con voce dai toni decisi aveva ordinato: “Non sul letto, ai miei piedi devi inginocchiarti. Giù, svelto, o spingo il tacco”.
Giovanni aveva assecondato la perentoria richiesta ed Elena gli aveva portato alla bocca la punta dello stivale. L'odore della pelle aveva invaso le narici dell'uomo. Elena non aveva chiesto ma aveva imposto con i movimenti il suo stivale alla bocca di Giovanni che aveva cominciato a leccare la pelle nera dall'odore aromatico. Aveva sostenuto con le sue mani la gamba, tenendola dall'altezza del polpaccio e alzato le palpebre appena Elena gli aveva ordinato: “Guardarmi”.
Gli occhi di Elena lo avevano intimidito e le palpebre si erano riabbassate così la visione era andata tra le cosce di Elena dove una mano della donna si dilettava a giocherellare.
“Che stupido che sei” aveva detto Elena “ Lecchi gli stivali quando quassù c'è una pietanza ben più appetitosa” e le sue dita inanellate avevano spostato lo striminzito pezzettino di pelle nera facendo vedere parzialmente la figa ben depilata e avanzando con le dita anche fra le labbra parzialmente scoperte.
Giovanni, strisciando sulle ginocchia era avanzato verso quell'appetitosa visione, ponendosi la gamba che stava coccolando su una spalla, mentre Elena gli poneva sull'altra spalla quell'altra gamba. Avrebbe potuto già portare la lingua la dove lavoravano le dita di Elena ma costei ponendo la mano libera sulla spalla dell'uomo lo aveva bloccato dicendogli: “prima devi liberarla da tutti i lacci, dai scioglili, trova i nodi, slegali”
Che lavoro complicato era stato, ma era stato anche di eccitante al massimo anche perr gli indicibili movimenti di bacino che Elena aveva fatto, aveva dovuto fare, per far scorrere nri fori botchiati i vari lacci snodati da Giovanni man mano che li aveva districati, tirati, fatti scorrere dentro gli occhielli metallici.
Finalmente Giovanni era giunto a poter rimuovere quel piccolo triangolino di pelle. Elena aveva allargato di più le gambe e, afferrandolo per le spalle, aveva tirato energicamente il capo di Giovanni sulla sua figa già umida, sollecitando l'uomo a leccargliela. Era lei che tenendo la testa dell'uomo per i capelli condizionava e dirigeva i movimenti, incitandolo non più con voce autoritaria ma passionale: “dai, dai, così, così, sì così..” e sbatacchiava la testa dell'uomo tra le sue cosce.

=*=*=
Agitando il capo energicamente Giovanni aveva finito con sbatterla conto la testata del letto e si era svegliato di colpo. Era stato tutto un sogno, fatto quando si era messo a letto dopo essere scappato, tutto sudato, dall'ufficio perché la bellezza di Elena l'aveva fatto star male.
Più che badare al dolore per la botta data con la testa Giovanni dovette correre a cambiarsi: nel sogno si era bagnato eiaculando.
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