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Un'imboscata finita male - 1

10.03.2025 |
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"Una banca del piscio e della merda! imprecò esasperato, dandoci un altro scrollone..."
Il prof. Armodio Scamorzi entrò in classe a occhi bassi, quasi un condannato che si avviasse al patibolo. Ma il prof. Armodio sapeva di essere ormai un condannato e sapeva che quella era la porta del suo personale supplizio. Insegnava latino e greco nel rispettabile liceo classico Valerio Catullo di ***, dove si erano formate le migliori menti della città e oserei dire del Paese, tenendo presente il gran numero di professionisti e politici che nel corso degli anni erano venuti fuori da quelle mura di cultura e… e forse anche di altre cose meno nobili.Il prof. Armodio si chiuse la porta alle spalle e si avviò a testa bassa verso la cattedra, accompagnato dal silenzio dei suoi studenti, un silenzio sotto il quale sentiva però serpeggiare come un risolino di scherno, un ghigno perverso: se lo sentiva scorrere sulla pelle come una goccia di sudore freddo.
Arrivato alla cattedra, poggiò la borsa sul tavolo e si sedette. Sollevò un attimo il volto:
“Buongiorno, ragazzi.”, mormorò.
“Buongiorno, prof.”, risposero quelli all’ unisono, cominciando a tirar fuori il testo di letteratura latina.
Mentre apriva il registro di classe per firmare le sue ore, il prof. Armodio si rese conto che i due mancavano, i loro banchi erano vuoti. Un’ondata di sollievo lo travolse e col sorriso tornatogli sulle labbra:
“Ragazzi, oggi parleremo della pax augustea…”, e quale giorno migliore di questo per parlarne?
“La battaglia di Azio e la morte provvidenziale di Antonio, posero fine, come sapete…”
Fu interrotto da un discreto bussare. Non fece in tempo a dire “Avanti”, che la porta si spalancò e i due apparvero, atteggiando un’aria compunta e mortificata chiaramente falsa.
“Ci scusi, professore…” cominciò uno dei due, inventandosi un possibile pretesto per il ritardo.
Il prof. finse di crederci e fece loro un cenno rassegnato di entrare e andare ai loro posti. Quelli se la presero comoda, lanciando occhiate in giro e strizzatine d’occhio alle compagne più fighette, assieme a muti messaggi e cenni segreti. Il prof Armodio dovette ammettere in tutta onestà che, se erano dei gran rompicoglioni, quei due erano anche due gran strippacazzi: pochi, come loro, gli avevano fatto fumare il cervello di libidine.
Intendiamoci, il prof Armodio non nutriva nessun interesse di quel tipo per i suoi studenti: a lui piacevano i Maschi con la M maiuscola, Maschi maturi, trentenni, quarantenni, capaci di metterti sotto e galopparti a pelo fino allo sfinimento. Ma questi due… Avevano un paio di anni più degli altri, avendo ripetuto diverse volte, ed erano un gentile regalo della collega Fiorini… o forse una vendetta nei suoi confronti per non aver voluto portarsela a letto, chissà. Il guaio è che adesso ce li aveva sul groppone lui, questi due diciannovenni cresciuti più della loro età, questi due delinquentelli, cinici, indisciplinati… boni da morire! Uno, Ferdy Rovelli, biondo, barbetta rada e faccia da intellettualino di buona famiglia; l’altro, Curzio Baldelli, rosso malpelo, carnagione candida completamente ricoperta di efelidi e due occhi penetranti, che sembravano scavarti nella mente. Entrambi sessualmente maturi e navigati, considerando il giro di ragazzine che avevano in tutte le classi del liceo. Il guaio è che non avevano nessuna voglia di studiare e ce l’avevano col professore, perché li teneva sempre sotto, li tartassava di interrogazioni, sempre severo con loro.
In realtà il poveraccio ormai quarantenne era semplicemente e irrimediabilmente cotto di quei due teppistelli: li teneva sempre ai primi banchi con la scusa di controllarli meglio, visto che disturbavano parecchio, ma in realtà per potergli sbirciare in mezzo alle gambe, quei loro pacchi così rilevanti sotto i pantaloni, che sembrava se li imbottissero apposta… Si chiedeva spesso il prof. Scamorzi cosa nascondessero dentro le mutande e un giorno che Rosso Malpelo aveva cominciato a lisciarselo, il vecchio prof aveva perso il filo del discorso, e non era stato più in grado di portare avanti la lezione, allorché aveva avuto l’impressione che quello si stesse lisciando l’uccello duro!
I due gli passarono davanti per raggiungere il loro posto. Si sedettero con voluta flemma, tirarono fuori il testo di letteratura latina e, mentre fingeva di cercare il capitolo giusto, Curzio si era sprimacciato con cura in mezzo alle gambe, leccandosi le belle labbra carnose con la punta della lingua, prima che si atteggiassero ad un crudele sorriso; il tutto sotto l’attenta regia del Biondino, che lo fissava ostentatamente e con studiata lentezza apriva e chiudeva le lunghe gambe. Il prof Armodio stava cercando di riprendere il discorso sulla pax augustea e sulla fioritura della letteratura e delle arti che ne era seguita, quando l’occhio gli corse alla convergenza delle gambe di Biondino, proprio nel momento in cui le divaricava, ed ebbe così modo di scorgere, un largo squarcio lungo la cucitura del cavallo, uno squarcio da cui faceva capolino il roseo pelosetto di un grosso coglione. La pax augustea andò a farsi benedire: la rabbia, l’esasperazione, l’eccitazione repressa gli procurarono un mezzo infarto. Respirò a fondo, cercando di calmarsi, mentre i due continuavano il loro teatrino.
Come Dio volle, le due ore di lezione ebbero termine: il prof uscì dall’aula, lasciò la borsa in sala insegnanti e raggiunse i gabinetti, colto da un improvviso bisogno di pisciare. Entrò in un box, si tirò fuori l’uccello indolenzito per la pressione psicologica a cui era stato sottoposto e aspettò. Ma rivedeva nella sua testa il lembo di pelle roseo e peloso dello scroto del Biondino, lo rivedeva infilarsi con noncuranza due dita nello strappo dei pantaloni, ravanarci dentro e portarsele poi con altrettanta noncuranza al naso per annusarle… rivedeva la perfida manovra di Rosso Malpelo che si carezzava il pacco leccandosi le labbra, e sentiva l’eccitazione crescere sempre di più nel suo sangue, finché si impugnò il cazzo semi turgido e cominciò con foga a farsi una sega.
“Eccola qui, questa vecchia checca che si fa le seghe pensando ai nostri cazzi.”, sentì dire da una voce maligna alle sue spalle.
Si voltò di scatto: nello stato d’animo in cui si trovava, si era dimenticato di chiudere a chiave la porta del box e ora c’erano i suoi due idoli, i suoi torturatori che lo osservavano ghignando, ed entravano, serrando la porta.
“Cosa volete?”, balbettò.
“No, prof, - disse il Biondino dalla faccia angelica – il problema è “lei” cosa vuole!” “Secondo me, è questo che vuole.”, ghignò Rosso Malpelo, afferrandosi una manata di pacco e ostentandolo oscenamente.
Ferdy, il biondino si tirò giù la lampo dei pantaloni:
“Hai, ragione, - disse – guardalo come sbava… È questo che vuoi, vero vecchia troia?”, e affondò la mano nella patta aperta, tirandone fuori un cazzo turgido e scappellato, che riempì subito l’angusto box di un afrore pungente.
Il professor Armodio boccheggiava, sopraffatto dall’eccitazione, ma anche dalla paura di cosa avessero in mente di fargli quei due, nonché dal terrore che potesse sopraggiungere qualche collega.
“Credi che non ci siamo accorti di come ci guardi?”, proseguì il biondino, facendo un passo avanti.
“No… no… Uscite, non potete stare qua. Questo è il bagno dei professori”, balbettò il prof, arretrando fino a sbattere col retro della gamba alla tazza del cesso e cadendoci a sedere sopra.
Nel frattempo, anche Curzio, il rosso malpelo, se lo era tirato fuori e lo aveva impugnato, scappellandolo.
“È il cazzo che ti piace, vecchio porco, lo sappiamo! – ghignò – È il nostro cazzo che vuoi…”, e fece un passo avanti, avvicinandoglielo alla bocca.
Il povero professore li fissava come ammaliato.
“Dai, prof, - sibilò diabolicamente Rosso Malpelo – se ci togli qualche nota te lo facciamo succhiare… Eh, che ne dici? Guardali che belli… i cazzi freschi dei tuoi studenti preferiti… i cazzi gustosi di due adolescenti… Dai, prof, facci vedere se sei più bravo tu a tirare pompini o quelle puttanelle nostre amichette”
“Quando mai hai avuto un’offerta così gustosa, prof.? – intervenne Ferdy – Ho visto come ti sei eccitato quando mi sono annusato le dita… c’era sopra l’odore dei miei coglioni, sentilo al naturale, adesso, senti che buon profumo ha il cazzo di un adolescente!” e glielo spingeva sotto il naso.
“Annusa, prof, annusa il profumo di un vero cazzo.”
“Dai succhiacelo, troia bocchinara… succhiacelo!”
Il professore non capiva più niente, stravolto da quanto stava succedendo, ma nello stesso tempo eccitato, ubriacato dall’afrore pesante di quelle cappelle così maledettamente carnose, rosee, sbrodate…
Infine, la diga si infranse: con un gemito animalesco l’uomo afferrò i due cazzi, che gli venivano offerti, e li tirò a sé, baciandoli, strofinandoseli sulla faccia, leccandoli avidamente, ora l’uno, ora l’altro. Infine, con un mugolio libidinoso si piantò in gola il cazzo di Rosso Malpelo fino all’attaccatura delle palle. Curzio glielo spinse ancora più dentro, poi cominciò a fotterlo in bocca con tutta la sua adolescenziale energia e ben presto il suo ciuffo pubico fu impregnato della saliva che colava dalla bocca del suo professore ad ogni colpo. Il Biondino faccia d’angelo osservava allupato.
“Dai, cazzo, sborragli in bocca, non ce la faccio più… mi scappa pure da pisciare!”
“Pisciami sul cazzo, mentre gli fotto la bocca…”, ansimò Rosso malpelo, ormai fuori di testa pure lui.
Ferdy non se lo fece ripetere e diresse un getto poderoso di piscio giallo e caldissimo sul cazzo dell’amico, che in quel momento sborrò in bocca al prof con un grugnito profondo. Tirò allora fuori il cazzo tuttora colante per far posto all’amico, che non aveva ancora finito di pisciare, così che il pover’uomo si ritrovò a trangugiare insieme il piscio dell’uno e la sborra dell’altro. Il Biondino fu più rapido a venire, ma la sua produzione non fu meno abbondante e saporita.
Una volta finito, i due si ricomposero.
“Che ne facciamo di questa vecchia checca?”, disse il Rosso.
“Chiudiamolo qui dentro, - suggerì il biondino – ci sarà da ridere quando lo trovano.”
“No, per favore, - piagnucolò il prof – devo andare a casa…”
“Non ce ne fotte un cazzo! - disse seccamente Ferdy – ti chiudiamo nel cesso, perché questo è il posto giusto per un porco depravato come te. E chissà che non arriva qualche tuo collega a farti il culo!”
“Aspetta, - intervenne Rosso Malpelo – togliamogli i vestiti, così lo trovano già bello pronto.”
Senza pensarci due volte, mentre Curzio lo teneva immobilizzato per le braccia, l’altro gli slacciò i pantaloni e glieli tirò via assieme alle mutande. Subito dopo gli tolsero anche la giacca e la camicia, ne fecero un involto e se ne andarono, lasciandolo raggomitolato in un angolo, nudo come un verme. Uscendo, chiusero la porta dall’esterno, poi gettarono i vestiti del prof nel bidone dei rifiuti, e si allontanarono, sghignazzando.
Rimasto solo il povero professor Scamorzi cercò di forzare la porta, ma visto inutile ogni sforzo, sedette sul water e si dispose ad aspettare. Ma ad aspettare cosa? che arrivasse qualcuno e lo trovasse chiuso nel cesso in quelle condizioni? E quale scusa avrebbe potuto addurre? che gli scappava talmente tanto, che nella fretta si era tolto tutto e adesso non ricordava dove aveva buttato i vestiti? E la porta chiusa dall’esterno? Si sentì stringere il cuore da una morsa di gelo, mentre un sudore freddo gli scorreva lungo la schiena.
La sua carriera era sputtanata, la sua vita era finita…
Sentì suonare il campanello diverse volte, segno dell’avvicendarsi delle ore di lezione; sentì diverse persone entrare a fare i loro bisogni, ma per fortuna nessuno tentò di entrare nel suo box: almeno in questo la fortuna gli fu amica.
Poi, ci fu un momento di chiasso assordante, gli studenti che lasciavano l’edificio, concluse, a cui subentrò una calma irreale e un silenzio pesante.
E adesso che cazzo faccio? si chiese. L’unica era cercare di sfondare la porta, recuperare qualcosa da mettersi addosso e uscire in qualche modo dall’edificio. Alla peggio, poteva andarsene in biblioteca e far finta di essersi appisolato, mentre consultava qualche testo, e poi di essere rimasto chiuso dentro. Sì, poteva funzionare, ma bisognava uscire di lì.
Scrollò un paio di volte la porta, incurante del rumore che faceva, tanto non c’era nessuno che poteva sentirlo, ma fu inutile: quella maledetta porta era solida e resistente, neanche avesse dovuto difendere il caveau di una banca. Una banca del piscio e della merda! imprecò esasperato, dandoci un altro scrollone.
In quel momento, sentì aprirsi la porta. Qualcuno era entrato… aveva sentito le sue spallate?
“”Chi c’è?”, sentì chiedere da una voce maschia e profonda.
Occazzo! Era Tony, il bidello. Cercò di rimanere in silenzio, ma ormai era tardi: lo sentì chiedere ancora “C’è qualcuno?”, poi avvicinarsi ai box e aprire una porta dietro l’altra per guardare dentro. Arrivato al suo, Tony la trovò la porta chiusa dall’esterno.
“E questa perché è chiusa? – borbottò – ricordo bene che era aperta stamattina.”, e girò la chiave.
Il professor Scamorzi si sentì mancare, col cuore sull’orlo di un infarto.
La porta si aprì.
“Professor Scamorzi! – esclamò il bidello, sbarrando gli occhi – che ci fa qui?”
L’altro non rispose, col cuore che gli batteva a mille e la gola secca. Poi, facendosi forza per superare l’imbarazzo:
“Tony, - gracchiò – per favore, vedi se trovi in giro i miei vestiti…”
“Ma cosa le è successo?”
“Niente… I miei vestiti, per favore.”
“Come, niente, - disse Tony – ma si è visto come è ridotto?”
“Mi hanno teso un agguato… - gemette il prof – sono entrati all’improvviso e mi hanno…”
“Chi è stato… No, non me lo dica: lo immagino già. Sono stati quei due delinquenti di Curzio Baldelli e Ferdy Rovelli, ecco perché ridacchiavano quando li ho visti uscire… Pensavo che se la ridessero perché avevano usato il bagno degli insegnanti…”
“I miei vestiti, per favore…”, gemette l’uomo al ricordo di quanto gli era successo.
“Sì, certo. – disse il bidello, cercando intorno – Non vedo niente… ma non possono esserseli portati via…Ah, eccoli! – disse alla fine, tirando fuori un involto dal bidone dei rifiuti.
Si avvicinò al box; con un sospiro di sollievo il prof tese le mani per prenderli, ma l’altro si fermò a una certa distanza, guardandolo fisso con una strana luce negli occhi.
“A dire il vero, prof, - fece – mi chiedevo… già che ci siamo…”.
Con queste parole, depose l’involto degli abiti dentro un lavabo e si avvicinò, cominciando a sbottonarsi i pantaloni.
“No, per favore…”, gemette il professor Scamorzi al colmo dell’umiliazione.
“Su, faccia il bravo, - insistette il bidello – non c’è due senza tre. A quei due farabutti sì e a me, che l’ho salvata, no?”, e con queste parole si tirò fuori dalla patta una sleppa di cazzo già bello turgido, che scappellò del tutto, mentre lo avvicinava alla bocca del pover’uomo.
Che dire? Alla vista e all’odore di quel magnifico cazzo in calore… Perché bisogna dirlo: oltre a essere un discreto giovanotto, il bidello era fornito di un nerchione da leccarsi i baffi. Alla vista e all’odore dell’organo bidellare, dicevamo, la troia che albergava nell’abisso del suo animo non seppe resistere e, leccandosi le labbra, il professor Scamorzi, agguantò il turgido nerchione del bidello e, tirata fuori la lingua, cominciò a slinguazzare la cappella sbavata, raccogliendone tutto il sugo.
“Cazzo, professore!”, gemette il bidello, sentendosi risucchiare per intero in quell’avida bocca.
Quello che seguì fu uno dei più fantasmagorici pompini che il bidello avesse mai avuto, tant’è che, quando fu il momento, ebbe la sensazione che gli si rovesciassero fuori pure le palle: fu un orgasmo talmente parossistico, che sul più bello il cazzo sfuggì dalla bocca del professore, sbrodolandogli buona parte del carico sulla faccia e perfino fra i capelli.
“Accidenti, professore, - balbettò Tony, rimettendosi il cazzo spompato nei pantaloni – lei è una vera forza della natura.”
“Anche tu non scherzi.”, fece l’altro, leccandosi le labbra.
Quindi, si rialzò a fatica, si avvicinò ad un lavabo e si sciacquò la faccia.
“Tony… - disse, poi, mentre si rivestiva – ti prego…”
“Non si preoccupi, prof, - fece l’altro, con l’atto di chiudersi le labbra con una cerniera – e non si preoccupi neanche di quei due delinquenti, ché ci penso io a loro. Venga, l’accompagno alla porta.”
(continua)
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