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Gay & Bisex

Stupenda creatura - 2


di adad
02.05.2023    |    5.823    |    5 9.6
"Ma nel corso della serata, guardandolo negli occhi, ascoltando la sua voce, respirando il suo profumo, aveva cominciato a rendersi conto che non era solo..."
Qualcuno si meraviglierà della naturalezza con cui si succedettero gli eventi quella notte e penserà che la vicenda, che vado raccontando, sia del tutto priva di senso logico. Voglio dire, dove si sono mai viste due persone che si conoscono e un paio d’ore dopo sono lì che si rotolano di notte su un prato? due uomini, per giunta, e in una società così intrisa di pregiudizi e di convenienze sociali, come quella inglese, in cui si rischiava nella migliore delle ipotesi la prigione, oltre allo scandalo, nel caso si venisse sorpresi a commettere atti contro natura.
A prima vista, certo, potrebbe sembrare del tutto illogico; ma a chi non è successo di conoscere qualcuno e di sentirsene subito attratto e così profondamente, da ritrovarsi, dopo poco, con l’anima a nudo davanti a lui, o a lei? Sentimenti e desideri, di solito si nascosti nel profondo dell’anima, vengono svelati senza timore, anzi con la consapevolezza che saranno accolti favorevolmente e senza pregiudizi. Questo era quanto era successo, appunto, al Commodoro e al giovane duca, che appena di fronte l’uno all’altro, avevano avvertito quella affinità spirituale, quella comunità di intenti, che non solo li aveva fatti sentire in perfetta sintonia, ma soprattutto aveva dato loro la certezza di potersi fidare incondizionatamente l’uno dell’altro.
E adesso erano lì, i corpi avvinti, i cazzi frementi, le lingue guizzanti, immemori di tutto, intenti solo a scoprire e gustare l’uno le dolcezze dell’altro. Ma le scoperte più interessanti, in quelle situazioni, è su noi stessi che spesso le facciamo e quanto più sono inaspettate, tanto più sono straordinarie ed appaganti
Prendiamo il Commodoro: è indubbio che sull’immediato era stata la bellezza del giovane duca ad attirarlo, quella bellezza che aveva fatto sorgere in lui il desiderio immediato di portarselo a letto, come era successo in tanti altri casi e con tanti altri giovani.
Ma nel corso della serata, guardandolo negli occhi, ascoltando la sua voce, respirando il suo profumo, aveva cominciato a rendersi conto che non era solo “quello” che voleva, che c’erano altre cose che il semplice appagamento del cazzo non poteva dargli. Quali altre cose? ancora non lo sapeva neanche lui, ma c’erano, ed era stata questa scoperta che, in un empito di tenerezza, lo aveva portato a dire quella frase forse banale per un altro, ma vera e struggente per lui: “Vorrei poter cancellare tutti i miei trascorsi, per potermi presentare vergine di cuore davanti a voi.” Perché già sentiva che il giovane duca rappresentava in un certo qual modo la sua seconda occasione di vita.
Il quale giovane duca, dal canto suo, del tutto inconsapevole ancora dei mutamenti che avvenivano nel cuore del compagno, era immemore di tutto, intento solo a godersi quel momento così nuovo e così entusiasmante per lui.
Il bacio era stata una scoperta di cui faticava ancora a capacitarsi e di cui sembrava non saziarsi mai. Le sue labbra erano incollate a quelle del Commodoro, la sua lingua gli saettava nella bocca, si avvolgeva a quella dell’amico e ne assaporava la dolcezza, prima di risucchiarla nella sua bocca in un gioco senza fine.
Intanto, brividi di piacere lo percorrevano, lo straziavano e ad un certo punto:
“Oh, mio Dio!...”, gemette, mentre tutta la tensione accumulata in lui scoppiava
senza più freni.
“Cos’avete?”, gli chiese il Commodoro, sentendolo tremare.
“Sono venuto…”, esclamò il giovane, coprendosi di un rossore che nessuno però era in gradi di vedere.
“Ah, ragazzaccio! Siete venuto senza dirmi niente! – scattò il Commodoro – Fatemi vedere, fatemi vedere, prima che sia troppo tardi.”, e, spintolo di lato, gli slacciò i pantaloni e gli sciolse in fretta i lacci delle mutande fradicie, aprendone le falde.
L’afrore penetrante dello sperma appena versato gli raggiunse le narici, ma lui lo respirò a pieni polmoni, con evidente apprezzamento.
“Meraviglioso l’aroma del seme di un giovane…”, mormorò estasiato, prima di chinarsi, sollevare con due dita il tarellone ancora semiduro del duca e ingoiarlo, sbrodato di sperma com’era.
Ancora scombussolato dall’orgasmo inatteso, lord Marvin lo fu ancora di più, quando si accorse, più che vedere, che il Commodoro ingoiava in suo cazzo, nonostante la sporcizia che lo imbrodava, e lo veniva pulendo, mulinandoci attorno la lingua e risucchiando il succo residuo.
“Cosa fate?”, balbettò, schifato.
“Rimedio al pasticcio che avete combinato.”, rispose l’altro, fingendo un tono di rimprovero e accingendosi a leccare l’addome pelosetto, là dove appariva maggiormente bagnato.
“Non fatelo più… - lo ammonì dopo – Avvertitemi quando…”, e lo strinse a sé, cercando di baciarlo.
Ma il duca voltò la faccia.
“No… - disse in un soffio – avete…”, e si arrestò.
“Leccato il vostro seme? – sorrise Lord Cecil – Amico mio, quello è il vostro succo vitale, è il dono più prezioso, più dolce, che si possa fare ad un amante nel momento dell’estasi amorosa.”
Il buio impediva al Commodoro di vedere il disgusto dipinto sul volto del giovane duca; fu per questo che cercò ancora una volta di baciarlo e ancora una volta l’altro si scostò. Ma lui non demorse: gli strinse la testa fra le palme delle mani e, tenendolo forte, gli poggiò la bocca sulle labbra e spinse dentro la lingua.
Il giovane recalcitrò, si dibatté, cercando di liberarsi, serrò le labbra e i denti, disgustato dal sentore dello sperma che gli avvertiva sulla lingua. Ma è difficile sottrarsi all’ardore di un amante infervorato: a poco a poco, via via che il nuovo sapore, filtrando attraverso i denti serrati, gli si assuefaceva in bocca, la sua resistenza diminuì; finché fra i denti si aprì uno spiraglio e la lingua del Commodoro gli scivolò intera nel cavo orale, prendendone possesso.
La resa fu immediata: Lord Marvin sembrò apprezzare quei nuovi sapori e, sparito lo sconcerto iniziale, il sangue tornò a fluire turbolento nelle sue vene giovanili. Il cazzo gli si tornò a inalberare ed essendo ora libero dalla costrizione degli abiti, poté non solo svettare solido e gagliardo, ma offrirsi docile, e ben presto entusiasta, alla mano del Commodoro, alla sua presa ruvida, alle carezze sempre più spudorate.
Dopo poco, il Commodoro se lo tirò addosso, gli calò pantaloni e mutande sotto le natiche e prese a pastrugnargli a piene mani le chiappe sode, impastandole e
carezzandole con una foga e una passione che non avevano eguali. Avrebbe
voluto spingere le dita a fondo nello spacco, vellicargli il buchetto, di cui con i polpastrelli avvertiva la presenza, ma era consapevole che non doveva osare troppo in questo primo approccio: il duca non era uno dei ragazzi che era solito portarsi a letto, ragazzi per lo più di strada e già rotti ad ogni esperienza.
Rotolando sul mantello, che fortunatamente assorbiva l’umidità del prato, il Commodoro lo fece adagiare supino e dopo alcune carezze focose al cazzo e allo scroto nuovamente gonfio, si chinò a leccargli la cappella, libera dal prepuzio e sbavata di miele untuoso. E a deliziarlo stavolta non fu soltanto il sapore amarognolo del liquido prespermatico, che spurgava copioso, ma fu soprattutto l’accettazione da parte di Marvin e l’evidente piacere che ne provava.
Del resto, deve ancora nascere il maschietto che rimarrebbe indifferente, nel momento in cui si sente risucchiare il cazzo in una bocca calda e vogliosa. Io credo che anche l’essere più frigido di questo mondo si arrenderebbe ad un pompino appassionato.
E Lord Marvin non era per nulla un ragazzo frigido, era solo prigioniero di una rigida educazione puritana: ma come le mura di Gerico caddero sotto gli squilli delle trombe di Giosuè, così le difese di Marvin si polverizzarono ai colpi di lingua e ai risucchi del Lord Commodoro.
Il giovane si arrese al piacere, lo desiderò, ne volle ancora di più. Con ogni fibra del suo corpo, che urlava, che smaniava via via che si svegliava a quelle nuove sensazioni, Marvin afferrò una mano del Commodoro e prese a passarsela spasmodicamente sul ventre ancora umido; l’altro, allora, interrotto il succhiaggio, gli sbottonò il panciotto e la camicia, scoprì il petto e ci si fiondò sopra, baciando e leccando ogni pollice di quella pelle vellutata, di quei muscoli sodi. Quando giunse ai capezzoli, il Commodoro perse letteralmente la testa e prese a morderli e a succhiarli come un poppante, beandosi dei guaiti, dei gemiti, dei sospiri di piacere e di dolore, che suscitava nell’altro.
Lo leccò e baciò fin nell’incavo del collo; poi riprese la marcia verso il basso, verso l’ombelico incavato, dove frugò con la punta della lingua alla ricerca di sapori segreti, fino al ciuffo del pube, in cui affondò il naso, respirandone i mille profumi, fino al cazzo snudato, che riprese a succhiare, con passione ancora maggiore.
Marvin era ormai perso in un delirio di piaceri finora sconosciuti, e si torceva, gemeva, sospirava talmente forte, che fu davvero per la protezione delle creature dei boschi, se non attirarono l’attenzione di nessuno, guardie o malintenzionati che fossero.
Poi, Marvin cominciò a sentirsi tutto un rimescolio nelle parti passe, avvertì distintamente le fibre dello scroto che si incordavano, pronte a dare la spinta al seme di schizzar fuori… e sentì il seme premere sulla valvola di sfogo… si irrigidì, cercando di resistere, ma alla fine dovette arrendersi.
“Vengo, Milord…”, sguaiolò, mentre, con uno scatto, un primo fiotto di sperma gli percorreva rapido la grossa vena.
Lord Cecil lo sentì arrivare, prima ancora di realizzare cosa l’altro avesse detto, e
serrò le labbra alla base del glande, intenzionato stavolta a non perdersene
niente. E la schizzata giunse, spiaccicandoglisi fra lingua e palato, e lui la ingoiò in fretta, mentre ne giungeva una seconda, e poi una terza e una quarta, più debole. Diminuito il flusso, il Commodoro poté assaporare e gustare quel liquido generoso, prima di ingoiarlo.
Aspettò che l’emissione terminasse, che il cazzo cominciasse a smollarsi e solo quando fu del tutto molle, lo accompagnò con le labbra ad adagiarsi sul letto di peli umidi, dove lo lasciò a spurgare le ultime gocce.
Stette un momento immobile, poi sollevò lo sguardo verso il giovane duca che lo fissava con gli occhi sfavillanti e dopo un istante gli tese le braccia. Lord Cecil, si precipitò ad abbracciarlo, lo tenne stretto a lungo, mentre entrambi riprendevano fiato, poi ne cercò le labbra e Marvin stavolta non gliele rifiutò, anzi, sembrò quasi che fosse lui a cercarle per un nuovo bacio, lungo e assaporato, stavolta, come un calice di buon vino.
Ma se il giovane duca poteva permettersi queste dolci effusioni, essendosi la sua libidine scaricata per ben due volte, lo stesso non poteva dirsi del Commodoro, quanto mai pressato da un’urgenza ben maggiore di soddisfare i suoi sensi esasperati. Il cazzo gli si rivoltava nelle mutande e vomitava colate di siero, che erano arrivate a bagnargli il davanti dei pantaloni.
“Marvin…”, sospirò Lord Cecil, prendendogli la mano e portandosela all’inguine.
Il giovane strinse con un brivido il massiccio travetto, ma sembrava non sapesse cosa fare. In realtà, cosa fare lo sapeva bene e immaginava anche cosa l’altro si aspettasse; ma non riusciva a risolversi: era tutto così nuovo per lui…
Fu ancora una volta il Commodoro a rompere gli indugi:
“Tiralo fuori… - bisbigliò - tiralo fuori…”, e lui stesso prese ad armeggiare con lacci e bottoni, permettendo così al giovane di infilare la mano nel nido umido e bollente delle sue mutande e cavarne fuori il biscione congestionato e dolorante per la lunga erezione.
Marvin lo strinse in pugno col cuore che gli batteva a mille: era la prima volta che si trovava al cospetto di un cazzo altrui, la prima volta che lo teneva in mano e la cosa lo emozionava e lo sconvolgeva nello stesso tempo. Era stupefatto dalla forza che sprigionava quell’asta turgida, dal calore umidiccio della pelle… ma era l’afrore intenso che emanava a turbarlo, a coinvolgerlo, a dargli quella stretta allo stomaco. Attrazione e repulsione nello stesso tempo: questo era il dissidio da cui era straziato.
In particolare, a sconvolgerlo era il pensiero che l’altro si aspettasse lo stesso trattamento, che lui aveva ricevuto… che glielo prendesse in bocca e… La sola idea lo fece quasi vomitare.
“Milord… - mormorò allora – io…”
“Non preoccuparti, - rispose il Commodoro, intuendo il suo dilemma – fallo con le mani.”
Marvin si sentì sollevato: sì, questo poteva farlo. E infatti, con mano prima incerta, trovandosi a lavorare su un organo altrui, poi via via più sicura, a mano a mano che intuiva il ritmo giusto, l’impugnatura giusta, la giusta ampiezza della vogata, visto che ognuno di noi ha i propri. E infatti via via che la sua mano acquisiva esperienza, i gemiti del Commodoro si facevano più profondi, i suoi contorcimenti fuori controllo. Finché, in un improvviso raptus, afferrò la testa del giovane duca, la tirò a sé e cominciò a baciarlo con furia selvaggia. Nello stesso momento, Marvin sentì il suo cazzo che cominciava a vibragli nella mano come una biscia impazzita, mentre sventagliava nell’aria una spruzzata dopo l’altra di seme bollente.
Nonostante l’orgasmo in atto, Marvin continuò a pompare il cazzo eruttante del Commodoro, finché questi cominciò a torcersi e dibattersi, in preda alle convulsioni e finalmente, staccatosi dal bacio:
“Basta… basta…”, disse, afferrandogli la mano e ponendo fine a quella che era diventata ormai una tortura.
Rimasero lì, discinti e ansimanti, finché non ebbero ripreso un minimo di controllo.
“Sapete, Milord, dovreste essermi grato.”, disse il Commodoro, quando ripresero a chiacchierare civilmente.
“Per cosa?”, fece il duca con una punta di sospetto nella voce.
“Per avervi salvato dalla contessa di Hastings: - ridacchiò Lord Cecil – non immaginate quanto sia avida di carne giovanile e stava giusto correndo ad accalappiarvi, quando vi ho intercettato, al ballo.”
“Beh, non credo che sia l’unica persona avida di carne giovanile, - rispose il duca in tono allusivo – e credo anche che non mi abbiate intercettato per caso, al ballo.”
Il Commodoro scoppiò a ridere, vedendosi scoperto.
“Ero sulla loggia, quando l’ho vista dirigersi verso di voi… Mi sono scapicollato giù dalle scale, per arrivare primo. Non potevo permettere che infilasse il vostro gioiello nella sua bocca sdentata.”
“Peccato che non mi sono accorto di niente: sarebbe stato divertente assistere alla vostra gara.”
Si accorsero che il cielo cominciava a schiarirsi verso oriente, allora si risistemarono alla meglio e, ben avvolti nei mantelli, onde nascondere la devastazione dei loro abiti, tornarono sulla strada e si avviarono all’uscita dei Giardini.
“Credo che sarebbe meglio se veniste da me a darvi una ripulita, - disse il Commodoro – cosa direbbe la vostra servitù, vedendovi rientrare all’alba, in queste condizioni?”
“E la vostra? Non vi preoccupate di quello che direbbe la vostra?”
Il Commodoro fece spallucce:
“Il mio maggiordomo è fidato e sa come sistemare le cose.”
Fermarono una carrozza, il Commodoro diede l’indirizzo di casa e salirono.
Andarono per un po’ in silenzio, uno accanto all’altro sullo stretto sedile.
“Finisce qui, Milord?”, chiese ad un tratto il giovane duca con voce esitante.
“Dipende da voi, - rispose l’altro, passandogli un braccio sulle spalle – volete che finisca qui?”
Marvin rimase a lungo assorto nei suoi pensieri.
“No, - disse alla fine – non lo voglio…non voglio che finisca qui.”, e gli si rincantucciò nell’incavo del braccio, chiudendo gli occhi.

FINE
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