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Cazzo di Ferro - 2


di adad
11.04.2024    |    8.651    |    9 10.0
"Per fortuna, indossava un sospensorio, così aveva il buco libero, senza doversi denudare del tutto: sapeva fin troppo bene quanto potesse essere..."
Ermanno continuava a succhiare e slurpare quel quell’uccello straordinario, lo scappellava del tutto per vellicarlo con la punta della lingua sotto la corona, poi lo ricopriva per scivolare sotto il prepuzio e gustare le sapide emissioni che le palle sovraeccitate continuavano ad emettere; incredulo e nello stesso tempo estasiato per il fatto di essere lì con in bocca quel cazzo così a lungo desiderato.
Ma non meno incredulo era Andrea che l’uccello fosse tornato inaspettatamente a tirargli, e per opera di un uomo, e non meno estasiato per il piacere che stava provando sotto gli abili tocchi di lingua e di labbra dell’amico.
Certo, pompini gliene avevano fatti all’infinito, ma nessuno in cuor suo se lo era goduto, come si stava godendo questo, sia pure con una punta di imbarazzo per via di chi glielo stava facendo.
Vampate di calore gli scorrevano lungo il cazzo, dalle palle alla punta del glande, procurandogli copiosi flussi di sugo presborratico; brividi gli contraevano i coglioni, facendogli fremere anche il buco del culo; fremiti gli si diffondevano incessanti per tutte le membra, sospiri gli sfuggivano dalle labbra dischiuse, mentre, con gli occhi chiusi, abbandonava la testa sullo schienale del divano. E il suo piacere si trasfondeva in Ermanno, facendolo godere del pari e stimolandolo nel contempo a dare il meglio di sé.
L’eccitazione, la lunga astinenza, la perizia del pompinaro messe assieme, fecero ben presto precipitare la situazione: d’un tratto Andrea ebbe la sensazione che le palle gli si gonfiassero a dismisura, per contrarsi subito dopo, mentre il seme premeva alla base dell’asta, pronto ad essere espulso.
Ebbe allora un lampo di lucidità.
“Vengo, Ermanno, vengo…”, gemette con voce strozzata, mentre si afferrava la base del cazzo per concludere da solo.
Ma l’altro non lo ascoltò e tenne le labbra serrate attorno alla base del glande, intanto che Andrea dava di sua mano gli ultimi colpi e con un grido e un senso di squassamento in tutto il corpo, iniziava a schizzargli nella bocca densi fiotti di sperma. E intanto che sborrava, Ermanno gli mulinava la lingua attorno alla cappella, facendolo spasimare.
Quando i sussulti del cazzo si spensero e il flusso si arrestò, senza staccare le labbra, Ermanno prese a deglutire l’enorme bocconata di seme, sentendoselo scorrere caldo e denso nella gola.
Seguì un lungo momento di silenzio, mentre Andrea riprendeva fiato ed Ermanno gli ripuliva a leccate la cappella congestionata.
“Gesù, che sborrata!”, sospirò.
“Ne avevi davvero parecchia, - biascicò l’altro con la bocca tuttora impastata – da quanto non venivi?”
“Non ricordo… saranno un paio di mesi, forse…”
“Capisco che ti sentivi depresso!”, ghignò l’amico.
Andrea si girò a guardarlo con un sorriso e uno sguardo riconoscente.
“Non riesco ancora a crederci…”, mormorò.
“Cosa?”
“Che me l’hai succhiato… proprio tu…”
“Beh, in qualche modo bisognava provare. E non credo che una sega sarebbe bastata a sbloccarti. Per certe cose, non c’è niente che funzioni meglio della bocca”
“Immagino che dovremmo sentirci un po’ imbarazzati, adesso.”, disse Andrea, rimettendosi nelle mutande l’uccello tuttora dritto, che sollevò il tessuto come il palo di una tenda.
“Sì, forse... Però, sono anche fiero di me: guarda lì!”, disse Ermanno, accennando alla prominenza sul davanti dei boxer.
Andrea se lo fissò a lungo.
“Non riesco ancora a crederci, - ripeté - mi tira di nuovo…”
“E sembra che non abbia alcuna voglia di smollarsi.”
“Lo sai che mi resta duro per ore, anche dopo che sono venuto…”
“Non per niente ti chiamano Cazzo di Ferro.”, lo interruppe l’amico, tornando a infilargli la mano sotto la sgambatura dei boxer fino a sfiorargli i coglioni.
“Sta fermo, dai.”, protestò, Andrea, cercando di allontanare quella mano importuna.
“Lasciamelo godere ancora un po’: in fondo, me lo merito.”
Andrea sospirò, abbandonandosi sullo schienale del divano con le mani dietro la nuca e divaricò leggermente le gambe. Un sorriso gli aleggiava sulle labbra, nonostante si fingesse seccato.
Ermanno seguitò, allora, a carezzargli le palle e la mazza incordata, poi gliela tirò fuori di nuovo dai boxer e riprese a leccarla, succhiando ogni tanto il glande, per raccogliere il seme che sgorgava.
Era lì che si godeva il saporoso giocattolo, quando sentì l’amico che si irrigidiva.
“Cos’hai? – gli chiese, vedendolo pallido e con gli occhi sbarrati – Ho fatto qualcosa che non dovevo?”
“Mi è appena venuto in mente…”, rispose l’altro con una certa esitazione.
“Cosa?”
“Adesso mi tira, perché me lo stai lavorando tu, con le mani, con la bocca…
Ma che succederà quando dovrò darmi da fare io per metterlo…”
“Cioè, hai paura che ti si ammosci di nuovo quando sei con un’amica e devi metterglielo dentro?”
Andrea lo fissò senza dir niente: nei suoi occhi c’era la risposta.
“In effetti, è un dubbio legittimo.”, assentì Ermanno, e stette un momento sovrappensiero.
“Senti, - disse poi, tutto infervorato – perché non facciamo subito una prova?”
“Una prova, subito?”
“Sì, con me?”
“Con te? Ma che cazzo dici?”
“Prova a mettermelo e vediamo come reagisce.”, ripeté Ermanno.
“Ma non ci penso neanche a mettertelo nel culo… inculare un uomo! Ma per chi mi hai preso?”
“Senti, qui non si tratta di metterlo nel culo a chi, - insistette l’amico – si tratta di verificare se il tuo drizzone è un fatto momentaneo dovuto al mio pompino, o un recupero effettivo delle tue capacità virili. Vediamo la cosa da questo punto di vista, ok?”, e si alzò in piedi, cominciando a sbottonarsi i pantaloni.
In un attimo gli rimase davanti in mutande. Per fortuna, indossava un sospensorio, così aveva il buco libero, senza doversi denudare del tutto: sapeva fin troppo bene quanto potesse essere imprevedibile la reazione di un maschio etero davanti al cazzo duro di un altro.
Poi gli si inginocchiò davanti e riprese a leccargli l’uccello, in modo da ungerglielo per bene: non poteva certo sperare che l’amico avesse in casa del lubrificante anale.
“No, dai, smettila.”, protestava Andrea, ma sempre più debolmente.
Infine, Ermanno salì con le ginocchia sul divano e gli si mise a cavalcioni sulle cosce:
“Proviamo così.”, disse prendendogli il pisellone tuttora turgido e puntandosi il glande sul buco del culo.
Si calò leggermente, lasciando penetrare la cappella, che forzò facilmente la resistenza dello sfintere.
“Ah!”, gemette Andrea, all’improvviso lampo di piacere che la strettezza dell’orificio gli procurava.
“E’ tutto a posto?”, chiese Ermanno con voce strozzata.
“Sì…”
“Mi sembra che l’erezione regga…”
“Per momento…”
Al che, Ermanno ritenne opportuno profittare del momento favorevole e con un affondo deciso se lo fece scivolare tutto nel retto, fino all’attaccatura dei coglioni. Andrea urlò a quella fulminea penetrazione, che sembrò sbucciargli l’uccello come una banana; ma neppure Ermanno rimase indifferente, sentendosi d’un tratto pieno di quella carne calda e fremente che stava appena ritrovando il gusto della vita.
Rimasero un momento in silenzio, entrambi ansimanti, sia pure per motivi diversi.
“L’erezione regge…”, mormorò Andrea, fissandolo con un sorriso sulle belle labbra carnose.
“Altroché, se regge!”, concordò Ermanno e roteò il bacino, come per farselo assestare meglio dentro.
Andrea sguaiolò, chiudendo gli occhi e premendo in su con i fianchi. Ermanno fece un paio di volte su e giù e sorrise: la terapia stava funzionando.
“Adesso, la prova regina.”, disse, sollevandosi e sfilandosi il cazzo di Andrea tutto fuori dal culo.
L’altro lo fissò senza capire.
“Devi essere tu a mettermelo… a scoparmi.”, spiegò Ermanno, e si piegò a novanta, con un ginocchio sul divano e un piede a terra.
Andrea non si mosse: fissava quel sedere rivolto verso di lui, il buchetto aperto che sembrava ammiccargli in mezzo alle natiche dischiuse, ma non sapeva che fare.
“Dai, - lo esortò l’altro ormai in fregola – facciamo quest’ultima prova!”
Andrea fu colto dal panico, sia per il timore di non farcela, sia per l’imbarazzo di inculare l’amico. Ma si rendeva conto nel contempo che non aveva torto: finora lui era stato un soggetto passivo, aveva solo reagito alle manovre di Ermanno, anche quando gli si era seduto in grembo; ma adesso doveva essere lui a farsi parte attiva… a prendere il controllo.
“Dai, - sentì ancora la voce dell’amico – dai, mettimelo, cosa aspetti? Ficcamelo nel culo, stallone, fammi vedere quanto ti tira… Non aver paura, Andrea, fottimi col tuo cazzo di ferro!”
Saranno state le parole sconce di Ermanno, sarà stato il convincimento che andava maturando in lui o, più semplicemente, l’impulso irrefrenabile della libidine, fatto sta che d’improvviso, come preso da una furia selvaggia, Andrea si alzò, stringendosi con la mano il cazzo rigido, si appressò all’amico, glielo spinse fra le chiappe e, trovato il buco, glielo spinse dentro con forza.
“Cazzo!!!!!!”, sguaiolò Ermanno, sentendosi affondare nell’ano l’enorme cavicchio.
“Lo volevi, - grugnì Andrea, quasi con cattiveria – lo volevi e adesso te lo prendi tutto, frocio di merda!”
Lungi dal sentirsi offeso, quell’insulto fu un’ulteriore carica per Ermanno, che allungò indietro le braccia, lo afferrò per le chiappe e se lo premette contro con forza, come a farsene entrare ancora di più.
“Dammelo, dammelo tutto questo dannato cazzone! – ansimò – Fottimi, porca troia! Voglio essere la tua puttana, stasera… sì, la tua puttana fottuta! Chiavami, come non hai mai chiavato nessuna! Godi nel mio culo, cazzo!”
Continuarono a insultarsi con epiteti ancora peggiori, mentre l’uno sguaiolava, sentendosi massacrare il sedere, e l’altro ansimava, mentre gli martellava dentro con ritmo folle. Poi giunse il momento: Andrea si sentì raggrinzire le palle, il cazzo gli si gonfiò ancora di più, preparandosi all’orgasmo; allora fece per uscire.
“Che cazzo fai?”, gli urlò Ermanno.
“Vengo…”, sospirò Andra con voce strozzata.
“Ma sborrami dentro, stronzo!”
E per maggior sicurezza, Ermanno lo afferrò per le chiappe e se lo strinse contro con forza. E Andrea sborrò. Anche se avesse voluto trattenersi, non ce l’avrebbe fatta: la pressione dello sperma nei suoi coglioni era al massimo e con un lungo grugnito di gola, lui lo lasciò andare, mentre il suo cazzo sussultava, immerso nel canale fremente del suo salvatore, che lo avvolgeva come un guanto di seta.
Avvertendo contro lo sfintere e sulla prostata il pulsare dei fiotti che si susseguivano, Ermanno si sentì prendere da un languore, che dal buco del culo gli si irradiò in tutto il corpo, e fu lì lì per venire pure lui, ma si trattenne con uno sforzo che quasi stritolò l’uccello dell’amico, aumentandone il piacere.
Placatosi l’orgasmo, Andrea estrasse in fretta il cazzo adesso molliccio e corse in bagno quasi vergognoso; mentre Ermanno, prese le mutande, si tamponò il flusso di sborra che gli scorreva fuori dall’orificio devastato, poi si rivestì, mettendosele in tasca: le avrebbe usate più tardi, a casa, per masturbarsi, annusandone l’aroma pungente.
Andrea tornò, indossava un ampio accappatoio, e gli si sedette accanto sul divano. L’imbarazzo era tangibile ed Ermanno stava progettando di togliere il disturbo, onde dare all’amico il tempo di metabolizzare quello che era successo, quando:
“Scusa”, gli disse Andrea senza guardarlo.
“Di cosa?”
“Delle porcherie che ti ho detto, mentre…”
Ermanno scoppiò a ridere:
“Tranquillo, amico, credo di avertene dette di peggio io.”
“Non le pensavo veramente.”
“Nessuno le pensa veramente, - lo rassicurò Ermanno – si dicono nella foga del momento… Il sesso è più divertente, così, non trovi?”
Andrea sorrise in risposta.
Da allora, Andrea riprese la sua vita normale, i suoi incontri galanti, le bevute con gli amici: il Cazzo di Ferro era tornato sulla piazza. L’unica novità, se così si può dire, fu la maggiore assiduità con cui i due amici furono visti frequentarsi e la strana, insolita complicità che sembrava essersi creata fra loro.
Ma mai nessuno se ne chiese il motivo e non mi sembra il caso che ce lo chiediamo noi adesso.

FINE
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