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Gay & Bisex

Masturbanfuhrer


di adad
10.09.2024    |    6.009    |    10 9.9
"Rimasti da soli: “E tu non ti fai una sega?”, gli chiese Turi..."
Rocco amava le seghe. Farsele, ma soprattutto farle agli altri, agli amici, ma anche agli sconosciuti, basta che glielo chiedessero con buona grazia.
Per lui era un momento di vera gratificazione, quando un uomo si apriva i pantaloni, si tirava fuori l’uccello e glielo consegnava per le opportune manipolazioni.
In genere erano già duri e eccitati, ma il massimo della soddisfazione era quando il cazzo in questione era ancora molle, per timidezza o altro motivo, e lui prendeva in mano questo bigolotto frollo e con una tecnica tutta sua riusciva non solo a farlo assurgere alle vette di un insperato turgore, ma anche a fargli raggiungere livelli inimmaginabili di piacere.
Intendiamoci, Rocco non era omo, o qualcosa del genere: rifiutava sempre sdegnato, quando qualcuno gli faceva proposte di altro tipo. “Io sono normale - diceva - A me piace la figa… Ho la ragazza, cosa credi?”
Ovviamente, non era vero, non aveva la ragazza e non sapeva nemmeno se gli piacesse la figa o cosa: aveva solo questa strana, sconfinata passione per il cazzo.
Solo toccarlo e masturbarlo, però, niente di più.
Il titolo scherzoso di Masturbanfuhrer glielo avevano dato allo Studentato Universitario, dove in quella massa di ventenni arrapati aveva trovato modo di dare libero sfogo alla sua passione.
Già la prima sera del suo ingresso nello studentato si era ritrovato, infatti, a smanettare gloriosamente l’appendice turgida del suo compagno di stanza. I cui alti guaiti avevano attirato l’attenzione degli occupanti della stanza attigua, Mimmo e Genny, i quali, preoccupati che stesse avvenendo qualcosa di spiacevole precipitatisi nella stanza, senza neanche bussare, si erano trovati davanti allo sconvolgente spettacolo di un giovanottone seduto sulla sponda del letto, puntellato sulle braccia all’indietro e con i pantaloni del pigiama alle caviglie, mentre un altro, seduto davanti a lui su uno sgabellino, gli suonava allegramente il putipù sulla canna dell’uccello.
Sul momento erano rimasti esterrefatti, ma ben presto lo spettacolo aveva sortito l’inevitabile effetto su quei giovanotti caricati di testosterone a pallettoni, che in meno un attimo si ritrovarono seduti pure loro sulla sponda del letto, con i pantaloni del pigiama alle caviglie, gli occhi luccicanti di lussuria e l’uccello già incordato e pronto all’uso.
Quando Rocco se n’era accorto, li aveva guardato sorridendo, mentre continuava la sua opera sul bigolone del compagno di stanza, ormai sull’orlo del precipizio.
E infatti, poco dopo, con un roco grugnito, che niente aveva di umano, quello si era contratto e dal suo organo fremente era scaturito un geyser di sborra incandescente, che Rocco aveva fatto appena in tempo a scansare.
Mentre Turi, così si chiamava il compagno di stanza, un siciliano verace dal sangue caldo, mentre Turi, dicevo, crollava boccheggiante sul letto, Rocco spostò lo sgabellino davanti il primo della fila, Mimmo, un romanaccio rosso carota anche al ciuffo del pube, gli impugnò l’uccello con le mani bagnate di sborra, e dopo una svirgolettata sulla cappella spugnosa col palmo dell’altra mano, individuò il punto giusto e cominciò a zangolare il burro.
E mentre con la destra guidava Mimmo verso le vette del piacere, con la sinistra vellicava piacevolmente le palle dell’altro, onde mantenergli l’organo nella giusta tensione, durante l’attesa. La sega di Mimmo non fu lunga: caloroso com’era, infatti, il ragazzone ci si abbandonò, gemendo e dimenandosi, con una partecipazione fisica ed emotiva, di cui poche volte Rocco era stato testimone. Il che, naturalmente lo gratificò, soprattutto quando il cazzo congestionato sembrò d’un tratto acquistare vita propria e, divincolandoglisi nella mano come un’anguilla, prese a sprizzare lapilli biancastri tutt’attorno. Mimmo, infatti, aveva la sborrata a spruzzo: lo sapevano bene gli amici, che gli si ponevano sempre discosti nelle masturbazioni di gruppo adolescenziali.
Sentendosi investire la faccia da quello spray colloso, Rocco scoppiò istintivamente a ridere, ma era solo soddisfazione per il lavoro ben fatto: non pensò neanche ad asciugarsi, aveva un altro cazzo da far godere.
Con la mano grondante e scivolosa, Rocco afferrò l’uccello di Genny, ormai più teso della classica corda di violino, e dopo avergli svirgolato un paio di volte sulla cappella con le dita untuose di seme, facendolo gemere, iniziò il suo lavoro. Genny, all’anagrafe Gennaro, aveva un cazzo di tutto rispetto, lungo e grosso, che ci sarebbero volute due mani per impugnarlo tutto, ma l’altro sapeva il fatto suo e una volta individuato il punto giusto, proseguì con movimenti sapientemente alterni, secondo tecniche affinate in anni di esperienza.
Sappiamo tutti, infatti, che, se è piacevole masturbare un’altra persona, non è altrettanto facile ottenere gli effetti desiderati: ognuno di noi ha le sue tecniche, i suoi punti sensibili, dove e come impugnare il cazzo, ad esempio, quale pressione esercitare nel corso dell’operazione ecc. Inoltre, c’è chi agisce solo sull’asta e chi coinvolge anche la cappella, bagnandosi la mano di lubrificante e manipolandola adeguatamente. E che dire di chi, pur non essendo omo, spasima a sentirsi titillare il buco del culo, quando non infilarcisi, o facendocisi infilare due dita o, meglio ancora, un vibratore prostatico?
Insomma, infinite sono le tecniche di masturbazione con cui ognuno di noi ama agire su se stesso; il problema è capire quelle degli altri; ma Rocco sapeva sempre esattamente come agire. Era un istinto naturale, sapeva leggere i segni, diceva lui: dalla reazione del partner, dal tono dei suoi gemiti, dall’intensità dei suoi spasimi riusciva a capire se stava facendo bene o cosa eventualmente il partner desiderava.
Ed ecco che, mentre stava lavorando su Genny, questi si rovesciò indietro sul letto e sollevò le gambe, sporgendo in fuori il sedere: per Rocco fu il segnale che desiderava qualcosa nel culo e lui si bagnò un dito di saliva e glielo affondò nell’ano senza tanti complimenti, titillandogli la prostata e provocandogli un devastante orgasmo immediato.
Rocco continuò a segarlo, mentre si torceva gemendo, finché il cazzo non cominciò a smollarglisi, poi gli tolse il dito dal culo e gli sorrise felice.
“Di’ un po’? – fece Genny ancora inebetito, riabbassando le gambe – Dov’è che hai preso la laurea in segologia? Sei bravissimo!”
“Grazie”, gongolò Rocco, asciugandosi le mani con dello Scottex.
“E tu dov’è che hai imparato a farti infilare le dita nel culo?”, osservò il suo compagno di stanza.
“Non sai cosa ti perdi”, ghignò Genny, rialzandosi a sedere.
“La prossima volta che Rocco ti fa una sega, ti ci ficco questo!”, scherzò, impugnandosi il cazzo, tornatogli semiduro.
Rocco se ne accorse e allungò la mano.
“Se vuoi te ne faccio un’altra.”, si offrì.
Ma Mimmo si tirò in piedi.
“Na… famo n’antra vorta…”, disse tirandosi su le mutande e i pantaloni del pigiama.
I due andarono via. Rimasti da soli:
“E tu non ti fai una sega?”, gli chiese Turi.
Rocco fece spallucce:
“Mi diverto di più a farle agli altri.”, rispose, raggiungendo il proprio letto e infilandosi sotto le lenzuola.

La sera successiva, Turi si stava giusto tirando giù i pantaloni per farsi fare il servizietto dall’amico, quando, senza neanche bussare, i vicini di stanza di presentarono sorridenti e arrapati.
Due parole di benvenuto e bentrovato e pure loro erano lì seduti sulla sponda del letto con i pantaloni calati alle caviglie. La vista di Turi, che si torceva sotto le sapienti manovre di Rocco, li imbufaliva ancora di più. Quando la sborra schizzò dall’uccello congestionato di Turi, dilagandogli sul petto e sulla pancia, i due erano ormai cotti a puntino. Turi si abbandonò sul letto, ansimando, mentre l’odore pungente della sua sborra si diffondeva nella stanza.
Finito con lui, Rocco si volse a Genny e, impugnandone il cazzo:
“Perché non hai portato qualcosa da infilarti nel culo?”, gli chiese.
“Cazzo, non ci ho pensato… Aspetta! – e si volse al compagno di stanza – non volevi ficcarmi il tuo coso?”
“Ma sei impazzito?”, scattò Mimmo.
“Dai!”, esclamò Rocco, eccitato alla novità, e gli afferrò l’uccello, spalmandoglielo abbondantemente col sugo che raccoglieva a manate dalla pancia di Turi.
Genny, intanto, si liberò del tutto di pantaloni e mutande, si mise a cavalcioni dell’amico, che continuava a protestare:
“Ma che cazzo fai?”, e mentre Rocco teneva fermo il paletto del romano, lui se lo puntò sul buco del culo e si lasciò andare.
“Porca vacca, che grosso!”, gemette Genny, mentre inesorabilmente l’uccello di Mimmo gli scivolava nell’ano.
Rocco, intanto, non perse tempo e, mentre ancora la penetrazione continuava, gli afferrò il cazzo e cominciò a manipolargli la scappella scarlatta.
“Figlio di puttana!”, sguaiolò Genny all’improvvisa ondata di piacere, contraendo selvaggiamente lo sfintere.
“Cristo santo, me lo stai stritolando! Togliti, togliti!”, ansimò Mimmo.
Ma chi lo ascoltava? Genny era sommerso ormai dalle ondate di piacere, che lo
percorrevano sempre più devastanti; Rocco ridacchiava divertito e soddisfatto mentre continuava a manipolare il cazzo di Genny teso allo spasimo. Ad ogni fremito che gli percorreva la pelle, Genny contraeva lo sfintere, procurando fitte di piacere anche a Mimmo che, perso pure lui:
“Mi stai mungendo…mi stai mungendo come una vacca…”, continuava a ripetere.
D’un tratto, Genny non resse più e con un guaito si rattrappì tutti scosso dagli spasimi di uno degli orgasmi più violenti e goduriosi della sua vita. Purtroppo, l’involontaria mungitura, a cui era stato soggetto, ebbe conseguenze anche su Mimmo, che non riuscì a trattenersi e con una serie di grugniti si scaricò tutto dentro l’amico.
Il quale, appena realizzò quanto era successo:
“Ma che cazzo fai, mi sborri nel culo, adesso? M’hai preso per un ricchione?”
“Sei tu che te la sei cercata, - ansimò Mimmo – er cazzo mio nun è mica un seminarista!”
Tutti scoppiarono a ridere a quella battuta, compreso Genny che intanto si tamponava il buco del culo con le mutande, che aveva raccolto da terra.
Le cose procedettero su questi binari per il resto dell’anno accademico, intanto che la voce della vocazione pippaiola di Rocco si diffondeva e altri amici si univano al divertimento, tanto che ad un certo punto gli affibbiarono il titolo di masturbanfuhrer, titolo di cui Rocco andava giustamente fiero.

“Minchia, dov’eri finito, ah?”, sbottò Turi, una sera, appena Rocco chiuse la porta alle sue spalle, entrando nella stanza.
“È successo qualcosa?”
“E che doveva succedere? È successo che è da mezzora che t’aspetto con la minchia dura!”, e Turi si agguantò il pacco che ben evidenziava lo stato dell’organo in questione.
Rocco si risentì un po’ a quelle parole.
“Senti, non sono il tuo pippaiolo personale, - fece – se avevi voglia di una sega, potevi fartela da solo. Una mano e cinque dita ce le hai pure tu.”
“Ah, bella risposta, complimenti, bell’amico che sei! Una mano e cinque dita ce le hai pure tu!”, lo scimmiottò Turi, sedendosi al suo tavolo e aprendo ostentatamente il manuale di diritto romano.
Rocco scosse la testa, il suo buon cuore non gli permetteva di deludere un amico, nonché compagno di stanza, a cui era innegabilmente affezionato.
“Dai, vieni, - disse conciliante – e scusami per il ritardo.”
“Grazie, ma mi è passata la voglia. E poi una mano e cinque dita ce le ho pure io!”, si ostinò l’altro, senza alzare la testa dal libro.
Rocco scoppiò a ridere.
“Dai, non fare lo scemo. – ripeté Rocco – Ti ho chiesto scusa.”, e lo sollevò di peso dalla sedia, trascinandolo fin sul letto.
“E meno male che ti era passata la voglia!”, scoppiò a ridere, quando gli aprì i pantaloni e dalle mutande gli tirò fuori l’uccello galoppante.
Turi voleva continuare a far l’offeso, ma gli piaceva troppo quello che stava per succedere, mentre l’amico gli sfilava del tutto pantaloni e mutande.
“E togliamo via pure la maglietta: ti voglio nudo stasera. – disse Rocco – Per farmi perdonare del ritardo, trattamento speciale al mio compagno di stanza, nonché amico speciale.”, e gli diede una lisciatina alle palle, prima di prendere il lubrificante e ungersi generosamente le mani.
Turi seguiva con gli occhi luccicanti i suoi movimenti e già fremeva nell’aspettativa, ma la fitta di piacere che lo trafisse, quando Rocco prese a strofinargli la cappella fra le palme unte, lo fece sobbalzare e sguaiolare come un cagnolino.
L’amico ridacchiò: gli piaceva in modo particolare far godere Turi, che sotto le sue mani perdeva ogni freno inibitorio, dimenandosi, gemendo e sospirando, quasi non ci fosse domani. Rocco continuò a manipolare la cappella con dita unte di lubrificante, ma anche degli umori che avevano cominciato a sgorgare copiosi; poi, impugnò l’asta con una mano, muovendola su e giù, mentre con l’altra continuava a sollecitare la cappella, ormai congestionata.
Turi era fuori di sé: con gli occhi chiusi e la testa rovesciata all’indietro, un gemito continuo gli usciva dalle labbra semi aperte, mentre brividi di piacere gli percorrevano tutte le membra.
Rocco voleva dare il meglio di sé all’amico del cuore: voleva che godesse come non aveva mai goduto fino ad allora. Ogni volta che sentiva il cazzo irrigidirsi, pronto ad esplodere, rallentava leggermente la manipolazione, ma senza smettere, solo quel tanto per alleggerire la pressione interna alle palle; poi, appena il pericolo era passato, riprendeva con passione ed energia.
Quando capì che l’amico era allo stremo e che lui stesso non sarebbe più riuscito a controllare la situazione, accelerò il ritmo di vogata e con due colpi lo portò all’orgasmo: di colpo le chiuse si spalancarono e un enorme getto di sborra percorse tutta l’asta, schizzando in aria e ricadendo sul petto e sulla pancia del povero Turi. Rocco se lo sentì scorrere sotto le dita, mentre continuava a muovere la mano su e giù.
E continuò a far scorrere la guaina carnosa mentre le emissioni si affievolivano, il cazzo si ammosciava e Turi tremava incontrollabilmente, finché, dicendo con voce fievole:
“Basta, ti prego, basta.”, gli afferrò il polso e lo costrinse a fermarsi.
Quando riaprì gli occhi, vide Rocco che lo fissava sorridendo.
“Com’è andata?”, gli chiese.
“Mi hai ucciso…”, mormorò, mentre Rocco, raccolte le sue mutande, gli tamponava la pozza di seme dal petto e dalla pancia.
Poi, se le portò al naso e le annusò.
“La tua sborra ha un profumo gradevole, - disse – non è acida e puzzolente come quella degli altri.”
“Smettila, cretino.”, sbottò Turi, strappandogli l’indumento dal naso e gettandolo da una parte.
C’era quasi una nota di gelosia nella sua voce.
“Fra una settimana dobbiamo lasciare lo studentato e tornare a casa…”, disse Rocco.
“Mi chiedo come farò senza…”, esclamò Turi.
“Beh, una mano e cinque dita ce le hai pure tu, no?”
“Non è la stessa cosa.”
“Potrei venire in vacanza in Sicilia…”, azzardò Rocco.
“Sarebbe fantastico!”
“Ti sei mai fatto una sega nell’acqua… del mare, intendo.”
“Nell’acqua? Ma ti viene duro nell’acqua fredda?”
“Altroché! – ghignò Rocco – Specialmente se c’è una sapiente manina a fare su e giù.”
“Come la tua?”
“Come la mia. Appunto.”
“Ti aspetto, allora.”, disse Turi e in un empito di entusiasmo gli passò le braccia al collo e gli stampò un bacio sulla guancia.
“Che fai? – protestò Rocco – Non sono mica…”
“Tranquillo, lo so che non sei gay. Non lo sono nemmeno io, se è per questo.”
“Allora ok.”, disse Rocco, stringendoglisi accanto nel lettino.
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