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Gay & Bisex

Cazzo d'autore


di adad
29.07.2020    |    10.677    |    7 9.0
"Emanuele saltò su scandalizzato: “Ma che ti salta in mente? – urlò – io dipingo solo cazzi, lo sai..."
Emanuele, era un pittore del cazzo. No, non nel senso non valesse niente, tutt’altro: i suoi lavori erano buoni, e godevano di una discreta fama; era un pittore del cazzo nel vero senso della parola, perché amava dipingere cazzi. Cazzi molli, turgidi e semiduri, lunghi e corti, snelli e barzotti, dritti e ricurvi, scappellati, circoncisi e incappucciati; cazzi di ogni forma e dimensione, senza bisogno che ci soffermiamo oltre.
Non che ad Emanuele non piacesse la figa, anzi! Lui stesso ci teneva a precisarlo: etero, normale tutto d’un pezzo, fruitore di figa al cento per cento! Ma come soggetto per i suoi quadri gli piacevano i cazzi. Non si stancava mai di dipingerne. Che uno dice: beh si attraversano vari periodi nella propria vita artistica; chi attraversa il periodo blu, chi quello nero o arancione eccetera. Lui no, lui aveva cominciato con i cazzi e con i cazzi andava avanti.
E tutti ritratti dal vero, intendiamoci! Aveva cominciato col suo, quando era ancora ragazzo, autoritrattandoselo in tutte le pose possibili e documentandone la progressiva evoluzione: da cazzetto quindicenne a cazzone ventenne e passa. Se l’era dipinto prima della sua prima scopata e dopo la sua prima scopata, testimoniandone l’avvenuto cambiamento.
Poi aveva ampliato il raggio d’azione cominciando a cercare modelli nella sua cerchia di amici e infine anche al di fuori mediante annunci sulle riviste specializzate o nelle chat erotiche.
È chiaro che la maggior parte fraintendeva i suoi annunci, ed è logico: se uno legge “Cerco cazzi”, cosa dovrebbe pensare? Tantissimi rispondevano sperando quanto meno di rimediarci un pompino e invece si vedevano proporre una seduta davanti al suo cavalletto. I vaffanculo si sprecavano, però qualcuno ogni tanto accettava di buon grado, nonostante la retribuzione fosse modesta; e allora bisognava vedere la cura che Emanuele gli prestava, era perfino commovente: faceva spogliare il modello e stava lì un pezzo ad studiare ed esaminare l’organo interessato. Lo prendeva con le dita, lo rigirava, lo scappellava, lo teneva dritto, lo girava di sotto, spesso lo annusava anche, perché diceva che non solo la vista, ma anche l’olfatto contribuiva a suggerirgli la giusta ispirazione.
Un giovane una volta gli fece notare che forse anche il gusto poteva dare un contributo importante, ma lui rispose che il gusto può interessare ai pittori gay, che vogliono farsi i loro modelli: a lui bastavano la vista, il tatto e l’olfatto per penetrare l’anima del soggetto da dipingere. E così il poveretto non riuscì a rimediarci neanche una leccata.
Una volta si ripropose di voler dipingere un cazzo sborrato e costrinse il modello a farsi una sega, mentre lui osservava attentamente, e quando venne, si avvicinò e rimase un pezzo ad esaminarlo da ogni angolazione, annusandolo anche da vicino, senza alcuna ripulsa, nonostante il forte odore dello sperma, e sistemandolo nella posa che riteneva più congrua: alla fine dipinse il pisello quiescente, adagiato mollemente sul ciuffo crespo del pube e rorido sulla punta di minuscole gemme lattiginose: un vero capolavoro, che volle appendere al posto d’onore del suo salottino privato, onde poterne godere in ogni momento.
Come si può notare, una personalità notevole, ma molto diversa dall’Autore, a cui invece il cazzo piace goderselo, sì, in ogni momento, ma in carne, ossa e complementi vari!
Tornando al nostro pittore, c’è da registrare che questa sua insolita passione gli procurò quasi la rottura con la sua ragazza, la quale infatti un giorno si incaponì a volersi far ritrarre la figa. Emanuele saltò su scandalizzato:
“Ma che ti salta in mente? – urlò – io dipingo solo cazzi, lo sai. La figa non mi interessa.”
“Come, non ti interessa? – fece lei – Che ci stai a fare con me, allora?”
E non aveva tutti i torti. Emanuele si morse la lingua.
“Amore, - disse in tono conciliante – volevo dire… non mi interessa come soggetto da dipingere. Io dipingo solo cazzi, lo sai.”
“Per me potresti anche fare un’eccezione!”
E per lei Emanuele fece un’eccezione e dipinse il quadro più brutto della sua vita.
Ciò non toglie che il quadro ebbe un grande successo e adesso è esposto a Metropolitan Museum di New York, ma non con la sua firma, perché l’Artista anni dopo lo ripudiò e lo regalò al proprio postino, quale compenso per essersi fatto dipingere ad altezza inguine assieme al fratello (fratello del postino) nel famosissimo “Duplex”, ora esposto all’Ermitage di San Pietroburgo.
Emanuele aveva da poco compiuto i quarant’anni, quando si verificò un fatto nuovo, che impresse una svolta estremamente importante alla sua arte. Emanuele era sul metro e ottanta, fisicamente robusto e di aspetto discreto, ma il suo asso nella manica era il sorriso: un sorriso franco e cordiale che gli apriva tutte le porte e quasi tutte le patte. Per la verità, aveva anche un altro asso, e non nella manica, ma quello non lo sbandierava ai quattro venti e del resto non ha rilevanza ai fini di questo racconto.
Un giorno, dunque, Emanuele si stava concedendo un raro momento di relax. Se ne era andato al parco e stava leggendo la cronaca sportiva su un noto quotidiano nazionale, quando con la coda dell’occhio scorse un giovane, che si era fermato un momento nelle sue vicinanze e poi aveva ripreso il cammino. Non ci fece caso e continuò a leggere.
Carlo, perché di lui si tratta, era andato nel parco, quel pomeriggio, con la ferma intenzione di rimorchiare qualcuno: era da un po’ che non faceva e aveva la circolazione ormonale alquanto alterata. Quando scorse quel bel dilfone seduto a leggere sulla panchina, l’occhio gli corse subito alla convergenza delle cosce e il rigonfio che vide lo elettrizzò all’istante. Quando poi a una seconda occhiata notò le tempie lievemente argentate, la sua libidine schizzò alle stelle, senza più nessun controllo. Il sangue cominciò ad affluirgli verso il basso ventre, provocandogli un formicolio languoroso, come non gli succedeva da tempo.
Passò e ripassò davanti a quel magnifico esemplare, infine, senza lasciarsi minimamente scoraggiare dalla sua indifferenza, si diresse verso la panchina su cui era seduto.
Si sedette all’estremità libera con ostentata invadenza.
“Permette, le dispiace?”, fece, quando Emanuele staccò gli occhi dal giornale e si voltò verso di lui.
“Prego, si accomodi pure.”, rispose il pittore e tornò alla sua cronaca sportiva.
Carlo ci rimase un po’ male: non era così che si era immaginato l’aggancio. Nel film che si era costruito, mentre continuava a passargli e ripassargli davanti, lo sconosciuto avrebbe subito chiuso il giornale e si sarebbe voltato verso di lui, sorridente e interessato, si sarebbero presentati, avrebbero avviato una piacevole conversazione sempre più intima e piccante, finché si sarebbero confessati il reciproco interesse e il dilfone lo avrebbe portato a casa sua, dove gli avrebbe permesso di sbottonargli i pantaloni e di cavargli il serpentone fuori dalle mutande.
Ma niente di tutto questo stava succedendo e Carlo era davvero sconcertato. Eppure era un bel ragazzo nel fiore dei suoi venticinque anni, glielo dicevano tutti. Lo sport che praticava gli aveva modellato un corpicino niente male e i jeans che indossava, non solo gli modellavano il culetto alla perfezione, ma mettevano anche in ampio risalto la sua dotazione anteriore, onde ciascuno potesse scegliere a suo gusto.
Cercava qualcosa da dire, per avviare una conversazione qualsiasi, ma la concentrazione con cui quello stava leggendo era di momento in momento più scoraggiante. Cominciò a pensare di sganciarsi e andare a cercare selvaggina altrove, anche se gli dispiaceva mollare quel magnifico esemplare, che sembrava sprizzare sensualità da tutti i pori.
Ma Carlo si sbagliava: Emanuele in realtà lo stava studiando con la coda dell’occhio, attirato professionalmente dal bozzolo inguinale che i jeans sottolineavano ed esaltavano con tanta dovizia.
La sua esperienza gli suggeriva che là sotto doveva celarsi un soggetto molto interessante. Carlo si era ormai arreso e stava per alzarsi e andar via, quando Emanuele ripiegò il giornale e si voltò sorridendo verso di lui.
“Una magnifica giornata, non trova?”, fece.
“Sì… davvero…”, balbettò Carlo, colto alla sprovvista.
“Vengo spesso in questo parco a rilassarmi un po’ dal lavoro.”, continuò Emanuele.
“Che lavoro fa?”, colse Carlo la palla la balzo.
“Sono un pittore.”
“Davvero? - finse di meravigliarsi il giovane – Io adoro la pittura.”
Emanuele sorrise con premurosa comprensione.
“Senta, - disse dopo – vorrei farle una proposta, se è d’accordo.”
Ci siamo!, esultò Carlo, e lo fissò con aria di attesa.
“Sarebbe d’accordo a farmi da soggetto?”
“Come, da soggetto?”
“Per un ritratto.”
“Vuole farmi un ritratto?”, esclamò Carlo fra il deluso e il meravigliato.
“No, non proprio, -si affrettò a precisare Emanuele - non mi fraintenda… Vorrei solo dipingere il suo… pene.”
“Cosa? – fece Carlo frastornato e temendo chissà che razza di perversione dietro quel volto così per bene - vuole pitturarmi il pene?”
Emanuele scoppiò a ridere.
“No, amico mio, non mi sono spiegato bene: quello che vorrei fare è un ritratto del suo… cazzo, tanto per essere chiaro: da quello che vedo dev’essere un soggetto notevole.”, e ammiccò con l’occhio verso il suo inguine.
“Ci può giurare che è un soggetto interessante, - disse il giovane piccato – ma cos’è questa storia?”
“Vede, - spiegò Emanuele – a me piace molto dipingere membri maschili.”
“Solo… dipingere?”
“Assolutamente! Non sono gay, né altro. Solo dipingere. Ovviamente, riceverà un compenso, la tariffa sindacale dei modelli.”
Per quanto bislacca e per molti versi deludente potesse apparirgli, pure, quella richiesta lo lusingò: il suo cazzo sarebbe stato dipinto da un pittore… sarebbe diventato un’opera d’arte… come se già non lo fosse!
“Questo è il mio biglietto da visita. – disse Emanuele tirandone fuori uno dal portafoglio – Quando decide, mi faccia un colpo di telefono, d’accordo?”, glielo diede e si alzò per andarsene.
“Beh, se ha tempo, possiamo fare anche subito!”, disse in fretta Carlo.
“A meraviglia! Chi ha tempo non aspetti tempo, come dicono i saggi. Il mio studio è proprio a due passi. Venga.”

Entrati nello studio dell’artista, Carlo si trovò attorniato da un’infinità di quadri, disegni e bozzetti, tutti rappresentanti il medesimo soggetto, come sappiamo.
“Accidenti! – esclamò – Ma questa è una vera cazzoteca!”
“Se vogliamo così definirla…”, commentò un po’ seccato il pittore.
“Mi scusi… E’ che…”, cercò di scusarsi il giovane.
“Non si preoccupi. Ci sono abituato a queste reazioni.”
“Ma come mai tutto questo?”
“Vede, gli artisti, in tutti i tempi hanno nutrito un grande interesse per il sesso maschile… per il membro maschile, intendo. Uno pensa che ce lo abbiamo tutti uguale; e invece no, ognuno di noi è diverso,per forma, per grandezza per… Ogni membro ha una sua figura, una sua personalità.”
“Una sua personalità?”
“Certo. Lei non immagina quante cose si riescano a capire da un membro maschile. Lei è gay, per caso?”
“Io? Certo che no!”, mentì Carlo.
“Bene, meglio così. Le dispiace se diamo un’occhiata al soggetto?”
“Devo spogliarmi?”
“No, solo i pantaloni. Vediamo cosa mi dice e poi decidiamo.”
Questo è matto, pensò Carlo, quasi pentendosi di aver accettato.
Si tolse i pantaloni e gli rimase davanti in slip. Provò un attimo di imbarazzo, ma subito dopo subentrò l’eccitazione per il fatto di trovarsi seminudo davanti a un quarantenne così eccitante, che lo fissava con occhio intento. Un certo formicolio cominciò a tremargli nelle palle e si registrò un leggero movimento all’interno dei suoi slip.
“Scusi…”, mormorò Carlo, portandosi una mano all’inguine.
“No, no, - lo fermò l’artista – lo lasci pure crescere, sia naturale.”
E Carlo tolse la mano, lasciando che la sua erezione diventasse sempre più evidente.
Emanuele continuava a studiarlo da una certa distanza, spostandosi, cambiando angolazione, stringendo le labbra e mugugnando ogni tanto, mentre si lisciava il mento con il pollice e l’indice della sinistra, assorto in una concentrazione così intensa, che il giovane cominciò a sentirsi a disagio e ancora una volta si chiese nelle mani di quale maniaco fosse finito.
Alla fine, riscuotendosi:
“Per cortesia, - disse Emanuele – si appoggi a quello sgabello.”, e gliene indicò uno alto da bar al centro della stanza.
Carlo ci si appoggiò col sedere, le gambe leggermente divaricate.
“Grazie, - fece l’altro con cordiale sorriso – si rilassi e non si preoccupi per…”, e accennò alla tenda da campeggio, che erano diventati i suoi slip.
Poi si avvicinò e si chinò a guardare da vicino sempre con aria compuntamente professionale; lo toccò, saggiandolo le dita… annuì con aria seria, poi:
“Se li tolga, per favore.”
E Carlo si sfilò gli slip, restandogli davanti con il cazzo gloriosamente eretto.
“Sì, proprio un bel soggetto, come immaginavo.”, commentò Emanuele, e si avvicinò ad esaminarlo da vicino.
Prese l’asta con due dita, mosse alcune volte la guaina su e giù, poi la scappellò, esprimendo altri apprezzamenti; seguitò ad osservarla da diverse angolazioni, ma il suo volto andava via via rabbuiandosi. Si chinò infine ad annusarlo tutt’attorno, snasando come un cane da cerca.
L’eccitazione di Carlo, sottoposto a quell’esame ravvicinato, cominciò a raggiungere livelli di vero parossismo: sperò di non sborrare, prima che fosse tutto finito. Si accorse però dell’insoddisfazione dipinta sul volto dell’artista.
“Non le piace?...”, si decise a chiedere.
Emanuele scosse la testa.
“Tutt’altro, il suo è un pene bellissimo, - fece – uno dei più perfetti che mi siano mai capitati. Ma… non riesco a sentirlo…”
“In che senso, mi scusi?”
“Non riesco a penetrarlo, non riesco a sentire la sua anima…”, e riprese le sue manovre di tocco e fiuto.
Stava per arrendersi, scoraggiato, quando:
“Provi con la lingua…”, suggerì il giovane, con tono esitante.
“Naaa… - sbottò Emanuele – questa è roba da froci. E né io né lei lo siamo.”
“Un artista non dovrebbe farsi di questi problemi…”, suggerì Carlo, senza sapere neanche lui da dove gli venisse.
“Crede?”
“Certo, un artista deve sperimentare, deve cercare nuove strade…”
Emanuele rimase un attimo assorto a riflettere su quelle parole, poi:
“In un certo senso ha ragione, -disse – finora ho sempre usato il tatto, la vista e l’olfatto per cogliere l’anima dei miei soggetti… e sempre con risultati soddisfacenti. Ma con lei non ci riesco. Forse ha ragione, devo sperimentare altre strade…”, e si accostò ancora di più, tirò fuori la lingua e dopo una lunga esitazione, lambì con la punta sotto il filetto.
Un brivido di pura libidine scorse sotto la pelle di Carlo dalla testa ai piedi, mandandolo in visibilio. Un grumo di liquido sversò dal taglietto, colando sotto la corona.
“Continui… - mormorò Carlo, chiudendo gli occhi – Sono sicuro che stavolta ce la farà.”
Ed Emanuele continuò a sondare con la punta della lingua quel membro finora renitente a mostrare la sua anima.
“Vada attorno alla cappella… - suggeriva Carlo anelante – Passi la lingua sotto la corona…”
E l’altro portava la punta della lingua dove il giovane gli indicava.
“Sente qualcosa?”, gli chiese ad un certo punto.
“Forse…”
“Rilassi la lingua, - gli disse allora Carlo – non la tenga così rigida e la passi sulla cappella… Oh… Lecchi bene… Tutt’attorno… come se avesse in mano un gelato. Scruti anche le palle… è lì che risiede l’anima del cazzo…”
E il pittore prese a vorticare la lingua attorno alle palle, poi risalì, leccando l’asta a lingua spianata, per tornare a sorbettare la cappella, che ormai colava copiosamente come un tubo rotto.
“Sì… - mormorò Emanuele – comincio a sentire qualcosa…”
Sapessi io, pensò il giovane, quasi sul punto di svenire per il piacere che quell’esame gli stava procurando. Ed ecco che d’un tratto, proprio mentre con la punta della lingua sondava la profondità dell’uretra, Carlo non resse oltre e, con un fremito, un getto corposo di sperma si proiettò fuori, spiaccicandosi contro le labbra del pittore. Il quale in quel preciso istante si rialzò in piedi stralunato e:
“Ce l’ho… - disse esultante – ho colto la sua anima!”
E senza neanche asciugarsi la sborra che gli colava dal mento, corse verso il cavalletto, afferrò la matita e cominciò freneticamente a disegnare, mentre il povero Carlo continuava a eiaculare, cercando di soffocare gemiti e convulsioni che non sarebbero stati appropriati in un momento di così fervente creatività artistica.
“Sento che oggi la mia arte ha avuto una grande svolta! – fece dopo un po’ il pittore, con gli occhi brillanti di soddisfazione – E tutto grazie a lei.”
“Ha già terminato il quadro?”
“No, mio caro, solo il disegno preparatorio. Avrò bisogno di qualche altra posa dal vivo. Ci sono problemi per lei?”
“N…no. Posso vederlo?”, e fece per avvicinarsi al cavalletto.
“Ah… ah.. – fece l’altro, fermandolo – solo quando sarà finito. Può venire domani? Lei mi è stato di grande aiuto… Ho sentito una forte affinità tra me e lei: credo che faremo grandi cose assieme.”
“Lo credo anch’io, - confermò Carlo, sentendosi già rimescolare nei luoghi appropriati – A domani, allora.”
“A domani.”, confermò Emanuele, accompagnandolo alla porta.
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