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Gay & Bisex

Era una notte buia e tempestosa - 2


di adad
25.12.2018    |    4.930    |    0 9.7
"” Sandro era rimasto un po’ spiazzato da tutta quella disponibilità..."
‘’Era una notte buia e tempestosa, il vento ululava fra le cime degli alberi, curvandoli coi rami fino terra. Sandro aguzzava la vista, cercando di guidare per quella strada di campagna, ma la luce smorzata dei fari non riusciva a penetrare la barriera di tenebra e pioggia se non per qualche metro, né i tergicristalli impazziti ce la facevano a tenere sgombro il parabrezza dagli scrosci diluvianti.
Cosa diavolo gli era venuto in mente di lasciare la statale? Aveva preso quella scorciatoia nel tentativo di arrivare a casa un po’ prima; l’aveva fatta altre volte… già, ma un conto è farla di giorno, col sole e fischiettando qualche arietta di Mozart, un altro in una notte di tregenda, con i diavoli scatenati a caccia di streghe, che squarciano le nuvole e scagliano folgori contro la terra!
Quasi evocato, un fulmine si abbatté nelle vicinanze e lo abbagliò col suo lampo accecante, mentre i vetri della macchina tremavano allo scoppio improvviso. Sandro sobbalzò col cuore in gola e automaticamente tolse il piede dall’acceleratore… La macchina, trattenuta dalla pioggia e dal fondo stradale pantanoso, andò rallentando fino a fermarsi e a spegnersi con un secco sbatacchio, prima ancora che lui avesse riacquistato il controllo e la vista.
Passò qualche minuto, poi i suoi occhi ritrovarono un po’ di sensibilità e Sandro fissò allucinato davanti a sé: sottili filamenti neri foravano la luce dei fari, mentre la pioggia frastuonava sul tettuccio della macchina, non più attutita e sovrastata dal brontolio del motore.
Cercò maldestramente di rimettere in moto, girò la chiavetta, ma la macchina rispose con un gracchìo secco. Riprovò di nuovo, una volta, due… tre… Per un momento, il motore sembrò riprendere vita, ma poi si imballò e defunse del tutto.
Sandro spense i fari e si guardò attorno disperato: buio dappertutto, un buio reso ancor più desolato dal frastuono della pioggia. E adesso? Dubitava che qualcuno sarebbe passato di lì nelle prossime ventiquattro ore, e non aveva la minima idea di dove si trovava, né se ci fossero delle abitazioni nelle vicinanze.
Cercò di aguzzare la vista attraverso i vetri, ma ormai oltre alla pioggia, erano anche appannati dal vapore. Rimanere lì fino all’alba? Guardò l’orologio: cazzo, erano solo le 21.36! La situazione ideale per un serial killer, pensò con amara ironia, ma inserendo comunque la chiusura di sicurezza, per precauzione.
Reclinò un po’ il sedile e cercò di mettersi comodo… magari avrebbe anche potuto dormire un po’… Rimase un sacco di tempo a fissare il buio davanti a sé, senza pensare a niente, poi accese la lucetta e guardò di nuovo l’orologio… Sperò che fossero passate almeno un paio d’ore: le 21.45… cazzo!!!!
All’improvviso si sentì prendere da un senso di inquietudine… doveva muoversi… doveva fare qualcosa! D’impulso, uscì dalla macchina, sbatté la portiera, si tirò su il colletto della giacca e, incrociando le braccia sul petto, si avviò svelto sotto la pioggia.
Dopo alcuni passi era già completamente fradicio e per un attimo pensò che forse sarebbe stato meglio togliersi del tutto quei vestiti che ormai gli pesavano addosso e lo impacciavano soltanto nei movimenti. Poi sorrise alla sua stessa idea: andarsene in giro nudo, di notte, sotto un temporale di fine ottobre era l’unica cosa che mancava nel suo curriculum!
Aveva i capelli incollati alla testa, la pioggia gli si infilava sotto il colletto della
camicia e gli scorreva a rivoli lungo la schiena, provocandogli brividi di freddo. Arrancava, cercando di guardare davanti a sé qualche traccia di vita e ad ogni passo si sentiva i piedi più pesanti, più faticosi da spostare in avanti.
Chissà per quanto tempo camminò, perso nel buio e nella pioggia. Poi, di colpo, alla luce abbagliante di un lampo, gli sembrò di scorgere la sagoma di una casa alla sua destra, non molto lontano. Cercò di scrollarsi di dosso la stanchezza e accelerò il passo, aguzzando nel contempo la vista per non sorpassarla.
Andò avanti, un passo sofferto dopo l’altro, coi pantaloni appiccicati alle gambe e i piedi sciaguattanti nelle scarpe colme d’acqua. E finalmente, un’ombra più buia nelle tenebre… Sì, era una casa… e un lampo glielo confermò. distava forse un centinaio di metri dalla strada. Sandro individuò il vialetto di accesso e ci si diresse, inciampando nelle pozzanghere. Non si vedeva nessuna finestra illuminata.
Speriamo che ci sia qualcuno in casa, pensò… che si sia almeno una tettoia per ripararmi… Salì i gradini di una veranda e suonò alla porta. Il trillo si ripercosse all’interno, ma non successe niente. Sandro aspettò col morale ormai a terra. Spinto dalla disperazione, suonò ancora… a lungo…
Per lo meno, era al coperto adesso, ma i brividi lo scuotevano dalla testa ai piedi. Si sentì perso… lacrime di delusione presero a scorrergli sulle guance confuse con l’acqua che gli colava giù dai capelli. Finalmente una finestra si illuminò. Con un senso di sollievo, Sandro sentì gli scatti della serratura e poi la porta si aprì di uno spiraglio.
“Chi è?”, chiese qualcuno all’interno, un volto controluce, una voce giovanile.
“Mi scusi, - balbettò Sandro, battendo i denti – so di non darle una buona impressione. Mi chiamo Sandro Pièli… ecco, guardi, questa è la mia carta di identità… - e gli passò una tesserina bagnata, pescata in qualche modo nel portafoglio – La macchina mi si è fermata da qualche parte, qui attorno… La prego, non le chiedo di farmi entrare, capisco che non si fida, ma telefoni almeno al soccorso stradale, gli spieghi dove ci troviamo, che vengano a rimorchiarmi… La prego, mi aiuti… Io aspetto qui fuori…”
“Ma cosa dice, è impazzito? – esclamò l’altro, togliendo la catena di sicurezza – Venga, venga dentro, piuttosto!”, e aprì la porta, aiutandolo ad entrare.
“Deve aver fatto parecchia strada a piedi…”, continuò lo sconosciuto, un bel giovane, moro di capelli e dai lineamenti franchi.
Indossava un accappatoio bianco stretto in vita e lungo fino ai piedi: evidentemente era già a letto e si era messo la prima cosa capitatagli sotto mano.
“Non so…- rispose Sandro, cercando di controllare i brividi che lo scuotevano – Mi dispiace disturbarla…”
“Per carità! Meno male che ero a casa, piuttosto. Venga, venga con me.”
Sandro non si mosse.
“Le sto sporcando tutto.”, fece con tono desolato, guardando la pozza di fango e di acqua che gli si era formata attorno ai piedi.
“Che sciocchezza! – fece il giovane, afferrandolo per un braccio – Venga, vuole prendersi un accidente?”
Lo condusse in un bagno, poco più avanti nel corridoio.
“Si tolga quella roba bagnata e faccia una bella doccia bollente, - gli disse deciso, tirando fuori degli asciugamani e un accappatoio, che appese ad un gancio – poi le darò qualcosa di asciutto da mettere. A occhio e croce, abbiamo la stessa taglia. Faccia con comodo, io l’aspetto di là, in soggiorno.”
Sandro era rimasto un po’ spiazzato da tutta quella disponibilità.
“Senta…”, fece.
L’altro sorrise.
“Ah, mi chiamo Roberto… Roberto Negri, e penso che possiamo darci del tu.”
“Grazie”, mormorò Sandro, stringendogli la mano… una bella mano asciutta e forte.
“Fatti una doccia e poi vieni di là, intanto accendo il camino e preparo qualcosa per scaldarti.”, e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Dieci minuti dopo, Sandro venne fuori dal bagno, pulito e profumato, avvolto in un morbido accappatoio di spugna color panna.
Si sentiva un po’ a disagio così, e avrebbe voluto indossare qualcosa, ma le sua roba era ancora fradicia e l’altro non gli aveva dato ancora nulla da mettere. Guardò verso l’ingresso e notò che le sue orme acquose erano state asciugate.
Si diresse verso una porta aperta e illuminata. Da cui veniva una musica gradevole, molto bassa: da riempire i vuoti della solitudine, senza violentare lo spirito, come aveva detto una volta un suo personaggio. Vivaldi, forse, o Corelli: una musica che amava moltissimo.
Entrò in un ampio salone e trovò un bel camino acceso ad aspettarlo. C’erano due poltrone davanti e un tavolinetto di lato.
“Oh, eccoti qua.”, disse Roberto, accorgendosi del suo arrivo.
Si alzò per accoglierlo. Indossava ancora l’accappatoio e questo fece sentire Sandro un po’ più a suo agio. Era davvero un bel tipo, adesso che poteva guardarlo meglio, sui trentacinque anni, dieci meno di lui… e con quell’accappatoio, ora più lento in vita, era davvero seducente. Sandro si sentì un formicolio sotto i coglioni e tremò all’idea che gli venisse duro… e non portava neanche le mutande!
“Va meglio?”, gli chiese il giovane, facendogli cenno di venire avanti.
“Sì, molto meglio… Senti, io non so davvero come…”
“Ringraziarmi? – lo interruppe l’altro – Lascia perdere. Vieni a sederti vicino al camino, così ti scaldi.”, e gli indicò l’altra poltrona.
“Accomodati pure, vengo subito.”, gli disse poi, uscendo dalla stanza.
Sandro si sedette, tirandosi bene l’accappatoio sulle gambe, e tese le mani al fuoco.
“Ti dà fastidio questa musica? – chiese Roberto, rientrando – Se vuoi, spengo.”
“No, lascia pure: è la mia preferita.”
“Ti ho preparato un paio di sandwich, - aggiunse il giovane, deponendo un vassoio sul tavolinetto lì a fianco - ho pensato che potevi aver fame…”
Sandro lo guardò con gratitudine e ne prese subito uno, mentre Roberto tornava a sedersi sulla poltrona di fronte. Aveva le gambe leggermente aperte e le falde dell’accappatoio gli si erano scostate un poco, permettendo a Sandro di intravvedere un minuscolo scorcio della coscia, appena sopra il ginocchio.
“Ho telefonato al soccorso stradale, mentre eri in bagno.”, disse Roberto.
“Grazie, e quando vengono?”
“Mi dispiace, ma fino a domani non se ne parla: sembra che hanno un casino di interventi stanotte e quando gli ho detto che eri al sicuro da me, hanno rimandato a domani.”
“Ma…”
“Puoi fermarti qui, stanotte, non c’è problema. Domani mattina sistemeremo tutto.”
“Ti sto dando un sacco di fastidio…”, si rammaricò Sandro.
“Tranquillo, ho una stanza degli ospiti, in cui non dorme mai nessuno.”
“E’ molto bella la tua casa.”, osservò Sandro, cercando di distogliere gli occhi dal lembo di coscia, adesso più ampio, del suo ospite.
“Era dei miei, - sorrise Roberto – ci sono nato.”
“Ci vivi da solo?”
“Sono stato sposato; - spiegò Roberto - ma non ha funzionato. Dopo il divorzio, lei se n’è andata e io sono rimasto a vivere qui. E tu sei sposato?”
“Io? – chiese stupidamente Sandro – No…”
“Hai cancellato le donne dalla tua vita?”
“Qualcosa del genere…”
“A proposito, hai bisogno di telefonare a qualcuno che non rientri?”, gli chiese Roberto, allungandosi ad attizzare il fuoco.
Così facendo, per bilanciarsi, allungò la gamba destra e la falda dell’accappatoio scivolò di lato, scoprendola del tutto fino a mostrare un lembo dei candidi slip che indossava di sotto. Sandro rabbrividì e si sentì la gola secca.
“No… ti ringrazio… - riuscì a rispondere – vivo da solo pure io.”
Roberto si raddrizzò e si ricompose, ma ora la situazione era per certi versi peggiorata, perché le falde dell’accappatoio erano aperte in maniera tale da mostrargli l’intera fuga prospettica delle cosce pelosette, con una discreta visuale anche del bozzolo prominente al loro punto di convergenza.
Si rende conto dello spettacolo che mi sta dando o lo fa apposta?, si chiese Sandro, sentendosi un po’ imbarazzato per l’eccitazione che sentiva montarsi dentro. Per fortuna, il cazzo gli era scivolato in mezzo alle cosce e lui se le strinse ancora più forte, in modo da tenerlo celato, adesso che gli era venuto mezzo duro.
Ma a quanto pare, Roberto non si rendeva conto di niente; anzi, nel corso della conversazione, in cui si raccontarono parte della loro vita, quello che si poteva, ovvio, la cintura dell’accappatoio gli si era andata via via allentando, facilitando in tal modo un ulteriore scivolamento laterale delle falde dell’accappatoio, con conseguente ampliamento della visuale.
Il povero Sandro cercava di darsi un contegno, ma i suoi occhi impenitenti continuavano a fissarsi sul candido rigonfio di Roberto, così disinvoltamente e spudoratamente in bella mostra.’’

Forse è meglio che faccio una pausa, mi dissi, sentendomi eccitato per le cose che andavo raccontando.

(continua)
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