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Racconto di Natale - 1
di adad
14.12.2022 |
8.667 |
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"Il buio era pressoché totale: i radi lampioni erano soltanto un alone dorato nello spesso velame dei fiocchi turbinanti al gelido vento..."
Mi chiamo Harold, ho 35 anni e vivo da solo in un paese, ai margini della foresta in un remoto angolo del nord Europa. Vi chiederete dove, ma preferisco non dirvelo, meglio lasciare tutto nel vago, come dovrebbe addirsi a un racconto di Natale. Perché, allora, vi ho detto il mio nome? E chi vi dice che sia vero? Infatti, è uno pseudonimo, tanto per darmi un minimo di identità.Perché di tutto questo mistero? Tranquilli, non sono un assassino in fuga dalla giustizia, ma, più modestamente, uno scrittore… uno scrittore di un certo successo, devo dire, e non vorrei che la mia fama possa in qualche modo influire su questa storia, i cui protagonisti devono essere unicamente quei buoni sentimenti, verso i quali la pubblicità commerciale cerca di indirizzarci, soprattutto nel periodo natalizio.
Era la Viglia di Natale e avevo ricevuto diversi inviti da amici che mi ero fatto nel paese, i quali immaginavano che dovessi sentirmi depresso nel passare la Vigilia di Natale da solo; ma io avevo rifiutato, spiegando che in occasioni come queste, mi piace raccogliermi con me stesso, quasi a ricreare spiritualmente le tradizioni della mia infanzia. Così non avevano insistito, limitandosi a ricambiare di buon grado i miei auguri più sinceri.
La mia casa si trova un po’ discosta dal paese, un vecchio rudere abbandonato, che con i proventi dei diritti d’autore aveva fatto restaurare e rimodernare, per renderla accogliente e più consona alle mie esigenze.
In un angolo del soggiorno avevo allestito un piccolo presepe, con le poche statuine sbreccate che restavano dall’età dei miei nonni e attorno, a mo’ di stella cometa, ci avevo sistemato delle lucine intermittenti comprate dai cinesi, insolito connubio di passato e presente. Dopo il cenone, chiamiamolo così per tradizione, mi ero accomodato sulla poltrona di fianco al camino e mi stavo gustando l’ennesima replica di un film natalizio, quando, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra, mi accorsi che aveva preso a nevicare.
Erano alcuni giorni che il cielo si manteneva basso e pesante e adesso, a quanto pare, si era finalmente deciso ad esaudire le preghiere di quanti speravano in un suggestivo “bianco Natale”.
Io ho sempre adorato la neve e ogni anno non vedo l’ora che venga giù. Così, misi in pausa il televisore e corsi alla finestra: veniva giù che Dio la mandava, una tormenta come poche volte mi era capitato di vedere.
All’improvviso mi venne voglia di uscire, così mi bardai a dovere; stivaloni antiscivolo, giubbotto col cappuccio, sciarpa, guanti di lana, e via per strada… da vero incosciente. Appena fuori, venni investito dal vento gelido e fiocchi grandi come foglie d’albero presero a turbinarmi attorno, depositandomisi addosso, sul cappuccio e sulle spalle. Mi incamminai per la strada, già sommersa da almeno un palmo di neve, che scricchiolava, vergine, sotto le suole dei miei stivali. Il buio era pressoché totale: i radi lampioni erano soltanto un alone dorato nello spesso velame dei fiocchi turbinanti al gelido vento. Solo il biancore della neve creava una qualche luminosità in quel magico ambiente.
Avrei camminato fino a Gerusalemme, se ne avessi avuto la forza ma ad un certo punto, la stanchezza e il freddo mi consigliarono di tornare indietro, mentre l’immagine fumante di una tazza di vin brûlé mi si materializzava davanti agli occhi.
Ero giusto arrivato nelle vicinanze di casa mia, vedevo infatti i puntini baluginanti delle finestre illuminate, quando mi parve di sentire come un fievole gemito provenire da qualche parte. Mi bloccai, sentendomi gelare. Cosa poteva essere? I lupi non si erano mai spinti così vicino al paese, ma non si poteva mai sapere. Mi guardai attorno: tenebre e silenzio, sotto il rinnovato vigore della nevicata. Ripresi il cammino, affrettando il passo, la prudenza non è mai troppa, quando lo sentii nuovamente e stavolta era senza alcun dubbio un gemito, un’invocazione di aiuto.
“Chi c’è? – urlai, allora- Serve aiuto?”
“Qui… per favore…”, mi sentii rispondere nelle vicinanze.
Allora mi affrettai da dove veniva la voce e poco dopo scorsi una grossa massa riversa sulla neve.
“Qui… - mi fece, sollevando un braccio, appena mi vide – qui… per favore.”
Affrettandomi come potevo nella neve già alta, mi avvicinai, per trovarmi davanti un omone grande e grosso, o dovei dire grasso, disteso a terra e vestito da Babbo Natale.
“Santo Cielo, - esclamai – che ci fa qui, vestito da Babbo Natale?”
“Ci faccio che sono Babbo Natale! – rispose stizzito – Aiutami ad alzarmi, piuttosto.”
Mi piantai bene a terra e lo presi sotto le ascelle, ma aiutarlo a rialzarsi fu una vera impresa, non tanto per il peso, quanto per l’ingombro del personaggio.
“Lei sarebbe Babbo Natale? – feci, ancora ansimante per lo sforzo – Vuole prendermi per il culo?”
“E quelle cosa sarebbero, secondo te?”, sbottò lui, indicandomi qualcosa nel buio. E fu così che, strizzando gli occhi, oltre il baluginio dei fiocchi vorticanti, intravvidi una slitta a cui erano attaccate due coppie di renne.
“Bontà divina! Ma quelle sono renne…”
“E dietro c’è attaccata una slitta colma di regali e io sono Babbo Natale in carne e ossa!”
A quel punto, non ebbi più dubbi che fosse proprio lui, Babbo Natale.
“Ma che ci fa qui a quest’ora?”, chiesi.
“Mi scappava da pisciare, - rispose con voce mesta - ho fermato la slitta, ma mentre stavo tornando, sono scivolato… spero di non essermi rotta una gamba.”
“Rotta, non credo, - feci io sorreggendolo – magari ha preso una storta.”
“Quello che sia. Aiutami a tornare alla slitta: ho una lunga notte di lavoro che mi aspetta.”
“Ma non può riprendere il viaggio in queste condizioni! - protestai – Senta, abito in quella casa laggiù, la vede? Venga un attimo, le do un’occhiata alla gamba, magari le preparo qualcosa di caldo…”
“Sei un medico?”
“No, - risposi un po’ stizzito – ma mi intendo di gambe!”
“E’ un sollievo saperlo…”, mugugnò lui, appoggiandosi a me pesantemente e facendo cenno alle renne di seguirci.
Con uno scampanellio argentino, le renne si mossero, venendoci dietro.
“Possono aspettare nel giardino dietro la casa.”, dissi, aprendo la porta, che richiusi appena entrati, lasciando fuori il gelo della notte invernale.
Feci accomodare Babbo Natale nella poltrona accanto al camino e gli sfilai lo stivalone.
“Non c’è niente di rotto, - dissi, dopo avergli esaminato il piede – c’è un grosso livido sulla caviglia, deve aver preso una storta. Adesso gliela medico.”
Ci spalmai un po’ di balsamo di tigre e gliela fasciai.
“Con un po’ di riposo, domani mattina dovrebbe essere tutto a posto.”, lo rassicurai.
“Domani mattina? Ma è la Vigilia di Natale, devo andare a distribuire i regali ai bambini, devo andare subito!”
Fece per alzarsi, puntellandosi ai braccioli della poltrona, ma si afflosciò subito con un gemito.
“Non può muoversi, vede? Vuol dire che i bambini faranno a meno dei suoi regali, quest’anno.”
“Ma che diavolo dici? – scattò Babbo Natale – I bambini non possono fare a meno dei miei regali! Cosa avresti detto tu, se un anno non fosse passato?”
“Veramente, da me lei non è passato mai! - dissi con una certa acidità – Si vede che non aveva trovato l’indirizzo sulla guida stradale.”
Il vecchio mi guardò con aria stranita.
“Mi dispiace, - fece – Sospettavo che qualcuno mi sfuggisse, ma finora non ne ero sicuro. Ti chiedo scusa…”
“Non fa niente, ormai è passata. Tornando ad oggi…”
“Tornando ad oggi, - mi interruppe – se io non posso andare, vuol dire che ci andrà qualcun altro.”, e mi fissò intenzionalmente.
“No, no, no… non se ne parla!”, proruppi, intuendo il suo pensiero.
“Vedi bene che non c’è nessun altro.”, fece lui conciliante.
“Ma non scherziamo! Non saprei dove mettere le mani. Non conosco…”
“Non preoccuparti: le renne sanno dove andare: tu dovrai solo scendere e deporre i doni sotto l’albero o accanto al camino… o dove ti sembrerà opportuno. Vieni…”.
Mi avvicinai, lui si alzò dalla poltrona e, appoggiandosi a me, uscì sul retro della casa; si avvicinò alla renna capo della muta e le bisbigliò qualcosa all’orecchio, indicando me. Quella girò la testa a guardarmi con aria preoccupata, ma Babbo Natale la tranquillizzò, finché quella scosse le grandi corna, facendo segno di sì.
“E’ tutto a posto, tutto sistemato.”, disse Babbo Natale, tornando in casa.
“Ma come faccio, - cercai ancora di schermirmi – non ho il fisico… l’abbigliamento…”
“Non è un problema.”, fece lui e si staccò la barbona bianca e la parrucca con annesso cappello.
“Ma che diavolo…”, esclamai.
“Abiti di scena.”, disse lui con un sorriso disarmante.
Ma a lasciarmi basito non fu tanto la scoperta che si trattava solo di un trucco e parrucco, quanto la virile bellezza del volto che mi si svelava davanti… un volto senza età, ma di un fascino irresistibile con i lineamenti forti e regolari, gli occhi luminosi, le labbra carnose. Non ero mai stato attratto dagli uomini, ma quello emanava una forza, un magnetismo, un… qualcosa, che mi sentii rimescolare dentro.
“E’ tutto a posto?”, chiese, scrutandomi con i suoi occhi profondi.
Accennai di sì con la testa: avevo le labbra troppo asciutte per dire una parola.
Ma come poteva un volto così affascinante appartenere ad una persona così grassa? Qualcosa non quadrava.
“Aiutami a togliere questo…”, mi disse, cercando di sbottonarsi il giubbone con una mano, mentre con l’altra si appoggiava al tavolo, facendo ancora fatica a stare in piedi.
Allora, tirai giù la zip, allargai le falde e… sotto il giubbotto mi si svelò un torace di cui la maglietta semi aderente metteva in mostra la muscolatura soda e il ventre piatto. Con la testa che ormai non capiva più niente gli slacciai i pantaloni del costume e glieli tirai giù… indossava solo un paio di boxer larghi, di tessuto a quadrettini… Le cosce erano tornite e muscolose.
Babbo Natale tornò a sedersi sulla poltrona e si lasciò sfilare i pantaloni, mentre nel muovere delle gambe, la punta del grosso uccello, coperta dal prepuzio, gli faceva capolino dalla sgambatura dei boxer. Lui non se ne accorse, o comunque fece finta di niente.
“Mettilo”, mi disse con un sorriso.
“Ma sarà cinque volte la mia taglia…”, protestai.
“Non preoccuparti. È una manifattura elfica, ti starà alla perfezione.
Cercando di nascondere il mio scetticismo, mi spogliai e cominciai a infilarmi quel vestito, che in effetti, via via che lo indossavo, mi si adattava addosso perfettamente, trasformandomi in breve in un omone di almeno duecento chili! Ma la cosa stupefacente è che, nonostante l’ingombro, non mi era di nessun impaccio.
“Vai, adesso, ché ti si fa tardi.”, mi esortò Babbo Natale, appena mi ebbi sistemato barba e parrucca.
“Nel frigo c’è qualcosa da mangiare, - gli dissi avviandomi alla porta – si serva pure, se ha fame.”
Raggiunsi la slitta ed ebbi la sensazione che la renna capomuta mi facesse l’occhiolino.
Scrollai la testa per controllare l’ansia che mi divorava e salii sulla slitta, che prese immediatamente il volo con uno scampanellio argentino.
Non posso dire niente di quella notte: Babbo Natale mi fece giurare più tardi che avrei mantenuto il silenzio; posso dire soltanto che fu un’avventura folle, fuori di testa, che anche se la raccontassi, non mi crederebbe nessuno.
La notte era ancora fonda e la nevicata tuttora intensa, allorché la slitta planò nel mio giardino e prese terra con un morbido fruscio. Liberai subito le renne e le ricoverai sotto una tettoia, dopo di che svuotai il frigo di tutte le verdure che avevo, carote, porri, erba cipollina, e gliele portai: lo sguardo riconoscente di quelle povere bestie, valse a togliermi di dosso tutta la stanchezza.
Rientrai in casa, mi tolsi il vestito di Babbo Natale e, mezzo nudo com’ero, andai in cucina a prepararmi una tazza di tè, facendo più piano che potevo, per non svegliare il mio ospite; dopo di che, raggiunsi la camera. Nel vago lucore lattiginoso, che penetrava dall’esterno, individuai la sagoma del dormiente: in punta di piedi raggiunsi il lato opposto del letto e scivolai sotto le coperte, dandogli le spalle. Mi ero appena sistemato, che lo sentii farmisi accosto e incollarmisi alla schiena.
“Ti aspettavo… - mormorò con voce pastosa, mentre mi passava le braccia attorno al petto – Hai avuto problemi?”
“No, - mormorai – le renne sono state bravissime.”
Il calore della sua pelle nuda cominciò a bruciare sulla mia, passando attraverso la sottile maglietta, che indossavo. Boccheggiai: che stava succedendo? Davvero, quest’uomo vigoroso mi stava abbracciando?... davvero le sue labbra mi sfioravano la nuca? Mentre ero lì in preda a questi interrogativi, lui mi si fece ancora più accosto e sentii qualcosa di inequivocabilmente duro premermi contro le chiappe.
“E questo cosa sarebbe?”, chiesi, allungando la mano a tastarlo.
“E’ il tuo regalo di Natale. – ridacchiò lui – Credevi che me ne fossi dimenticato pure stavolta?”
“Sembra consistente…”, dissi scioccamente, non sapendo come reagire in un frangente del genere.
Come ho detto, non avevo mai provato interesse per un altro uomo, anche se la vista di quell’essere seminudo mi aveva indubbiamente turbato… Solo turbato? Vabbè, diciamola tutta: mi aveva affascinato, ma senza tirare in ballo nessun friccicore sensuale… per lo meno, non a livello cosciente. E adesso me lo ritrovavo incollato alla schiena, col suo cazzo turgido, che premeva contro la maglina logora dei miei slip e giusto in corrispondenza dello spacco del culo.
Ero infastidito?... no… Ero turbato in qualche modo?... neanche…Trovavo invece piacevole il contatto del suo petto contro la mia schiena, piacevole e gratificante.
Soprattutto, e questo mi stupì, mi trovai a desiderare che continuasse, che non si staccasse da me, che non mi sottraesse a quella gradevolezza in cui mi trovavo immerso, con le sue forti braccia attorno al petto e il suo cazzo premuto contro il mio culo. Se ero eccitato? sessualmente eccitato? No, davvero… per lo meno non subito.
“Sembra consistente…”, avevo esclamato, tastandoglielo.
“Deve ripagarti di tutti quelli che hai perso finora…”
E con queste parole, mi fece scivolare l’elastico degli slip sotto le chiappe. Subito dopo avvertii il suo organo caldissimo insinuarmisi fra le cosce, sbavandomi il retro delle palle.
“Sei stanco? – mi bisbigliò a questo punto - Vuoi dormire?”
Per tutta risposta, mi rigirai fra le sue braccia, fino a trovarmi quasi con le labbra che sfioravano le sue. Quasi cogliendo la palla al balzo, lui allora premette la bocca sulla mia, con l’evidente intenzione di baciarmi. E fu qui che avvenne l’impensabile: anziché scostarmi da lui, protestando che come si permetteva e tutto il resto, io dischiusi le labbra, come se non aspettassi altro, e mi lasciai scivolare in bocca la sua lingua.
Lo feci volutamente, in piena consapevolezza: non posso invocare nessuna giustificazione, nessuna attenuante. Sapevo che voleva baciarmi e consapevolmente ricambiai il suo bacio. Cosa mi stava succedendo? Non era un sogno, non era la fantasia di uno scrittore in vena di estrosità: era tutto vero, assolutamente, meravigliosamente vero. E fu allora che il mio corpo cominciò a reagire, che le mie centraline cominciarono a rilevare il piacere che mi pervadeva, fu allora che il mio cazzo si svegliò dal letargo e cominciò a pulsare di desiderio.
(continua)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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