Gay & Bisex
C'è stato un tempo
di adad
20.01.2022 |
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“Il vostro tempo lo state vivendo adesso, giovane come siete, caro don Cecilio, - ribatté l’altro – lasciate parlare me di certe cose, che la primavera..."
“C’è stato un tempo… - disse don Severino, con l’aria di voler partire per uno dei suoi sproloqui sui tempi che furono, com’era solito fare, quando sperava di avere un platea disposta ad ascoltarlo – in cui…”“Don Severino caro, - lo interruppe però don Cecilio – avete ragione, c’è stato un tempo… lo abbiamo avuto tutti un tempo, che adesso purtroppo non c’è più.”
“Il vostro tempo lo state vivendo adesso, giovane come siete, caro don Cecilio, - ribatté l’altro – lasciate parlare me di certe cose, che la primavera della vita me la sono lasciata indietro da un pezzo.”
Questo surreale colloquio si stava svolgendo sulla terrazza dell’Hotel Belvedere, dove i due gentiluomini si trovavano in vacanza sul finire dell’estate di un certo anno, che non occorre dire, perché non ha nessuna importanza per l’economia del racconto.
Con la stagione della villeggiatura ormai agli sgoccioli, erano rimasti pressoché da soli nel grande complesso e siccome erano ospiti abituali da diversi anni, godevano, diciamo così, di un riguardo tutto particolare sia da parte della direzione, che del personale… soprattutto maschile… chissà perché.
La vista che si godeva da quell’angolo di terrazza era a dir poco strepitosa: valeva da sola gli alti prezzi praticati dall’Hotel… beh, anche certi extra valevano quei prezzi. Uno dei quali si affacciò alla porta della terrazza.
“Tutto bene, signori?”, chiese.
“Ah Tonino, - disse don Severino con un ampio sorriso – sì, tutto bene, grazie. Mi porteresti una limonata? Anche per voi, don Cecilio?”
“Grazie, - rispose l’altro – molto fresca e poco zuccherata, mi raccomando, Tonino.”
“Certo, signori, provvedo subito.”, fece Tonino e scomparve.
“Un ragazzo davvero carino…”, mormorò don Severino.
E aveva ragione: con i suoi vent’anni appena suonati, Tonino era nel fiore della sua meravigliosa giovinezza. Alto, robusto, l’espressione sempre allegra sul bel volto dai lineamenti marcati.
“Un bravo ragazzo.”, assentì con convinzione don Cecilio.
Il quale bravo ragazzo tornò proprio in quell’istante, sorreggendo in un vassoio due bicchieri di un liquido verdastro.
“Ecco a voi, signori.”, disse, poggiando su un tavolinetto i due bicchieri deliziosamente appannati.
“Hai fatto presto.”, disse compiaciuto don Severino.
“In realtà era già pronta in ghiacciaia, - rispose Tonino – sapevo che me l’avreste chiesta.”
“Bravo! – disse don Cecilio, prendendo il suo – Fresca al punto giusto.”
Il giovane cameriere ringraziò con un leggero inchino e fece per ritirarsi.
“Ah, Tonino!”, lo richiamò don Severino.
“Dite”
“Più tardi, quando puoi, passeresti in camera mia? Vorrei chiederti un consiglio su una
Certa faccenda che mi sta a cuore.”
“Certo, don Severino. Alle quattro sono libero un paio d’ore: se per voi va bene…”
“Alle quattro va bene, ti ringrazio.”
“Grazie a voi.”, e si allontanò.
“Un bravo ragazzo…”, ripeté don Severino, sorbendo con un sospiro di apprezzamento un sorso della fresca bevanda.
“Bravo e bello. – assentì don Cecilio – Prima di partire dovremo esprimere la nostra soddisfazione al direttore. Che non gli passi per la testa di licenziarlo…”
Erano amici da tantissimo tempo don Severino e don Cecilio, da quando si erano conosciuti proprio lì, al Belvedere, durante una villeggiatura estiva: don Severino era un anziano dirigente in pensione, e don Cecilio un giovane possidente appena entrato in possesso dell’eredità paterna; benestanti entrambi ed entrambi zitelli, si erano trovati subito simpatici, tanto da essersi ripromessi di passare ogni anno almeno un paio di settimane di villeggiatura all’Hotel Belvedere, in modo da rinverdire la loro amicizia, integrando con la frequentazione la corrispondenza che si scambiavano durante il resto dell’anno. Don Severino era ormai sui settanta, ma conservava un fisico asciutto e diritto come un fuso: quello che si dice “ancora un bell’uomo”; don Cecilio invece era molto più giovane, doveva essere sui quaranta, snello e prestante grazie alla vita attiva e salutare che conduceva, secondo le nuove teorie che venivano dall’America, ma che i Romani avevano già sintetizzato diversi secoli prima nella massima “mens sana in corpore sano”.
Chiacchierarono ancora un poco, mentre finivano la loro limonata, ormai stiepidita, poi si ritirarono ognuno nella propria camera per il riposo pomeridiano.
Qualche ora dopo, don Cecilio decise di fare una passeggiata lungo il greto del torrente, adesso pressoché asciutto, che si snodava nel fondo della valle: per quanto faticoso, gli piaceva camminare in mezzo a quei ciottoli bianchi e polverosi, levigati dalle acque nei momenti di piena, calcinati dal sole abbagliante in quelli di magra: gli ricordavano per certi versi l’andamento delle umane vicende.
Indossò un abito leggero e un paio di scarpe comode, si calcò il panama sulla testa, per ripararsi dal sole ancora alto, e, preso il bastone da passeggio, uscì in corridoio, chiudendo a chiave la porta. Ma ecco che, passando davanti alla camera di don Severino, sentì provenire dall’interno un parlottio e delle risatine soffocate. Si ricordò dell’appuntamento che l’amico aveva col cameriere e pensò di fare un salutino a tutti e due.
Provò la maniglia: era aperta, allora socchiuse la porta e spinse dentro la testa… quello che vide lo lasciò senza fiato: il giovane Tonino gli dava le spalle ed era in piedi con i pantaloni e le mutande calati fino alle ginocchia, mentre don Severino lo teneva in vita con le mani e con la testa stava inequivocabilmente agendo all’altezza dell’inguine.
Don Cecilio rimase un momento, come ammaliato, alla vista di quel culo superbo, tondo e glabro, sorretto da due cosce muscolose, di cui le natiche fungevano come da capitello. Si sentì torcere lo stomaco e, pur volendo richiudere la porta e andarsene, si ritrovò a fare involontariamente un passo avanti.
Il leggero scricchiolio del piede sul parquet attrasse l’attenzione di don Severino che, sporgendo la testa dal fianco del ragazzo:
“Ah, siete voi, don Cecilio, - disse con un largo sorriso – venite, venite: stavo mostrando al nostro giovane amico i piaceri della gengivazione.”
“E’ uno sballo, don Cecilio!”, disse Tonino entusiasta, voltando appena la testa.
“Della gengivazione?”, chiese il nuovo arrivato, facendosi avanti.
“Del pompino senza dentiera!”, ghignò il giovane cameriere.
“Non essere impertinente! – lo riprese bonariamente don Severino, dandogli un leggero ceffone sulla chiappa – Volete provare pure voi, amico mio? Venite, venite…”
Mosso dalla curiosità di provare quella nuova esperienza, don Cecilio si tolse il cappello, lo depose su una sedia assieme al bastone, e si avvicinò, sbottonandosi i pantaloni e cavando fuori dalle mutande un uccello ancora frollo, ma già consistente.
“Tirate fuori pure le palle…”, disse don Severino e, dando seguito alle parole, gli infilò la mano dentro le mutande e ne cucchiaiò fuori la grossa borsa dei coglioni.
L’anziano la palleggiò un poco, compiaciuto, poi gli afferrò l’uccello, portandolo con due menate al giusto turgore, lo scappellò e avvolse il glande con la sua lingua pastosa, gustandone le primizie. Poi con mossa esperta lo ingoiò e se lo fece scivolare attraverso la stretta delle gengive. Era evidente che aveva una lunga esperienza alle spalle.
“Che ve ne pare?”, chiese dopo un po’, togliendoselo dalla bocca sgocciolante di saliva.
“Sono strabiliato… - boccheggiò don Cecilio – senza l’impaccio dei denti… è… è…”
“Non trovate le parole per dirlo, eh?”, ghignò il vecchio e se lo riprese in bocca, continuando a gengivarlo.
Poi riprese a lavorare il robusto trivello del cameriere, alternandosi con voluttà dall’uno all’altro. Nel frattempo, per sostenersi, don Cecilio aveva passato un braccio sulle spalle di Tonino, ma nelle convulsioni del piacere, la mano era lentamente scivolata verso il basso, fino a poggiarglisi sulla voluttuosa rotondità del culo. Appena se ne rese conto, l’uomo cominciò a palpeggiarlo con evidente bramosia, contribuendo in tal modo ad accrescere gli spasimi di piacere che Tonino stava provando.
“Che meraviglia di culo, il nostro giovane amico… - sospirò ad un tratto don Cecilio, mentre gli faceva scivolare le dita nello spacco, untuoso di sudore – non credete, don Severino, che dovreste…”
“C’è stato il tempo, caro don Cecilio… Ma alla nostra età, l’unica cosa ch’è rimasta funzionante è la lingua e gli unici piaceri, a cui possiamo attingere, sono quelli orali …”
“Dicono che le ostriche riescano a ravvivare…”
“Ce ne vorrebbe un intero mare! - commentò sarcasticamente don Severino – Ma accomodatevi voi, se vi fa piacere. Che ne dici, Tonino, se il nostro don Cecilio favorisce un po’ del tuo bel culo?”
“Veramente… sarei ancora vergine…”, disse il giovane con un po’ di titubanza.
“Sei ancora vergine? – esclamò don Severino con gli occhi che gli brillavano di sfrenata
libidine – Allora, don Cecilio caro, lasciate all’età il privilegio di assaporare questa primizia, così vi preparo anche la strada.”
“Ma senz’altro, amico mio, - rispose garbatamente l’uomo – accomodatevi.”
E fatto girare il giovane cameriere, e chinare in avanti, gli allargò lui stesso le natiche, offrendo l’orifizio all’adorazione di don Severino, che, senza esitare, avvicinò la bocca e ci saettò dentro la lingua.
“Wau…”, fu il commento di Tonino, sentendosi nel retto quel serpentone guizzante.
Per la verità, fu sfiorato dal dubbio se fosse davvero ben fatto quello che stava facendo, ma il signor Domenico, direttore dell’Hotel, non gli aveva sempre detto che dovere del personale era di accontentare le richieste degli ospiti? Ma sicuro che si riferisse pure a questo? Tonino non ne era sicuro… però, cazzo, se era piacevole quella lingua che gli scorreva dentro e fuori dal buco!.. E poi non stavano facendo nulla di male… e quei due gli stavano simpatici… e davano anche buone mance…
Messi, così, a tacere gli scrupoli, il giovane cameriere lasciò che don Severino si prendesse il suo piacere, ravanandogli con la lingua dentro e fuori dall’ano.
L’unico a scalpitare era don Cecilio, che ormai non vedeva l’ora di affondare il biscotto ed era talmente eccitato, che temeva di venire da un momento all’altro, solo a guardarlo.
Ma finalmente:
“A voi, amico mio, - disse don Severino, scostandosi – un vero bijou…”, e si leccò le labbra.
Don Cecilio, allora, lo fece girare e, mentre don Severino riprendeva a gengivargli l’uccello, sorbendo il sughetto amarognolo che ne sgorgava, lui infilò l’uccello nello spacco del culo, scivoloso di saliva, e trovato l’orifizio, spinse leggermente.
Tonino si irrigidì, non appena sentì forarsi da un oggetto ben più duro e meno scivoloso; ma l’altro aveva fatto un buon lavoro, ammorbidendogli lo sfintere, così con un secondo affondo, l’uomo gli ficcò dentro mezzo cazzo.
“Ah!”, strillò Tonino, dando una spinta in avanti per sfuggire alla pressione.
Ma così facendo, conficcò l’intero cazzo nella gola dell’anziano don Severino, che strabuzzò gli occhi e poco mancò che ci restasse secco. Ma si riprese subito, grazie alla sua decennale esperienza, e con un guizzo della testa si sfilò mezzo cazzo dalla bocca, continuando a suggere e slurpare, come se niente fosse stato.
Intanto, con abili mosse, don Cecilio era arrivato in fondo al suo percorso, portando a termine l’opera di deflorazione. O meglio, la prima fase, perché, come dicono i manuali, la deflorazione si può dire compiuta solo quando l’atto sessuale è terminato e il seme maschile deposto nell’apposito ricettacolo.
A questo punto, don Cecilio non perse tempo: avvolse le braccia attorno al petto del giovane e, mentre gli impastava le tette con le mani e gli strizzava i tettini con le dita, prese a galoppare con vigore, per quanto la posizione all’impiedi glielo rendesse poco agevole. Ma quel culo stretto e per la prima volta chiavato era così strepitoso, da rendere ininfluente qualsiasi disagio; così, l’uomo procedette al trotto e al galoppo con piena soddisfazione, non solo sua, ma anche del giovane Tonino. Il quale Tonino, impalato gagliardamente da dietro e gengivato famelicamente davanti, ormai non capiva più niente: stretto fra le braccia di don Cecilio, si dimenava e sguaiolava in preda ad un incontrollabile delirio erotico, e si sarebbe afflosciato a terra, se non lo avesse tenuto in piedi l’uomo che lo stava inculando.
Don Cecilio fu il primo a cedere: con un ultimo affondo brutale, accompagnato da un sonoro grugnito, premette con forza il bacino contro il culo di Tonino e gli rovesciò dentro una sfilza di fiotti corposi, che Tonino sentì distintamente battergli sulla prostata, mentre venivano scatarrati fuori.
Rendersi conto nel suo delirio che un uomo gli stava sborrando nel culo, fu l’ondata finale che lo travolse, portandolo a eiaculare il suo seme giovanile nell’avida bocca dell’anziano don Severino. Il quale, dopo averlo degustato e deglutito:
“Mmmm… - mugolò rivolto all’amico, togliendosi il cazzo di Tonino dalla bocca – un vero nettare, amico mio! Assaggiate, assaggiate…”, proseguì, continuando a reggere nella mano il cazzo del giovane, che si andava inflaccidendo.
Ormai svuotato, don Cecilio venne fuori dal culo di Tonino e si chinò a lambire le poche gocce di siero che ancora fuoriuscivano dall’uccello del giovane. Sentendoselo pizzicare sulla lingua, assunse un’espressione di assoluta beatitudine:
“Miele di castagno…”, sospirò rapito, allungando un altro paio di slinguate al glande ormai moscio, mentre don Severino assentiva entusiasticamente.
“Voi siete un bel volpino, amico mio, - riprese don Cecilio, fingendo di rimproverarlo – mi avete lasciato il culo, fingendo di farmi un favore, mentre vi siete tenuto per voi la parte più prelibata. Ma la prossima volta non me la fate.”
Tonino cominciava intanto a riprendersi dallo straniamento, che lo aveva preso, e sentendo questi due discutere su di lui:
“Ehi, - intervenne – visto che si tratta del mio culo e della mia sborra, non pensate che abbia diritto di parola pure io, se non di più?”
“Il ragazzo ha ragione.”, concordò don Severino, continuando a leccarsi le labbra.
“Cosa proponi?”, chiese don Cecilio, rimettendosi a posto i pantaloni.
Tonino avvampò: adesso che aveva la parola, non sapeva più cosa dire.
“Beh, ecco… - fece dopo un po’ – la prossima volta me lo succhiate tutti e due… e poi decido io a chi dare il culo.”
“Tesoro, - disse don Severino con bonaria filosofia – io posso farti godere con la lingua… ma se ci vuoi pure il cazzo, devi rivolgerti per forza a don Cecilio, che mi è sembrato davvero bravo, non è così?”
“Sì… - ammise Tonino, facendo spallucce, mentre cominciava a ricomporsi – Scusate, ma adesso devo proprio andare.”
“Aspetta, - lo fermò don Cecilio – dimmi, sinceramente: ti abbiamo offeso io e don Severino con quello che è successo? se è così, ci dispiace e ti chiediamo scusa.”
“Offeso? – ghignò quel furfante – non direi proprio… e poi, come dice il signor Domenico, noi dipendenti dobbiamo adoperarci al massimo per soddisfare i nostri ospiti.”
“Quanto a questo, io e don Severino siamo soddisfattissimi e lo faremo presente al direttore, stanne sicuro.”
“Grazie”, disse Tonino, avviandosi raggiante alla porta.
“Ah, tieni…”, disse don Severino, togliendosi dalla tasca un rotolino di banconote.
“Signore, non…”, fece Tonino, cercando di rifiutare.
“Su, su, voi giovani avete sempre bisogno di qualche soldo in tasca.”, e glielo infilò nella cintura dei pantaloni.
Uscito Tonino, don Severino si sistemò, con abile mossa la dentiera, poi versò due bicchierini di rosolio e ne diede uno all’amico.
“Bravo giovane.”, disse ancora.
Bevvero, accennando un brindisi.
“Ma voi stavate uscendo.”, osservò don Severino.
“Sì, uscivo a fare due passi.”
“Oh, e noi vi abbiamo distolto! Imperdonabile, vi prego di scusarmi.”
“Non vi preoccupate, è stata una piacevole interruzione. Vi unite a me?”
“Se non vi dispiace…”, disse don Severino, prendendo il panama e il bastone da passeggio.
“Anzi. È un piacere.”
Uscirono, avviandosi lungo il greto del torrente.
“Stavo pensando al nostro giovane amico…”, disse don Cecilio.
“Eh, già… - fece don Severino con una nota di rimpianto nella voce – C’è stato un tempo, in cui…”, e scosse la testa, perso in chissà quali pensieri e quali fantasie.
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