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Gay & Bisex

A me mi piace


di adad
20.12.2021    |    12.988    |    9 9.6
"” Lo fece entrare e lo condusse nella sua camera..."
“Senti, che ti devo dire? - affermò con decisione Lorenzo, con gli occhi che gli brillavano di cupidigia - a me il cazzo mi piace!”,
Emanuele scoppiò a ridere:
“Ma non si dice, cretino!”, fece.
“Cosa”
“Non si dice ‘a me mi piace’, dai.”
“Non si dice: a me mi piace il cazzo? – fece Lorenzo – E perché non posso dire che mi piace il cazzo?”
“Non è che non puoi dire che ti piace il cazzo, non puoi dire a ‘me mi piace’ neanche se si trattasse di mortadella.”
“Cosa c’entra adesso la mortadella con il cazzo?”, sbottò Lorenzo decisamente seccato.
“Ma niente, - spiegò Emanuele – non puoi usare l’espressione ‘a me mi piace’: è grammaticalmente sbagliata: è come se tu ripetessi due volte ‘mi mi piace’.”
“E se anche? – fece Lorenzo, che in realtà non ci aveva capito niente – A me il cazzo mi piace e lo ripeto anche dieci volte: mi piace il cazzo a me, mi piace il cazzo a me, mi piace il cazzo a me… Devo rendere conto a qualcuno?”
“Ok, ok, come vuoi tu.”, cedette Emanuele un po’ esasperato, chiedendosi se l’altro ci faceva o ci era.
“Allora, neanche tu puoi dire a me mi piace la figa…”, disse Lorenzo, con aria soddisfatta.
“Certo che non posso dirlo e infatti non lo dico.”
“Però la figa ti piace.”
“E certo che mi piace, ci mancherebbe altro!”, si gongolò Emanuele.
“Però, ti piace la metà…”
“Come la metà?... che cazzo stai dicendo?”
“Beh, se a me mi piace il cazzo, dici che è come se lo dicessi due volte; quando dici mi piace la figa, lo dici una volta sola, quindi ti piace la metà di quello che il cazzo piace a me.”
Rendendosi finalmente conto di essere caduto nella trappola di una di quelle discussioni surreali, che erano la passione dell’amico, Emanuele gli diede uno spintone scherzoso sul braccio:
“Ma dai, smettila, scemo!”, sbottò, ridendo.
Erano seduti fianco a fianco, Lorenzo ed Emanuele, sul muretto di pietra, che recintava il vasto parco pubblico del paese. Era ormai le quattro e non c’era quasi più nessuno in giro, solo loro due a godersi il sole del tardo pomeriggio invernale. Lo facevano spesso: mangiavano qualcosa in fretta, poi si trovavano all’ingresso del parco, facevano una lunga passeggiata e infine si riposavano seduti sul muretto in quell’angolo del giardino, dove non arrivava quasi mai nessuno.
Erano coetanei Lorenzo ed Emanuele, vent’anni scarsi: giovani entrambi e discreti rappresentanti della bellezza caucasica.
L’unica differenza era che a Lorenzo piaceva il cazzo e ad Emanuele la figa, ma non se ne facevano problemi: ognuno rispettava i gusti dell’altro. Già immagino, però, quello che qualcuno si andrà chiedendo: “Ma sto Lorenzo, che ha tutta l’aria di un gran porcellino, non ha proprio mai allungato l’occhio sul basso ventre dell’amico?” Ma certo che ce l’aveva allungato e avrebbe allungato anche le mani, se non fosse stato frenato da un profondo senso d’amicizia e soprattutto dal timore che l’amico avrebbe potuto reagire male.
Per questo si divertiva talvolta a trascinarlo in quelle discussioni paradossali, nelle quali immancabilmente Emanuele si lasciava coinvolgere.
“Hai mai toccato un cazzo?”, gli chiese d’un tratto Lorenzo.
“Cosa?”, fece Emanuele distolto da qualche suo pensiero.
“Ti ho chiesto se hai mai toccato un cazzo.”, ripeté Lorenzo.
“Beh, certo: devo pur tirarlo fuori, quando vado a pisciare!”
“Ma no, dai! Intendevo il cazzo di un altro.”
“E perché dovrei toccare il cazzo di un altro?”
Stavolta Emanuele aveva fiutato la trappola e stava studiando il modo per evitarla.
“Dicevo per dire…”, retrocesse Lorenzo.
“E tu hai mai toccato una figa?”, passò all’attacco Emanuele.
“E perché mai dovrei toccare una figa?”, esclamò Lorenzo scandalizzato.
“Per vedere l’effetto che fa…”, ghignò Emanuele.
“Ne faccio volentieri a meno.”, ridacchiò Lorenzo.
“Lo vedi?”
“Ma scusa, vuoi mettere il cazzo con la figa?”
“Dove sta la differenza?”
“Dove sta la differenza?!? Dove sta la differenza?!? – si infervorò Lorenzo – Vorrai scherzare, spero. In primis, il cazzo lo vedi, lo tocchi e te lo spupazzi come meglio credi; in secundis, la figa ’ndo’ sta? C’è sto buco piatto e è tutto lì.”
“E le tette dove le metti?”, tentò un affondo Emanuele.
“Che c’entrano le tette? – parò il colpo Lorenzo – stiamo parlando di altro, che se prendiamo la figura intera di un uomo, devi farne di strada, caro mio!”
“Ok, ok, - si arrese Emanuele, ridendo – con te è impossibile discutere.”
“Impossibile discutere? – ribatté l’amico – Sei tu che ti ostini a sostenere cause...”
“Cause?”
“Come minimo illogiche.”
“Ma da dov’è che siamo partiti?”
“Dal fatto che a me mi piace il cazzo, ma non lo posso dire.”
“No, è grammaticalmente scorretto, infatti.”
“E se dicessi: mi piacerebbe toccarti il cazzo?”
“Sarebbe corretto, ma non lo potresti dire lo stesso.”
“Perché?”
“Perché io non te lo lascio toccare.”
“Tanto, lo so come ce l’hai. Te l’ho visto, una volta.”
“Non dire sciocchezze.”, tagliò corto Emanuele.
“Ti ho visto che ti stavi facendo una sega…”
Emanuele avvampò. Non che non si facesse le seghe: chi non se le fa a vent’anni? ma per l’imbarazzo di essere stato visto in un momento così intimo.
“Non dire cazzate!...”
“Perché te la prendi? – disse Lorenzo con tono conciliante – Non è mica un delitto farsi le seghe: certe volte me ne faccio anche tre al giorno.”
“Sei un porco.”, disse Emanuele rasserenato.
Lorenzo fece spallucce.
“E quando sarebbe successo?”, riprese Emanuele.
“Lascia perdere…”
“No, adesso me lo dici!”, si impuntò l’altro.
“Ma sarà stato un paio di anni fa. Ero venuto a trovarti e tua madre mi disse che eri in camera e mi fece salire direttamente. Io venni su, c’era la porta solo accostata, io la spinsi per aprire e ti vidi sul letto con una rivista, che te lo stavi menando… Eri mezzo di spalle, ma l’uccello si vedeva … allora, ho richiuso la porta, ho pestato un po’ i piedi e poi ho bussato.”
“E’ stato quella volta lì? – scoppiò a ridere Emanuele – infatti mi ricordo…”
“Già… hai detto ‘Un momento’ e poi sei venuto ad aprire. Eri un po’ rosso in faccia… Ma io ho fatto finta di niente.”
“Vorrei vedere! Sul più bello sento bussare alla porta. Pensavo che fosse mia madre, ho buttato la rivista sotto al letto e… vabbè!”
“E se avessi saputo che ero io, che facevi? continuavi?... magari ti avrei dato una mano…”
“Smettila, scemo.”
“Lo so che sono scemo, Manu, - disse Lorenzo con tono stavolta serio – non farci caso, quando mi senti dire certe cazzate.”
“Quindi, non è vero che ti piacerebbe toccarmelo…”, lo stuzzicò Emanuele.
“Altroché, se è vero… e mi dispiace se ti imbarazzo.”
“Ma no che non mi imbarazzi, -fece Emanuele, dandogli una pacca sulla spalla – ti conosco da una vita e lo so da un pezzo che ti piaccio…”
Stavolta fu Lorenzo a diventare tutto rosso. Abbassò gli occhi.
“Ho cercato di non fartelo mai capire…”, mormorò.
“E’ vero, ma non sono un cretino, ho visto come mi guardi certe volte.”
“Scusami…”
“Ma dai! – disse Emanuele, passandogli un braccio sulle spalle e tirandolo a sé – Se mi avesse dato fastidio, non sarei qui a parlare con te.”
“Grazie, Manu, sei un amico fantastico…” disse Lorenzo e preso da un raptus improvviso gli stampò un bacio sulla guancia.
“Ehi, non ti allargare troppo, adesso, – reagì Emanuele, ridendo - tanto il cazzo non te lo faccio toccare.”
“Neanche vedere?”, scherzò Lorenzo.
“Neanche vedere…”
“Ok…”, fece Lorenzo, con un esagerato tono di rassegnazione.
Rimasero un po’ in silenzio ad ammirare il sole che stava tramontando dietro gli
alberi del parco.
“Se qualcuno ci vedesse così vicini vicini e tu che mi tiene un braccio sulle spalle, ci prenderebbe per due fidanzatini.”, ghignò ad un tratto Lorenzo.
“Eh, già…”, fece Emanuele, cominciando a sentirsi un po’ a disagio.
“E immagina cosa penserebbe se…”
“Se?...”
“Se mi vedesse con una mano sulla tua coscia…”, e con fare noncurante, gli poggiò una mano poco sopra il ginocchio.
“Penserebbe come minimo che devi smetterla di fare lo scemo!”, gli rispose Emanuele e gli prese la mano, togliendosela dalla coscia.
“Hai ragione, - sospirò Lorenzo, raddrizzandosi – arriva sempre il momento che basta così. Torniamo a casa, comincio a sentirmi un po’ idiota.”
“Idiota lo sei sempre…”, lo corresse Emanuele scherzosamente.
“Già, soprattutto quando siamo assieme…”, concluse Lorenzo con una leggera amarezza nella voce.

Il pomeriggio successivo, Emanuele suonò alla porta di Lorenzo. Il giovane era solo in casa e scese ad aprire.
“Manu! – esclamò con sincero piacere – Ma che bello, vieni, vieni.”
Lo fece entrare e lo condusse nella sua camera. Dopo essersi tolto il giubbotto, Emanuele si sedette sul letto assieme all’amico che prima del suo arrivo stava sfogliando delle riviste, gettate in fretta e furia sotto il letto.
“Ti dispiace se oggi non usciamo? – disse all’amico – Non ne ho proprio voglia.”
“Neanch’io ne ho molta voglia… fa troppo freddo.”, concordò Lorenzo, avvertendo in lui un certo disagio.
Pensò che dipendesse da quanto era successo il giorno prima. Si sentì in colpa e pensò bene di scusarsi.
“Ascolta, Manu… - cominciò – ieri sono stato un vero cretino… ogni tanto mi succede, lo sai…”
“Ogni tanto, spesso…”, lo interruppe l’altro con un sorriso.
“Hai ragione. In certi momenti divento odioso… Ti chiedo di scusarmi.”
“Non scusarti, - fece però Emanuele – se è vero quello che mi dici, capisco che ogni tanto… Può succedere a chiunque. Cerchi di farmi la corte… dovrei esserne fiero e orgoglioso, giusto?”
“Che fai, prendi in giro?”
“Ma no, che dici? È bello sapere che piaci a qualcuno. Un po’ ti fa sentire importante.”
Dicendo questo, Emanuele abbassò gli occhi, facendosi rosso in faccia. Tacque un momento, poi come se stesse raccogliendo il coraggio, fece un profondo respiro e, fattosi ancora più rosso:
“E comunque, - disse precipitosamente – sono venuto perché ho deciso di farti un regalo.”
“Per cosa?”
“Per il tuo compleanno.”
“Ma il mio compleanno è fra un mese!”, obiettò Lorenzo.
“Lo so, ma non posso aspettare… - mormorò l’altro – magari fra un mese mi mancherà il coraggio.”, e presa una mano di Lorenzo, se la poggiò sul pacco in mezzo alle gambe.
Lorenzo boccheggiò.
“Cosa fai?”
“So che lo desideri… è il mio regalo, per te.”
Lorenzo avvertì chiaramente un formicolio risalirgli lungo il braccio alla sensazione di calore che la sua mano assorbiva da quel contatto.
Adesso che lo aveva fatto, Emanuele si sentì più leggero; ma la reazione fu diversa per Lorenzo, che come oppresso dalla vergogna:
“Non devi…”, mormorò, cercando di ritirare la mano.
Ma Emanuele si trattenne la sua mano sull’inguine.
“Lo voglio, - disse dolcemente – lo voglio io, adesso. Ho riflettuto molto su quello che mi hai detto ieri…”
“Che a me mi piace?...”, lo interruppe Lorenzo con un timido sorriso.
“Anche… Ma quando mi hai detto che… che ti piaccio e hai cercato di non farmelo mai capire… Perché? Insomma, se mi piace una ragazza, io glielo dico.”
“Tu non sei una ragazza. Non sei programmato per ricevere la corte di un uomo...”
“E non conta niente che siamo amici?”
“Conta anche troppo… - disse amaramente Lorenzo – Proprio perché siamo amici ho dovuto tacere. Avevo paura di disgustarti, se ti avessi parlato seriamente.”
E finalmente Lorenzo cominciò a capire… soprattutto, cominciò a capire che il tono scherzoso dell’amico era dettato, non dalla superficialità, ma dal timore di urtarlo… di perderlo. Già, perderlo… come avrebbe reagito, in effetti, se Lorenzo quel discorso gliel’avesse fatto seriamente… se gli avesse detto seriamente ‘Mi piaci… ho voglia di toccarti l’uccello?’
Non era forse vero che si sarebbe spaventato e sarebbe scappato via?
Si fa presto a dire ‘Ho una mentalità aperta’, finché parliamo degli altri.
Lasciò andare la mano di Lorenzo e si alzò dal letto, avvicinandosi alla finestra. Rimase un pezzo assorto a guardare fuori, il giardino che si andava offuscando alle prime ombre della sera. Poi tornò a sedersi al fianco dell’amico che non si era mosso. Gli passò un braccio sulle spalle.
“Sono davvero uno sciocco, sai? Che ne dici di ricominciare daccapo?”
“Daccapo, cosa?”
“Ricomincia da ‘a me mi piace’, ok?”
“A me mi piace il cazzo?”, disse Lorenzo, sorridendo senza capire.
“Va un po’ più avanti… Va ‘a me mi piace toccartelo’…”
“No, era: a me mi piacerebbe toccartelo, - lo corresse Lorenzo – ma non lo posso dire lo stesso, perché non me lo lasceresti fare.”
“Beh, ogni tanto si può anche derogare…”, disse Emanuele e, ripresagli la mano, tornò a poggiarsela sul pacco.
Lorenzo lo fissò con gli occhi sbarrati e il cuore in gola.
“E’ il mio regalo di compleanno, te l’ho detto.”, ribadì Emanuele.
“Ma il mio compleanno è…”
“Insomma, - sbottò Emanuele - vuoi tapparti quella cazzo di bocca, dirmi grazie e aprire il regalo?”
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