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Gay & Bisex

A caval donato


di adad
30.05.2021    |    19.349    |    7 9.3
"Il dottore lo scrutò a lungo, accentuando il suo disagio..."
Si chiamava Donato. Donato di nome e, paradossalmente, Cavallo di cognome.
Cavallo Donato. Sì, lo so, i genitori a volte non hanno molta immaginazione, come quel signor Monte che ebbe la bella idea di chiamare la figlia Rosa, nome bellissimo, per carità, ma Monte Rosa chiamato all’appello dovette suscitare non poche risatine fra i compagni di scuola…
Non meno di quelle che suscitava Cavallo Donato, presto diventato Caval Donato a cui non si guarda in bocca nei crudeli sfottò degli amichetti. Ma per fortuna Cavallo Donato era fornito di una forte personalità e un giorno, era in terza media, all’ennesima provocazione, a caval donato ecc.., lui si girò, si calò i pantaloni e, scoprendosi le natiche:
“Allora guardatemi in culo!”, disse con tale aggressività, che da quel giorno lo lasciarono in pace.
Purtroppo, quella sua uscita ebbe effetti nefasti su un compagno di classe, tale Pino Scartoccia, che nella sua ingenuità lo prese sul serio e gli rimase per sempre la curiosità di guardargli nel culo per davvero. Ma il culo di Donato si poteva ammirare solo dall’esterno, e bisogna dire che con la crescita e l’attività sportiva, quel particolare anatomico andò facendosi di anno in anno più degno di nota… dal verbo notare… non so se mi spiego.
Finite le medie, Pino e Donato, che tra parentesi non erano mai stati molto legati, si persero di vista, frequentando scuole superiori diverse e poi anche l’università in città diverse. Naturalmente, il “caval donato a cui non si guarda in bocca” aveva continuato a perseguitare il nostro amico, ma lui alla fine aveva fatto buon viso a cattivo gioco, preferendo per lo più ignorare le punzecchiature
Per completezza di informazione, dobbiamo dire che neanche Pino Scartoccia se l’era passata molto bene, con i tanti che continuavano a prenderlo in giro: “Pino Scartoccia, scartocciami l’uccello”…
Purtroppo, per tanti l’infanzia e l’adolescenza non sono periodi né belli, né facili.
Laureatisi entrambi con successo, entrambi si affermarono nella vita lavorativa,
divenendo apprezzati professionisti l’uno, Donato, nel campo delle consulenze di non so cosa, e l’altro, Pino, nella medicina odontoiatrica.
Avevano lo studio nel medesimo stabile, vedi le coincidenze nella vita, ma nessuno sapeva dell’altro, anche perché con tutti gli anni che erano passati, almeno una ventina, non si ricordavano più neanche i reciproci nomi. Ma altre cose erano successe in quella ventina d’anni: Donato Cavallo si era sposato, divorziando meno di un anno dopo, allorché si era reso conto che il matrimonio non faceva per lui; Pino Scartoccia invece, a furia di sentirselo proporre, alla fine si era tentato a scartocciare qualche uccello e siccome non gli era dispiaciuto, alla fine ci aveva preso gusto ed era diventato un adepto pure lui della grande famiglia Scartocciacazzi. Una famiglia numerosa e influente, bisogna dire, con agganci e infiltrazioni per ogni dove. L’Autore ha sentito dire che esisterebbe anche un Loggia Massonica espressamente dedicata, ma se c’è, è un segreto gelosamente conservato: per quante ricerche abbia fatto, non è venuto a capo di nulla.
Ma torniamo alla nostra storia.
Donato Cavallo, dunque, e Pino Scartoccia avevano lo studio professionale nello stesso stabile, ma senza che la cosa avesse attirato la loro attenzione, per i motivi precedentemente esposti. Finché, un giorno, caso volle… Qualcuno dirà: “Ma, insomma, qui tra coincidenze e casi vari sembra che tutto sia stato architettato apposta dallo Scrittore!” Che posso dire? non è colpa mia, se i due avevano impiantato lo studio nel medesimo stabile e se un giorno l’ingegner Cavallo venne colto da un terribile mal di denti: succede e basta.
Tormentato, dunque, da questo insopportabile mal di denti, l’ingegnere chiamò la segretaria, pregandola di cercare uno studio dentistico e di fissargli un appuntamento il prima possibile, ché lui stava diventando matto per il dolore.
“C’è uno studio dentistico due piani sopra di noi, - disse la segretaria – conosco la ricezionista: provo a sentire.”
Tornò dopo cinque minuti.
“Il dottore potrebbe riceverla fra un’oretta. Che faccio, confermo?”
“Certo, Paola. Grazie, è un vero sollievo.”
Una cinquantina di minuti dopo, l’ingegnere metteva piede nello studio dentistico.
“Sono l’ingegner Cavallo, - disse, avvicinandosi alla ricezione – la mia segretaria ha telefonato un’oretta fa…”
“Certo, certo, si accomodi pure in sala d’attesa, - disse la signorina, esibendo in un sorriso una dentatura smagliante, come le imponeva l’etica professionale – il dottore la chiamerà appena sarà libero.”
L’ingegnere si accomodò su una scomoda poltroncina e infatti poco dopo l’assistente si affacciò e:
“Donato?”, chiese con quella simulata familiarità con cui credono di mettere a suo agio il torturando.
L’ingegnere annuì, impedendogli le fitte di parlare.
“Venga”, e gli fece strada nello studio, facendolo accomodare sulla poltrona.
“Il dottore arriva subito.”, aggiunse e scomparve.
Iniziò un’attesa penosa, scandita dal pulsare della gengiva come il tic-tac di un orologio. E finalmente arrivò il dottore, già mascherinato e parato di tutto punto.
“Buongiorno.”, fece con voce giovanile.
“Buongiorno…”, mugugnò Donato, già cominciando a sudare freddo.
Il dottore lo scrutò a lungo, accentuando il suo disagio.
“La mia assistente mi diceva che ha un problema…”, iniziò, cominciando a scartare gli strumenti.
“Sì, ecco…”
“Apra, per favore, ché diamo un’occhiata.”
Donato aprì e l’altro cominciò a rovistargli in bocca…
“Oh, nulla di grave, si rassicuri. – fece dopo un po’ – E’ solo una piccola infezione: adesso le faccio una medicazione, poi le prescrivo degli antibiotici e ci rivediamo la settimana prossima, ok?”
Tutto procedette senza eccessivi patemi e già al finire della medicazione il dolore si era attenuato… o forse era merito dell’anestesia…
Donato si era appena risciacquato, quando l’altro:
“Finalmente posso dire di essere riuscito a guardare in bocca a Caval Donato!”, se ne uscì con un guizzo di allegria negli occhi.
“Ma cosa diavolo?...”, si adombrò l’ingegnere, che da anni non si sentiva più rivolgere così platealmente quell’odiosa facezia.
“Non mi riconosce?”, fece, allora, il dottore, togliendosi la mascherina
“Dovrei?”
“Sono Pino… Pino Scartoccia… non si ricorda?”
“Pino Scartoccia?...”
“Siamo stati compagni di scuola… alle medie….”
“Scartoccia… Sì, adesso mi ricordo… Mi scusi se non l’ho riconosciuta.”
“Oh è passato tanto di quel tempo.”
“Vent’anni buoni…”, confermò Donato.
“Già, vent’anni… e adesso lavoriamo nello stesso stabile, a contatto di gomito, direi.”
“Già… a contatto di gomito.”
“Senta… senti… possiamo darci del tu?”, chiese il dottor Pino, a cui l’ingegner Cavallo non dispiaceva per niente.
“Ma certo.”, rispose Donato, più felice per la fine della seduta, che per l’avvenuto ritrovamento.
“Allora, adesso ti prescrivo un antibiotico, poi ti fissiamo un appuntamento fra una settimana… magari ti metto per ultimo, così poi andiamo a bere qualcosa e ricordiamo i vecchi tempi… A meno che… Sei sposato, per caso?”
“No… divorziato.”
“Oh, mi dispiace.”
“A me no!”, disse Donato, lasciandosi finalmente andare e stringendogli con forza la mano.
La settimana passò abbastanza in fretta per Donato, un po’ meno per Pino, divorato com’era dall’ansia di rivedere il suo antico compagno di scuola, in onore del quale si sparò non poche seghe, ricordandone il glabro culetto quattordicenne, a cui aggiungeva nelle sue fantasie una pannocchia non indifferente da scartocciare, almeno stando alla voluminosità del rigonfio, che aveva avuto modo di valutare a suo bell’agio, mentre l’altro era disteso sulla poltrona nel suo studio.
Una volta giunti al fatidico “Sciacquati pure”, l’ingegnere, per la verità, non aveva nessuna voglia di andare a bere qualcosa con il dottore, prevendendo un seguito di silenzi imbarazzati e imbarazzanti: di cosa potevano parlare, del resto? Tutt’al più dei rispettivi lavori, sai che allegria!
Comunque, non essendo riuscito a trovare nessun pretesto valido per rifiutare, dovette rassegnarsi. Senonché, contrariamente alle aspettative, già alla seconda birra l’atmosfera si era distesa e i due chiacchieravano scioltamente di questo e di quello; tanto che l’ingegner Cavallo, non ebbe nulla da obiettare quando, il dottor Scartoccia propose di andare a mangiare una pizza, che conosceva lui un posticino dove la facevano meglio che a Napoli.
La pizza non deluse le aspettative e dopo un altro paio di birrette, a cui si aggiunse il limoncello offerto dalla casa e bissato, perché davvero buono e fatto da loro, gli animi dei due erano decisamente allegri e disposti a ulteriori confidenze.
Non stupisce, allora, quando, usciti dalla pizzeria:
“Ma guarda, - disse Donato – questa è la mia zona… abito proprio lì, dietro l’angolo; ti va di salire a bere il bicchiere della staffa?”
Come dire di no ad un invito così cordiale, specialmente se la lucidità mentale comincia a dare qualche segno di cedimento? E infatti il dottor Pino non disse di no. Tanto più che se la testa tendeva ad alleggerirsi, il pestello dal canto suo tendeva a diventargli sempre più pesante.
“Ma che bello! – esclamò appena furono in casa, guardandosi attorno – Complimenti… è davvero simpatico e accogliente.”
Si accomodarono in soggiorno. Il primo bicchiere della staffa fu servito… il secondo lo seguì da vicino… al terzo, non sembravano più avere tanta voglia di separarsi. E cominciarono i ricordi.
“Mi ricordo quella volta che qualcuno ti stava sfottendo… a caval donato non si guarda in bocca, e tu ti calasti le braghe e gli mostrasti il culo e gli dicesti: e allora guardatemi in culo!”, se ne uscì ad un tratto il dottor Pino.
“Ma davvero? – chiese Donato, scoppiando a ridere – Mi calai i pantaloni?”
“Sì, sul didietro…”
“Noooooo… e gli mostrai il culo?”
“Dovevi vedere che faccia fecero!”, e giù risate da tenersi la pancia tutti e due, ormai decisamente brilli.
“Pensa se qualcuno ti prendeva sul serio e ti veniva davvero…. ahahahahah… a guardarti nel culo!”
“Aspetta, aspetta… e a te com’è che dicevano… Scartoccia… Scartoccia… scartocciami l’uccello!”
“Già… ahahahahah!...”
“Scartocciami l’uccello… ahahahahah!”
“E sai cosa ho fatto?”
“Cosa?”
“Una volta a uno gliel’ho scartocciato per davvero!... ahahahahah!”
“Come, gliel’hai scartocciato? ahahahahah!”
“Così…”, e ridendo, Pino Scartoccia si avvicinò a Donato, gli aprì i pantaloni, mentre quello continuava a sbattersi dalle risate, glielo cavò fuori dalle mutande, molliccio sudato, e se lo imboccò fino alla radice.
Del tutto inconsapevole di quanto stava succedendo, Donato si abbandonò sullo schienale del divano, in preda ad una incontenibile crisi di scompisciante ridarella; diversamente dal suo cazzo che, ben consapevole della bocca da cui era stato risucchiato, prese di colpo ad inturgidirsi, pretendendo una verifica più fattuale delle tecniche di scartocciamento acquisite dall’amico Pino, la cui mente, del resto, si era del tutto snebbiata, non appena la sua lingua aveva cominciato a mulinare attorno a quel glande sugoso.
Era uno spettacolo a suo modo grottesco vedere l’ingegner Cavallo che si torceva dalle risate sul divano, mentre il dottor Scartoccia gli scartocciava l’uccello, succhiandoglielo con l’avidità e la perizia di un pompinaro provetto.
“Cosa stai facendo?”, chiese ad un tratto Donato, prendendo finalmente coscienza, tra i fumi dell’alcol, di quanto stava succedendo.
Pino non rispose, proseguendo il suo godurioso lavoro. Forse Donato avrebbe dovuto dirgli “Smettila” e allontanarlo con uno spintone. Forse, ma non lo fece. Perché se la stava spassando pure lui o perché era tuttora ottenebrato dall’ubriachezza? Non lo sapremo mai.
Sappiamo solo che Pino Scartoccia andò avanti a slurpare e succhiare, finché con un singulto strozzato l’amico sborrò e gli riempì la bocca di sperma amarognolo.
“Mi hai succhiato il cazzo…”, mormorò l’ingegnere con voce stupita, non appena l’altro risollevò la testa, leccandosi le labbra.
“Già, - sorrise il dottore, ormai del tutto sobrio – e sai una cosa? Mi piacerebbe anche dare un’occhiata al tuo culo, se è ancora bello liscio, come quella volta che ce l’hai mostrato.”
“Certo, che lo è!”, biascicò l’ingegnere.
“Beh, vediamo…”, fece l’altro e cominciò a slacciargli i pantaloni.
Perché Donato non lo fermò? perché era ubriaco? perché era succube dell’amico? perché ci stava prendendo gusto? Mah! Se non lo sapeva lui, come possiamo saperlo noi? L’unica cosa certa è che si lasciò sfilare i pantaloni, si lasciò rovesciare sul divano a pancia in giù e poi abbassare gli slip sotto le natiche, senza il minimo cenno di protesta.
“E’ davvero liscio come allora!”, mormorò Pino quasi commosso, carezzando dolcemente quelle natiche sode dalle pelle di seta.
Poi baciò entrambe le montagnole e infine, allargatele nel punto più basso, affossò il volto nello spacco e slinguò un paio di volte l’orifizio, prima di infilarci la lingua.
“Wow!...”, sospirò estatico Donato, poggiando la testa sulle braccia congiunte e chiudendo gli occhi, apparentemente perdendosi nel sonno.
Non credo sia necessario andare oltre. Dico solo che dopo aver scartocciato il cazzo di Donato nella propria bocca, adesso Pino scartocciò il suo di cazzo nel culo di Donato con altrettanta perizia e goduria.
La mattina li colse addormentati nel grande letto matrimoniale, entrambi nudi e non proprio nelle migliori condizioni.
L’ingegnere fu il primo a svegliarsi: aveva la bocca impastata e la testa pesante. Aprì gli occhi a fatica, non riuscendo a capacitarsi di dove si trovava… Ci mise un po’ a realizzare che si trovava a casa sua… nel suo letto. Ma perché era nudo, lui che dormiva sempre col pigiama? Poi ricordò che era andato a cena con quel cagacazzi di Pino Scartoccia… Doveva essere davvero brillo, quando era rientrato.
A quel punto, sentì uno sbuffo accanto a lui. Saltò a sedere sul letto e accese la lampada sul comodino.
“E tu chi cazzo sei?”, fece, vedendo un uomo nudo che si stava svegliando dall’altra parte del letto.
“Buongiorno…”, biascicò quello.
“Chi cazzo sei? E che ci fai qui?”
“Come, chi sono? Sono Pino, non mi riconosci?”
“Pino?... Pino, chi?”
“Pino… il tuo amico dentista… siamo andati a cena ieri sera…”
“Già… - qualche ricordo cominciò ad affiorargli nella mente - Siamo andati a cena… Ma che ci fai qui?”
“Mi hai detto tu che potevo restare a sera dormire… Ero troppo ubriaco per guidare.”, il che era vero, cioè il fatto che era stato Donato a dirgli di restare.
“Ma perché siamo nudi?”
“Non ricordi proprio niente? Abbiamo fatto sesso.”
“Cosa??????”
“Sì, ti ho fatto un pompino e poi ti ho inculato.”
“Mi hai?....”, balbettò Donato incredulo, correndo a toccarsi il buco del culo e fissandosi poi con gli occhi sbarrati la mano bagnaticcia del liquido viscoso, che gli era colato fuori durante la notte.
Seguì un lungo drammaticissimo silenzio, mentre Donato lo fissava sconvolto.
“Mi dispiace… - fece allora Pino – non hai detto niente, mentre lo facevamo… ho pensato che ti piacesse… che fossi d’accordo…”
“Che invece fossi troppo ubriaco per capire cosa mi stavi facendo, non lo hai pensato?”
“Scusa… ero ubriaco pure io…”, mentì il dentista con aria contrita.
“Vestiti e vattene! – sibilò l’ingegnere – Maledetto il momento che ho messo piede nel tuo studio!”
Avvilito, Pino si tirò su e si vestì in fretta: francamente non aveva immaginato che potesse finire così.
“Scusami… - disse, voltandosi sulla porta della camera – Non volevo farti del male… se può consolarti, ti ho trovato fantastico…”
“Fuori da casa mia!!!!”
Era passato quasi un mese da quella fatidica notte. Il dottor Pino era tormentato dai rimorsi per aver abusato del vecchio compagno di scuola. Aveva cercato di convincersi che era successo perché erano entrambi ubriachi, ma in realtà sapeva benissimo che a questo aveva mirato fin dal primo invito a bere qualcosa dopo la seduta. E poi non era vero che fosse ubriaco al momento del misfatto: aveva recuperato tutta la sua lucidità, altro che se l’aveva recuperata!
Perché, allora, lo aveva fatto? Perché quel cazzo di Donato gli piaceva, per la miseria! Perché erano vent’anni che se lo sognava, ecco perché!
E adesso aveva rovinato tutto… Già, ma cosa c’era da rovinare? Cosa mai ci sarebbe stato?
Era immerso in queste elucubrazioni, durante una pausa di riposo, quando suonò il telefono sulla sua scrivania: una telefonata esterna che la ricezionista gli aveva inoltrato.
“Pronto?”, chiese.
“E così mi hai trovato fantastico, maledetto porco!”, si sentì dire da una voce che riconobbe subito.
Gli tremarono le mani mentre stringeva spasmodicamente la cornetta.
“Allora? Parlavi sul serio o mentivi come quando hai detto che eri ubriaco e non lo eri?”
Le parole erano dure, ma non c’era animosità nella voce dell’interlocutore.
“Parlavo sul serio, Do’, credimi: parlavo dannatamente sul serio.”
Silenzio.
“Va bene, - riprese l’altro dopo un po’ – allora passa nel mio studio, quando hai finito. Sai dove sto, ti aspetto.”
“Hai intenzione di spaccarmi la faccia?”
“Non sarebbe una cattiva idea… per un farabutto come te…”
“Do’, mi dispiace… mi dispiace davvero…”
“Lascia stare. Verrai?”
“Sì…”
“Bene, non farmi aspettare.”
E riattaccò bruscamente.
Pino Scartoccia rimase a fissare la cornetta, poi sorrise e fece un profondo respiro, mentre il cuore gli si apriva in un’immensa ondata di sollievo e di gioia.

FINE
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