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Il Bello Addormentato nel bosco - 2
di adad
18.10.2018 |
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"Era passato ormai qualche anno; il principe aveva continuato a girovagare in lungo e in largo, e cominciava a sentirsi deluso..."
Il Principe Azzurro, Azzurro per gli amici, cavalcava lentamente sul suo cavallo bianco per sentieri che mostravano di non essere stati da tempo calpestati da piede umano.Era bellissimo il Principe Azzurro, con la fluente chioma bionda, gli occhi verdi, il fisico atletico e tutte le sue cose al posto giusto, come si addice del resto ad un principe, per di più Azzurro. No,scusate, ma qualcuno ne ha mai visto uno racchio, con i foruncoli sulla faccia e le gambe storte? Appunto!
Le cosce poderose, fasciate dall’azzurra calzamaglia, strette ai fianchi del bianco destriero, il principe avanzava nello stretto viottolo, cercando di non sbattere ai rami delle piante che si protendevano verso di lui, quasi a ghermirlo. Sul farsetto gli riluceva una massiccia catena d’oro e un lungo mantello, logicamente azzurro, gli copriva le spalle, distendendosi sull’intera groppa del cavallo.
Essendo secondogenito e quindi senza speranza di ereditare qualcosa, il principe si era trovato di fronte al dilemma se ammazzare il primogenito e candidarsi come erede al trono, oppure andarsene via in cerca di fortuna; ma siccome voleva molto bene al fratello, che del resto non aveva nessuna colpa, se era venuto al mondo prima di lui, preferì andarsene in cerca di fortuna.
In cerca di fortuna… è una parola! Il principe esaminò diverse opzioni, ma senza riuscire a trovarne qualcosa che lo soddisfacesse e soprattutto gli assicurasse un adeguato tornaconto economico. Qualcuno gli suggerì di fare il modello, ma la volta che si ritrovò pesantemente palpeggiato nei camerini da uno stilista di grido, pensò che se proprio doveva dare via il culo, preferiva scegliere lui il momento e la persona; così, gli mollò uno sganassone e se ne andò.
Alla fine, un amico gli suggerì quella che era ancora una carriera promettente, nonostante i tempi d’oro fossero tramontati da un pezzo: il risvegliatore di principesse addormentate. Certo, la possibilità che ce ne fossero ancora si faceva di giorno in giorno più risicata; ma se non altro si girava il mondo, si vedevano posti nuovi… e se si era tanto fortunati da trovarne qualcuna, le antiche profezie parlavano chiaro: la principessa si sarebbe innamorata di lui e sarebbero convolati a giuste nozze, vivendo poi a lungo felici e contenti.
Così, fece un breve corso di formazione, diplomandosi brillantemente in tecniche di risveglio col bacio, si procurò tutto il necessario per il lungo viaggio che lo attendeva e partì. Ma, ahimé, quelle tre o quattro principesse in cui si era finora imbattuto, si erano rivelate così poco appetibili, che aveva preferito lasciarle tranquille al loro sonno.
Era passato ormai qualche anno; il principe aveva continuato a girovagare in lungo e in largo, e cominciava a sentirsi deluso. Aveva pensato di tornare a casa e chiedere ospitalità al fratello, divenuto re nel frattempo, ma come poteva ripresentarsi con un simile fallimento alle spalle: che figura ci avrebbe fatto?
Ad un tratto, però, si accorse di non conoscere la foresta che stava attraversando, non ci era mai stato nel corso delle sue estenuanti ricerche: forse valeva la pena esplorarla con un po’ più di attenzione. Continuò a seguire il sentiero dismesso alla ricerca di qualche segno di vita: ma gli unici suoni erano il calpestio smorzato del cavallo e il fruscio del vento tra le foglie. Per il resto, silenzio.
Un profondo silenzio. Silenzio… Silenzio? Un momento! Un silenzio così profondo non gli era mai capitato. Le foreste pullulano di vita, lo sanno tutti: uccelli, farfalle, bisce, ragni, scoiattoli, mosche... Ma dov’erano qui? Sembra che stiano dormendo tutti… Dormendo tutti? Un lampo gli esplose nella testa. Ma certo! Questo non è un silenzio naturale, questo è un silenzio magico…
“Scommetto uno a cento che da qualche parte c’è una principessa addormentata! - si disse il principe Azzurro tutto elettrizzato – e sarà mia! Me lo sento, stavolta la fortuna non mi volterà le spalle.”
Rallentò ulteriormente il passo del cavallo, scrutando con attenzione attraverso la folta cortina degli alberi, finché gli parve di intravvedere laggiù in fondo un macchione ancora più folto. Ci si diresse e tutt’a un tratto si trovò la strada bloccata da una barriera di alberi foltissimi.
“Tutto questo non è naturale.”, si disse il principe, ormai sicuro che finalmente sarebbe saltato fuori qualcosa.
Smontò, lasciando che il cavallo si allontanasse a brucare la fresca erba del bosco, tanto non si sarebbe allontanato, e lui prese a cercare un varco. Ma per quanto cercasse, lo spazio tra le querce annose, i lecci secolari e la sterpaglia spinosa era talmente esiguo che neanche una scimmia sarebbe riuscita a passarci. Quel posto doveva nascondere senz’altro un grande segreto.
Andò avanti a cercare per qualche ora, e proprio nel momento in cui stava per arrendersi, trovò uno spazio in cui riuscì a passare e così, insinuandosi di qua, infilandosi di là, alla fine, sia pure col mantello a pezzi e la calzamaglia strappata, si trovò dall’altra parte, un’ampia radura al centro della quale si ergeva un antico palazzo segnato dal tempo. Le finestre erano chiuse, molti vetri intatti, le persiane pendevano sconnesse e i comignoli sul tetto erano quasi tutti crollati.
Più che mai convinto di essere sulla buona strada, il Principe Azzurro andò alla ricerca di un’entrata e alla fine si trovò davanti un portone scrostato, mezzo cadente sui cardini arrugginiti.
Facendo un enorme sforzo, riuscì a spostare un battente quel tanto da permettergli di sgusciare all’interno. Il cortile, in cui si trovò, era ingombro di erbacce ed ortiche, ma qua e là si vedevano persone, chi seduta, chi stesa a terra, tutte immobili, con i vestiti stinti e a brandelli. Si avvicinò: non erano morti, o almeno non potevano esserlo, conservati così perfettamente. Si avvicinò ancora di più a una ragazza, che dava l’aria di essere una servetta, e si accorse del suo fievole respiro. Era viva… solo addormentata e da chissà quanto tempo.
“Evvai!”, esultò il principe.
Finalmente! Col cuore che gli martellava nel petto, salì le scale pericolanti, si addentrò nei lunghi corridoi, sfondando ragnatele spesse come un dito, aprì porte, entrò nelle camere, trovò gente di ogni risma abbandonata nel sonno, ma di fanciulle, che avessero l’aria di essere una principessa bisognosa di risveglio, al momento neanche la traccia.
Cercò per tutto il palazzo da cima a fondo, perfino nelle cucine e nelle cantine, ma niente: solo servette, guardie armate e donne di una certa età. Stava per gettare la spugna e andarsene, quando nell’ennesimo giro per il palazzo capitò ad una porta, davanti alla quale due guardie armate erano accasciate al suolo che dormivano russando leggermente.
Beh, se la porta era sorvegliata, vuol dire che all’interno c’è qualcosa di prezioso, qualcosa che andava difeso: una principessa? Provò ad aprire, ma la porta era chiusa a chiave. Allora, diede una spallata e il legno, consunto dal tempo, si sbriciolò, facendolo quasi precipitare all’interno come un ariete.
Si trovò in un’anticamera sporca e polverosa. Andò verso una porta sulla parete di fronte, l’aprì e si trovò di fronte uno spettacolo che mai più si sarebbe aspettato: due giovani nudi, accasciati nel sonno l’uno sull’altro.
“E questi chi cazzo sono?”, si disse stupito.
Sapeva che certi giovani hanno il vizio di infibularsi l’uno con l’altro, ma non gli era mai capitato di vederne qualcuno. Si rese conto che non aveva mai neanche visto un uomo nudo. All’iniziale senso di repulsione, subentrò la curiosità e si avvicinò lentamente, studiando con cura i due corpi, ammirando la perfezione delle forme, la morbidezza delle linee, l’incarnato sensuale della pelle appena velata dalla polvere di secoli.
Lo stalliere era disteso sulla schiena, le gambe leggermente divaricate, ed esponeva il sesso alla piena vista del principe, che si chinò per guardare meglio.
“Cazzo, che grosso! – mormorò – quasi più grosso del mio!”, e si portò un mano all’inguine, accorgendosi in quel momento del lungo strappo, da cui quasi gli fuoriuscivano le palle.
Poi il suo sguardo si posò sul culo di Carlino, riverso sul petto di Turvaldo.
“Quasi quasi…”, si disse, rendendosi conto in quel momento che non si ricordava più l’ultima volta che lo aveva messo a mollo.
La natura cominciò a fare il suo corso… Un certo formicolio cominciò a serpeggiargli nel basso ventre… istintivamente allungò la mano per sfiorare… ma si bloccò di colpo e la ritrasse.
“Che cazzo sto facendo, - si disse – è un ragazzo, questo...”
Ma non riusciva a distogliere lo sguardo né dal bel culo di Carlino, né dal grosso cazzo molle di Turvaldo.
“Non sono un sodomita… - si disse ancora – e non sono ridotto così male da violentare un poveraccio che non si può difendere.”
Quello che gli era nato come un pensiero bizzarro, cominciò a prendere consistenza: per quanto l’idea stessa gli ripugnasse, Azzurro non riusciva a staccare lo sguardo da quel culetto liscio e carnoso, e al diavolo se era quello di un ragazzo: era così seducente… così invogliante… Il giovane era turbato, confuso, eccitato come non mai. Si sentiva la bocca asciutta e l’uccello in fiamme.
“Sarà meglio che mi faccio una sega, - si disse – prima che…”
Si portò la mano all’inguine e si accorse che il cazzo era gli già uscito mezzo fuori dallo sbrego della calzamaglia: se lo afferrò e cominciò freneticamente a segarsi, sempre fissando il bel culetto dormiente.
Poi, nel momento stesso in cui il piacere cominciava a prendere il sopravvento, non capì più niente: si piegò su Carlino, gli aprì le natiche e gli poggiò sul buchetto vergine l’uccello sbavato.
Diede un colpo e si spinse dentro per più della metà, facendosi strada oltre lo sfintere come in un panetto di burro. Con un altro colpo, arrivò alla meta e si ritrovò l’uccello interamente avvolto dalla morbida, calda membrana; allora cominciò a fotterlo di brutto.
Per un istante, l’assenza di reazioni gli diede come la sensazione di compiere un sacrilegio; ma fu questione di un attimo: il piacere, l’istinto animalesco del maschio predatore ripresero il sopravvento. Al diavolo i pregiudizi: un culo è un culo e quando hai voglia di fottere un buco vale l’altro.
Non ci volle molto a venire, tale era la sua eccitazione; ma proprio nel momento in cui versava il suo seme caldo, sentì un brivido percorrere il corpo del ragazzo, che subito dopo emise un gemito fievole e scosse la testa, svegliandosi dal suo lungo sonno. Voltò la testa e guardò stupito il principe ancora stravolto in volto dall’orgasmo.
“Sei sveglio?”, mormorò questi stupidamente.
“E tu chi sei?”, mormorò l’altro ancora stranito.
Azzurro non fece in tempo a rispondere, che Carlino sembrò riprendere del tutto coscienza e con uno spintone se lo tolse di dosso.
“Ma che cazzo fai? – si indignò – mi stavi inculando?”
“Dormivi…”
“E tu inculi uno che dorme, come niente fosse? Ma cosa ti dice la testa?... Stavo dormendo… - sbarrò poi gli occhi – Ma allora… sei tu che mi hai svegliato!”
“A quanto pare.”, fece Azzurro, cercando di ricomporsi, rimettendosi il cazzo moscio della calzamaglia e tenendo uniti con la mano i lembi dello sbrego, da cui però fuoriuscivano ancora i coglioni.
“Ma cosa è successo qui?”, chiese poi.
E Carlino, che nello stato di confusione in cui si trovava aveva del tutto dimenticato il povero Turvaldo, ancora dormiente, gli raccontò per filo e per segno tutta la sua storia.
“Solo che avresti dovuto svegliarmi con un bacio.”, concluse.
“Beh, a me non è dispiaciuto svegliarti in quest’altro modo.”, sorrise il Principe Azzurro, che già cominciava a guardarlo con occhio diverso.
“E adesso?” fece Carlino.
“E’ una bella domanda. Secondo le antiche profezie fra noi due nascerà l’amore, ci sposeremo e vivremo per sempre insieme felici e contenti.”
“Ma non è possibile!”, protestò Carlino.
“Perché? Perché siamo due maschietti? Fino a mezzora fa, non mi sarebbe neanche passato per la testa, ma adesso… Non so cosa m’è successo: adesso che t’ho svegliato, mi sento legato a te, ti desidero, Carlino… Sento… sento che ti amo.”, e faceva ancora fatica a crederci lui stesso.
“Non è possibile, - ripeté Carlino – io amo lui…”, e si voltò verso Turvaldo.
“E quello chi sarebbe?”, chiese il principe azzurro con una punta di gelosia.
“E’ Turvaldo… Sveglia pure lui, ti prego.”
“Non so come fare. E poi che ti frega di lui, ci sono io… Ti amo… Saremo felici assieme! Lascialo dormire, abbiamo un mondo che ci attende là fuori. Vieni via con me, sposiamoci: vivremo felici e contenti.”
“So che non posso sottrarmi alle antiche profezie e pure io sento di amarti; ma anche lui è nel mio cuore e se vuoi me, devi volere pure lui.”
Azzurro fu toccato da quelle parole: in fondo, dove c’è posto per uno, c’è posto anche per due.
“Non so come fare..”, ripeté.
“Prova a dargli un bacio.”
Il Principe si chinò a sfiorare le labbra esangui di Turvaldo, ma non successe niente.
“Perché non si sveglia?”
“Forse eri destinato solo tu a svegliarti.”
“Riprova, ti prego…”
Il Principe Azzurro si chinò di nuovo a poggiare le sue labbra ardenti su quelle del dormiente, mettendo in azione stavolta anche la lingua. Nel frattempo, Carlino, travolto dalla disperazione, si chinò sul grembo dell’amico, sollevò con la mano il suo grosso cazzo moscio e se lo mise al calduccio nella bocca.
Sarà stata l’azione combinata delle due operazioni o chissà cosa, fatto sta che inaspettatamente il sangue intorpidito dal lungo sonno tornò a pulsare nelle vene di Turvaldo: la sua lingua rispose alle sollecitazioni di quella di Azzurro e cominciò a giocarci insieme in una libidinosa rincorsa; il suo pisello prese a gonfiarsi, occupando lentamente tutto lo spazio disponibile nella bocca di Carlino. Il quale Carlino, a dire il vero, non aveva mai fatto una pompa, ma l’istinto non lo tradì e ben presto non solo l’amico prese a torcersi sotto l’azione della sua lingua, ma lui stesso scoprì che succhiare un cazzo è un cosa fantastica, tanto fantastica che, scorto l’uccellone turgido di Azzurro nuovamente fuoriuscito dallo sbrego, lo afferrò, lo tirò a sé e prese ad alternarsi dall’uno all’altro con un ritmo sempre più frenetico.
L’azione combinata del bacio e del pompino infervorò talmente il Principe Azzurro, che d’un tratto, con mossa rapida girò lo stalliere sulla pancia, gli sollevò il bacino, mettendolo a quattro zampe, e con un colpo solo gli ficcò tutto nel culo l’uccello scivoloso di saliva, iniziando di subito a pompare.
Carlino rimase strabiliato alla vista di Azzurro, che sgroppava sul dorso di Turvaldo come uno stallone selvaggio e nella frenesia, che si era impadronita di lui, non volle rimanere escluso; si stese, allora, sulla schiena e riuscì ad insinuarsi a sessantanove sotto Turvaldo, accogliendone subito il cazzo nella bocca. Quello a sua volta non esitò a chinare la testa, slinguandogli bramosamente le palle; poi gli cercò l’uccello con la bocca e prese a succhiarglielo con non minore bramosia. Era un terzetto perfetto, un meccanismo che si muoveva in perfetta sintonia: Azzurro inculava gagliardamente Turvaldo, che succhiava golosamente il cazzo di Carlino, da cui era a sua volta avidamente succhiato.
Carlino vedeva altresì il grosso cazzo di Azzurro scorrere dentro e fuori il culo di Torvaldo, vedeva i coglioni voluminosi oscillare nell’incessante andirivieni, e lui stesso, attraverso i fremiti che attraversavano il corpo dell’amico, percepiva la primordiale potenza animalesca di quello stallone.
Nella sua folle eccitazione il cazzo di Turvaldo colava denso sugo nella bocca di Carlino, gli impastava la lingua, lo inebriava; e lo stesso doveva fare il suo nella bocca di Turvaldo. Quanto avrebbe voluto che tutto questo durasse per sempre.
Ad un tratto, però, scorse le palle di Azzurro che cominciavano a rattrappirsi, gli si raggrumavano alla base del cazzo, e subito dopo vide la grossa vena percorsa da una successione di ondate, mentre la sborra si riversava nel culo di Turvaldo, accompagnata dai grugniti profondi e dagli spasimi di Azzurro.
Sentirsi pulsare nel retto quel poderoso torrone, finì di sconvolgere Turvaldo, che sollevò la testa, mollando il cazzo di Carlino, e urlò tutto il suo piacere, mentre rovesciava una colata di sborra calda nella bocca dell’amante, che si affrettò a ingoiarla per non farsi ingozzare.
Infine, mentre gli ultimi fremiti percorrevano il corpo di Azzurro e le ultime gocce salmastre gli scolavano sulla lingua, Carlino si afferrò l’uccello dimenticato e con due colpi raggiunse l’orgasmo pure lui.
Altri giochi sperimentarono nelle ore successive, giochi durante i quali, ahimé, anche Azzurro si trovò a perdere irrimediabilmente la sua verginità.
“Ragazzi, quanto vi amo!”, disse alla fine, abbracciandoli raggiante.
Fu Turvaldo a rompere l’idillio:
“Bisogna studiare un piano, - disse – fra poco ho idea che si sveglieranno tutti.”
“Hai ragione, tesoro, non possiamo farci trovare così.”
“Non possiamo farci trovare per niente: - aggiunse Turvaldo – hai dimenticato cosa succede a chi fa queste cose?”
“Ma noi siamo destinati a vivere per sempre insieme felici e contenti…”
“Col cazzo! voi due siete principi e forse ve la cavate, ma a me mi mandano come minimo ai lavori forzati.”
“Andiamo via, - disse allora Azzurro, che non intendeva rinunciare a nessuno dei due – fuggiamo dove non ci conosce nessuno.”
Detto fatto, si rivestirono in fretta, raccolsero in una sacca lo stretto indispensabile e zitti zitti sgattaiolarono fuori dal palazzo, mentre intorno a loro il mondo si andava risvegliando.
Nessuno riuscì mai a scoprire che fine avesse fatto il principe: i più pensarono che qualche creatura della foresta se ne fosse innamorata e lo avesse rapito portandolo con sé.
Neanche noi lo sappiamo, però di una cosa siamo certi: che Azzurro, Carlino e Turvaldo vissero e scoparono per sempre insieme felici e contenti.
FINE
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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