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Gay & Bisex

MyFans - 4


di adad
18.11.2024    |    130    |    2 9.3
"Ma basta con i preliminari: gli afferrai l’elastico della cintura e gli calai gli slip, togliendoglieli del tutto..."
Non avevo intenzione di pubblicare quest’ultima parte di MyFans, in quanto riguarda un momento strettamente privato, sia pure connesso a quanto già narrato, ma soprattutto per un senso di rispetto verso l’altra persona coinvolta, di cui mi sembrava di compromettere la rispettabilità. E diciamo pure per la segreta speranza che potesse esserci un seguito.
Considerando, però, la mole di mail, telefonate, esortazioni da parte di lettori arrapati, ho deciso di rendere pubblico anche questo resoconto, che, ripeto, nasce come cronaca strettamente privata, scritta per me stesso; quindi, nessuno mi critichi o si lamenti se essa non seguirà i dettami del politicamente corretto.
Certo, avrei potuto rivedere, attenuare, eliminare i particolari più scabrosi, ma questo non rientra nella mia etica professionale, che è di riferire solo la realtà nel suo fascino e nella sua crudezza.

Dal giorno della gang bang, Renzo non si era fatto più sentire: ogni tanto, faceva la sua apparizione Fulvio, ma giusto il tempo di abbassarsi i pantaloni e lasciare che gli ravanassi con la lingua nel buco del culo. Gli piaceva da morire, lo faceva impazzire. A volte si masturbava, mentre lo servivo: allora, nel momento decisivo mi scaricava in bocca tutto il suo pieno, sempre abbondante, corposo e saporito.
Poca roba, comunque, in confronto a quello che avrei voluto fargli, ma poco è meglio di niente, come diceva un mio conoscente. Del resto, alla mia età, sarebbe stato davvero il caso di baciare dove metteva i piedi… o dove riponeva il cazzo.
Il tempo scorreva lento e noioso, ma non mi ero ancora ridotto, per fortuna, ad andare a presidiare i cantieri, per spiare i giovani manovali seminudi.
Poi, un pomeriggio, sentii squillare il cellulare. RENZO, lessi sul display con un tuffo al cuore. Renzo? … beh, non poteva essere che lui: era l’unico Renzo di cui avessi memorizzato il numero. Ebbi una reazione immediata nel basso ventre.
“Pronto?”, risposi con voce pressoché tremante.
“Ehilà, ciao, Tony, sono Renzo!”
“Ciao, tutto ok?”
Le solite cazzate, in pratica, su cui andammo avanti per qualche minuto. Poi, visto che non si decideva:
“Hai qualche lavoro per me?”, chiesi.
“No, mi dispiace. Ho solo coppie e gang etero, in questo momento, e anche se volessi… beh, non saprei dove inserirti. Invece, potrei avere… non so…”, e tacque, come restando in attesa.
Restai in attesa pure io, cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Poco fa, - riprese – stavo sistemando l’archivio e mi sono capitate fra le mani le tue registrazione… Non potrei tenerle, - si affrettò a precisare – ma, insomma…”
“E’ tutto ok, - lo rassicurai – magari ti sei eccitato a riguardarle.”
“Altroché! – ghignò lui – È per questo che ti chiamo.”
“Cioè?”
“Beh, se ti va, potresti venire in studio a prendere un caffè, magari… so che ti piaccio, me lo hai fatto capire più volte…”
L’emozione mi prese alla gola, togliendomi quasi il respiro.
“Scusami, non volevo offenderti… - disse, equivocando il mio silenzio – fa conto che non ti ho detto niente.”
“No, e che diavolo! È che mi hai colto di sorpresa, tutto qui. Certo che mi va di venire per un caffè… e magari anche per un dopo caffè…”, insinuai allusivamente.
“In effetti, è più che altro al dopo caffè che stavo pensando.”, ridacchiò lui in maniera molto promettente, se capite cosa voglio dire.
“Okkkey, allora.”, dissi, sentendomi fremere l’uccello nelle mutande.
Un tempo non si sarebbe limitato a “fremere”, avrebbe scalpitato da sbracarmi pantaloni e mutande, ma quei tempi erano passati… kaput. Adesso al massimo fremeva, ed era già qualcosa.
“Quando sei libero?”, chiese.
“Anche subito, se vuoi.”
Bisogna battere il ferro finché è caldo.
“A meraviglia, – rispose e mi parve di cogliere un certo fremito nella voce – oggi ho lo studio libero.”
“A fra poco, allora.”

Il tempo di prepararmi e poco più di un’ora dopo parcheggiavo davanti al noto capannone. Scesi e mi avvicinai ad un ingresso secondario, quello “degli artisti”. Stavo per suonare il campanello, ma mi accorsi che la porticina era solo accostata; così, aprii e scivolai dentro. Rimasi un momento accecato per la semi oscurità dell’interno, ed ero ancora mezzo imbambolato che cercavo di orientarmi, quando mi sentii chiamare:
“Da questa parte, Tony.”
Stavo ormai recuperando la vista, per cui non feci fatica a raggiungerlo nella camera da letto che ben conoscevo. Non so se era una mia impressione, derivata dalle aspettative di quanto sarebbe successo, ma confesso che mi apparve ancora più maschio e seducente nella sua fascinosa maturità. Indossava una camicia celeste sopra un paio di pantaloni di lino color panna.
“Benvenuto”, mi disse con un sorriso, stringendomi la mano.
“Accidenti, - mi lasciai sfuggire – sei davvero uno schianto!”
“Grazie, - ridacchiò – preparo il caffè.”, e fece per dirigersi verso uno sgabuzzino, in cui era presumibilmente un fornello.
Ma io lo bloccai.
“Perché non passiamo direttamente al dopo caffè?”, feci, allungando la mano e afferrandogli sfacciatamente il pacco.
“Non perdi tempo…”, ghignò, fermandosi e lasciandomi fare.
“Perché non sai da quanto aspetto…”, dissi, slacciandogli la cintura e sbottonandogli i pantaloni, che gli si afflosciarono alle caviglie.
Sollevando un piede dopo l’altro, se li tolse del tutto, mentre io gli sfilavo la camicia: indossava solo un paio di slip, adesso, un paio di slip per fortuna chiari, sotto i quali si delineava di traverso un vero tronco d’albero.
“Wow!”, mi lasciai sfuggire, prima di inginocchiarmi e accostare il volto al suo inguine.
L’odore acre, che si sprigionava dal tessuto teso e umidiccio, mi inebriò e lo respirai a pieni polmoni, intanto che iniziavo a leccare, baciare, mordicchiare l’asta poderosa. Il suo sospiro mi disse che stavo facendo la cosa giusta, così continuai, nel contempo infilandogli sul retro le mani sotto gli slip e impastandogli con foga la carne soda delle chiappe.
Mi accorsi che la cappella faceva capolino dalla cintura elastica, allora gliela slinguazzai un paio di volte: inutile dire che era bagnata di un liquido denso e viscido che mi pizzicò la punta della lingua. Ma basta con i preliminari: gli afferrai l’elastico della cintura e gli calai gli slip, togliendoglieli del tutto.
L’odore di quel cazzo grosso e duro mi avvolse ancora più intenso; lo fiutai da quella puttana in calore che mi sentivo, poi saggiai con la punta della lingua il glande spugnoso, viscido di sugo, e infine me lo lasciai scivolare fra le labbra. Quanto lo avevo desiderato, quanto lo avevo sognato e quanto la realtà fu superiore a qualsiasi aspettativa!
Mi baloccai in bocca la grossa cappella, mulinandola con la lingua e spremendola contro il palato come una prugna matura, suggendone le primizie e coinvolgendola in un folle gioco di lussuria, che fece gemere Renzo e tremargli le gambe.
Allora, mi alzai, lo presi per mano e lo guidai verso il letto, facendolo sedere sulla sponda; poi mi spogliai nudo pure io e mi inginocchiai fra le sue cosce, riprendendo a succhiarglielo.
Doveva essere abbastanza carico, perché ben presto lo sentii sospirare:
“Vengo… vengo…”
Non vedevo l’ora.
“Spara… - mugugnai – sparamela in bocca!”
E continuai a succhiarlo, finché con un grugnito, lui si rovesciò sul letto, in preda alle convulsioni dell’orgasmo. Per fortuna, gli tenevo saldamente il cazzo in pugno, così non mi sfuggì e potei ingurgitare con somma delizia tutto il suo sborro: era denso e speziato, davvero gustoso, tant’è che continuai a leccare e succhiare, nonostante gli si andasse via via smollando.
Fu con un senso di rammarico che lo lasciai andare. Tirandomi su, mi accorsi che si era puntellato sui gomiti e mi fissava, con aria compiaciuta e nello stesso tempo interrogativa.
“La prima è sempre la più buona.”, sorrisi.
Fece per alzarsi. Temendo, allora, che volesse rivestirsi:
“Quanto ci metti a ricaricare?”, gli chiesi scherzosamente.
“Ne vuoi ancora?”, chiese meravigliato, o fingendosi tale.
“Non crederai che mi contenti di così poco!”, dissi e con una spinta lo rovesciai di nuovo sul letto, gli sollevai le gambe ed esposto alla luce l’orifizio, glielo sverginai con un affondo della lingua.
Certo, pompini gliene avevano fatti chissà quanti, ma non credo che qualcuno gli avesse mai leccato il buco del culo fino ad allora. Infatti, più gli ravanavo dentro con la lingua, più lo sentivo anfanare:
“Oh, cazzo… oh, cazzo… mi stai leccando il culo… oh, cazzo… che bello…”
Lo so che è bello e, modestamente, sono un bravo leccaculo, so il fatto mio. Stetti un po’ a lavorargli l’ano, affondandoci dentro con la lingua finché potevo, poi presi ad occuparmi delle palle e solo in quel momento mi accorsi che le aveva
rasate… come tutta la zona genitale, a parte il ciuffo del pube.
“Wow! – esclamai – sei depilato, è fantastico!”
“A furia di vedere voialtri…”, mormorò lui.
“Hai fatto bene, tesoro: le palle depilate si leccano così bene…”, e mi ci avventai sopra.
Slinguai lo scroto floscio da ogni angolatura possibile, coprendolo con uno spesso velo di saliva, che lo fece rabbrividire: ingoiavo gli ovuli oblunghi uno alla volta, e glieli succhiavo, glieli masticavo. Renzo si dimenava negli spasimi del piacere:
“Cazzo, mi fai morire!”, continuava a ripetere.
Ma tutto questo valse a ricaricarlo, infatti non passò molto che il cazzo tornò a svettare turgido e possente.
“Inculami, adesso, dai.”, dissi e, dopo averci sputato sopra, mi gli misi a cavalcioni, me lo puntai dritto sul buco e mi lasciai andare.
La forza di gravità fece il resto e il cazzo di Renzo mi scivolò dentro tutta la cappella e oltre, strappandogli un gemito d’agonia per la strettezza del passaggio.
Era parecchio, infatti, che non lo prendevo nel culo, almeno regolarmente, e lo sfintere mi si era ristretto, perdendo elasticità; purtuttavia, la voglia che ne avevo mi aiutò a sopportare la fitta di dolore che quel cazzo enorme mi procurava. Tenendo gli occhi chiusi, gli agguantai i pettorali, stritolandogli i capezzoli, mentre inesorabilmente il suo nerchio mi penetrava straziandomi il retto.
“Ah! Fottimi, cazzo… Fammi diventare la tua troia, la tua vacca! Ficcamelo tutto in culo, dai, figlio di puttana! … fottimi… riempimi di sborra…”, spasimavo mentre il suo cazzo avanzava millimetro per millimetro, nel mio pozzo senza fondo.
In risposta al mio turpiloquio, Renzo mi afferrò per i fianchi e cominciò a dare secchi colpetti di bacino per affrettare la penetrazione, impaziente com’era di scoparmi.
“Ti fotto, troia, - diceva ansimando – ti riempio di sborra… te la faccio uscire dalla bocca…”
La libidine del momento ci aveva preso alla testa a tutti e due, e spasimavamo dicendoci le peggiori turpitudini, mentre si completava il viaggio del suo cazzo nel mio culo. Ad un tratto mi ritrovai seduto sul suo pube, con le palle affondate nei suoi peli. Aspettai di essere ben dilatato, poi mi sollevai e mi misi a pecora, tenendomi aperte le chiappe con le mani. Renzo non perse tempo: con un guizzo si rialzò, mi venne sopra e me lo schiantò dentro senza trovare ostacoli, iniziando subito a scoparmi. Piano piano, mentre lui mi cavalcava, distesi le gambe, fino a trovarmi bocconi sul letto, con lui, disteso sopra di me, che mi aveva passato le braccia sotto il torace per tenermi stretto.
Amo questa posizione: mi piace sentirmi sopra lo stallone, il suo torace schiacciato sulla mia schiena, il suo respiro infuocato sulla mia nuca…
Ci mise un po’ a venire, ma alla fine venne e avvertii contro lo sfintere le pulsazioni del suo cazzo, mentre la sborra gli si riversava fuori, inondandomi le budella.
Una volta finito, fece per uscire, ma io fui fulmineo ad allungare dietro le mani, afferrandolo per le chiappe e tenendolo stretto a me.
“Non uscire, - gli dissi con voce soffocata – scopami ancora.”
“È un po’ difficile adesso…”, ansimò, restandomi però dentro.
“Aspettiamo, - dissi – un toro come te non può rimanere moscio a lungo.”
E infatti non lo rimase: dopo un po’, infatti, sentii che il suo cazzo cominciava a riprendere vigore e lui riprendeva a pompare, dapprima lentamente, poi con maggior vigore, via via che il turgore si completava.
Mi scopò a lungo, accompagnando le pompate con le più sconce turpitudini, a cui rispondevo ansimando di goduria e strizzando lo sfintere, quando me lo spingeva dentro, in modo da accrescere il suo piacere.
Senonché le sue spinte contro la vescica ormai piena, mi fecero venire degli stimoli impellenti.
“Devo pisciare…”, mormorai.
Allora, stringendoci l’uno all’altro, in modo che non uscisse, riuscimmo ad alzarci e, camminando all’unisono, a raggiungere il bagno, Entrammo nel box doccia e, mentre lui riprendeva a fottermi, io mi lasciai andare, scaricando un getto di piscio ad ogni sua bordata.
Non avevo ancora finito, che con un grugnito di selvaggia goduria, Renzo mi strinse a sé ancora più forte e venne con un orgasmo talmente devastante, da provocare anche il mio, così che mi ritrovai a schizzare sborra e piscio insieme sulle pareti del box.
Rimanemmo avvinghiati a lungo, senza parlare, ansimanti, annichiliti.
“Voglio pisciarti nel culo…”, disse infine Renzo.
Ebbi una sferzata di libidine.
“Fallo!”, risposi, allungando indietro le mani e afferrandogli le chiappe, per tenerlo premuto contro di me.
E lui lo fece: dopo un attimo sentii un flusso caldo e inarrestabile scorrermi dentro.
“Ah! Ho sempre sognato pisciare in culo a una troia, dopo averla scopata…”, mormorò Renzo con voce tremante, quasi fosse in preda ad un altro orgasmo, mentre il suo piscio caldo sfuggiva dal mio buco sfibrato, colandoci lungo le gambe.
Lo so che è schifoso descrivere tutto questo, ma è il degno coronamento di un pomeriggio di porcate da entrambi desiderate e volute.
Facemmo la doccia assieme e per me fu un’ulteriore occasione per carezzare e adorare il bel corpo maturo di quel magnifico maschio.
Andando via, io non gli chiesi niente e lui non mi promise niente. Sono passati ormai diversi mesi e non l’ho più sentito: probabilmente voleva togliersi solo uno sfizio.
Per fortuna, ho sempre Fulvio, che ogni tanto viene ad omaggiarmi del suo culo…

FINE
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