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Treni 2 - Una città di provincia
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23.02.2025 |
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"E stavolta forse la novità sono io che sto guardando dal di fuori la vita di una sera qualsiasi di una delle tante piccole città qualsiasi dove gente qualsiasi..."
Forse, anzi certamente, non lo sapete, ma sono uno che scrive anche fuori di qui e, ovviamente, cose diverse da queste. Come scrittore sono perfino discretamente apprezzato e quello che ne ricavo mi è sufficiente per vivere. Qui di lettori ne ho pochini dato che per leggermi bisogna entrare nel mio profilo dove, tra l'altro, bisogna vedere se il racconto è stato accettato.Tuttavia può essere che qualcuno si prepari a riconoscere lo stile dell'autore e che magari non lo riconosca per niente. Ma chi ha detto che il suo stile sia inconfondibile? Anzi, forse il suo stile è proprio nei cambiamenti da racconto a racconto. Forse c'è un po' di disorientamento iniziale per qualche lettore, ma chi non passa ad altro vede che magari il racconto si fa leggere lo stesso, indipendentemente da quello che ci si aspettava.
Qui siamo in pianura padana, in un tardo pomeriggio freddo e nebbioso, in una stazione ferroviaria di una città di provincia, ma abbastanza importante nodo di scambio.
Le stazioni si somigliano tutte con le luci sbavate e più o meno lo stesso odore, un odore ferrigno con zaffate di cappuccino e punch al maraschino provenienti dal buffet.
Sono sceso in questa stazione per la prima volta e già mi pare d'averci passato una vita. Sono quel ragazzo che entra e esce dal bar e ogni tre per due si toglie un vecchio nokia dalla tasca, lo guarda e digita un numero che squilla a vuoto. Quel ragazzo si chiama "io" così come la stazione si chiama solo "stazione" e fuori di essa c'è solo un telefono che suona in una stanza vuota di un'altra città. Ho un bell'andare e venire tra il bar e la sala d'aspetto: sono preso in una trappola atemporale tipica delle stazioni.
E' già da un paio di capoversi che state leggendo e sarebbe ora che vi si dicesse chiaramente almeno perché io sono sceso da un treno in ritardo in questa stazione. Invece le mie frasi continuano a muoversi in un grigiore indeterminato come quello che avvolge la città in cui mi trovo. Che sia un sistema per coinvolgervi a poco a poco per catturarvi nella vicenda? Insomma una trappola anche questa?
O forse l'autore è ancora indeciso... come peraltro anche tu lettore non sei ben sicuro se valga la pena di vedere dove si vuole andare a parare o passare ad altro. Tu lettore magari credi che lì sotto la pensilina il mio sguardo fissi le lancette dell'orologio rotondo nel vano sforzo di farle tornare indietro... Di certo qualcosa dev'essere andato storto: un ritardo, una coincidenza perduta... forse arrivando avrei dovuto trovare un contatto... E' inutile che io guardi l'orologio pensando a far girare le lancette al contrario, se qualcuno era lì per attendermi ormai se ne è andato.
Già un paio di volte ho pulito con la manica i vetri annebbiati del bar per scrutare la piazza nebbiosa: uscire? Per andare dove? La città là fuori non ha ancora un nome e non si sa ancora se rimarrà per tutto il racconto. Meglio per ora non abbandonare la stazione dove il mio amico potrebbe ancora venirmi a cercare.
Poi l'ansia cede il passo alla razionalità. Controllo gli arrivi e le partenze. E' chiaro a questo punto che il suo treno era arrivato puntuale prima del mio che era molto in ritardo. Ha aspettato un po' e, non vedendomi, col treno successivo se ne era ritornato a casa dove ancora non era arrivato. E' anche inutile continuare a scaricare la batteria del mio telefonino che ogni volta suona a vuoto. Già... perché lui il cellulare non ce l'ha e io sto chiamandolo a casa... E può anche essere che a casa non ci sia andato...
Ci eravamo visti a Milano in un cinema famoso per gli incontri e le "consumazioni" in loco. Per me era la prima volta in assoluto ed ero intimorito e affascinato nello stesso tempo. Avevo capito quasi subito com'era l'andazzo e mi compiacevo di guardare i pompini e sentire gli ansimi e i bisbigli smozzati davanti alle porte dei cessi. Ero titubante ma nello stesso tempo eccitato dall'idea di inserirmi nei crocchi delle persone indaffarate negli angoli e tra le tende delle porte di ingresso.
Mi avevano colpito nell'oscurità luminosa del fondo sala i suoi occhi sfuggenti e il suo sguardo da marchetta. Non aveva un atteggiamento sfrontatamente assatanato e camminava rasente i muri perimetrali scrutando la platea. Poi non lo avevo visto più in giro per cui doveva essersi appartato da qualche parte.
Mi sono seduto qualche fila avanti a guardare il film toccandomi solo ogni tanto l'uccello; ero una persona che non dava tanto nell'occhio, proprio come qui in questa stazione sono una presenza anonima su uno sfondo ancora più anonimo. Tu, lettore, mi distingui solo perché continui a seguirmi nel mio andirivieni tra il bar e la sala d'aspetto col telefono ormai rovente... L'unica cosa che sai di me è che mi chiamo "io" e già basta perché tu investa un po' di te in questo io sconosciuto. Così come l'autore che, non volendo parlare di se stesso, chiama "io" il personaggio come per sottrarlo alla vista e così non descriverlo e nel contempo si sente spinto a mettere in questo "io" un po' di sé, di quello che sente o immagina di sentire.
- Ah ma ci sei ancora? Non ti vedevo più...
Il moretto, a passi felpati, si era infilato nella fila in cui ero e mi si era seduto a fianco mentre io, istintivamente, avevo levato la mano da dentro la patta dei jeans che era rimasta aperta col cazzo semivisibile dato che non indossavo intimo. Gli guardavo gli occhi neri e i denti bianchissimi: era un coetaneo, forse qualche anno in meno e nella penombra che si faceva più luminosa a intermittenza, mi pareva bellissimo.
Non era la prima volta che mi prendevano in mano il cazzo, ma lo era in quel contesto e provavo un misto di piacere, insicurezza e inadeguatezza. Non sapevo bene cosa fare, ma l'istinto in questi casi aiuta sempre, specialmente poi se la controparte ci sa fare. Abbassò la testa e si mise a leccarmi il glande mentre da sotto, afferratemi le palle, le ruotava lentamente su loro stesse. Non era certo il mio primo pompino, ma non ricordavo una simile dolcezza, una delicatezza quasi amorosa tanto che quando, dopo qualche minuto, si era sollevato guardandomi sorridente, mi venne naturale prendergli le guance e baciarlo.
- Ci appartiamo? - disse.
Vinto l'iniziale disgusto olfattivo e anche visivo del gabinetto, mi trovai a liberare il massimo della sua pelle che consentiva il non levarsi gli indumenti di dosso e mi ritrovai a baciargli i capezzoli. Non gli dispiaceva. Ora alla luce, per quanto debole, di un'applique potevo vedere che era davvero un bel ragazzo, probabilmente neppure ventenne, con un uccello di non grandi dimensioni, ma con due palle grossissime. Non mi abbassai a succhiarlo, ma baciandolo in ogni parte e trovando un'incredibile fonte di energia nella sua pelle liscia me ne venni facendomi una sega. Lui prese a menarsi il suo uccello con rapidi e convulsi movimenti e venne a sua volta.
Tornati in sala, non sapevo cosa fare e neppure cosa dire e mi sedetti a guardare il film. Si sedette anche lui e iniziò a conversare. Per quanto nessuno fosse interessato ai dialoghi del film, mi rendevo conto che quasi certamente davamo fastidio pertanto gli chiesi se voleva uscire e magari prenderci un long drink da qualche parte.
Uscii con lui dal cinema ma in zona non c'era neppure un bar e pertanto lo accompagnai in stazione centrale dove un treno lo avrebbe riportato alla sua città mentre io me ne ritornai in auto alla mia. Ci accordammo per rivederci a metà settimana qui, in questa stazione.
E mi telefonò infatti per confermare l'incontro e avere riscontro della mia intenzione di esserci. Era un incastro di coincidenze perfetto, tanto perfetto che era bastato un niente per mandarlo all'aria.
Ora sono qui in attesa senza saper che fare. Lasciato partire il treno del mio più razionale ritorno per la speranza di rivedere prima o poi emergere dalla nebbia lo scopo del mio viaggio, mi rendo conto di dover aspettare due ore per poterlo fare. A quest'ora la città di provincia si richiude nel suo guscio e al bar sono rimaste solo poche persone, tutte del posto, che non hanno niente a che fare con la stazione stessa ma che si sono spinte qui attraversando la piazza grigia e poco illuminata forse per l'attrattiva che le stazioni hanno ancora nelle città di provincia, quel tanto di novità che talvolta capita... e stavolta forse la novità sono io che sto guardando dal di fuori la vita di una sera qualsiasi di una delle tante piccole città qualsiasi dove gente qualsiasi si trova in un locale qualsiasi per lasciar scendere il buio della sera e non ha in testa i pensieri che ho io. Certo, ne avrà di diversi, tipo quel ragazzone che è entrato, ha dato uno sguardo in giro ed è uscito di nuovo. Anche gli astanti hanno sollevato per un istante lo sguardo su di lui ma hanno perseguito nel loro brusio indistinto. E se adesso il racconto comincia a uscire dalla sua imprecisione nebbiosa per dare qualche dettaglio sull'aspetto delle persone, la sensazione che ti vuole trasmettere è quella di facce viste per la prima volta che sembra d'aver visto centinaia di volte...
Ho bisogno del bagno. Esco e percorro il marciapiede deserto del primo binario. Non so dove siano i gabinetti ma di sicuro a una delle due estremità. Ho indovinato la direzione giusta. La luce è fioca, ma i bagni sembrano in ordine per essere quelli di una stazione. Incredibilmente c'è una persona agli orinatoi: non l'avrei mai pensato visto il deserto umano attorno. Buffo, è il ragazzone che era entrato nel bar. Entro in una delle due porte, non c'è il chiavistello per chiudere. Esco ed entro nell'altra. In questa mancano gli occhielli dove il chiavistello si dovrebbe infilare. Vabbè, amen. Abbasso la zip e mi accingo a pisciare quando la porta, rimasta socchiusa, mi sbatte contro la schiena.
- Ma checcazz... - mi volto incespicando in avanti verso la turca. Ma il giovanottone è incredibilmente agile e si è già infilato dentro spingendo l'anta della porta dietro di sé.
- Ma checc... - ma già mi ha preso in mano cazzo e palle e avvicina la sua bocca alla mia. Mi scosto e mi succhia sul collo. Lo respingo con violenza:
- Dì, ma sei scemo? Esci per favore che devo pisciare...
- Pisci dopo - dice secco. Il tempo di rendermi conto della situazione, per me nuova, che subito mi ritrovo con jeans e slip abbassati con forza e il mio cazzo nella sua bocca.
Il tepore umido delle sue mucose subito mi fa indurire l'uccello e mentre vado pensando: "ma pensa te" mi ritrovo le sue mani calde spinte in alto sul mio ventre sotto la camicia e poi più su verso i capezzoli. Bè... è molto piacevole e inizio a pensare che probabilmente, alla fin fine, in quella città, in quel tardo pomeriggio nebbioso il mio orgasmino l'avrei comunque avuto. Sarà un ossimoro, ma io voglio conoscere gli sconosciuti con cui faccio sesso, tuttavia non dico nulla e lascio proseguire il lavoro di bocca in cui questo giovanottone è molto esperto.
Sarà sulla trentina, forse meno, castano, ricciolino, massiccio di corporatura, muscoloso, più alto di me, faccia da agricoltore, mani grandi, voce profonda, deciso.
- Sei lungo a venire eh... - dice dopo qualche minuto.
- Di solito non tanto, ma è la situazione insolita che... - dico tentando di iniziare un minimo di conoscenza, ma non ne ho il tempo perché, rapidissimo, si alza slacciandosi la cinghia dei pantaloni che calano, e subito mi infila la lingua in bocca. Stavolta partecipo al bacio e lui ci sa proprio fare. Si stacca e si abbassa i boxer liberando un pistolone super. Ero titubante se prenderglielo o meno in bocca perché probabilmente era tutto fuorché pulito, ma in mano avrei gradito sentirlo, ma ecco che, frenetico, si china, mi abbassa completamente jeans e slip fino alle caviglie, si accuccia, alza le mani sui miei fianchi e mi ruota così da avere le mie chiappe davanti al suo muso e il mio uccello in mano.
Sono perplesso... nessuno mi aveva mai fatto sentire il fiato caldo e umido sulle chiappe, ma che dico fiato e chiappe... me le divarica e si mette a leccarmi il buco del culo.
Era una cosa nuova e, da un certo punto di vista, anche strana per me. Non avevo mai pensato che si potesse fare... che si avesse avuto intenzione di farla... che si facesse... e che fosse così dannatamente piacevole: con la mano mi faceva una sega e colla lingua un ditalino al culo...
Il mio uccello cominciava a pulsare e lui rallentò la velocità della sega fino a sospenderla e a tirare il mio bacino verso di sè così che la lingua entrasse di più. Mi accorsi che coll'altra mano sotto le sue cosce si stava segando. Smisi di pensare, mi concentrai sull'orgasmo ed eruttai fiotti di sperma intanto che lui spingeva a fondo la lingua nel mio retto. Poi cessò di colpo e si alzò in piedi dicendo:
- Spostati.
Dal suo cazzone uscì un fiotto che disegnò una parabola notevole, seguito da altri meno potenti ma copiosi. Uno di questi lo fermò colle dita e se le mise in bocca.
- Vuoi? - chiese.
Dissi fermamente di no ma non potei fare a meno di pensare che in un contesto diverso forse non mi sarebbe dispiaciuto.
Rapidamente si tirò su boxer e calzoni ed uscì allacciandosi la cinghia mentre io ero ancora a jeans abbassati.
Penso che ormai dei pochi lettori rimasti qualcuno penserà: "tutto qui?"; un altro penserà che, per lo meno, a un qualcosa di sensatamente concluso si è arrivati; chissà se qualcuno pensa ancora al moretto del cinema... era venuto davvero all'appuntamento e, se sì, cosa ha pensato? E ora cosa starà facendo? E il contadinotto muscoloso è tutto sommato soddisfatto della piega presa dagli avvenimenti?
Di certo c'è che, mentre il treno mi riporta a casa, la stazione resta lì, quasi triste nel vedermi andar via. Nella carrozza c'è un tepore umido e io ho tante cose a cui pensare. Ma non lo voglio fare; mi lascio cullare dal rumore ritmato mentre fisso la nebbia che non vedo... Chiudo gli occhi e rivedo il getto potente della sborrata del ragazzone i cui lineamenti stanno sbiadendo e di cui resta ben chiaro nella mia mente solo il suo super cazzone. Chissà chi è, come si chiama, cosa pensa, chissà dov'è ora... e il moretto che dovevo rivedere? Lo rivedrò? Gli telefonerò? Ci daremo un altro appuntamento in quella stazione?.
Il treno, col suo ritmare sonoro, accompagna questi pensieri ai quali nessuno dà risposta.
I treni sono cose senza cuore / loro non sanno che può essere un minuto
e che un minuto in più, per chi si ama / dura una vita e forse più.
Vito Pallavicini - paroliere (1924-2007)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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Commenti per Treni 2 - Una città di provincia:
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