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Mitologia 2 (1^parte): Orfeo all'inferno


di jacdap
08.01.2025    |    29    |    0 9.0
"Di malavoglia incantò Cerbero con la musica ma con Caronte la cosa non funzionò..."

Nella Grecia di millenni fa a Tebe viveva Euridice: un gran pezzo di bernarda nota a mortali e dei per la bellezza, la grazia e l'eleganza. Solo perché Zeus era troppo impegnato con centinaia di intrighi, ninfe ed efebi, con lei ancora non ci aveva provato. Ma, a dire il vero, il mito riguarda più suo marito Orfeo, un bellissimo giovane, atletico, ovviamente bisessuale come tutti i giovani di famiglie importanti in quel periodo.
Aveva avuto vari educatori che, oltre ovviamente a tanto cazzo, gli avevano dato una sensibilità artistica, specialmente musicale, capace di incantare uomini, animali e dei.
Tra i suoi educatori, quando era ragazzo in Tracia, c'ra stato uno sciamano che fungeva da tramite fra il mondo dei vivi e quello dei morti, dotato di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di trance tramite la musica. Non si meravigliò molto delle eccelse doti musicali di Orfeo perché sapeva che era figlio della musa Calliope e di un sovrano tracio, ma, ad ascoltare le voci che attribuivano la paternità allo stesso dio Febo, non gli faceva meraviglia neppure la  sublime bellezza di quell'adolescente che fondeva in sé elementi apollinei e dionisiaci che incantavano, anche senza la sua musica, tutto il creato. Quando morì, lo sciamano gli trasfuse gran parte dei suoi poteri ed Orfeo ne era conscio, ma li usava con molta parsimonia perché sapeva bene che non era il caso di suscitare troppe invidie soprattutto tra gli dei di cui, anche se non in prima persona, conosceva debolezze, vendette e meschinità. Era pure consapevole di una profezia per la quale lui sarebbe morto straziato da un mare di donne infuriate perché i loro mariti preferivano stare con lui anziché con loro. Per un giovane, pur se imparentato con gli dei, non era facile condurre un'esistenza serena con questa spada di Damocle sulla testa. La cosa gli procurava ansia, ma anche se a questa non ci si fa mai completamente l'abitudine, la vita gli scorreva dolce e piena di soddisfazioni sessuali.

Si sa che la saggezza non sempre va di pari passo con le pulsioni sessuali giovanili. Così Orfeo, pur amando Euridice, non faceva mistero che gli piacesse il cazzo.
Gli piaceva Aristeo, un vicino di casa produttore di miele che invece corteggiava Euridice la quale, non solo non gli cedeva, ma era anche infastidita dal fatto che Orfeo cercasse di spingerla fra le sue braccia, supponendo certo di infilarcisi poi in mezzo.
Poi ci furono gli Argonauti... vuoi che Orfeo non vi ci prendesse parte? Non solo, ma si innamorò follemente di Calàìde, anche lui semidio e tra una scopata e l'altra decise che da quel momento in poi avrebbe praticato solo amore omosessuale.
Al ritorno a casa, cadde in depressione ed Euridice gli era diventata insopportabile. Se ne andò pertanto in Tracia dove poco dopo le donne quasi lo linciarono perché i loro mariti non le consideravano più preferendo lui. Anni dopo la cosa si ripeté con le Baccanti, ma questa volta con esito tragico. Si tratta però di un'altra storia.
" Uff, che noia essere belli " era solito pensare Orfeo.
- Insomma, basta - esclamò un giorno Euridice - inutile girare attorno alla cosa... non ci sopportiamo più; tu hai la tua musica e cerchi coi maschi una soluzione alla noia e al tuo abbattimento interiore. Io ho solo il corteggiamento di Aristeo. Mi sa che andrò con lui...
- Mi fai partecipare?
- Schifoso... - e gli tirò un'anfora.
- Almeno vedere... - disse Orfeo, schivando la ceramica...
Quando poi Aristeo svelò la sua vera natura di dio dell'Averno mostrandosi con due magnetici occhi blu e dei lunghi capelli brizzolati con riflessi azzurri, la bella Euridice decise di andare con lui. Orfeo non parve eccessivamente afflitto, anzi aveva pure il beneplacito degli dei per darsi ai suoi due passatempi preferiti: la lira e i fanciulli. 
Un giorno, al termine di una lezione di musica a degli adolescenti, Orfeo aveva già il pensiero rivolto ad un'orgetta, quando fu di colpo distolto da una processione turiferante che dalla città veniva a casa sua. Su un carro stava Tiresia (e chi se no?) evocato da non si sa bene chi per lui. 
- Chi siete e che volete? - chiese brusco.
- Siamo l'opinione pubblica - dissero a una voce.
- Che palle... siete in veste di moralizzatori dei costumi?
- No, per noi ti puoi scopare anche un'arpìa o farti scopare da un centauro, ma già da vivo sei un mito e un vanto per la nostra città e Tiresia ci ha confermato che da morto lo sarai ancora di più, quindi se non vuoi che la tua reputazione come personaggio pubblico venga rovinata non puoi sottrarti al mito che ti obbliga ad andare all'inferno ad esigere il ritorno di tua moglie.
- Ma vi sta scorreggiando il cervello? Non ci penso proprio...
- Immaginavamo questa risposta, pertanto ci siamo presi la briga di prendere un appuntamento per un consulto presso la massima autorità in questo campo ossia Zeus in persona. Il carro è pronto, Tiresia ti accompagnerà verso l'Olimpo...
- Ah, che fortunato... accompagnato da un cieco... - disse Orfeo.
- Vorrà dire che allora verremo tutti noi - fu la risposta.

Sull'Olimpo c'era maretta: gli dei erano in stato d'agitazione contro la ridicola e noiosa dieta a base di nettare e ambrosia e al regime di torpore imposto da Zeus che invece non perdeva occasione per fare numerose scappatelle nel mondo esterno. Persino sua moglie Era lo riprendeva pubblicamente per il suo comportamento al che Zeus si mostrava nello stesso tempo adulato e infuriato.
In quel momento sopraggiunse Orfeo accompagnato dall'opinione pubblica. Suonò la lira incantando tutti gli dei e chiese loro, senza troppa convinzione, che gli venisse restituita la moglie. Zeus convocò gli dei in tutta urgenza, proponendo loro una gita negli inferi per liberare Euridice. Era però era contraria, giustamente convinta che il dio supremo intendesse ritrovare Euridice non per consegnarla al marito, bensì per tenersela per sé. E, in effetti, questa era la sua volontà: a Zeus non pareva vero di vedersi servita l'occasione di poter apparire come il dio magnanimo che ascolta i mortali che si rivolgono a lui; poteva finalmente fottersi quella gran gnocca di Euridice che ancora non aveva avuto tempo di insidiare e infine concretizzare l'affermazione di superiorità su suo fratello Ade che gli stava sui coglioni da un'eternità.
E dato che l'Olimpo non aveva un regime parlamentare e la decisione del capo era legge, tutti gli dei scesero all'inferno in disperata ricerca di Euridice che era tenuta rinchiusa e sorvegliata da un eunuco. Questi si dimostrava carino e gentile verso di lei, ma Euridice era anzi indispettita da questa "sterile" premura e rimpiangeva i tempi passati quando, bene o male, un po' di uccello Orfeo glielo dava. Ora la noia era ancor più grande di quando viveva con lui dato che, dismessi gli abiti di Aristeo, Ade non mostrava più interesse alcuno per lei.
La sua attenzione fu attratta un giorno da un insetto che si era posato sul buco della serratura della porta che le negava la libertà. Si trattava di una mosca dalle ali dorate che si fece prendere facilmente fra le mani della ragazza e che in realtà era Zeus che, così come in altre occasioni, aveva mutato le proprie sembianze per raggiungere il suo scopo.
Nel frattempo Orfeo con tutto il codazzo dell'opinione pubblica era arrivato all'Acheronte. Era triste e pieno di oscuri presagi. Di malavoglia incantò Cerbero con la musica ma con Caronte la cosa non funzionò. Questi, coi suoi "occhi di bragia" continuava a tendere la mano ossuta per avere la moneta per il traghetto. A nulla valsero i discorsi in punta di diritto da parte dell'opinione pubblica per la quale, trattandosi di vivi e non di morti, non era dovuto nessun pedaggio. Tra l'altro nessuno aveva intrapreso quel viaggio con delle monete appresso. Si arrivò ad un compromesso in base al quale Orfeo, al ritorno, avrebbe pagato in qualche modo. 
Orfeo in quel momento non li ascoltava neppure, attratto com'era da un'immagine in lontananza, oltre il fiume, che lo magnetizzava e lo induceva a voler passare all'altra sponda qualunque fosse il prezzo. A un'enorme ruota infuocata era legato con serpenti Issione, un magnifico uomo muscoloso obbligato a ruotare all'infinito, ovviamente nudo, solo per aver desiderato quella cofana di Era. Non parve vero al nostro eroe avere a disposizione un maschio se pur non più giovane ma così superbamente ben fatto e con un cazzone di tutto rispetto a disposizione. Dopo aver fermato la ruota con la sua musica e spento il fuoco ed addormentato i serpenti, aveva cominciato col leccargli i piedi e le gambe, poi astenendosi un attimo dal pizzicare la lira, aveva permesso alla ruota di ruotare un po' e di far arrivare l'inguine del punito alla distanza giusta. Issione era immobile ma non di marmo ed Orfeo aveva potuto girarlo su un fianco e poi anche sottosopra permettendogli così di lappargli il buco del culo. In seguito, sempre pizzicando la lira ogni tanto, gli si arrampicò sopra e gli immerse la sua stanga nel culo. L'esperienza di scopare uno su una ruota, per quanto temporaneamente ferma purché la lira fosse pizzicata, ad Orfeo mancava e non l'avrebbe mai neppure supposta possibile. Scaricatosi nel retto del giovane, il musico smise di suonare e scese dalla ruota che riprese il suo moto. Anche Issione, per quanto limitato dai serpenti che avevano ripreso a stringerlo, poté muoversi e si girò a faccia in su. Aveva l'uccello ancora duro, un bellissimo cazzo regale tanto che Orfeo pensò bene di suonare di nuovo per fermare il moto della ruota e di impalarcisi sopra. Era un'operazione un po' faticosa da farsi senza l'aiuto delle mani, tuttavia al nostro, sebbene con un po' di sforzo, riuscì egregiamente e quando Issione gli farcì l'ampolla rettale con un plurisecolare quantitativo di sperma che al confronto le cascate del Niagara sono una semplice rapida, anche Orfeo ricoprì con la sua crema il viso e il petto di quel bel dannato estremamente bono. 
" Con la mia lira l'inferno è meglio dei Campi Elisi " pensò Orfeo.

In lontananza si udivano le voci del banchetto infernale in riva allo Stige organizzato da Ade per i suoi ospiti dell'Olimpo e Zeus, galvanizzato dal suo recente successo come seduttore e per le acclamazioni dagli astanti, si stava esibendo in un vivace sirtaki che ben presto degenerò in un selvaggio can-can. E gli umani, riuscendo a rompere le scatole perfino all'inferno e anche agli dei, si diressero lì con sommo disappunto di Orfeo, immensamente felice per la sua separazione da Euridice e ancora in visibilio per la doppia sborrata con Issione. Tra l'altro, in quel momento, non riusciva a distogliere lo sguardo dalle forme muscolose e terribilmente sexy di Tantalo, in eterna esibizione per via del suo supplizio che lo obbligava legato ad un albero ed immerso nell'acqua che si ritraeva ogniqualvolta lui abbassava la testa cercando di bere, a tendere tutti i suoi muscoli per sollevare il corpo per afferrare i frutti dai rami pendenti sul suo capo, i quali, ovviamente, si alzavano. Orfeo sbavava all'idea di ficcarsi in bocca quel cazzo stupendo che usciva dal pelo dell'acqua e pensava, per la seconda volta, che stare all'inferno non era poi così male. Subito iniziò a suonare la lira, ma all'improvviso tutto si zittì, vivi e morti, umani e dei chinarono lo sguardo a terra e una voce femminile non troppo dura ma imperiosa impose a tutti di non voltarsi. Orfeo continuava a suonare con lo sguardo a terra e sentì qualcosa sfiorargli le spalle.
- Sono Medusa, non ti voltare... la tua musica incanta perfino Zeus ma con me non può nulla. Sono venuta da te perché mi sei simpatico in quanto anche tu prigioniero di un mito a cui non vorresti appartenere. Questi dei immortali, annoiati, capricciosi e pasticcioni ti porranno delle condizioni per darti Euridice e contemporaneamente si adopreranno in meschine piccinerie per riprendersela. Loro faticano a comprendere l'umana compassione e tendono ad annientarla. Li conosco fin dalla mia nascita. Benché avessi due sorelle ero l'unica mortale in una famiglia di dei: Per la mia fragilità Poseidone si approfittò di me e, come se fosse colpa mia, Atena mi trasformò nella Gorgone con serpenti al posto dei capelli e lo sguardo pietrificante. I miei terribili poteri mi inorridivano e mi sono condannata a una vita di solitudine finché Perseo mi ha liberata tagliandomi la testa. Secondo te chi dei due è l'eroe in questa cosa?
Orfeo, sempre suonando e guardando a terra, mormorò:
- Ora che mi ci fai pensare la vera eroina sei tu che ti sei lasciata uccidere perché con la tua testa Perseo salvasse Andromeda.
- Ecco. Ora chiediti se Euridice abbia davvero voglia di tornare con te che sei qui nell'inferno a illanguidirti davanti a Tantalo o preferirebbe percorrere altre strade, ad esempio con Dioniso e le Baccanti. Poi chiediti fino a che punto vorrai assecondare gli dei nel loro mitico gioco in cui il fine è comunque lieto solo per loro o invece deciderai di agire di tua iniziativa. Il mito parla solo di Orfeo all'inferno e non dell'inferno di Orfeo. Io so che presto prevarrà questo.
Ed ora appena mi sentirai andar via, libera la tua libidine con questo meraviglioso esemplare d'uomo e fallo di fronte a questa pletora di stupide divinità.

Orfeo sollevò la testa verso un Tantalo immobile e splendidamente avvenente del quale le luci rossastre dell'Averno accentuavano la forma perfetta di ogni singolo muscolo. In pochi secondi ebbe l'uccello in tiro.

(continua)
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