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La Marchesa di Colfiorito - 1
di adad
11.06.2020 |
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"“Secondo te, se l’è già fatto la marchesa quello lì?”, ghignò il mozzo di stalla, accennando con la testa al giovanottone che stava attraversando l’ampio..."
“Secondo te, se l’è già fatto la marchesa quello lì?”, ghignò il mozzo di stalla, accennando con la testa al giovanottone che stava attraversando l’ampio cortile del castello, diretto alle stalle dei cavalli.Il giovanottone in questione era Tommaso, figlio cadetto del duca di Casale, che anziché darsi alla carriera ecclesiastica, come avrebbe richiesto la consuetudine, aveva preferito cercarsi un impiego come scudiero e alla fine si era messo al servizio del marchese di Colfiorito, conosciuto nei pettegolezzi dei bassifondi del castello come “la marchesa di Culfiorito” e possiamo immaginarci il perché.
Non che fosse una femminuccia o robe del genere, intendiamoci; anzi, il marchese Rodolfo di Colfiorito era un trentenne alto e robusto, plasmato sui campi dell’onore, nei tornei e nelle battaglie, guadagnandosi ogni volta la palma della vittoria.
Il suo minuscolo tallone d’Achille, se così possiamo dire, era una certa predisposizione a farsi scaldare il letto da compagnie di sesso maschile, anziché femminile. Naturalmente tutto avveniva nella massima discrezione e chi sapeva, taceva, o per fedeltà o per paura. Ma le chiacchiere fanno presto a nascere, si sa, e quanto più sono stuzzicanti o maldicenti, tanto più trovano orecchie compiacenti all’ascolto.
“Sta zitto, imbecille! - sibilò il capo stalliere, allungandogli uno scapaccione – Vuoi finire appeso ai merli del castello?”, e si tolse il berretto cencioso, accennando un inchino al cavaliere che stava passando.
Degnandoli appena di uno sguardo, Tommaso raggiunse le stalle, dove fece sellare due cavalli, uno per sé e l’altro per il marchese, che quella mattina aveva espresso il desiderio di fare una cavalcata lungo il fiume, che scorreva a qualche lega dal castello.
Tommaso, naturalmente, sapeva tutto dei gusti del marchese: il servizio malelingue aveva provveduto ad informarlo debitamente con il pretesto di metterlo in guardia e stesse pronto a pararsi il culo in caso di bisogno; ma in realtà col malcelato proposito di godersi lo sconcerto sul volto del malcapitato scudiero, nel momento in cui sarebbe venuto a conoscenza dei pericoli che rischiava di correre. Tommaso, però, li aveva delusi, facendo spallucce e limitandosi a commentare con un secco:
“Affari suoi.”
Il che aveva instillato nell’animo bacato delle malelingue prima il dubbio e poi la certezza che qualcosa fra i due, se non era ancora successo, stava ormai per succedere: da qui la velenosa insinuazione del mozzo di stalla, che il capo stalliere aveva provveduto debitamente a sanzionare con uno scapaccione.
In effetti, a Tommaso non interessava nulla da chi il marchese si facesse scaldare il letto: nonostante la giovane età, aveva appreso che non bisogna mai dare niente per scontato, che i gusti delle persone sono più variegati di quanto si possa immaginare e ognuno ha il diritto a soddisfarli, purché si resti nei limiti del buon senso. E finora nei limiti del buon senso il marchese ci era rimasto … già, ma che sarebbe successo se li avesse superati? Che sarebbe successo, come avrebbe reagito se lo avesse importunato? Tommaso non lo sapeva, non si era mai posto il problema, anche perché il marchese non gliene aveva mai dato l’occasione.
Incredibile a dirsi, ma in effetti non ci aveva mai provato; non che lo scudiero non gli piacesse, anzi: Rodolfo se lo mangiava con gli occhi; ma a differenza delle altre volte, quando qualcuno aveva attirato la sua attenzione, adesso il marchese si sentiva frenare da uno strano imbarazzo, una ritrosia inspiegabile, che nulla aveva a che vedere con la particolarità del sentimento.
Certo, non era usuale portarsi a letto un altro uomo, anzi era decisamente riprovevole, sanzionato dalle leggi divine e umane; ma che ci stanno a fare i privilegi di classe? Chi si sarebbe mai sognato di criticare o mettere sotto accusa un barone del Regno per simili inezie?
Quello che per taluni poteva portare alla gogna pubblica, con una carota infilata nel deretano, se non di peggio, per altri portava tutt’al più ad un fiorire di pettegolezzi, pruriginosi quanto si vuole, ma rigidamente confinati nei bassifondi del castello.
Tommaso uscì dalle stalle con due cavalli sellati e si fermò ai piedi dello scalone che saliva agli appartamenti privati, al primo piano dell’ala nobile, in attesa che arrivasse il marchese; il quale poco dopo scese infatti con passo svelto, balzò in sella al cavallo e con un:
“Vieni, Tommaso”, lo lanciò al galoppo, sfrecciando poco dopo fuori dal castello con un martellio fragoroso degli zoccoli sul ponte levatoio.
Tommaso lo seguì a ruota, ma già lo stallone del marchese galoppava gagliardamente in lontananza, quasi volesse scaricare tutta l’energia compressa, sua e del suo cavaliere. Dopo aver attraversato una vasta distesa di prati maculati dalle chiazze rosse dei papaveri, giunsero al grande fiume, la cui riva presero a seguire sempre distanziati di qualche centinaio di metri l’uno dall’altro.
Arrivati ad un’ampia radura, lambita dalle acque del fiume, che allargandosi in quel punto, scorrevano ancor più pigramente, il marchese arrestò il cavallo e balzò a terra.
“Ce l’hai fatta ad arrivare, lumaca!” disse sorridendo allo scudiero, che sopraggiungeva.
“E’ il vostro stallone che ha il diavolo in corpo.” scherzò l’altro, smontando di sella.
Lasciati al pascolo i due animali, scesero il leggero declivio verso la sponda del fiume.
“Che meraviglia… - fece Rodolfo, guardandosi attorno – E’ una gran bella terra che il buon Dio ci ha regalato.”
Tommaso non rispose, non c’era niente da rispondere.
Il marchese si sedette a terra e si distese sul folto tappeto erboso, incrociando le braccia dietro la nuca. Stette un po’ in silenzio, respirando a pieni polmoni, poi voltò la faccia verso Tommaso, in piedi lì accanto e:
“Cosa fai? – gli disse – Vieni a sdraiarti vicino a me.”
L’altro rimase un istante interdetto, poi gli si distese accanto, reprimendo l’imbarazzo che gli suggeriva pur sempre la consapevolezza del loro diverso stato sociale. Rimasero in silenzio, lasciandosi avvolgere entrambi dall’intenso profumo dell’erba schiacciata e dalla carezza del sole sui loro volti.
“Come ti trovi al castello?”, chiese il marchese dopo un po’.
“Bene, signore.”, rispose laconico Tommaso.
Rodolfo si girò a guardarlo, socchiudendo un occhio.
“Immagino le damigelle a cui che avrai infranto il cuore…”, insinuò.
“Signore?....”
“Oh, non preoccuparti, il terreno di caccia è tutto tuo. Ma stai attento, mi raccomando”
E con queste parole si tirò a sedere.
“Fa un caldo del diavolo… - esclamò, slacciandosi il collo della camicia – Quell’acqua non ti sembra invitante? Tuffiamoci, dai!”, e cavatosi gli stivaletti, si drizzò in piedi, si tolse il farsetto, si sfilò la camicia e le brache, e con indosso solo l’indumento di decenza si avviò verso il fiume.
Non era certo la prima volta che Tommaso lo vedeva pressoché nudo, e la cosa lo aveva sempre lasciato indifferente: era il signore a cui prestava servizio; ma quella mattina gli fece un effetto strano quel fisico agile e nel contempo muscoloso illuminato di sbieco dalla luce del sole. Non era solo ammirazione, era…
Giunto sulla riva, Rodolfo si voltò verso lo scudiero.
“Vieni”, lo esortò, tendendogli la mano, poi fece ancora qualche passo e si tuffò.
E lui, che fino ad allora non aveva nessuna voglia di bagnarsi, si alzò d’impulso, si strappò il farsetto e la camicia, scalcò via le scarpe e, con ancora le brache addosso, corse verso il fiume e si tuffò, riemergendo a poca distanza dal suo padrone, che lo accolse ridendo e schizzandogli addosso l’acqua con entrambe le mani.
“No!”, gridò lui, riparandosi la faccia.
Ma subito dopo prese anche lui a schizzare acqua addosso al marchese e andarono avanti un pezzo in quella allegra battaglia, ridendo come i matti. Finché:
“Basta, basta… - disse Rodolfo, piegandosi dalle risate – non ce la faccio più! - e andatogli vicino – Era da tempo che non mi divertivo così”, fece e lo abbracciò stretto.
Fu istintivo per Tommaso ricambiare l’abbraccio, salvo irrigidirsi e forzare il distacco, non appena se ne rese conto. Presero, allora, a nuotare, beandosi delle frescura dell’acqua, in contrasto con il pizzicore del sole sulla pelle.
“Non andare verso il centro del fiume, ché lì la corrente è più forte.”, lo avvertì ad un tratto Rodolfo, vedendolo allontanarsi.
Ma l’altro non lo sentì o non volle ascoltarlo, e fu così che d’un tratto, venne preso da un gorgo e trascinato sotto. Emerse poco dopo:
“Aiuto…”, fece in tempo a gridare, che scomparve di nuovo.
Il marchese lo aveva visto allontanarsi con apprensione.
“Tommaso!”, urlò appena lo vide scomparire sott’acqua ed immediatamente cominciò a nuotare con vigorose bracciate per recargli aiuto.
“Qui, Tommaso!”, gridò appena lo vide riemergere la prima volta.
Ma quello era di nuovo scomparso. Rodolfo fu preso dal panico, dalla disperazione… Non poteva essere vero! Poi subentrò la rabbia e furiosamente si tuffò sott’acqua e prese a cercarlo quasi a tastoni nell’infida opacità del fondale.
Emergeva ogni tanto a prendere aria e poi si rituffava, nuotando e facendosi trasportare dalla corrente, deciso ormai a lasciarsi morire pure lui, se non fosse riuscito a ripescarlo… E poi lo scorse, esanime, impigliato nelle radici sporgenti di un albero.
Con la forza della disperazione, lo raggiunse in due bracciate, lo afferrò, riuscì a districarlo dall’impiglio dei delle radici e riemerse con un colpo di reni, riportandolo a galla. Riuscì a portarlo a riva e a tirarlo fuori dall’acqua. Lo distese grondante sul prato asciutto e gli si inginocchiò al fianco. Ma Tommaso non dava segno di vita: il suo volto era pallido, le ciocche bionde dei capelli incollate al volto livido, nemmeno l’alito più lieve spirava dalle sue labbra socchiuse.
“No, no, no, Signore Iddio! No, non portarmelo via proprio adesso… non portarmelo via!”, pregava Rodolfo, piangendo.
Poi prese a scuoterlo:
“Avanti, avanti, respira, maledizione, respira!”
E lo scuoteva con forza.
“Avanti, maledizione! Respira, respira con me.”, e come guidato da un istinto atavico, prese un profondo respiro, appoggiò le labbra su quelle esangui di Tommaso e gli insufflò tutto il suo fiato nel petto, premendogli sopra subito dopo per svuotargli i polmoni.
“Respira con me..”, lo implorava, ripetendo il suo gesto una volta, due volte, tre volte…
Che dire? fosse il risultato di quel rudimentale tentativo di rianimarlo, fosse lo sguardo benevolo di qualche santo in Paradiso, sta di fatto che, come richiamato indietro dalla tomba, il petto di Tommaso d’un tratto si svuotò da solo e un alito quasi impercettibile prese a spirargli fra le labbra. Subito dopo il giovane si riscosse, tossendo e sputando fuori una bocconata d’acqua.
Non credendo ai propri occhi, Rodolfo si sentì travolgere dal sollievo, dalla felicità, da una commozione infinita e d’impulso lo strinse a sé in un abbraccio frenetico.
“Sei tornato… - mormorava fra le lacrime – sei tornato…”
“Ma voi state piangendo…”, disse Tommaso con un filo di voce.
Rodolfo si riscosse.
“Cosa? no…”, cercò di schermirsi, come assalito da un’improvvisa ritrosia.
Ma Tommaso gli afferrò la mano.
“Cos’è successo?”
“Niente… ti ha preso la corrente…”
“Stavo annegando?”
Rodolfo non rispose.
“Stavo annegando e voi mi avete salvato.”
“Sciocchezze… Non parlare, fai ancora fatica a respirare.”
“Voi mi avete salvato…”, ripeté il giovane, quasi con incredulità.
Ancora una volta, Rodolfo non rispose, scosso da un brivido per la frescura della
brezza che spirava dal fiume.
“Aspetta, - fece allora – ti tolgo questa roba bagnata, così si asciuga al sole.”
E slacciategli le brache, gliele sfilò assieme al resto, stendendole al sole sul prato, dopo averle strizzate per bene. Adesso Tommaso era nudo davanti ai suoi occhi: il sole ormai alto illuminava il suo corpo, ne sottolineava le forme sode e armoniose, facendone risaltare maggiormente l’eburneo incarnato del petto, la leggera peluria delle cosce, il folto cespuglio aggrovigliato del pube, su cui si adagiava il sesso molle e carnoso.
Rodolfo gli si inginocchiò al fianco.
“Sei bellissimo…”, mormorò, allungando la mano a sfiorargli un capezzolo con la punta delle dita.
Tommaso sorrise.
“Ci state provando, marchese?”
Rodolfo non rispose, ma con una tenerezza che lui stesso ignorava d’avere, si chinò e poggiò le sue labbra anelanti su quelle dischiuse di Tommaso. Fu solo un contatto fugace, ma tanto bastò per sconvolgere l’intero universo di entrambi. Per Rodolfo fu come se la diga che aveva eretto per trattenere le sue passioni fosse d’un tratto crollata, travolgendo con la sua piena ogni residua paura; per Tommaso invece fu come la scoperta di qualcosa che solo ora si accorgeva di aver sempre desiderato.
Le labbra, per un istante disgiunte, tornarono a cercarsi e stavolta si aprirono alla scoperta l’uno dell’altro. Rodolfo si distese al fianco di Tommaso: la sua incontrollabile foga era ormai evidente nell’erezione sgusciata fuori dal contenimento delle mutande: con un braccio, passatogli dietro la nuca, stringeva a sé l’amato, intanto che l’altra mano ne percorreva frenetica il corpo, il petto levigato, l’addome, l’inguine piumoso, fermandosi infine a sollecitargli il cazzo, che già si ergeva fremente, senza bisogno di ulteriori stimoli.
Poi, Rodolfo non si contenne più. Incurante dello stato di prostrazione in cui ancora versava Tommaso, si tolse con furia l’inutile indumento, che ancora lo ingombrava, e gli si pose a cavalcioni sulle cosce, chinandosi poi a leccare e baciare il suo petto, seguendo con la lingua il contorno dei pettorali, morbidamente disegnati, e arrivando a mordicchiarne i capezzoli, facendolo guaire di piacevole dolore.
A Rodolfo non sembrava vero che si stessero avverando quei desideri reconditi, che per mesi aveva accarezzato e alimentato in lunghe nottate di veglia. Scese verso l’addome, inebriato dalla levigatezza della pelle, dalla morbidezza della rada peluria, dal gorgoglio che sentiva in profondità nel ventre. Il sentore del cazzo turgido cominciò ad arrivargli alle narici e lui dapprima fremette, mentre gli ravanava con la lingua nell’ombelico, poi senza soluzione di continuità, presolo in mano, ingoiò interamente la cappella, risucchiandone il sugo.
Tommaso rimase basito, boccheggiando sia per l’intenso piacere, sia per la sorpresa: non immaginava che si potesse arrivare a tanto… Ma per la verità, erano molte le cose che non immaginava. Sentendo le labbra del marchese serrarglisi attorno alla verga, sentendo la sua lingua avvolgergli il glande
e spremerlo con una vigorosa suzione, Tommaso sguaiolò, rovesciando indietro la testa, mentre istintivamente sollevava il bacino per affondarglielo ancora di più nella gola. Stava avvenendo tutto in fretta, troppo in fretta, ma del resto, quando un fiume ha rotto gli argini, non c’è forza che riesca a trattenerlo.
(continua)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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