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Il mattino ha l'oro in bocca


di adad
27.07.2022    |    9.271    |    6 9.5
"Forse erano un po’ allegrotti tutti e due, e questo li aveva aiutati a superare le residue timidezze; ma tutto aveva funzionato a dovere fin dall’inizio: i..."
“Dai, alzati, il mattino ha l’oro in bocca…”, ronfò Stefano, cercando di convincere l’amico Aurelio ad alzarsi.
“Il mattino avrà anche l’oro in bocca, – rispose questi – ma da parte mia, in bocca ci preferisco una corposa schizzata di sborra!... In special modo la tua.”
“Sei davvero un porco. – sorrise Stefano, ravanandosi dentro le mutande – Cosa ci trovi di speciale nella mia? La sborra è sborra.”
“Così disse l’incompetente. – sentenziò Aurelio con aria professorale – Hai mai fatto un pompino, tu?”
“E certo che l’ho fatto. E lo sai bene.”
“Hai mai ingoiato?”
“No… lo sai che mi fa senso…”
“Ecco il problema! – disse Aurelio, senza reprimere una nota di disappunto – Non hai mai ingoiato quello che il mio cazzo ti regala con tanta gioia… E allora non puoi sapere…”
“Ma, dai, non farmi ridere! Cos’è che dovrei sapere?”
“Che ogni sborra la sua unicità! Ascolta: sarai d’accordo che ogni maschio è diverso dall’altro…”
“Certo, già io e te siamo molto diversi.”
“Infatti, io sono biondo e tu sei castano, io…”
“Io ce l’ho più grosso e tu più piccolino.”, lo interruppe Stefano, che in genere si divertiva un mondo a stuzzicarlo.
“Beh… non è questo il punto. Il punto è che ognuno di noi è diverso dall’altro, sei d’accordo?”
“Nulla da obiettare.”
“E da dove principia questa diversità?”
“Eh, da dove principia?”
“Dalla sborra! – concluse Aurelio – E se la sborra è l’essenza del maschio, quella che ne contiene il principio vitale, vuol dire che ogni sborra è diversa dall’altra!”
“Accidenti! Neanche Aristotele avrebbe saputo dimostrare questa verità con tanta perizia.”
“Ma mi stai prendendo in giro?”, finse di inalberarsi Aurelio.
“Io? ma quando mai, sono soltanto…”
“Sì, mi stai prendendo in giro!”, gridò l’altro, buttandoglisi addosso.
E il letto, in cui si erano appena svegliati, diventò il ring di un furibondo incontro di lotta più o meno libera, che però si concluse presto, quando Aurelio, nell’assestare un colpo basso all’amico, si imbatté nel suo cazzo turgido e pensò bene di porre fine alla contesa: ci si avventò con foga e lo ingoiò per buona parte, cominciando a succhiarlo con vigore. Stefano non fu da meno: non appena vide intrappolata l’appendice vitale nella bocca inesorabile di Aurelio, si rigirò a sessantanove, gli strattonò giù le mutande e gli rese la pariglia, ingoiando a sua volta una bocconata della sua carne viva.
A quel punto, la situazione fu impattata, senza né vincitori, né vinti, per cui placati gli animi, proseguirono pacificamente la loro opera. Si trattava solo di vedere chi avrebbe ceduto per primo, e come sempre il primo a cedere fu Stefano, che con un sussulto si liberò della poca sborra che gli era rimasta nelle palle, schizzandola nel luogo più acconcio, vale a dire la bocca di Aurelio; il quale la raccolse tutta sulla lingua, la degustò e infine la centellinò, ingoiandola piano piano. Il che, però, distolse la sua attenzione da quanto stava avvenendo nelle sue parti basse, con la conseguenza che la sua corsa all’orgasmo subì un rallentamento. Ma la cosa non dispiacque all’amante, al quale piaceva prolungare il succhiaggio anche per ore, si fa per dire, spesso interrompendolo nel momento cruciale, come appunto fece anche adesso.
La verità, inconfessata, però, era che l’orgasmo procurava a Stefano un temporaneo calo di libidine, come succede a tanti, per cui aveva bisogno di qualche minuto per riprendersi.
“Il tuo seme era un po’ acquoso, stavolta, - disse Aurelio, una volta che ebbe finito la degustazione – ma è comprensibile, visto che si trattava della terza estrazione da ieri sera…”
“La quarta.”, lo corresse Stefano.
“La quarta, hai ragione… Sì. era un po’ acquoso, ma il sapore era lo stesso: amarognolo al primo impatto, con un retrogusto di miele selvatico.”
“Ah ah ah… - rise Stefano – hai fatto un corso per sommelier di sperma?”
“No, amore… parlo solo per esperienza.”
“E già, con tutti i cazzi che hai succhiato nella tua vita! Mi sa che devo fare un po’ di esperienza in giro pure io.”
“Non ti serve… ne ho io per tutti e due…”, mormorò Aurelio, cercando le sue labbra e smorzandone le proteste con un bacio appassionato.

Erano amanti da qualche mese, Stefano e Aurelio. e le cose sembravano procedere bene fra loro due. Si erano conosciuti su una delle tante chat in circolazione e si erano incontrati al bar per un caffè conoscitivo… Non si compra a scatola chiusa, come sappiamo tutti. Il caffè era stato seguito da una birra, che a sua volta era stata seguita da una pizza e poi da un’altra birra e poi… per farla breve erano finiti a letto la sera stessa.
Forse erano un po’ allegrotti tutti e due, e questo li aveva aiutati a superare le residue timidezze; ma tutto aveva funzionato a dovere fin dall’inizio: i cazzi soprattutto, quello di Stefano che aveva elargito ad Aurelio una delle più gustose sborrate, che gli fosse mai capitato di ricevere in bocca; e quello di Aurelio che era penetrato liscio liscio nel vergine orifizio di Stefano, spulzellandolo fra gaudiosi fremiti e sospiri.
Bisogna dire, infatti che mentre l’organo di Aurelio, con il tronco rastremato verso l’alto e la cappella affusolata sembrava fatto apposta per la penetrazione anale, come avevano riconosciuto tutti i suoi precedenti partner, il cannolicchio di Stefano, con la sua cappella fungina, simile a un morbido biberon, si prestava magnificamente ad essere succhiato.
Che dire di più? il fatto di essere dotati ognuno dello strumento atto a soddisfare la passione e le esigenze dell’altro, unito alla reciproca simpatia e a quell’elemento misterioso che è alla base dell’amore, li spinse a rivedersi la sera dopo e poi l’altra ancora, fino a capire di essere indissolubilmente innamorati.
Non vivevano ancora insieme, era troppo presto per fare quel passo, dicevano, ma
sempre il venerdì sera Stefano si trasferiva dall’amante, per passare assieme il
fine settimana. Era successo così che quel sabato mattina, mentre i primi raggi del sole nascente indoravano la parete della stanza, a Stefano era venuta in mente quella saggia massima, a cui però era seguita subito una considerazione ancora più saggia da parte dell’amante.

Il bacio fu lungo e appassionato, come è giusto che sia tra due innamorati che si svegliano nello stesso letto, un sabato mattina, dopo una notte di passione.
“Ti sei interrotto, prima…”, mormorò Aurelio, portando la mano di Stefano ad impugnare il suo cazzo turgido.
Gli faceva un po’ male, per la verità, considerando la lunga attività notturna, ma a trent’anni l’orgasmo ce l’hai sempre sulla punta dell’uccello, bisognoso di esplodere. Stefano non se lo fece dire due volte: lo sistemò supino sul letto, si accucciò fra le sue gambe divaricate e, sollevatogli il molle sacco scrotale, prese a slinguazzarlo, ingoiando i grossi ovuli uno alla volta e facendoseli ballare in bocca, mentre li succhiava e li spremeva come prugne sugose fra lingua e palato.
Era un gioco che faceva impazzire Aurelio, il cui cazzo prese a spurgare siero dalla boccuccia dischiusa. Allora, reggendogli lateralmente il cazzo dritto con due dita, Stefano partì a tutta lingua dalla base e raggiunta la cima, si fece scivolare il glande in bocca, succhiandolo come una dolcissima caramella.
Andò avanti così per un pezzo, coinvolgendo nel gioco l’intero organo, dalle palle alla cappella affusolata, infilando spesso la lingua sotto il prepuzio, picchiettando il frenulo con la punta e mordicchiandolo delicatamente.
Aurelio fremeva, spasimava… a momenti sentiva avvicinarsi l’orgasmo liberatorio, ma sempre Stefano riusciva a ricacciarlo indietro; finché una slinguata di troppo causò l’irreparabile.
“Vengo…”, sospirò Aurelio, torcendosi negli spasmi del piacere che stava per sommergerlo.
Fulmineo, allora, Stefano saltò a cavalcioni del compagno, gli si sedette sul cazzo e si lasciò andare, facendoselo scivolare nel retto fino alle palle. Aurelio urlò, inarcando i fianchi, straziato com’era dal duplice piacere dell’orgasmo e della penetrazione.
Finalmente placati, almeno per il momento, caddero entrambi in una sorta di torpore catalettico, da cui sembrava difficile potessero risvegliarsi, dopo gli eccessi della nottata. Il campanello alla porta suonò almeno un paio di volte e il telefono di entrambi squillò ripetutamente nell’altra stanza, dove li avevano provvidenzialmente dimenticati la sera prima: nessun suonò riuscì a oltrepassare la barriera letargica che li avvolgeva come un cupola di piombo.
Era quasi mezzogiorno, quando un barlume di coscienza iniziò a ridestarsi nel più giovane, Stefano, che si addossò all’amico supino, gli appoggiò la guancia sul petto e scese con la mano a carezzargli l’uccello esangue.
Il gesto ebbe la capacità di svegliare anche Aurelio, che senza aprire gli occhi:
“Non provarci…”, grugnì con la voce impastata dal sonno.
“Sei tutto bagnato… - mormorò fievolmente l’altro – mi sa che ti sei pisciato addosso…”
“E’ la tua sborra… - esalò Aurelio – Non ricordi che sei venuto assieme a me…”
“Quando?”
“Alla fine, quando ti sei seduto sul mio cazzo… Non te lo ricordi?”
“Che mi hai sborrato dentro, sì… ma che sono venuto pure io, no… non me lo ricordo.”
“Poi sono crollato… e mi sa pure tu…”
“Dovremmo alzarci… - disse Stefano – avevamo deciso di andare fuori a pranzo, ricordi?”
“Già, ma credo che ci faremo un toast a casa… Andresti a preparare un caffè?”
“Amore, non ce la faccio… - sospirò Stefano - Stanotte abbiamo proprio esagerato… Continuavi…”
“Continuavo? Io? ma se non riuscivo a staccarti dal mio cazzo: quando non ce l’avevi in bocca, ce l’avevi nel culo!”
“Scusa, non è colpa mia, se mi piace…”
Aurelio lo abbracciò.
“Ti piace il mio cazzo o ti piaccio io?”
“Tutti e due… Non dimenticare che sei il mio primo uomo, sei stato tu a sverginarmi in tutti i sensi: mi hai fatto conoscere… mi hai insegnato cose che neanche immaginavo. È colpa tua se non riesco a staccarmi da te.”
Aurelio ascoltava col cuore gonfio d’emozione quelle parole sconnesse, ancora assonnate: mai avrebbe immaginato di conoscere un ragazzo a cui si sarebbe legato così tanto.
“E io non voglio che tu ti stacchi da me, tesoro… ma è meglio che ci alziamo: dobbiamo rimetterci in forze: ci aspetta un’altra lunga notte.”
“E poi il ninfomane sarei io… guarda, ce l’hai già duro un’altra volta!”
fece Stefano, palpandogli l’uccello dolorosamente turgido.
“Stavolta non conta! – scoppiò a ridere Aurelio – è solo pieno d’acqua.”, e, scalciando le lenzuola, gettò le gambe fuori dal letto e si diresse di corsa verso il bagno.

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