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Lotta di classe - 1


di adad
18.02.2019    |    18.360    |    6 9.2
"“Ho deciso di accettare il tuo invito..."
AVVERTENZA: nel racconto che segue si fa uso di un linguaggio volgare e scorretto; i personaggi fanno sesso senza usare le dovute protezioni, ma sono stati informati in maniera dettagliata dei rischi che corrono e hanno deciso di strafregarsene con la motivazione, a mio avviso corretta, che non sono stati ancora evidenziati pericoli di contagio di qualsivoglia tipo derivanti da situazioni meramente virtuali.
Ultimo, ma non meno importante, l'accenno politico contenuto nel racconto è del tutto casuale. Detto questo, chi prosegue nella lettura, lo fa a suo rischio e pericolo.


Fabio era mollemente sdraiato sul materassino ai bordi della piscina, nel giardino retrostante il vecchio palazzotto, verso la periferia della città. Sfogliava una rivista porno e si lisciava con pigra indolenza il calepino che gli si andava rapidamente inturgidendo sotto il ridotto costumino azzurro. Sì, un costumino decisamente ridotto, al punto che prima ancora di arrivare al paginone centrale della rivista, in cui il cover-boy della settimana avrebbe gratificato il lettore con la visione stereoscopica delle natiche aperte a mostrare il suo anelante buchetto, prima di arrivare al paginone centrale, dicevo, esso non riuscì più ad assolvere alla funzione principale per cui era stato concepito, quella cioè di contenere e possibilmente nascondere alla vista l’apparato genitale di chi lo avesse indossato.
Sempre ammesso, s’intende, che fosse questa la funzione principale per cui era stato concepito… e non piuttosto quella di rendere ancora più arrapante un bel fisico dalle linee morbide e seducenti, come appunto quello del nostro Fabio. E ad essere sinceri, conoscendo lo stilista, l’Autore propende senza ombra di dubbio per questa seconda ipotesi.
Il megattero, dunque, che il giovane era andato alimentando di sensuali lisciate e voluttuose carezze, cominciò ben presto a forzare contro la chiusura della sua angusta prigione e, prima ancora che Fabio arrivasse al famigerato paginone centrale, sgusciò con tutta la testa da sotto lo stretto elastico e si protese in fuori, boccheggiando in cerca di respiro e sbavando senza ritegno la sua avida concupiscenza. Fabio non poté ignorarlo e prese a lisciarsi con la punta delle dita il glande viscido e scappellato, abbandonandosi al brivido di piacere che gliene derivò; poi con la punta dell’indice raccolse una goccia del liquido denso, che gli colava fuori dalla punta, e se lo portò alle labbra, leccandolo con aria lasciva.
Diede un’ultima occhiata distratta alla rivista e la spinse via; si sfilò l’ormai inutile costumino azzurro, scalciandolo via, si distese sul materassino, si impugnò a tutta mano il rondone fremente e chiuse gli occhi, prendendo beatamente a masturbarsi.
La mano destra faceva la sua lap-dance stretta al palo febbricitante e scorreva su e giù con un’ampia vogata che al discendere scopriva interamente il glande bagnato e al risalire lo ricopriva, tirando fino in cima la pelle carnosa e slabbrata dell’ampio prepuzio. Con la sinistra, invece, si danzava sul corpo, carezzandosi i pettorali levigati, vellicandosi per un momento i capezzoli, lisciandosi i coglioni sostanziosi e affondando ogni tanto nel profondo a saggiare con la punta dell’indice la cedevole consistenza dell’orifizio, umida di sudore e di umori.
E intanto si torceva, sotto il placido sole di quel mattino di fine giugno, leccandosi le labbra, mugolando di piacere, contraendo i muscoli delle gambe flessuose e delle natiche sode, quasi ad accompagnare ed accentuare i brividi che lo scuotevano. Se qualcuno avesse avuto la fortuna di vederlo, sarebbe stato uno spettacolo da fargli scoppiare le palle!
Poi il piacere si accentuò, divenne un flusso costante nelle sue membra fibrillanti, i coglioni cominciarono a comprimersi, per dare potenza all’imminente schizzo liberatorio, la sborra cominciò a levitare… la mente a volare… il cazzo…
CLIN CLON… CLIN CLON… CLIN CLON…
Fabio sbarrò gli occhi e sollevò la testa, guardandosi attorno stranito. Un flusso più denso di sugo gli colò sulla mano, bloccata a fondo cazzo.
“Chi diavolo è? – si chiese a voce alta – Oh, che vadano al diavolo!”
E si ridistese giù, deciso a riprendere e portare a termine la sua masturbazione, anche se la magia del momento era svanita e il suo nerchio scioccato cominciava a dare segni di cedimento. Richiuse gli occhi. Si lisciò con la sinistra le palle fradicie di sudore… con la destra riprese a sollecitarsi la canna molliccia…
CLIN CLON… CLIN CLON… CLIN CLON…
«Oh, vaffanculo ‘sto rompicoglioni ! », sbottò Fabio, che la rabbia e il disappunto rendevano ancora più affascinante.
Con un unico, fluido movimento si alzò di scatto e raccolse un asciugamano buttalo lì accanto, poi si pulì le mani e si guardò attorno alla ricerca del costumino azzurro.
CLIN CLON… CLIN CLON… CLIN CLON…
« E vengo, cazzo ! », imprecò.
Si accorse che il costumino galleggiava al centro della piscina, dove lo aveva scalciato prima, allora scrollò le spalle, si avvolse l’asciugamano ai fianchi, tenendone i lembi con la sinistra, e si avviò ad aprire.
“Ma chi cazzo è?”, si chiese ancora, facendo scattare la serratura, senza rendersi minimamente conto della situazione in cui trovava.
Aprì con foga il portone di strada.
“Ciao! - fece il ragazzo, allontanando il dito dal campanello, che stava per suonare ancora una volta – Io… Oh, scusa… - si bloccò, notando l’altro sulla porta, nudo, con solo un asciugamano attorno ai fianchi – Vedo che ti ho disturbato… mi dispiace… non immaginavo…”
Fabio stava per scaricargli addosso una valanga di contumelie, ma quando vide il bel faccino moretto, illuminato da due occhioni sognanti, le belle labbra sorridenti e il pizzettino da intellettuale, sentì la rabbia sciogliersi al sole e mutarsi in un vago
interesse.
“No… niente…”, mormorò, mentre i suoi ormoni, nuovamente all’erta, lo spingevano a puntare gli occhi verso il basso ventre del ragazzo, dove due belle cosce tornite si congiungevano, generando un rigonfio prominente e leggermente scolorito sul lato sinistro, dove evidentemente più frequente doveva essere lo sprimacciamento.
“Sono di Lotta Proletaria, -disse il giovane con voce squillante, tendendogli un giornaletto di poche pagine – ti interessa parlare un po’ di questa crisi?”
“Eh? – fece Fabio, scuotendosi dalla sua contemplazione – Quale crisi?”
“Beh, la crisi economica che sta investendo… Ma, scusa, in che mondo vivi?”
“Senti, - lo interruppe Fabio – ti dispiace venire dentro? Non credo di essere…”, e sporse la testa, per guardare in strada, dove peraltro non passava nessuno.
Si scostò per farlo passare.
“Stavi facendo la doccia, immagino.”, disse il ragazzo, entrando.
“No. Ero di là che prendevo il sole in piscina. Vieni.”, rispose Fabio e lo precedette attraverso l’atrio, verso l’uscita posteriore per il giardino.
“Ah, pure la piscina c’hai!”, commentò il ragazzo con una punta di acredine nella voce.
“Come ti chiami?”, gli chiese l’altro.
“Tony”.
“Io Fabio. – e si girò per stringergli la mano – Molto piacere.”
Uscirono in giardino, al centro del quale c’era una piccola piscina, circondata da alte siepi fiorite per proteggerla dagli sguardi indiscreti.
“Accidenti, che bella casa! – mormorò Tony – Si vede che siete ricchi.”
Fabio fece spallucce.
“Lo sono i miei!”, rispose.
“Beh, se lo sono loro, lo sarai anche tu!”, puntualizzò l’altro piccato.
Il ragionamento non faceva una piega.
“Bah, io spendo soltanto i loro soldi!”, commentò serafico Fabio.
“Ma guardati! – si infiammò Tony – Palazzo, giardino, piscina! Non ti senti rodere dentro all’idea che c’è gente che non ha un cazzo di posto di lavoro?”
“Sì, hai ragione, - fece Fabio – ma perché te la prendi con me? Non l’ho mica colpa mia le cose che stai dicendo… Quanto a questa roba, me la sono trovata e, se permetti, me la godo, come farebbe chiunque altro. Ma siediti pure. – e gli indicò una sdraio al bordo della piscina – Vuoi qualcosa da bere?”
“No… - balbettò Tony un po’ spaesato – no… ti ringrazio.”
“Scusami un momento.”, disse Fabio e si allontanò, sempre tenendosi con la sinistra i lembi dell’asciugamano attorno ai fianchi.
Tornò poco dopo, indossava un paio di slip bianchi e portava in mano due grossi bicchieri appannati, colmi di un liquido ambrato. Ne porse uno a Tony, che nel frattempo si era seduto sulla sdraio.
“E’ tè. – fece – Dopo un po’ al sole viene sete.”
“Ah, grazie.”, si illuminò Tony, quasi stupito alla cortesia dell’altro.
Tony tornò a sdraiarsi sul materassino. Bevvero entrambi una sorsata di tè.
“Come ti dicevo…”, cominciò Tony.
“Senti, - lo interruppe Fabio – mettiti pure comodo, se vuoi.”
L’altro lo fissò con aria interrogativa.
“Togliti pure la camicia… e anche i pantaloni, se vuoi, così prendi un po’ di sole pure tu, mentre parliamo.”
“N… no… - si schermì Tony – Non mi sembra…”
“Non farti problemi, non c’è nessuno in casa: i miei sono fuori, rientrano stasera.”
“No… ti ringrazio… e poi, non ho neanche il costume!”, disse Tony con sollievo.
“Immagino che avrai le mutande, sotto quei jeans, giusto?”, gli sorrise incoraggiante Fabio.
Tony arrossì e lo fissò sconcertato, imbarazzatissimo all’idea di rimanere in mutande davanti a uno sconosciuto e un po’ anche al pensiero che non dovevano essere proprio pulite, visto che non se le cambiava da un paio di giorni. Ma Fabio era ormai lanciato, tanto più che si sentiva quasi dovuta una certa forma di risarcimento per la sega interrotta.
“Ascolta, Tony, - gli disse suadente – quante volte ti è successo durante i tuoi giri – e
accennò al pacchetto di giornali poggiati a terra sotto la sdraio – di capitare in una casa come questa, di essere ricevuto da una persona, modestamente, educata e cordiale come il sottoscritto, e di essere invitato a prendere il sole in piscina?”
“Beh, mai! – scoppiò a ridere Tony – Generalmente, non mi lasciano neanche entrare!”
“E allora, perché non ne approfitti e non te la godi un po’, adesso che ne hai l’occasione? Pensi forse che ti giudicherei male? Io ti ho fatto accomodare, perché avevi l’aria simpatica e mi andava di fare due chiacchiere con te… Quello che sei politicamente, non me ne frega niente. Io la vedo così…”, e fece spallucce.
Seguì una pausa di silenzio. Fabio sentì il saltapicchio agitarglisi sotto gli slip, ma non fece niente per nascondere il profilo che si andava allungando e che pure doveva essere ben evidente, nella posizione in cui era sdraiato. Anche volendo, però, non solo sarebbe stato impossibile, con una copertura così esigua, ma non avrebbe fatto altro che attirarci maggiormente l’attenzione: la cosa migliore era far finta di niente.
Distolse lo sguardo da Tony e rimase a fissare con aria assorta la piscina, al centro della quale galleggiava stancamente il suo costumino azzurro.
Tony, dal canto suo, era francamente confuso: tutto questo era nuovo per lui. Erano anni che si occupava di politica attiva, che girava per le case, per i quartieri a promuovere le iniziative del suo gruppo, Lotta Proletaria per il Comunismo, e a volte era stato accolto con finto interesse, altre con malcelata ostilità, quando addirittura non lo avevano cacciato via in malo modo, senza rendersi conto che nel fervore di rifiutare le sue proposte, era lui che ferivano, i suoi sentimenti. Sempre la sua persona era stata identificata con le sue idee, con la sua appartenenza politica, e demonizzata assieme a quelle.
“Vedi, - cercò di spiegare alla fine – quando si è impegnati in una causa… quando credi a un ideale, senti che devi agire, che devi mettere in ballo tutto te stesso per far sì che le cose cambino…”
“Sì, capisco…”, mormorò Fabio con un sorriso.
“Beh, ciò non toglie che ogni tanto possiamo anche prenderci una pausa!”, aggiunse Tony inaspettatamente anche per lui, e si slacciò alcuni bottoni della camicia, esponendo ai lascivi occhi di Fabio un triangolo di pelle candida e levigata.
“Devo ammettere che si sta bene qui.”, sospirò poi, allungandosi più comodo sulla sdraio e portandosi le mani dietro la nuca.
Il caldo cominciava a fare il suo effetto. Fabio si alzò e raccolse i bicchieri.
“Vado a prendere dell’altro tè.”, disse e si allontanò.
Rimasto solo, Tony si guardò intorno: la piscina, le siepi fiorite…
“Borghesi del cazzo! - mormorò, sentendosi montare dentro la rabbia – Eccolo come vivono ‘ste sanguisughe del cazzo! Noi a sudare sangue per un posto di lavoro e loro a sciacquarsi le palle in piscina!”
Non gli passò per la testa che, in realtà, lui di sangue per un posto di lavoro ne stava sudando ben poco, ma il seme della rivalsa era ormai piantato.
Cominciò a sentirsi la pelle sudaticcia sotto la camicia e sotto il tessuto pesante dei jeans… Già, perché non ne approfitto e me la godo un po’ pure io alla faccia loro?
Al pensiero, seguì rapida l’azione: Tony si drizzò a sedere, si sbottonò la camicia, se la sfilò dai pantaloni, poi se la tolse e la gettò per terra. Si chinò, quindi, a slacciarsi le scarpe, togliendosele assieme ai calzini di spugna sfilacciati. Questa roba è pure mia, cazzo!
Un senso di grato benessere lo prese, già a sentirsi la freschezza dell’erba sotto i piedi nudi. E vaffanculo pure le mutande sporche! Si alzò, si sbottonò i jeans e prese a sfilarseli. Fu in quel momento che Fabio tornò e a momenti gli veniva un colpo alla vista dell’altro che, dandogli le spalle, si toglieva i pantaloni e li gettava in un mucchietto accanto alla camicia.
Un turbamento profondo lo prese e indugiò un momento ad ammirare quel fisico snello, le spalle forti, le gambe tornite, il culetto polposo, celato sotto un paio di slip sformati. Dio, che splendore! Tony tornò a sedersi sulla sdraio, senza essersi accorto di niente. Fabio, allora, affrettò il passo nell’ansia di vederlo davanti. Sentendolo arrivare, il giovane girò la testa.
“Ho deciso di accettare il tuo invito.”, disse con un sorriso tirato.
“Hai fatto benissimo.”, rispose Fabio, porgendogli il tè gelato.
Una zaffata pungente, ma terribilmente inebriante, gli giunse, quando l’altro sollevò il braccio per prendere il bicchiere. L’afrore ferino di un’ascella maschile era una delle cose che lo eccitavano maggiormente. Sentì un fremito percorrergli l’inguine e uno sgorgo di sugo inzuppargli lo slippino in corrispondenza del glande.
A Fabio sembrò di vivere una situazione irreale. Possibile che non si è accorto che ce l’ho
duro?, pensò, mentre tornava al suo materassino. Si sdraiò sul fianco, appoggiandosi sul gomito, in modo da essere rivolto verso Tony. La seduta della sdraio era pressappoco all’altezza dei suoi occhi e lui aveva una visione perfetta del centro focale dei suoi interessi.
Finito di bere il suo tè, Fabio si era disteso ad occhi chiusi, con le mani dietro la nuca e le gambe divaricate, quasi fosse consapevole che l’altro lo stava guardando e volesse lasciargli buon agio. Il rigonfio alla convergenza delle sue cosce era senz’altro rilevante, ma a catturare lo sguardo lascivo di Fabio era una lieve fessura alla sgambatura degli slip, una fessura da cui non traspariva niente, ma che apriva la strada ad un universo di immagini e a congetture quanto mai libidinose.
Ad un certo punto, Tony si portò una mano all’inguine e si sprimacciò indolentemente il pacco: così facendo, provocò un certo allargamento della fessura, attraverso la quale tra
uno sbuffo di peli parve ora a Fabio di intravvedere la molle rotondità di una palla. Fu decisamente troppo per lui: la tensione, che si era andata accumulando fin dalla mattina, esplose incontrollata, con un gemito soffocato Fabio fece appena in tempo a girarsi sulla pancia, che sborrò pure l’anima, infradiciandosi completamente il davanti degli slip.
Cazzo!, si disse, appena placatesi le convulsioni dell’orgasmo, e adesso? L’unica era alzarsi zitto zitto, sgattaiolare verso la piscina per quel paio di metri e buttarsi in acqua col pretesto di fare il bagno. Sollevò la testa e stava per tirarsi su, quando si accorse che Tony lo stava guardando con aria interrogativa.
“Cosa ti è successo?”, gli chiese, infatti.
Fabio, allora, si girò a sedersi, incurante degli slip bagnati.
“Ho avuto un orgasmo…”, mormorò come a scusarsi d’averlo disturbato.
Tony scoppiò a ridere.
“Cos’è, il sole ti fa questo effetto?”
“No…”, rispose lui e si alzò, cercando di coprirsi alla meglio con una mano.
Tony lo fissò con un ghigno sardonico sulle labbra.
“Sei frocio, vero?”, gli chiese con una punta di derisione nella voce.
Fabio non rispose, i suoi occhi erano incollati all’inguine di Tony, sulla sacca umidiccia dei suoi slip costellata di macchie giallastre.
“Borghese pervertito del cazzo!”, sibilò Tony con disprezzo, pur avvertendo il piacere perverso, la sottile gratificazione, che gli procurava non solo quello sguardo puntato su di lui, ma anche il senso di superiorità, di potere, che una volta tanto stava esercitando su un odiato nemico di classe.
Senza neanche sentire quei commenti velenosi, sempre fissando la meta agognata, Fabio gli si inginocchiò lentamente davanti e gli poggiò le mani sulle cosce. Il contatto con quella pelle accaldata, sensuale, quasi gli bruciò sotto le dita.
“Cosa vuoi da me?”, gli chiese Tony con voce dura.
Era chiaro, ormai che non lo aveva fatto accomodare per pura bontà d’animo! Avrebbe voluto staccarsi di dosso quelle mani luride, avrebbe voluto allontanarlo con un calcio nel petto e poi coprirlo di insulti, dirgli che gli facevano schifo, lui e tutti quelli della sua razza, borghesi e froci, rottinculo di merda!
Si sentiva dentro la rabbia accumulata di generazioni di gente sfruttata. Avrebbe voluto umiliarlo, distruggerlo quel verme schifoso. Strinse forte i pugni per colpirlo, ma riuscì a trattenersi.
“Cosa vuoi da me?”, ripeté invece con forza.
Scivolando le mani, fino a infilargli la punta delle dita sotto la sgambatura degli slip, Fabio sollevò la testa e lo fissò negli occhi.
“Ho voglia di farti un pompino…”, mormorò scioccamente.
A quelle parole, a quel tono implorante, tutta la sua ostilità, tutto il suo rancore si dissolsero come d’incanto e Tony scoppiò a ridere, sentendosi quasi con sollievo recuperare una dimensione umana.
“Ma che cazzo dici? – esclamò con voce ora pacata – Io sono normale, ho la ragazza…”
Ma non allontanò le mani di Fabio, che ora gli si erano insinuate sotto gli slip e gli sfioravano leggere le palle, né poté reprimere il fremito di piacere che gliene derivò.
“E che ti frega?”, gli sorrise l’altro, la cui destra si era audacemente spinta in su a cercare il bigolo inequivocabilmente in via di sviluppo.
Tony si sentì d’un tratto spaesato: con le ragazze era sempre stato lui il soggetto attivo del corteggiamento, era lui che doveva pregare, lusingare, smuovere gli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione dei suoi desideri; adesso veniva a trovarsi in una situazione del tutto opposta: era lui il centro delle attenzioni, l’oggetto di un desiderio altrui… e di un uomo per giunta!
La mano di Fabio gli si avvolse delicata e vogliosa attorno al nerchio ormai duro…
Era tutto sbagliato! Innegabilmente, però, la cosa lo lusingava, stimolava il suo orgoglio virile come mai gli era successo con una ragazza e men che meno con la sua compagna, che lo costringeva ogni volta a sentirsi, a riconoscersi una merda, prima di dargliela.
E, cazzo, voglia di sborrare gliene era venuta, eccome! Ma farselo succhiare da un frocio non rientrava certo nei suoi schemi mentali… a parte i casini che potevano venirne fuori… Si sentiva l’uccello teso, languoroso, nella mano decisa di Fabio… Cazzo… un pompino è sempre un pompino… Sempre meglio di una sega a casa… E i froci lo sanno fare bene… Ma che sarebbe successo dopo? E se questo culattone va a dirlo in giro? Se vengono a saperlo i compagni? Un sottile senso di panico lo pervase. Afferrò per il polso la mano indiscreta che gli teneva stretto l’uccello sotto gli slip.
“Smettila, dai.”, mormorò con voce roca.
Ma non lo forzò a staccarla, a toglierla da lì.
“Perché? – disse Fabio – Hai voglia pure tu… Per favore… Non lo dico a nessuno, te lo prometto! – aggiunse, quasi leggendogli nella mente – Te lo succhio e basta… “
“No”, protestò ancora Tony, sia pure molto debolmente.
“Di’ – fece allora Fabio, con un guizzo malizioso negli occhi – non pensi che sarebbe una bella rivincita per te fartelo succhiare da un borghese di merda?”
“Beh, se la metti su questo piano, - scoppiò a ridere Tony, quasi con un senso di liberazione – come faccio a dirti di no?”, e mollatogli il polso, lasciò che Fabio glielo tirasse fuori dalla sgambatura ormai slargata degli slip, assieme ai coglioni.
Tenendolo sollevato col palmo della mano, Fabio ammirò estasiato quel cazzo turgido e polposo, sotto il quale penzolavano due grossi ovuli in uno scroto floscio e senza peli.
“Che bello!”, esclamò rapito.
Tony era combattuto fra l’imbarazzo di trovarsi lì col cazzo fuori, in mano a un frocio in procinto di succhiarglielo, e quella sensazione di superiorità maschile che nonostante tutto gliene derivava.
“Ti piace?”, gli chiese con un tono misto di orgoglio e d’incredulità.
“Sì…”, sospirò Fabio e si chinò per una leccata a tutta lingua dalla base fino alla cappella.
L’afrore era pungente, di sudore e di scarsa pulizia, ma lui si sforzò di superare l’istintivo senso di repulsione e prese a slinguare golosamente il glande appiccicoso. Dopo un po’, il
suo naso si era abituato e la sua lingua cominciò a cogliere i sapori più genuini di quel
gustoso banano.

(continua)
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