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Incontri fortuiti - 2


di adad
03.02.2023    |    7.966    |    14 9.7
"“E’ qui vicino, siamo quasi arrivati, - rispose lui, girandosi a guardarmi – qui non ci vedrà nessuno..."
Seguii, dunque, Samuel, standogli qualche passo indietro, il che mi diede modo di ammirarne non solo l’andatura sciolta e dinoccolata, ma anche il bel culo carnoso, che si indovinava sotto i pantaloncini sformati.
Arrivati alla fontanella, si guardò attorno, per accertarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, poi si sfilò via la camicia e il resto, restando del tutto nudo, e, mentre io tenevo premuto il pulsante del rubinetto, lui si chinò a raccogliere l’acqua con le mani a coppa e cominciò a lavarsi le ascelle e le parti intime.
E intanto canticchiava sulle note di chissà quale canzoncina:
“Il negro si lava l’uccello,
il negro si lava i coglioni,
il negro prepara l’uccello
per farti vedere le stelle…”
Lo spettacolo era talmente comico, da un lato, e imbarazzante dall’altro, che cominciammo entrambi a sghignazzare come imbecilli.
Alla fine del lavacro, quando rilasciai il pulsante del rubinetto, a me faceva male la gola dalle risate, a lui, a furia di scuoterlo e menarlo, l’uccello si era drizzato in maniera impressionante.
“Ciuccialo, dai…”, mi disse ostentandomelo e facendomi l’occhiolino.
“Qui?, feci io, sbirciandomi attorno.
“Non ti piace che ti guardano, mentre succhi la mazza del negro?”
“Non me ne frega niente, se qualcuno mi vede, mentre succhio la mazza del negro; ma siamo troppo visibili e se capita la famigliola coi bambini, finiamo in galera tutti e due.”
“Hai ragione. Conosco un posto…”, e prese ad asciugarsi sommariamente con la camicia, che poi si gettò sopra una spalla, mentre si reinfilava i pantaloncini, infilandosi in tasca lo slippino lercio di sudore.
“Dai, andiamo.”, mi fece, allora, avviandosi per un altro sentiero, diverso da quello che avevo percorso prima.
“E’ ancora lontano?”, chiesi dopo cinque minuti.
“E’ qui vicino, siamo quasi arrivati, - rispose lui, girandosi a guardarmi – qui non ci vedrà nessuno.”
“Conosci molto bene questi posti.”, feci, ma più che altro per controllare la tensione che cominciavo a sentirmi dentro, all’idea di quello che mi aspettava.
Samuel fece spallucce:
“Ci porto ogni tanto le mie donne…”
“Devi averne parecchie qui attorno…”, e stavo per aggiungere “con quella sberla di cazzo!”, ma mmi fermai in tempo.
“Più di quante ne pensi…Il negro tira…”, ridacchiò lui.
“E ci porti pure gli uomini…”, dissi.
Avrebbe voluto essere una domanda, ma mi venne fuori come un’affermazione.
“No, qui no: te sei l’unico.”
“E come mai questo onore?”, scherzai.
“Perché voglio fotterti il culo come si deve.”, ghignò, guardandomi con un lampo di cupidigia negli occhi, mentre allungava la mano a darmi una palpata, che fece crollare con un brivido le mie ultime resistenze.
“Credi di riuscire a ficcarmelo quel tuo arnese?”
“Te lo ficcherò, vedrai… Sono bravo, te l’ho detto. Una volta ho sverginato un cornutone sotto gli occhi della moglie, senza neanche fargli troppi danni… E tu non mmi sembri proprio vergine…”
Evitai di rispondergli: se mi avesse chiesto quanti cazzi avevano finora varcato la mia soglia, avrei fatto davvero fatica a rispondergli. Ma per quanto fossi rotto e allenato ai grossi calibri, il pensiero del suo cazzone nella mia pancia un po’ di tremarella me la dava.
“Ci siamo.”, disse finalmente.
E infatti, dopo essere passati per un esiguo varco attraverso una folta siepe, eravamo sbucati in un piccolo spiazzo isolato, fuori dal mondo: era certo che qui non ci avrebbe sorpreso nessuno.
Senza perdere tempo in chiacchiere, Samuel si tolse dalla spalla il rotolo della camicia bagnata e la stese a terra; poi si tolse i pantaloncini e mi rimase nudo davanti.
Non posso che ribadire che oltre ad essere bello di viso, fisicamente era perfetto, un incanto: petto ampio e modellato, fianchi stretti, pancia piatta, cosce magnificamente tornite… cosa che non potrei dire di me, per quanto non sia propriamente un cesso.
Il cazzo, poi… Aveva perso il suo turgore, durante la camminata, e adesso gli pendeva fin quasi a mezza coscia molle e indolente, carnoso, incredibilmente sexy. Lui mi scrutava, senza dire niente. Allora, mi inginocchiai e allungai la mano a sfiorare l’organo agognato… La pelle era incredibilmente soffice, sia pure umida di sudore, ed ebbe un fremito appena lo toccai: le palle si rattrappirono e, con un leggero sobbalzo, l’organo cominciò a gonfiarsi di sangue, a drizzarsi, fino ad ergersi in tutta il suo meraviglioso, terrificante turgore.
Allora lo adorai, com’era giusto che fosse: un cazzo così superbo, così carico di forza selvaggia, così promettente di piacere non poteva che appartenere a un dio, un dio silvano che in quel caldo pomeriggio si era degnato di apparirmi, di rendermi partecipe delle delizie, di cui era dispensatore.
Lo baciai sulla punta già bagnata, leccai con passione la cappella snudata, mentre il dio, con un sospiro, mi poggiava le mani sulla testa e forzava per spingermelo in gola.
E io dischiusi le labbra ad accoglierlo, ma era troppo grosso per la mia povera bocca: mi introdussi poco più del glande affusolato, mentre mi davo da fare a carezzargli il fusto della mazza e a manipolare e strizzare lo scroto, tornato molle e penzolante, incantato com’ero dalle dimensioni degli ovuli sciaguattanti al suo interno, grossi come due uova di piccione.
Insomma, il mio timore principale, di avere cioè qualche remora, essendo la prima volta che facevo sesso s con un ragazzo di colore, si era dileguato, non appena avevo avuto a portata di mano e di bocca quello strumento meraviglioso, anche se le sue dimensioni mi impedivano oggettivamente di lavorarlo in modo adeguato.
Ma lui sembrava ugualmente soddisfatto, stante i gemiti ad ogni mia slinguata, i grugniti ad ogni mia strizzata di palle e la sequela insulti e turpiloqui che mi rovesciava addosso, tra una smorfia di piacere e l’altra.
Ad un tratto, si tirò indietro.
“Spogliati, dai, - mi disse con gli occhi allupati – fammi vedere il culo…”
Non me lo feci ripetere due volte: con mano frenetica, mi slacciai i pantaloncini e me li tolsi assieme a tutto il resto, tenendomi solo la maglietta.
Avevo il cazzo teso, che mi colava come una fontana; ma lui non lo degnò neanche di uno sguardo, non gli interessava: mi fece invece girare su me stesso e con un “Wow” soddisfatto mi afferrò entrambe le chiappe, una per mano, e cominciò a impastarmele con vera bramosia.
Ho dimenticato di dire che avevo qualche chilo di troppo, parecchi dei quali si erano depositati attorno ai fianchi, conferendomi un fondoschiena davvero appetitoso, per i cultori del genere…
E Samuel a quanto pare lo era, considerando anche la silhouette della signora che si stava scopando, qualche ora prima. Samuel, mi impastava le natiche, le bastonava col suo cazzo, impugnato a mo’ di manganello; poi mi teneva per i fianchi, me lo poggiava sullo spacco del culo e me lo strusciava su e giù, simulando i movimenti della monta.
“Puttana d’un frocio, - mi diceva con voce roca – voglio scoparti, voglio spaccarti il culo col mio cazzone duro… - e mi dava morsi bavosi sulla nuca – lo so che lo vuoi e io te lo do, ti riempio di carne questo culo merdoso e ti fotto fono a farti guaire come una cagna…”
E molte altre cose mi diceva, ancora più laide, mentre si strusciava sulla mia schiena e sul mio culo, oscenità che quasi più non sentivo, perso com’ero in quel delirio erotico.
Mi sentivo il fondoschiena tracciato dalla bava del suo cazzo, quando inaspettatamente mi costrinse a quattro zampe, con il petto a terra e il bacino puntato verso l’alto, in modo da potermi lavorare meglio.
“Ecco la figa rotta della troia…”, mormorò, allargandomi ulteriormente le chiappe con le sue mani s sputandoci sopra un grosso grumo di saliva.
Ci sputò altre due o tre volte, poi iniziò col dito a spingerla dentro: sapeva che doveva aprirmi bene, perché quel missile micidiale del suo cazzo riuscisse a penetrarmi senza danni. Mi entrò tutto dentro con un dito e giuro di non averne mai sentito uno così in profondità nel mio culo. Dopo avermi sifonato per un po’, estrasse il dito, mi allargò di nuovo il buco, adesso più cedevole, e ci sputò ancora dentro, riprendendo poi ad ammorbidirmelo, ma con due dita stavolta.
Io già spasimavo in preda al godimento, che non solo quelle abili dita mi stavano procurando, ma anche la situazione, il fatto cioè che stesse avvenendo in un posto dove da un momento all’altro poteva capitare qualcuno: il che era benzina per gli aspetti più porchi del mio esibizionismo.
“Guardala come gode la troia, - sentii Samuel ridacchiare alle mie spalle – vedrai fra poco, quando ti scoperò con il cazzo e non con le dita.”
Andò avanti ancora un po’, sputandomi e sditolandomi nel buco, finché:
“Preparati, frocio… sta arrivando…”, disse con uno strano tono di voce, e subito dopo sentii la punta smussata del suo glande appoggiarmisi sul buco aperto e spingere dentro.
Forzò l’ingresso, ma un’immediata strinatura di dolore mi squassò le viscere e involontariamente mi irrigidii, contraendo lo sfintere.
“Sta buono! – sibilò lui, dandomi una violenta pacca sulla natica – Il meglio deve ancora arrivare!”
La ceffonata mi fece allentare lo sfintere e lui ne approfittò per spingermelo dentro con un affondo deciso, fin quasi a metà. Urlai, strappando convulsamente manciate di erba, e lui si fermò, ma senza indietreggiare, mantenendo la pressione e controllando, immagino, le mie reazioni.
“Sta buona, troia, adesso passa…”, mi diceva, controllando a stento l’eccitazione, e intanto, passatomi le mani davanti, prendeva a giocare con i miei capezzoli: se li rotolava fra le dita, li tirava, li strizzava leggermente… e questo nuovo dolore, cominciò a farmi dimenticare l’altro, che infatti si andava attenuando, via via che le pareti del retto cedevano e si adattavano al corpo massiccio dell’intrusore.
E via via che lui sentiva la morsa dello sfintere allentarsi attorno all’uccello, dava un’ulteriore spinta in avanti, guadagnando altro terreno; finché, fra gemiti e grugniti miei e suoi, fitte lancinanti e momenti di languorosa assenza di dolore, mi ritrovai con l’intero corpo di quel cazzo mostruoso inzeppato saldamente nel mio culo. Me lo sentivo talmente strozzato nel mio condotto, che stupidamente mi chiese se sarebbe riuscito a scoparmi.
“Te l’ho ficcato tutto, puttana! – disse lui, ansimando – senti le mie palle che strusciano contro le tue.”
E infatti, mi allungai una mano fra le gambe, gli afferrai i coglioni, premuti contro i miei, e glieli tirai, quasi per un senso di rivalsa. Samuel urlò e, senza aspettare oltre, cominciò a muoversi fuori e dentro, stirandosi con un gemito i coglioni, che tenevo ancora saldamente in pugno, ogni volta che si allontanava.
Ma presto il suo pompaggio si fece così rapido e ad ampio raggio, che mi lasciai sfuggire di mano il suo scroto penzolante, dandogli agio di fottermi ancora meglio.
Ormai anche il dolore residuo era scomparso ed era subentrato un incredibile, quanto piacevole senso di pienezza… no, un entusiasmante senso di pienezza, mentre il suo cazzo scorreva dentro e fuori, scombussolandomi l’intero apparato.
Sentivo che mi rovesciava addosso ogni sorta di volgarità e ne ero ancor più eccitato, pur riuscendo a cogliere solo una parola ogni tanto, nel suo ansimare sempre più pesante. Quando mi resi conto di aver recuperato il controllo dello sfintere, cominciai a partecipare attivamente, rilassandolo quando usciva e strizzandolo ferocemente quando rientrava. Una tecnica, che lui dovette apprezzare, visto l’incremento non solo dei suoi gemiti, ma anche della foga nel pompaggio.
Samuel era lungo a venire, ma allo stato dei fatti, la cosa mi stava benissimo: scomparso il dolore, ormai era tutto piacere…
Mi stavo beatamente godendo da almeno dieci minuti la gagliarda cavalcata e il prolungato massaggio che il mastodonte mi stava effettuando sulla prostata con le conseguenze che si possono immaginare, quando sentii anfanarmi all’orecchio:
“Ci stanno guardando…”
Mi sentii percorrere da un brivido di pura libidine. Provai a guardarmi attorno, ma nella posizione in cui mi trovavo non potevo sollevare la testa, né muoverla più di tanto.
“Chi è?”, feci.
“Giovane… - ghignò Samuel – bel cazzo… si sta segando…”
“Digli di venire…”, ansimai, elettrizzato all’idea di un altro maschio che si unisse all’orgia.
Non passò molto, che sentii uno scalpiccio di passi e subito dopo, vidi due piedi, bianchi e polverosi in un paio di sandali, che si fermavano a circa un metro davanti a me.

(continua)
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