Gay & Bisex
La favorita - 1
di adad
07.07.2023 |
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9
"Il bel volto virile era pallido, gli occhi inquieti..."
Rodolfo di San Giustino sedeva alla piccola finestra della sua camera e guardava malinconicamente la distesa verdeggiante dei campi coltivati ai piedi del colle, su cui sorgeva il castello, spingendo lo sguardo fino alla barriera nerastra della foresta, qualche miglio più in là. Il sole di quel pomeriggio primaverile rendeva il paesaggio ancora più luminoso, tanto quanto, per contrasto, rendeva oscura e opprimente l’aria all’interno della camera.Quanto avrebbe voluto inforcare il suo cavallo e correre a perdifiato per quei prati, inoltrarsi nella foresta armato del suo arco a caccia di quella selvaggina particolare, grossa e feroce, capace di sfidarlo, di dargli filo da torcere. “Che gusto c’è nella caccia, - diceva talvolta agli amici – se la selvaggina si lascia ammazzare, senza neanche digrignarti i denti?”
Perché, questo era per lui la caccia: un sostituto delle sfide guerresche nei tornei e nelle battaglie. Ma un infortunio da cui non si era ancora rimesso, lo tratteneva in casa, togliendogli il gusto della vita.
Un valletto venne ad annunciargli una visita: un mercante, che chiedeva di vederlo. Non era raro, infatti, che mercanti giramondo bussassero alla porta del castello per offrirgli quelle merci provenienti da tutto il mondo: spezie rare, tessuti pregiati, monili di raffinata fattura. E Rodolfo, che amava le cose belle, li aveva sempre accolti con piacere e cortesia, non lasciandoli mai ripartire senza aver acquistato da loro qualcosa. Ma stavolta no, non era dell’umore adatto.
“Digli di andar via.”, ordinò seccamente al valletto, senza neanche distogliere lo sguardo dal panorama che stava ammirando.
“Dice che ha qualcosa di speciale per voi.”, continuò il valletto.
Rodolfo si volse a guardarlo. La curiosità si era svegliata nel suo torpido umore ed ebbe il sopravvento.
“Cos’è?”, chiese.
“Non saprei, signore.”
Rodolfo annuì:
“Fallo passare.”
Poco dopo, un uomo imponente, vestito da viaggiatore, con stretti calzoni di pelle, come chi passa gran parte del suo tempo a cavallo, un semplice farsetto di cuoio e un pesante mantello di grossa lana, si presentò alla porta con un profondo inchino. I lunghi capelli e la barba striata di grigio erano ancora umidi per la recente rassettatura. Si fece avanti, portandosi davanti al conte Rodolfo e si inchinò di nuovo. Era seguito da un giovane di forse diciotto o diciannove anni, molto bello, vestito severamente con una casacca e larghi calzoni informi. Il volto, dai lineamenti regolari, era incorniciato da un velo di morbida barba.
“Sono mastro Ethelbald, messere. Vi ringrazio di avermi ricevuto.”
“Ethelbald? Non siete di queste parti, mastro mercante, da dove venite?”
“La mia famiglia dimora nella lontana Britannia, messere; ma sono molti anni che mi sono messo in giro per il mondo, compro e vendo cose belle e preziose per i grandi signori.”
“E cosa avete da propormi, mastro Ethelbald? Qualche gioiello particolare?”
“Un gioiello particolarissimo, messere, qualcosa che forse non avete mai visto.”
Rodolfo sorrise:
“Voi stimolate la mia curiosità. Di cosa si tratta?”
L’uomo, allora, si volse e tese la mano verso il giovane, sia per indicarlo, sia farlo venire avanti. E quello, infatti, venne avanti e si inchinò a sua volta. Il bel volto virile era pallido, gli occhi inquieti.
“Che significa, mastro Ethelbald? Io non compro schiavi.”
“Cleto non è uno schiavo, messere: è un giovane libero, sfuggito ad un destino crudele. Ma prima voglio che vediate la sua particolarità.”
Gli fece un cenno e il giovane, arrossendo leggermente le guance, si sfilò la casacca, esibendo un torace armoniosamente modellato. Rodolfo fissava la scena senza capire e quando Cleto, sciolti i lacci, lasciò cadere a terra i larghi calzoni, restando solo con un minuscolo copri sesso:
“Devono avervi informato male, mastro Ethelbald, - disse ironicamente – io non sono interessato a questo tipo di merce.”
“Lo so, messere, - rispose il mercante – ma aspettate…”, e indirizzò al suo accompagnatore un cenno con gli occhi.
“Che stregoneria è mai questa?”, allibì il conte, con uno scatto alzandosi a metà dalla poltrona, quasi volesse fare un passo indietro, non appena il giovane si sciolse la braghetta.
Caduto, infatti, a terra l’ultimo velo del pudore, là dove avrebbe dovuto penzolare un organo maschile con i suoi attributi, si apriva una vagina perfetta in tutto e per tutto, con il minuscolo clitoride che faceva capolino fra le grandi labbra.
“Nessuna stregoneria, messere.”, sorrise il mercante.
“E’ una mostruosità demoniaca! – ribatté il conte – Un uomo con il sesso di una donna!”
“E’ solo uno di quegli scherzi che a volte la natura si diverte a fare. – ripeté calmo mastro Ethelbald – In oriente, dove ho viaggiato a lungo, ne ho visti parecchi di ragazzi così: uomini in tutto, tranne che per il sesso. Purtroppo, i pregiudizi umani li costringono a servire nei bordelli.”
“E’ da lì che te lo sei portato dietro questo… questo…”, chiese il conte, che non riusciva, comunque, a staccare gli occhi da Cleto.
“No, messere. Questo ragazzo l’ho comprato bambino in un villaggio in terra d’Apulia; l’avevano strappato alla madre e volevano bruciarlo… vivo, povera creatura, come se fosse colpa sua, se era nato così. Ma riuscii a farmelo vendere e lo portai con me. Sa leggere, scrivere e tante altre cose, come potrete verificare, se avrete la bontà di accettarlo.”
La curiosità e una sorta di oscura libidine vinsero i pregiudizi del conte di San Giustino, che accettò di comprare il ragazzo donna per un prezzo che entrambi ritennero soddisfacente.
“Mi dispiace, ragazzo, - disse il mercante, avvicinandosi a Cleto che se ne stava lì ad occhi bassi, vergognoso della sua esibita nudità – ho fatto tutto quello che potevo per te; ma io sono un mercante, compro e vendo. Sono certo di lasciarti in
buone mani.”
Rimasti da soli:
“Avvicinati, ragazzo.”, disse il conte.
Cleto venne avanti con passo esitante, coprendosi pudicamente il pube con le mani. Arrivatogli accosto, Rodolfo gliele scostò con fermezza, ma senza violenza, e rimase a fissare quell’incongruo sesso femminile, quasi non riuscisse ancora a capacitarsi di vederlo in un corpo in tutto e per tutto maschile.
“Accidenti, - esclamò – sembra proprio vera…”, e sfiorò con la punta delle dita le grandi labbra.
Cleto rabbrividì a quel contatto così indiscreto, così impudico: il conte se ne accorse e sentì il sangue che cominciava a scaldarglisi. Perché, una cosa non abbiamo detto finora, e cioè che il conte Rodolfo di San Giustino era notoriamente un fervente apprezzatore, mettiamola così, di quella che oggi chiamiamo figa. Ed è per questo che mastro Ethelbald lo aveva scelto per proporgli una merce così eccentrica e rara.
“E’ proprio vera!”, ripeté l’uomo, approfondendo il suo esame.
Ci infilò dentro due dita e poi le annusò.
“Anche l’odore è quello…”, mormorò.
E con gli occhi brillanti tornò a infilarci l’indice e il medio, mentre col pollice sgrillettava il minuscolo clitoride. Cleto gemette, chiudendo gli occhi.
“Ti hanno… sei mai stato…”, ansimò il conte.
“No, messere, sono vergine…”, riuscì a rispondere il ragazzo.
“Vergine…”, sospirò l’altro.
Ed estratte le dita dalla figa, lo afferrò per le natiche, lo attirò a sé e cominciò a slinguare la figa carnosa dentro e fuori, vellicando con la lingua il clitoride eretto e succhiandolo a fior di labbra.
“Anche il sapore è quello… è quello vero!”, mugugnava, mentre grufolava col muso nell’apertura che si andava riempiendo di saliva.
Poi, di botto, il conte si alzò con foga, prese il giovane per un braccio e, zoppicando, lo trascinò verso il letto: ce lo spinse sopra e gli si accosciò fra le gambe divaricate, riprendendo a leccarlo dentro e fuori. Allungò le mani a palpargli il petto e il fatto di non trovarci delle morbide poppe, ma dei sodi pettorali, non sembrò turbarlo, anzi lo infervorò ancora di più.
E finalmente, si tolse con furia la veste da camera, che indossava, si slacciò la braghetta e estrattosi il cazzo duro e palpitante lo puntò su quella insolita vagina e spinse dentro con un grugnito. Nonostante l’enormità del suo sesso, oggi lo diremmo superdotato, Rodolfo penetrò facilmente la vergine fighetta del ragazzo, vuoi per la sua consumata esperienza, ma vuoi anche perché l’eccitazione lo aveva fatto sbrodolare parecchio. Cleto si sentì mozzare il respiro, quando il conte gli poggiò il glande sulle labbra aperte e insalivate: sapeva cosa sarebbe successo e la cosa lo spaventava. Non appena il grosso tarello varcò la soglia, il dolore improvviso sembrò dare ragione ai suoi timori e lui cominciò a tremare, aggrappandosi alle lenzuola; ma via via che l’uomo si faceva strada dentro di lui, il dolore svaniva, lasciandogli solo un piacevole senso di ingombro, di pienezza.
È questo che provano le donne, quando un uomo le possiede, allora?, pensò, sentendosi invadere dal sollievo. Aveva abbastanza esperienza per sapere cosa sarebbe seguito, ma se era solo questo, ce l’avrebbe fatta, avrebbe sopportato anche l’impaccio del peso che gli gravava addosso.
Non si aspettava la tempesta che sentì scatenarsi dentro di lui, non appena il conte prese a muoversi: a quel movimento ritmico avanti e indietro, regolare all’inizio, poi sempre più focoso, via via che il maschio perdeva la sua lucidità,
a quel martellamento accompagnato da gemiti e grugniti, da carezze sempre più ruvide, Cleto si sentì scombussolare come mai gli era successo, sembrava che le viscere stesse gli si sciogliessero, mentre un languore fremebondo lo invadeva e lui sollevava di scatto le gambe, intrecciandole dietro la schiena del conte, quasi a tenerlo maggiormente inchiodato a sé.
Neanche si accorse, quando l’altro, in un impeto di passione, cercò le sue labbra e lo baciò; non si accorse di aver dischiuso le labbra e di averlo accolto senza alcuna ripulsa: tale era il fuoco che dal pube gli si irradiava in tutto il corpo. Non si accorse nemmeno di quando il respiro dell’uomo iniziò a farsi più pesante, di quando il suo corpo si irrigidì, ma sentì distintamente il seme che scaturiva dal suo organo e gli si riversava dentro.
Poi, lentamente, l’affanno si placò, il respiro tornò ad entrambi normale; erano ancora avvinghiati, quando il sesso dell’uomo, ormai smollato, scivolò fuori dalla figa infiammata di Cleto. Fu allora che si sentì sommergere dalla vergogna per quanto era successo e voltò di lato la testa per nascondere gli occhi colmi di lacrime.
Ma Rodolfo se ne accorse e, presagli il volto fra le mani, glieli baciò, prima uno poi l’altro, bagnandosi le labbra delle sue lacrime salate.
“Spero che tu pianga di gioia, ragazzo, perché è stato magnifico.”, gli disse con un sorriso.
Quelle parole inaspettate furono un vero balsamo per la sua anima travolta da una vergogna tanto maggiore, perché consapevole del piacere che lui stesso aveva provato.
“Davvero?”, esclamò esitante.
“Ascolta, - rispose Rodolfo, scostandogli con un dito una ciocca dalla fronte sudata – ho avuto molte donne nella mia vita, non posso dire che con te sia stato più bello… però… accidenti, è stato fantastico possedere un uomo che è anche una donna… o una donna che è anche un uomo, chissà. Il tuo corpo è diverso da quello di una ragazza, ma qui – e gli sfiorò con le dita la vagina ancora bagnata – qui sei uguale e forse è questo che mi dà quel brivido in più… Una cosa è certa: mi ecciti come non mai… Ti voglio ancora.”
E con queste parole, di nuovo allupato, il conte tornò ad abbracciarlo, tornò a cercarne le labbra, stavolta consapevolmente e tanto più volutamente perché aveva il gusto di un frutto proibito.
“Il mercante ha detto che sai leggere e scrivere, è vero?”, gli chiese il conte diverso tempo dopo, mentre giacevano sul letto esausti entrambi per gli svariati orgasmi.
“Sì… e conosco anche un po’ di latino.”
“Perfetto. Ho giusto bisogno di un nuovo economo: quello che avevo, un frate, l’ho appena cacciato via. Avevo scoperto che il numero dei sacchi di frumento che prendevano la via del suo convento era maggiore di quelli che arrivavano nei miei depositi. Sono sicuro che tu non mi imbroglierai.”
“E come potrei, signore? Non ho nessuno da favorire… se non voi.”
E forse inconsapevolmente gli palpò il sesso esausto. Il conte Rodolfo scoppiò a ridere.
“Se me lo avesse detto una donna, le avrei risposto che era una baldracca da strada, ma da te, lo prendo come una promessa e il preannunzio di altri piacevoli momenti… tanti altri…”
“Mi avete comprato, signore, - rispose Cleto placidamente – potete disporre di me come e quando volete.”
“Ho comprato il tuo corpo, ragazzo.”
“Vorreste anche l’anima? – disse Cleto con una punta di amarezza - Ve la dono volentieri, se la volete.”
“Tranquillo, ragazzo, non sono né Dio, né il diavolo, - rispose il conte, alzandosi dal letto e ricomponendosi – l’anima te la lascio, così potrai servirmi meglio. Mi contento della tua fedeltà… e della tua bella micetta, quando ne ho voglia.”, concluse, ammiccandogli con un sorriso malizioso.
(continua)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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