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Gay & Bisex

Tanto va la gatta al lardo - 2


di adad
30.10.2024    |    5.123    |    12 9.8
"Quello, però, lo scostò bruscamente: “Lasciami, vaffanculo!”, e si diresse in un angolo nascosto ad evacuare quanto il muratore gli aveva scaricato dentro..."
Sottoposto ad una così straziante tortura da parte di quei due manigoldi, divorato davanti da una bocca insaziabile, che lo teneva con insospettabile perizia sul filo dell’orgasmo, ma senza mai concederglielo, e rovistato fra le chiappe e nel buco del culo dalla lingua e dalle dita del muratore, il povero Giulio era ridotto una massa fremente di carne amorfa, percorsa da brividi di piacere, che mai avrebbe neanche sospettato che esistessero, abituato com’era a masturbarsi davanti alle immagini patinate di certe riviste.
Ad occhi chiusi, Giulio si abbandonava inerte a quelle attenzioni: la sua unica reazione era il gemito sommesso, continuo, che gli sfuggiva dalle labbra socchiuse.
“Credo che sia pronto.”, disse il muratore, estraendogli due dita dal buco pregno di saliva.
“Ricordati che è ancora vergine, - fece Sergio – cerca di non traumatizzarlo con quella bestia di cazzo che ti ritrovi.”
“Non ti preoccupare, - ridacchiò Arturo – sono bravo in queste cose, lo sai. Vieni a darmi una buona lucidata all’arnese, piuttosto.”
Ubbidiente, Sergio gli andò vicino, impugnò con una certa invidia la grossa verga e la smanettò un paio di volte, per assicurarsi di portarla al massimo turgore; poi ci sputò sopra e con la lingua spalmò il grumo di saliva tutt’attorno alla cappella; quindi, tornò ad inginocchiarsi davanti a Giulio, e lo indusse a chinarsi di più, passandogli le braccia sulle spalle.
A quel punto, il muratore, ruppe gli indugi, poggiò la cappella scivolosa sull’orificio e diede una leggera spinta. Infrollito dalla preparazione, lo sfintere cedette e lasciò entrare il glande nella sua interezza; ma, impreparato com’era, subito dopo avvertì la massa che lo ingombrava e si irrigidì, strappando a Giulio un gemito di dolore.
“Ahi! – si scosse il ragazzo – che mi stai facendo?”
“Te lo sto mettendo nel culo!”, grugnì, l’uomo, impegnato a spingere la verga nel canale riluttante.
“No… lasciami andare…”, protestò Giulio, dimenando il sedere, senza rendersi conto che così facendo agevolava la penetrazione.
“Sta calmo, - gli bisbigliò Sergio all’orecchio – a me lo ha fatto un sacco di volte.
Ti fa un po’ male adesso perché è la prima volta, ma poi passa, vedrai… ti piacerà.”
“No… no… no…”, continuava a gemere l’altro, sbavandogli nell’incavo del collo.
Intanto, il muratore aveva terminato la sua corsa e diede un ultimo colpo leggero per assestarsi meglio nel culetto ormai non più vergine del ragazzo.
Il dolore si fece strada lentamente nella sua coscienza obnubilata: iniziato come un sottile disagio, diventava sempre più lancinante via via che la sua consapevolezza si risvegliava: alla fine non ebbe alcun ritegno a muggire come un vitello, sentendosi il buco del culo impalato e straziato dall’enorme strumento del muratore. Cominciò a dimenarsi, senza rendersi conto che così non faceva che rendere ancora più cocente la sofferenza.
Vedendolo in quello stato, Arturo restò immobile, per dare tempo allo sfintere di adattarsi allo spessore del suo cazzo: sapeva bene che ogni minimo movimento avrebbe potuto provocargli fitte ancora più atroci. Ma di tirarlo fuori, come il ragazzo implorava piangendo, non se ne parlava proprio: aveva domato puledri ben più recalcitranti e lagnosi di lui.
Il giovane manovale, dal canto suo, sapeva benissimo quello che Giulio stava provando, ricordava cosa aveva patito lui, quando Arturo lo aveva sverginato, senza tanti riguardi e senza nessuno a dargli coraggio, a dirgli una parola buona.
“Coraggio, - gli diceva, allora – ci siamo passati tutti. Fa male all’inizio, ma vedrai che piano piano la tua fighetta si allarga e non sentirai più niente. Anzi, vedrai che bello farsi montare da un toro come lui, quando il suo cazzo comincia a scorrere dentro e fuori. Pure a me ha fatto male la prima volta, ma Arturo è bravo, ci sa fare con i ragazzi; è un maschio come ce ne sono pochi, ti farà godere come una vera troia. Cazzo, se vorrei essere al tuo posto, con quel cazzone tutto intorzato nel culo… ti invidio, guarda! Sopporta ancora un poco e sentirai che bello… specie quando ti viene dentro e ti riempie il culo di sborra.”
Saranno stati i discorsi sconci, che Sergio gli faceva, mentre delicatamente gli carezzava le palle e il perineo, fino a sfiorargli il buco del culo stirato allo stremo, sarà che lo sfintere si stava ormai abituando all’enorme tensione, sta di fatto che il dolore lancinante cominciò lentamente ad attenuarsi, sostituito da un senso di pienezza e infine di languore, che prese a diffonderglisi per tutto il basso ventre.
Appena avvertì il suo tremore placarsi e il respiro farsi più regolare, Sergio guardò il muratore e con un cenno con la testa:
“È, pronto, - mormorò – ma fa piano.”
L’altro gli fece l’occhiolino e cominciò: afferrò Giulio strettamente per i fianchi e prese a muoversi con tutte le precauzioni del caso. Si tirò fuori di qualche centimetro, poi lentamente tornò a scivolare dentro, attento alle reazioni che suscitava, onde poter aggiustare il tiro. Era uno scopatore di culi esperto, ormai, e sapeva perfettamente come trattarne uno che ha appena perduto la sua verginità. Si mosse, quindi con cautela.
Ma per quanta cautela si muovesse, il suo cazzo era troppo grosso perché potesse muoversi impunemente, almeno in questi primi momenti. Giulio, infatti, ebbe la sensazione che si trascinasse dietro tutto l’apparato, ogni volta che si muoveva, tanto ce lo aveva inzeppato dentro. E sguaiolò, ma più per la paura che per il dolore, paura per i danni che l’altro avrebbe potuto causargli e che non avrebbe saputo come spiegare. Sergio sembrò indovinare i suoi timori:
“Sta tranquillo, - gli bisbigliò all’orecchio – non ti succederà niente. Fra un po’ la tua fighetta si slarga e vedrai come scorrerà bene dentro e fuori… dentro e fuori… dentro e fuori… Ti piacerà, vedrai.”
E, infatti, quasi a dargli ragione, Giulio d’un tratto sentì allentarsi la morsa dello sfintere sul pistone che lo stava chiavando. Lo stesso avvertì il muratore, che con ghigno di trionfo, cominciò ad allungare il ritmo di vogata, estraendolo quasi tutto e poi tornando a sprofondarglielo interamente nelle tenere carni.
In breve, fu un coro generale di gemiti e sospiri: del muratore, il cui cazzo gonfio ormai vibrava di piacere come la verga di un rabdomante nell’approssimarsi dell’orgasmo; di Giulio, per il quale il dolore iniziale si era mutato in ondate di calore languoroso, che dal buco del culo gli si irradiavano in tutto il corpo; di Sergio, che per empatia godeva del piacere di entrambi, mentre continuava a lisciare le palle e il cazzo colante dell’amico.
Ogni tanto il manovale allungava la mano anche a sfiorare i grossi coglioni di Arturo e quando si accorse che cominciavano a incordarsi, mentre anche il suo respiro si faceva più pesante e più scomposto il ritmo di chiavata:
“Sta per venire… - bisbigliò all’orecchio esultante all’orecchio di Giulio – sta per venire! Adesso ti riempie il culo di sborra, sentirai che bello!”
Quasi in risposta, il muratore grugnì, strinse con maggiore forza i fianchi del ragazzo e, con un ultimo affondo, cominciò a sversargli nel budello tutto il suo carico. In genere sborrava molto, da quel maschio generoso che era, ma quel giorno l’eccitazione lo aveva portato alle stelle e i flussi continuavano a succedersi senza interruzione. Giulio avvertì chiaramente le pulsazioni, che gli martellavano sulla giovane prostata e si sentì avvampare, mentre un fiotto di sperma colloso sgorgava dal suo pisellone a inondare la mano del manovale, che non aveva smesso un momento di carezzarlo.
Seguì un lungo istante di immobilità e di silenzio, quasi non riuscissero a credere tutti e tre che era successo davvero. Il primo a riscuotersi fu Arturo: non appena il suo cazzo si fu smollato, lo tirò fuori, se lo asciugò con un lembo della camicia, poi cominciò a rivestirsi.
“Uscite uno alla volta, mi raccomando, - disse - e attenti che non vi veda nessuno.”, quindi si allontanò e i suoi passi si spensero presto sui gradini polverosi di cemento.
Rimasti da soli, Sergio abbracciò Giulio:
“Sei stato bravo…”, gli disse e allungò la mano a carezzargli il culo devastato.
Quello, però, lo scostò bruscamente:
“Lasciami, vaffanculo!”, e si diresse in un angolo nascosto ad evacuare quanto il muratore gli aveva scaricato dentro.
Poi si rivestì e senza guardarlo, né dirgli niente, si allontanò con passo malfermo.
Sergio lo guardò con una luce di tristezza negli occhi, ma poi sorrise e scosse la testa:
“Tornerai”, mormorò, ripensando a quanto era successo a lui stesso non molto tempo prima.
Anche lui era rimasto sconvolto, la prima volta che il muratore gli aveva fatto il culo, ma poi gli era passata ed era diventato forse il suo amante più famelico: del resto, si sa, chi ha provato una volta il cazzo non può più farne a meno.

E Giulio ritornò.
Arrivato a casa, imbastì una scusa con i genitori e andò a buttarsi sotto la doccia, ancora incredulo con se stesso per quanto gli era successo.
Non poteva, non voleva crederci, ma c’era l’indolenzimento al buco del culo e il senso di vuoto che l’enorme cavicchio gli aveva lasciato dentro, c’era il persistente scolamento di umori viscosi attraverso l’orificio sfibrato a testimoniare che era tutto vero, che quel farabutto lo aveva inculato per davvero. L’umiliazione e la vergogna ebbero il sopravvento e Giulio scoppiò a piangere sconsolatamente, consapevole che qualcosa di irreparabile era successo.
Pianse sotto la doccia e pianse durante la notte, all’idea che niente sarebbe stato più lo stesso, che non avrebbe potuto più presentarsi ai genitori e agli amici con lo stesso spirito di prima.
Ma sotto sotto qualcosa era germinato, qualcosa cominciava a vivere. Rivivendo quei fatali momenti, Giulio fu costretto ad ammettere che dopo il dolore e lo sconvolgimento iniziale, fisico e psichico, era subentrato un senso di piacere e di benessere; fu costretto ad ammettere che la sensazione di quel cazzo che gli godeva dentro era stata straordinaria… E anche la bocca di Sergio, che glielo aveva succhiato… la mano che lo aveva carezzato in quei posti in maniera così coinvolgente…
Verso mattina, dopo una notte di elucubrazioni, Giulio si ritrovò senza volerlo con il cazzo duro. Un’erezione incomprensibile, persistente. Pensò di farsi una sega e prese a masturbarsi ripensando al pomeriggio precedente, ma sentì che qualcosa gli mancava, pure smanettarsi non era più come prima.
Per tutto il pomeriggio evitò perfino di avvicinarsi alle persiane socchiuse. Certo, la sua insana curiosità lo spingeva a controllare se i due venissero, ma il pudore e la vergogna glielo impedirono. Il pomeriggio successivo le remore si erano un po’ attenuate e lui si azzardò, a una certa ora, a dare un’occhiata sulla strada, ma non vide niente e il cancelletto era chiuso.
La parte razionale di lui, cercò di mandare tutto al diavolo, ma l’altra, quella libidinosa in cui era tornata a far capolino la curiosità, non gli dava tregua. Prese a gironzolare per la sua cameretta mansardata, si inventò mille pretesti per allontanarsi, ma inutilmente: ogni dieci minuti era lì a spiare per strada. Alla novantacinquesima volta, vide finalmente che il cancelletto era socchiuso, qualcuno era entrato nel condominio! Ma chi? Solo il muratore o tutti e due? Rimase ad aspettare. Non si vedeva nessuno. Passò mezzora. Ormai dovevano essere dentro tutti e due. Cosa stavano facendo? Immaginò il muratore nudo, con l’altro che gli succhiava il cazzo… o magari lo stava inculando?
Boccheggiò, sentendosi un groppo alla bocca dello stomaco. Gli tremavano le mani, mentre scartava una caramella per alleviare l’arsura che si sentiva in bocca. L’immagine di quell’uccello enorme era fisso nella sua mente.
Cercò di distrarsi in ogni modo possibile, ma non ci fu verso: la curiosità, la tentazione, la voglia erano troppo forti e alla fine furono irresistibili.
Giulio tentò un’ultima resistenza, ma ecco che, come colto da una furia improvvisa e incontrollabile, corse fuori dalla sua cameretta, uscì alla luce abbagliante del pomeriggio estivo, attraversò la strada e sgusciò attraverso l’esigua apertura del cancelletto. Ebbe un’ultima esitazione, ma non seppe resistere alle lusinghe del demonio. Piano, muovendo con prudenza i piedi fra i detriti di calce e di mattoni, Giulio cominciò a salire le scale: la sua intenzione era di arrivare ad un punto, da dove potesse spiarli senza essere visto. Con l’eccitazione che gli fremeva nel sangue, il cazzo turgido nelle mutande, il giovane salì cercando di non fare il minimo rumore; ma non ebbe fortuna, perché arrivato al pianerottolo del terzo piano, si trovò improvvisamente di fronte a quello che stava cercando: al centro di una stanza invasa dal sole, il muratore, del tutto nudo, era seduto su una cassetta di legno a gambe spalancate, mentre Sergio, accosciato davanti a lui, con una mano gli impugnava l’uccello turgido, leccandogli la cappella, e con l’altra gli solleticava i grossi coglioni. Avevano entrambi un’aria beata sulla faccia.
Giulio rimase un attimo come abbagliato da quelle visioni, poi un senso di pudore lo spinse a tirarsi indietro, ma lo scricchiolio dei suoi passi sul pietrisco, che copriva il pavimento, lo tradì. Il muratore sollevò lo sguardo e lo vide. Un ghigno gli stirò le labbra:
“È tornato.”, mormorò.
Il giovane manovale volse la testa. Subito si alzò in piedi e gli andò incontro tenendogli la mano:
“Vieni”, gli disse con un sorriso luminoso, conducendolo dove l’uomo lo stava aspettando.
“Neanche tu hai resistito al richiamo del cazzo.”, disse.
Giulio arrossì senza rispondere.
Sergio, allora, lo prese per un polso e se lo fece accosciare accanto.
“Guarda che bel cazzone ha il nostro amico, - disse – ne hai mai visto nessuno così grande?”
Giulio scosse la testa, incapace di parlare. In realtà, era il primo che vedeva, a parte quelli sulle riviste patinate di donnine. Ma dovette ammettere dentro di sé che un cazzo in carne e ossa era tutta un’altra cosa. L’odore, soprattutto, quell’afrore pungente, selvatico di sesso sudato, maturo, pronto a possedere la sua preda. Quell’afrore pungente e dolciastro insieme, che solo i maschi dominanti hanno, e il muratore lo era.
“Guarda, - continuò Sergio con gli occhi che gli brillavano. Tirando giù la guaina e scoprendo per intero il glande – non sembra una grossa fragola? Assaggiala, senti che buona…”
Giulio fissava quella cappella affusolata incredibilmente rosea, spugnosa. Si sentiva la bocca asciutta.
Sergio diede una seccata a tutta lingua sopra il filetto. Il muratore fremette, mentre una grossa goccia di siero traslucido sgorgava dal taglietto e colava giù.
“Leccala, senti che buona!”, lo esortò Sergio.
E finalmente Giulio lambì la mucosa bagnata con la punta della lingua, ritraendosi subito con aria schifata. Il giovane manovale, invece, con famelica bramosia prese a slinguare tutt’attorno la grossa cappella, raccogliendo il sugo salmastro che continuava a sgorgare.
“Dai, - lo esortò di nuovo Sergio – all’inizio fa un po’ senso, è vero, ma poi…”
Stavolta Giulio non si fece pregare troppo: dopo una prima esitante leccata, la sua lingua iniziò una vera gara con quella dell’amico, una danza frenetica attorno
alla cappella del muratore, che intanto fremeva e spasimava in preda all’estasi.
Ogni tanto il manovale prendeva in bocca l’enorme glande, succhiandolo e slurpandolo, poi lo spingeva in bocca a Giulio, osservandone divertito i primi goffi tentativi.
Andarono avanti a lungo, succhiando, slurpando, leccando, finché:
“Sborro, cazzo!”, gemette il muratore e subito, con uno scatto, un’enorme colata di sperma biancastro, sgorgò dallo sbocco uretrale, colando lungo la grossa vena vibrante. Sergio si avventò a leccarla, prima che arrivasse ai coglioni, dove si sarebbe persa tra i folti peli, ma lo sgorgo era inarrestabile.
“Lecca pure tu!”, mugugnò il muratore, afferrando Giulio per la nuca e premendogli la bocca sul suo cazzo.
Il giovane si ritrovò con le labbra e il naso impiastricciati di quella melassa asprigna e fu giocoforza che iniziasse a leccare pure lui. All’inizio, quel sugo denso gli pizzicò sulla lingua e gli raspò la gola ad ogni ingoio, ma presto cominciò ad apprezzarne la densità e il sapore, ritrovandosi a gareggiare con l’amico a chi ne leccasse di più.
Alla fine, erano lì a contendersi il cazzone molle, passandoselo l’un l’altro, mentre il muratore li fissava estasiato.
“I miei frocetti… - mormorò, carezzandogli teneramente la testa – due brave puttanelle che faranno felice il loro padrone.”

FINE
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